Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

29 gennaio 2014

A DOMANDA RISPONDE

Mi riferisco ai commenti del 25 Novembre riguardanti la mia rubrica sul Mercantile pubblicata il 24 Novembre 2013. In modo diverso Rosellina, Enrico e Giorgio mi danno ragione recuperando quel che c’è stato di buono nell’Italia del dopo guerra sino, grosso modo, al terribile 1968 (da cui, in buona parte, provengono alcuni dei nostri mali peggiori; ma questo è un altro discorso). Enrico rievoca il goal di Rivera in Italia-Germania 4 a 3 del 17 Giugno 1970. Per snobismo vorrei ricordare anche il cross decisivo, rasoterra, di Boninsegna che consegnò il pallone al “piattone” di Rivera. Sembra che fosse l’undicesimo passaggio di quella incredibile azione.

Passiamo ai commenti del 27 Novembre riguardanti il mio brano sul Blog inteso a ricordare con affetto e con rimpianto la figura di “Chicco” Pavolini detto Francesco Savio. 
Grazie a Rosellina, a Anonimo, a Giorgio ed a un altro anonimo ancora, i quali, tutti e quattro, mi elogiano! Mi fa molto piacere che Simone Starace scriva che Francesco Savio “per i cinefili che amano e hanno amato il cinema italiano classico, resta ancora oggi una frequentazione quasi quotidiana, di quelle che arricchiscono ogni volta”. Non sono dunque solo e questo mi conforta.
Ringrazio Giulio Fedeli e la sua citazione del vecchio amico torinese Baldo Vallero che, a suo tempo, gli imposero la “conoscenza obbligatoria” di “Ma l’amore no”. Sono contento che Fedeli ricordi i due nomi fondamentali di Henri Langlois e di Maria Adriana Prolo. Forse molti non sapranno più chi sono, ma chi conosce un po’ il tema non dimentica che i due sono stati decisivi nel creare una consapevolezza “cinetecaria” nel mondo che amava il cinema ma assisteva indifferente alla sua quotidiana distruzione. Il romanzesco Langlois è l’uomo che ha letteralmente inventato la “Cinémathèque Française”, creando un precedente che ha rivoluzionato il mondo.
In quanto alla signorina Prolo credo che vi siano state poche persone, non solo in Italia, a compiere un’opera equivalente alla sua. Nata a Romagnano Sesia nel 1908 e ivi deceduta nel 1991 essa ha avuto, credo indipendentemente da Langlois (con il quale, però,  intrattenne poi una fittissima corrispondenza) l’idea, e diciamo pure la vocazione, di salvare tutto quello che poteva del cinema, che fluiva ogni giorno sugli schermi. Non solo i film in senso stretto (di cui essa cominciò a impedire la distruzione per fini commerciali, impegnandosi disperatamente a riacquistarli) ma tutto ciò che concerne il cinema: “camere” da ripresa, apparati di proiezione, ausili tecnici di ogni tipo, copioni, sceneggiature, manifesti, eccetera. Tutto quello che essa riuscì con i suoi mezzi a mettere da parte ed a salvare dalla distruzione e dall’oblio costituì la base di una struttura essenziale. E cioè quella del Museo del Cinema di Torino, che da tempo ha  trovato una splendida sede nella Mole Antonelliana. E che ogni anno riceve centinaia di migliaia di visitatori entusiasti. 
All’origine tutto risale a “tota” Prolo, che era anche una valente studiosa di cinema, autrice di testi tuttora validissimi. Io ho avuto il privilegio di conoscerla abbastanza bene e di apprezzarne sia la passione cinefilica che la naturale signorilità di alto-borghese piemontese. Nel 1989 il geniale e diseguale Daniele Segre, documentarista di talento, le ha dedicato un ritratto, “Occhi che videro”, che resta un omaggio significativo ad una delle grandi figure (se non dimenticate certo in parte ignorate) della storia del cinema italiano. Considero tuttora un privilegio di aver potuto condurre, insieme a Steve Della Casa, una cerimonia di omaggio in suo onore a Torino. 
