Blog - Crediti


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L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

5 agosto 2008

GIOCHI DELLA MEMORIA (2)



























Nei giorni scorsi, una Rete nazionale credo della Fininvest, ha avuto un’idea geniale. Ha preso i cinque film – riunendoli in un unico ciclo - interpretati fra il 1964 e il 1968 da Michèle Mercier, diretti da Bernard Borderie (fra gli altri interpreti: Robert Hossein, Jean-Louis Trintignant, Giuliano Gemma) e centrati sul personaggio di Angelica, protagonista dei romanzi di Anne e Serge Golon. Si tratta per l'esattezza di: "Angelica", "La meravigliosa Angelica", "Angelica alla corte del re", "L'indomabile Angelica" e "Angelica e il gran sultano". Essi furono salutati all’epoca da un grande successo popolare, nonostante la critica arricciasse il naso (o forse proprio per questo) e dettero una fuggevole celebrità alla nizzarda Mercier (classe 1939). L’attrice apparve come una sorta di erede e concorrente di Martine Carol (1920-1967), ghiottamente popolare presso un largo pubblico proletario per la bellezza del corpo e l’aria furbescamente invitante. La Mercier resse la sfida per qualche anno e poi scivolò in una filmografia sostanzialmente mediocre, con rari momenti di ripresa soprattutto in Italia (si pensi all’episodio “L’oppio dei popoli” contenuto ne “I mostri” di Dino Risi, ove essa tradisce con tranquilla fermezza il marito Ugo Tognazzi, completamente congelato davanti al televisore). In realtà i cinque film di Angelica sono meno brutti di quello che si è detto e cercano volenterosamente di recuperare il sapore di cappa e spada (e corna) dei romanzi originali ambientati nella Francia di Luigi XIV (XVII Secolo), che dai tempi di Dumas padre ad oggi siamo abituati a vedere come un luogo deputato dell’intrigo e dell’avventura. L’idea di riunirli in un ciclo e programmarli tutti e cinque, settimana per settimana, si direbbe un’idea intelligente, se non fosse che l’avevo già avuta io. Circa trent’anni fa (grosso modo nella seconda metà degli anni ’70). Ero il programmatore di cinema di RAIUNO e stavo portando alla perfezione l’idea stessa dei cicli cinematografici, che avevo ereditato da chi mi aveva preceduto alla RAI negli ’50 e ’60 (io presi servizio a Roma nel Febbraio del 1970). Mi capitò la possibilità di comprare i diritti delle cinque Angeliche, appena immessi sul mercato, non me lo lasciai scappare e quando potei disporre delle copie li misi in palinsesto. Il successo fu immediato e naturalmente stupì molte persone. Paolo di Valmarana, allora mio capo-struttura a RAIUNO, cinefilo disordinato e geniale che alla RAI fece molto per il cinema italiano (soprattutto per quello di sinistra, lui che era un democristiano ufficiale e critico cinematografico de “Il popolo”), rimase sbalordito. Nelle cene romane, ov’era richiestissimo, un fitto pubblico di intellettuali snob si gettò sull’argomento con la passione tutta capitolina per gli sfondi popolari e le interpretazioni sofisticate. Paolo, che non sapeva niente di Angelica, mi interrogava con gli occhi sbarrati, sapendo di dover rendere conto delle future avventure della “Marchesa degli angeli” ad un’accolta di signore esigentissime e di politici viziati. Riconosco che ancora una volta feci un figurone, ribadendo la fama che mi ero fatta sotto il monopolio, quando c’erano solo due Reti, e mentre una trasmetteva in prima serata un film di aperta connotazione popolare e divistica, l’altra metteva in onda – come sostenevo io “per diminuire gli entusiasmi” – un’appassionante serata con Gustav Mahler. È chiaro che io vincevo a mani basse. La cosa divertente è che la mia stessa tecnica venga ripresa circa trent’anni dopo, presumibilmente con un successo decoroso anche se non paragonabile (il panorama del cinema in televisione in trent’anni è cambiato come se ne fossero trascorsi trecento).
Ma è questo un argomento che vorrei in qualche modo riprendere nelle prossime puntate.

4 agosto 2008

GIOCHI DELLA MEMORIA (1)







