Nei giorni scorsi, una Rete nazionale credo della Fininvest, ha avuto un’idea geniale. Ha preso i cinque film – riunendoli in un unico ciclo - interpretati fra il 1964 e il 1968 da Michèle Mercier, diretti da Bernard Borderie (fra gli altri interpreti: Robert Hossein, Jean-Louis Trintignant, Giuliano Gemma) e centrati sul personaggio di Angelica, protagonista dei romanzi di Anne e Serge Golon. Si tratta per l'esattezza di: "Angelica", "La meravigliosa Angelica", "Angelica alla corte del re", "L'indomabile Angelica" e "Angelica e il gran sultano". Essi furono salutati all’epoca da un grande successo popolare, nonostante la critica arricciasse il naso (o forse proprio per questo) e dettero una fuggevole celebrità alla nizzarda Mercier (classe 1939). L’attrice apparve come una sorta di erede e concorrente di Martine Carol (1920-1967), ghiottamente popolare presso un largo pubblico proletario per la bellezza del corpo e l’aria furbescamente invitante. La Mercier resse la sfida per qualche anno e poi scivolò in una filmografia sostanzialmente mediocre, con rari momenti di ripresa soprattutto in Italia (si pensi all’episodio “L’oppio dei popoli” contenuto ne “I mostri” di Dino Risi, ove essa tradisce con tranquilla fermezza il marito Ugo Tognazzi, completamente congelato davanti al televisore). In realtà i cinque film di Angelica sono meno brutti di quello che si è detto e cercano volenterosamente di recuperare il sapore di cappa e spada (e corna) dei romanzi originali ambientati nella Francia di Luigi XIV (XVII Secolo), che dai tempi di Dumas padre ad oggi siamo abituati a vedere come un luogo deputato dell’intrigo e dell’avventura. L’idea di riunirli in un ciclo e programmarli tutti e cinque, settimana per settimana, si direbbe un’idea intelligente, se non fosse che l’avevo già avuta io. Circa trent’anni fa (grosso modo nella seconda metà degli anni ’70). Ero il programmatore di cinema di RAIUNO e stavo portando alla perfezione l’idea stessa dei cicli cinematografici, che avevo ereditato da chi mi aveva preceduto alla RAI negli ’50 e ’60 (io presi servizio a Roma nel Febbraio del 1970). Mi capitò la possibilità di comprare i diritti delle cinque Angeliche, appena immessi sul mercato, non me lo lasciai scappare e quando potei disporre delle copie li misi in palinsesto. Il successo fu immediato e naturalmente stupì molte persone. Paolo di Valmarana, allora mio capo-struttura a RAIUNO, cinefilo disordinato e geniale che alla RAI fece molto per il cinema italiano (soprattutto per quello di sinistra, lui che era un democristiano ufficiale e critico cinematografico de “Il popolo”), rimase sbalordito. Nelle cene romane, ov’era richiestissimo, un fitto pubblico di intellettuali snob si gettò sull’argomento con la passione tutta capitolina per gli sfondi popolari e le interpretazioni sofisticate. Paolo, che non sapeva niente di Angelica, mi interrogava con gli occhi sbarrati, sapendo di dover rendere conto delle future avventure della “Marchesa degli angeli” ad un’accolta di signore esigentissime e di politici viziati. Riconosco che ancora una volta feci un figurone, ribadendo la fama che mi ero fatta sotto il monopolio, quando c’erano solo due Reti, e mentre una trasmetteva in prima serata un film di aperta connotazione popolare e divistica, l’altra metteva in onda – come sostenevo io “per diminuire gli entusiasmi” – un’appassionante serata con Gustav Mahler. È chiaro che io vincevo a mani basse. La cosa divertente è che la mia stessa tecnica venga ripresa circa trent’anni dopo, presumibilmente con un successo decoroso anche se non paragonabile (il panorama del cinema in televisione in trent’anni è cambiato come se ne fossero trascorsi trecento).
Ma è questo un argomento che vorrei in qualche modo riprendere nelle prossime puntate.
Ma è questo un argomento che vorrei in qualche modo riprendere nelle prossime puntate.