Per terminare con i quesiti posti da Fedeli, lo rassicuro. Di Franco Scarmiglia mi è rimasto un ottimo ricordo. Era (lo dico perché credo che ormai quasi nessuno lo ricordi) un romano romanissimo, appassionato di cinema, che se ne occupava all’interno di strutture vaticane e, comunque cattoliche. Son contento che Fedeli si ricordi delle illustrazioni di mia moglie Elena Pongiglione. In quanto a Corrado Gaipa (1925-1989) l’ho conosciuto abbastanza bene. Era un eccellente attore di carattere ed un grande doppiatore, uno di quelli di cui la voce non si dimentica. Va detto che era costretto a camminare con le stampelle (o con il bastone) perché barcollava a causa di una ferita nel corpo che si era inflitta lui stesso (non vorrei sbagliare ma, come si diceva all’epoca, nel tentativo di uccidersi). Era un personaggio indubbiamente bizzarro. Mi ricordo che una volta mi confidò che ormai viveva in albergo. Dopo le brutte esperienze subite con le amministrazioni del fisco aveva deciso che era il solo modo in Italia per sopravvivere alle tasse. In albergo, mi diceva, “non c’è nulla di tuo, salvo forse i vestiti e gli oggetti personali, e perciò non ti possono pignorare niente e non ti possono portare via niente”. In effetti, se uno ci pensa, è vero. E se non gli secca vivere senza una casa in un Grand Hotel, il problema è risolto.
Infine mi fa piacere che Andrea Napoli ricordi, cosa che io non avevo fatto, due libri di “Chicco”: “Visione privata” e la raccolta delle recensione pubblicate su “Il Mondo”. Credo che si debba assolutamente aggiungere a questi due titoli “Cinecittà anni ‘30” in cui Savio raccolse e provocò 116 interviste a protagonisti e comprimari del cinema italiano dal 1930 al 1943. Un altro tassello fondamentale in un’ immensa e appassionata opera di ricerca.
Veniamo ai due commenti del 3 dicembre 2013 (“I Calciatori costeggiano tutta la nostra vita”). Il brano calcistico di Enrico mi pare impeccabile. In particolare lui parla de “I ritratti meravigliosi di Peppin Meazza dalla penna di Joàn Brera”. Vorrei aggiungere che io Meazza l’ho visto giocare: non quando io ero bambino e lui un asso di valore mondiale, ma nel dopoguerra, durante il campionato 1946-1947. In quell’anno l’Inter aveva assunto come allenatore Nino Nutrizio, un giornalista che doveva diventare poi famoso come inventore e direttore de “La notte”. Nutrizio aveva voluto con se come consigliere e aiutante proprio Meazza che era un simbolo dell’Inter.
In quell’anno Carlo Masseroni presidente dal 1942 al 1955, aveva voluto riprendere le vie del Sud-America da cui il calcio italiano aveva importato tanti campioni prima della guerra. Smantellò la squadra e prese di colpo due argentini e tre uruguaiani. Se ricordo bene quattro erano attaccanti (Bovio, Cerioni, Volpi e Zapirain) ed uno mediano, Pedemonte. L’inverno fu freddissimo, pieno di neve, l’Italia era ancora segnata in modo crudele dalla guerra: macerie, palazzi distrutti, eccetera. E si respirava ancora un’atmosfera di odio politico. Fatto stà che quattro dei cinque sudamericani decisero di scappare. Fecero le valige di nascosto e a Genova si imbarcarono su una nave diretta in Sudamerica. Rimase solo Zapirain (alla sinistra, bravo ma anziano: era calvo e giocava col basco per non farlo vedere; allora non usavano, non so perché, i giocatori senza capelli). Nutrizio dovette allestire una squadra con quello che rimaneva. E lo stesso Meazza venne forzatamente richiamato in servizio, malgrado avesse il “piede gelato” di cui parlavano tutti i giornali. Dovette tornare in campo anche lui, con la pancetta e, appunto, il piede fuori uso. Si schierò all’ala destra (all’ala, in quel tempo, venivano collocati i giocatori feriti) e io lo vidi giocare a Marassi, non so più se contro il Genoa o contro la Sampdoria. Era quasi immobile, ma il suo tocco di palla era ancora squisito e in qualche modo riuscì a cavarsela. Ne ho conservato un ricordo straordinario, come di un frammento ineguagliabile del passato.
Soliti ringraziamenti a Rosellina, lettrice fedelissima e minuziosa.