A rileggerlo nei giorni scorsi (luglio 2008) il mio blog mi è parso insieme autoritario e impositivo, sfuggente ma autocelebrativo e, per dirla tutta insieme, noiosetto. Ho pertanto deciso – la vertigine della solitudine è anche il brivido della dittatura – di renderlo più vario e soprattutto più autobiografico. Cominciando da subito. Ecco il perché del titolo che rimarrà lo stesso per ogni puntata, con l’aggiunta del numero progressivo. Come prima notazione vorrei parlare di Agostino Saccà, del quale i giornali si sono occupati molto nei giorni scorsi. Com’è noto, in seguito ad una complessa manovra politica all’interno del Consiglio di Amministrazione della RAI – con astensioni di qualcuno, fuoriuscite di altri, eccetera - Saccà è stato allontanato dall’incarico importantissimo che ha ricoperto in questi anni, e cioè di responsabile della produzione di Fiction. Da diversi anni, e cioè da quando la RAI produce molto (contrariamente a quello che accadeva ai miei tempi), allestire sceneggiati a puntate ed eventualmente singoli “made for tv” è diventato uno strumento di potere notevole, che consente mille sfumature aziendali ed extra-aziendali. In seguito allo scandalo scoppiato a causa delle sue telefonate con Berlusconi – intercettate e poi rese pubbliche grazie a un meccanismo che a tutti i livelli si manifesta sistematicamente solo in Italia – la posizione di Saccà è diventata delicata e oggetto di complesse trattative giudiziali ed extra-giudiziali. Per farla breve, grazie ad una neo-formata maggioranza di consiglieri è stato allontanato dal suo incarico (gli hanno affidato la sezione commerciale, molto meno importante) e la responsabilità della Fiction è stata data a Fabrizio Del Noce, che ha conservato la Direzione di RAIUNO, accumulando un potere che non credo abbia precedenti alla RAI. Senza volere entrare in una polemica che non mi compete, confesso che la sorte di Saccà mi incuriosisce, stimolando un sapore di affetto da parte mia. Infatti io l’ho conosciuto molto bene lavorando a fianco a fianco con lui per diversi anni. Le cose andarono così: quando il craxiano Pio De Berti Gambini fu allontanato da RAIDUE, dopo anni di direzione, venne a prendere il suo posto un altro socialista, Gigi Locatelli, che fin lì aveva diretto (bene, dicevano molti giornalisti) il TGDUE. Nella rete, invece, non si mostrò mai a suo agio e soprattutto non sembrava in grado di fornire quella operosità continua e ininterrotta che per un simile incarico televisivo è indispensabile. Al suo fianco era stato nominato vice-direttore appunto Agostino Saccà, un socialista calabrese con un passato di giornalista di partito, che era da tempo alla RAI parcheggiato in qualche ufficio della direzione generale, come usava allora (e forse anche adesso), con le persone che avevano come caratteristica principale una specifica provenienza politica. Non credo che Agostino avesse mai avuto responsabilità di programmazione e/o di produzione, ma aveva una caratteristica positiva: era intelligente, furbo, operoso, e imparava in fretta, possedendo tutte le qualità ed i difetti di un socialista calabrese, costretto quindi a farsi strada con tenacia e con astuzia. A fianco di una direttore, che la programmazione normale annoiava (ebbe varie fortune, fra cui l’imprevista esplosione di “Quelli della notte”), Saccà fu costretto dagli avvenimenti a cimentarsi ogni giorno con le infinite scadenze di un palinsesto nazionale. Qui non ho il tempo di spiegare che cosa significhi esattamente programmare una Rete: bisogna ricordare che nulla è casuale e che qualsiasi spostamento, cambiamento, annullamento di uno o più programmi, implica una ferrea necessità di sostituzione con materiale presumibilmente affine e soprattutto della stessa “pezzatura”. Per fare un esempio banale, se si tolgono dodici puntate di una rubrica settimanale di quarantacinque minuti, bisognerà contestualmente trovare altre dodici puntate della stessa durata in grado di sostituirle senza traumi eccessivi. E tutto il palinsesto è di fatto un gioco di domino che si prolunga per mesi e per anni. Di colpo, Agostino si trovò a dover risolvere mille problemi. Ed io fui costretto ad avere continui rapporti con lui, perché la mia Struttura fra film, telefilm, sceneggiati d’acquisto, soap operas, eccetera, forniva di fatto il 60% del palinsesto totale. Tempo dopo, Saccà mi disse che non avrebbe mai dimenticato l’esperienza che avevamo vissuto insieme e che per lui quel periodo era stato come un “master”, che lo aveva preparato alle responsabilità più ampie che avrebbe poi incontrato nel corso della carriera. Devo dire che egli fu sempre estremamente ricettivo, accogliendo volentieri ogni suggerimento ed utilizzando senza falsi pudori una mia esperienza aziendale che ammontava ormai ad almeno quindi anni. Non vorrei sembrare eccessivamente vanitoso, ma mi ricordo che una volta mi testimoniò la sua ammirazione. Chiamato all’ultimo momento a tappare dei buchi nel palinsesto che si aprivano intorno alle 14:00 del pomeriggio, non avendo, per colmare il vuoto improvviso, nessuna serie abbastanza lunga e abbastanza adatta all’ora di programmazione, mi inventai un ciclo di film adatti al pomeriggio palesemente raffazzonato. Frugai cinicamente nei magazzini e allestii una serie di film che non avevano nulla in comune, ma che tolleravano un'intestazione (ed una sigla che io feci comporre) che suonava: “Le donne, i cavalier, l’arme e gli amori”. E poiché l’esperienza mi insegnava che un titolo di ciclo serve molto bene a contrabbandare film disparati, non mi stupii di avere avuto successo anche quella volta ed accolsi come normale l’ammirazione di Agostino.