Veniamo ai commenti del 17 di dicembre per l’articolo “Quando Genova era grande”, ringrazio Enrico, Giulio Fedeli, Rosellina e Giorgio. Per quel che riguarda in particolare Enrico mi dispiace che questo lento sfacelo delle città italiane abbia investito anche Parma, dove io sono stato poche volte ma che mi era parso molto simpatica. Dei nomi che lui cita conoscevo abbastanza bene il solo “Pietrino” Bianchi, ormai ignoto ai più, ma che fu famoso come critico cinematografico su varie testate, dal “Candido” al “Giorno”. Era nato a Roccabianca, in provincia di Parma, nel 1909 e morì a Baiso, in provincia di Reggio Emilia, nel 1976 quando avrebbe potuto dare ancora moltissimo al giornalismo italiano. Inizialmente insegnò storia e filosofia nei licei ma si accostò assai giovane al giornalismo. Nel 1928, a 19 anni, firmò il suo primo articolo come critico cinematografico sulla Gazzetta di Parma, recensendo “Il circo di Charlie Chaplin”. Nel 1946 si trasferì a Milano e da allora cominciò una prestigiosa carriera di giornalista. Fra l’altro diresse anche una testata molto autorevole come “l’Illustrazione Italiana” e successivamente “Settimo Giorno”. In  un panorama critico molto spesso ideologicamente di sinistra, dominato dalla tirannica presenza di Guido Aristarco, “Pietrino” come lo chiamavano gli amici (sembra che sia stato lui a trascinare al cinema Attilio Bertolucci) si distinse per l’eleganza del tocco, il gusto dell’informazione letteraria e l’attenzione alle grandi correnti letterarie sotterranee che, ovunque, hanno ispirato e sospinto il cinema. Gli piacevano tanti scrittori francesi (per molti usava spesso l’espressione “Enfants de la balle”) e tanti registi americani. Mi ricordo che fu proprio un suo pezzo da Cannes, in cui lamentava che in un cinema di Rue d’Antibes si vedesse tranquillamente “Il grande sonno” del 1946, famoso film di Howard Hawks (con Humphrey Bogart nei panni di un indimenticabile Philip Marlowe) tratto dall’altrettanto celebre romanzo di Raymond Chandler, 1939. Il film era invece invedibile da noi perché di fatto introvabile in edizione italiana. Mi ricordo che fu proprio quell’accenno di Bianchi a stimolarmi freneticamente. Stavo preparando in televisione un grande ciclo su Bogart (ottenne molto successo) e decisi che ad ogni costo che avrei recuperato “Il Grande Sonno”. Per le solite misteriose ragioni le colonne originali con l’edizione italiana del 1947 (Bogart era doppiato da Bruno Persa e Lauren Bacall da Clelia Bernacchi) non si trovava più.


Ne fece allestire un'altra dove Bogart venne doppiato molto bene da Paolo Ferrari (che si costruì una voce curiosa, molto diversa da quella sua abituale) e la Bacall da Ada Maria Serra Zanetti. È la versione che circola, o circolava, oggi o in tempi recenti. Come si vede i meriti di “Pietrino” non sono pochi…Per restituire comunque il clima dell’epoca mi ricordo che, intorno al 1960, chiamammo con Gianni Amico a presentare “Intrigo internazionale” (North by Northwest) al pubblico del Cineforum Genovese (che aveva sede in un fortilizio della borghesia armatoriale dell’epoca, e cioè l’istituto dei gesuiti “Arecco”) proprio Bianchi. E la cosa sollevò un certo scandalo perché egli era un critico definito “di gusto” e quindi alieno dagli espliciti impegni biologici della maggior parte della critica militante. E poi dare, come inaugurazione dell’anno sociale, un film di Hitchcock non era sicuramente nella linea di “Cinema Nuovo”…


Veniamo ai commenti apparsi il 24 Dicembre e stimolati dall’aneddoto riguardante la dichiarazione di guerra del 1905, obbligatoriamente in francese. Ci sono ben sette contributi, di sei autori diversi, in molti dei quali (penso a Luigi Luca Borrelli e al duplice commento di Enrico) c’è materiale per tornare sull’argomento. Ringrazio tutti per gli auguri, in particolare quelli di Rosellina dedicati non solo a me ma anche a Elena ed a tutti i lettori del Blog.

Veniamo ai contributi del 31 dicembre motivati dal mio brano su Walter Mitty.
Ringrazio Giorgio Rita M. e Rosellina. In particolare Giulio Fedeli si chiede se il personaggio di Walter Mitty non sia stata una delle fonti ispiratrici di “Billy il bugiardo” (“Billy Liar”) secondo lungometraggio, nel 1963, di quell’eccellente regista che è stato John Schlesinger (1926-2003) a cui dobbiamo tanti film interessanti, soprattutto negli anni ‘60 e ’70, ma che è sempre rimasto nel mestiere ed ha diretto quello che credo sia il suo ultimo film “Sai che c’è di nuovo?” nel 2000. Se penso a lui, penso soprattutto a film come quello del suo esordio nel lungometraggio “Una maniera d’amare” (“A Kind of Loving”, 1962) appunto a “Billy il bugiardo” e poi, ad esempio, “Via dalla pazza folla” (“Far from the Madding Crowd”, 1967); “Un uomo da marciapiede” (“Midnight Cowboy”, 1969); “Domenica, maledetta domenica” (“Sunday, bloody, Sunday”, 1971); “Il giorno della locusta” (“The Day of the Locust”, 1975); “Il maratoneta” (“Marathon man”, 1976); “Yanks” (“Yankees”, 1979); eccetra, eccetera.
Per scrupolo ho controllato il “Castoro” su Schlesinger scritto nel 1986 da Claver Salizzato e non sono riuscito a trovare conferma dell’ipotesi che “Billy il bugiardo” costituisca un esplicito rimando a “Sogni proibiti” (“The Secret Life of Walter Mitty”, 1947). Ma forse ho sfogliato male il libro. In compenso il Morandini 2013 (vedi pg. 195) dice esplicitamente che il film è “indubbiamente ispirato al Walter Mitty dell’americano James Thurber” (ricordo che Thurber fu un eccellente disegnatore ed umorista che normalmente appariva sul “New Yorker”. Tutto quello che ho letto di lui l’ho trovato esilarante). Per essere sicuri dell’ipotesi Mitty bisognerebbe controllare la commedia di Keith Waterhous e Willis Hall, tratta da un romanzo del primo, ma mi sembra un’ipotesi assolutamente verosimile.


Ultima serie di risposte riguarda i commenti giunti 8 Gennaio 2014 motivati dalla “Signora in Giallo”, tutti e cinque gli intervenuti, forniscono giudizi e valutazioni interessanti. Rosellina si chiede in particolare dove “sono finiti i bravi dirigenti Rai…che proponevano queste belle serie televisive?” probabilmente è più in grado lei, che alla Rai ci vive ancora, di quanto possa fare io che l’ho lasciata ormai da quasi venti anni.
L’annotazione di Rita M. riguardante la presenza di Angela Lansbury, “bellissima e giovanissima” in “Angoscia” (“Gaslight”, 1944) di George Cukor, mi ha fatto venire in mente un aneddoto (non ricordo se ne ho già parlato a suo tempo nella rubrica “Salvate la Tigre” che avevo su Film Tv). Si tratta di questo: nel 1980  avevo avviato a Rai Uno - l’anno dopo passai a Rai Due - uno dei tanti cicli da me allestiti (forse riguardava la Bergman, non ricordo con esattezza). Uno dei film era sicuramente “Angoscia” dominato dalla presenza, via via più sinistra, di Charles Boyer, marito della minacciata e incolpevole Ingrid. Dovevamo andare in onda un lunedì sera. Esattamente una settimana prima apprendo che la Casa di Doppiaggio (una delle più famose; non la menzione per indulgenza professionale) come è accaduto incredibilmente molte volte nell’ambiente, si era accorta, all’ultimo momento,  di non trovare più le colonne del doppiaggio originale allestito nell’immediato dopoguerra, dove spiccavano due grandi voci. La Bergman era infatti Lydia Simoneschi e Boyer e il forse ancor più grande Emilio Cigoli. Quella fu una delle volte in cui non mi arresi al disordine paraministeriale in cui si lavorava alla Rai.  Chiesi l’aiuto dell’efficiente Servizio Edizioni dell’azienda, che mi trovò una Casa di Doppiaggio pronta a fornirmi, di fatto da un lunedì all’altro, una nuova edizione doppiata. Aveva accettato di curare la direzione, a patto di redigere anche l’adattamento italiano, un’eccellente doppiatrice nostrana, Gabriella Genta, che si riservò la parte di Miss Thwaites recitata nell’originale dalla famosa Dame May Whitty. Fu una settimana di passione in cui tutta l’equipe si rivelò bravissima. Al mattino presto (abitavo in via dei Gracchi, quartiere Prati) mi arrivava in casa un fattorino che mi portava una parte dell’adattamento appena scritto da Gabriella Genta. Io, appena alzato, leggevo e controllavo velocissimamente il testo inglese e quello italiano, e se tutto andava bene (e tutto andò sempre bene) mettevo una firma di approvazione. Accadde, credo, per cinque mattine. Non appena il fattorino tornava in Ditta con il testo approvato la gente avviava il doppiaggio di quel frammento scritto. In cinque giorni tutti insieme, molto bravi, riuscirono a completare un lavoro effettuato bene, seppure a grande velocità (ricordo che la Bergman fu doppiata da Ludovica Modugno e Boyer da Antonio Colonnello: come sempre in casi del genere ho fatto ricorso al prezioso sito di Antoniogenna.net). Il lunedì della trasmissione la coppia doppiata venne consegnata alla Rai, come sempre i montatori la controllarono e alla sera il film andò in onda senza che nessuno si accorgesse che si trattava di un doppiaggio completamente nuovo.
Il doppiaggio in sé è discutibile come scelta estetica, perché nulla e nessuno possono sostituire voce e rumori originali. Ma come tecnica applicata è notevole ed ha raggiunto in Italia (soprattutto sino agli anni ’80) un livello altissimo che ha creato  una scuola fra le migliori, se non la migliore in assoluto, nel mondo. Fra l’altro  non ebbi più occasioni, almeno che io sappia, di collaborare con Gabriella Genta. E la incontrai soltanto una volta, con grande piacere e sempre con un senso di riconosenza, a Finale Ligure, quando le rimisi un premio, sicuramente meritatissimo, nella mia qualità di Direttore Artistico, di quello che è stato forse il miglior Festival specialistico in Italia, e cioè “Voci nell’Ombra”.



28 gennaio 2014

FILM IN USCITA NAZIONALE DA GIOVEDI' 30 GENNAIO

Mi sembra utile (cercherò di farlo più frequentemente) di riportare qui i titoli dei film in uscita nazionale, a partire da giovedì 30 gennaio 2014.
Cordiali saluti a tutti.

FILM IN USCITA IL 30 GENNAIO 2014


LA GENTE CHE STA BENE
di Francesco Patierno 
con Claudio Bisio, Margherita Buy, Diego Abatantuono, Jennipher Rodriguez
01 Distribution / Nobile Scarafoni
durata: 105’

I SEGRETI DI OSAGE COUNTY
di John Wells
con Meryl Streep, Julia Roberts, Ewan McGregor, Chris Cooper, 
Abigail Breslin, Benedict Cumberbatch, Juliette Lewis, Sam Shepard
BIM distribuzione
durata: 119’

*DALLAS BUYERS CLUB
di Jean-Marc Vallée
con Matthew McConaughey, Jared Leto, Jennifer Garner, Denis O'Hare, Steve Zahn 
Good Films 
durata: 117’

HERCULES: LA LEGGENDA HA INIZIO
di Renny Harlin
con Kellan Lutz, Gaia Weiss, Scott Adkins, Liam McIntyre, Roxanne McKee
M2 pictures / Carmen Danza
durata: 90’

BELLE & SEBASTIEN
di  Nicolas Vanier
Notorious Pictures / Vic Communication (Lucrezia Viti)
durata: 98’

*THE PERVERT’S GUIDE TO IDEOLOGY Documentario
di Sophie Fiennes
I Wonder Pictures
durata: 134’

*IL SEGNATO 
di Christopher B. Landon
con Andrew Jacobs, Jorge Diaz, Gabrielle Walsh, Renee Victor, Noemi Gonzalez
Universal Pictures
durata: 84’


27 gennaio 2014

L'OSSERVATORE GENOVESE

Cari amici, 
ecco l'inevitabile brano domenicale della mia rubrica sul "Corriere Mercantile", uscito appunto ieri 26 gennaio. Si tratta di una curiosa esperienza "radiofonica" che ho attraversato in gioventù ed a cui, dopo decenni di oblio, ho ripensato in piena vecchiaia. Non so se nella forzata brevità del testo sono riuscito a recuperare tutti gli stimoli politici e culturali che il tema implica ed evoca. 
Mi farebbe piacere ricevere qualche parere dai soliti fedeli lettori.

VISTO CON IL MONOCOLO


QUELLE "LEZIONI" SERALI DELLA RADIO SPAGNOLA
Da giovane vissi per una decina di anni in un posto bello di Genova, il Capo di Santa Chiara: a sinistra Sturla, a destra la squisita baia di Boccadasse. Disponevo di una di quelle radioline d’epoca di notevoli dimensioni, che intercettavano, dal mare aperto, comunicazioni di ogni genere. Una di queste era quella serale della Radio spagnola. Non so perché presi l’abitudine di ascoltarla: l’ultima trasmissione della sera si concludeva sempre con le stesse parole che non ho più dimenticato: “Aquì Radio Nacional de España. Fin de la trasmission. Gloriosos caidos por dios y por la patria, presente! Que viva Franco! Arriba España!” Seguiva l’inno falangista “Cara al sol”: come è noto Franco si era impadronito furtivamente dell’eredità di tutte le svariate destre spagnole (l’erede di Primo de Rivera alla guida della Falange, Manuel Hedillia, inizialmente l’aveva condannato a morte, perché era troppo di sinistra!). Capii anni dopo che ascoltando “quella” radio spagnola avevo vissuto in una duplice dimensione temporale, un po’ come i protagonisti dei romanzi di fantascienza della collezione Urania: allora mi piacevano tanto. Di giorno vivevo negli anni ‘50 italiani, dove i Presidenti del Consiglio andavano da De Gasperi a Segni, sino a Tambroni, e l’Italia viveva una democrazia rinnovata e faticata, ma sostanzialmente libera. Di sera tornavo bruscamente al 1 Aprile 1939, quando ufficialmente terminò la guerra di Spagna con una grande sfilata militare a Madrid, in onore di Franco. Di colpo parole, accenni, concetti, sostantivi e aggettivi mi portavano indietro nel tempo di almeno 15 anni. Mi serviva per imparare lo spagnolo (sotto le dittature la dizione degli annunciatori è sempre nitida e autoritaria) ma soprattutto per collocarmi in una dimensione storica ormai lontanissima dal presente. Mi son reso conto adesso che quell’iniezione serale di retorica post-falangista mi ha fatto capire più cose della Spagna di ieri (e in certo senso di oggi) di quanto potessi sospettare allora. Senza muovere un passo vissi per anni tutte le sere in una Spagna reale ma al tempo stesso immaginaria, come e meglio del corrispondente fisso di un giornale. È un’esperienza minima eppur curiosa…



20 gennaio 2014

L'OSSERVATORE GENOVESE

Cari amici, 
abituale "riporto" del Lunedì rispetto alla mia rubrica di domenica 19 Gennaio 2014, sul "Corriere Mercantile". Se l'argomento "Beautiful" interessa posso scrivervi qualcosa di più...
Cordiali saluti.

VISTO CON IL MONOCOLO
Ci fu un periodo (ero già tornato a Genova, in pensione) in cui Maurizio Costanzo mi invitava stabilmente ad una trasmissione girata a Roma per non so più quale rete. Niente retribuzione: solo il biglietto aereo, ristorante e albergo a Roma. Ed io accettavo per vanità. Ogni trasmissione incominciava nello stesso modo: Costanzo faceva sfilare uno per uno i vari ospiti sul palcoscenico, con una frase di presentazione. Per me fu sempre la stessa,: “Ed ecco a voi Claudio G. Fava, l’uomo che ha importato Beautiful”. Evidentemente, Costanzo lo considerava un merito insuperabile. Mentre per molte altre persone l’operazione Beautiful divenne una sorta di anatema che mi perseguitò per anni: “Diciamo la verità, Fava, nonostante le sue benemerenze critiche, è quello, e non vogliamo nasconderlo, che ha importato Beautiful”…
In realtà era stato un riflesso professionale assolutamente coerente. Anni prima, con il direttore di Rai Due Pio De Berti Gambini, di fronte alla assoluta necessità di rifornire di materiale di acquisto il palinsesto di una rete che produceva poco autonomamente, c’eravamo lanciati verso un futuro inesplorato. E cioè quello della “soap-opera”, che rappresentava allora un mondo narrativo totalmente sconosciuto agli italiani e, in certo senso, anche agli europei. Vale a dire quello di un universo produttivo che prevedeva un numero infinito (se il programma aveva successo) di puntate di 20/25 minuti, spesso scritte giorno per giorno e comunicate in extremis agli attori. Per fare un primo esperimento incaricammo un funzionario in America per lavoro, di comprarne una qualsiasi. In realtà l’unica libera per la vendita in quel momento, perché non piaceva. Si trattò di “Capitol”. Era curiosamente ambientata nel mondo politico di Washington: al centro due famiglie i Clegg, repubblicani, ed i McCandless, democratici, rivali in politica. Fra i due clan si muoveva anche un terzo gruppo famigliare, quello del senatore Denning. Lasciammo il titolo originale (la traduzione “Campidoglio” avrebbe fatto pensare ad un’ambientazione romana!) iniziammo il laboriosissimo doppiaggio e la mettemmo in onda 26 settembre 1983. Fu un successo clamoroso (credo unico nel mondo) che affascinò un pubblico spesso alto-borghese. Per tenere la collocazione ne scopersi un’altra, “Loving” (“Quando si ama”), che comprai a New York alla cieca, e che ebbe ugualmente successo. Poi di colpo “Capitol”, che in America andava malissimo, venne brutalmente abolito (dovetti inventare due trasmissioni esplicative per far capire agli italiani che non era colpa della Rai) ma gli stessi suoi venditori mi fecero vedere a Cannes le puntate pilota di “Beautiful”. Un protagonista mascelluto, uno sfondo di alta sartoria…Telefonai a Roma: “Prendiamola subito”. Il successo, le trasmissioni iniziarono il 4 Giugno del 1990, fu ancora più grande. Su consiglio degli amici del Servizio Opinioni della Rai ridussi il titolo originale “The Bold and the Beautiful” soltanto a quest’ultima parola: significa “bello” ed è assolutamente insensato ma nessuno se ne è mai accorto.
Da allora sono diventato: “Ma quello lì, non è quello che ha importato Beautiful ?”…

17 gennaio 2014

A DOMANDA RISPONDE

Rispondo qui ad alcuni dei commenti pervenuti nel Blog in questi giorni. Non appena sarà possibile risponderò agli altri post recenti.


Ho ricevuto parecchia posta sul  Blog. Per non sprecare troppo le mie forze rispondo adesso ai quattro post arrivati dopo la pubblicazione del mio brano dal Corriere Mercantile riguardante le “Simpatiche canaglie” (“Our Gang”). Ringrazio Andrea Napoli che mi offre il conteggio preciso dei 220 cortometraggi (88 muti e 132 sonori) realizzati per la serie dal 1922 al 1944 (tenuto conto dei ritmi di reazione e di diffusione del cinema 22 anni sono moltissimi!). Tutte le citazioni sono gustose, a cominciare da quella dell’impagabile James Finlayson, uno dei più grandi strabici potenziali del cinema comico. Francamente non sapevo che in un episodio ci fosse anche Hattie McDaniel. Tutti ricordano la “Mamy”, la fedele super cameriera nera di “Via col Vento”, ma pochi sanno quanto le sia costato quel famoso premio Oscar come migliore attrice non protagonista. Ho trovato un divertente aneddoto: una volta si cercò di contrapporle la figura ben più fascinosa di una sua sorella di razza, e cioè Lena Horne. Si diceva che l’attrice fosse riuscita ad ottenere un contratto contenente la clausola che essa non avrebbe mai interpretato la parte di una cameriera. Hattie rispose a chi le ricordava il fatto: “preferisco guadagnare 700 dollari a settimana interpretando una cameriera piuttosto che guadagnarne 7 per fare la cameriera”.
Per quel che riguarda l’osservazione finale di Napoli il quale si augura che io raccolga “in un apposito volumetto” i testi di “Visto con il Monocolo” vorrei rispondere dandogli una notizia in anteprima. Fra pochi giorni a questo riguardo ci saranno delle novità. Tenga d’occhio il Blog e non sarà deluso. Complimenti anche ad Enrico a sua moglie, fra i bambini della serie di Hal Roach, piaceva particolarmente “Alfalfa”. Era indubbiamente  un bambino di talento, sicuramente bravissimo quando era molto piccolo. Il nome completo era Carlton “Carl” “Alfalfa” Dean Switzer. Nato nel 1927 divenne anche allevatore professionista di cani da caccia e guida forestale. Morì nel 1959, sembra a causa di un banale litigio (si scrive sempre così “banale litigio”; poi ci scappa il morto).

Infine vorrei fare osservare alla cara Rosellina che non sono così geniale come lei si ostina a ritenere. Certo conoscevo abbastanza bene la figura di Hal Roach e la storia delle “Simpatiche Canaglie”, ma per ogni altra informazione mi è bastato, secondo la già ricordata lezione di Ken Follett, consultare google. Non cultura ma polpastrelli. Questo è il motto del nozionismo contemporaneo…

14 gennaio 2014

L' OSSERVATORE GENOVESE

Ecco la solita puntata domenicale della mia rubrica sul Corriere Mercantile. Mi auguro che la divagazione cinematografica non sia troppo noiosa. I miei problemi di salute continuano e perciò non sono ancora in grado di rispondere ai molti post che ho ricevuto in questi ultimi tempi. Mi auguro di migliorare nelle prossime settimane e di riuscire a riprendere il dialogo con i lettori.
Molti cari saluti a tutti.


VISTO CON IL MONOCOLO

QUELLE PICCOLE GENIALI CANAGLIE 

Non so quanti abbiano fatto caso ad un minimo particolare della programmazione di Rai Tre, attualmente in corso mentre scrivo queste righe. Ogni giorno feriale è prevista, dalle 20.15 alle 20.35, giusto in attesa del “Prime Time”, una piccola rubrica di 20 minuti intitolata “Simpatiche Canaglie”. Si tratta in realtà di un’impercettibile ma decisiva evocazione di un grande momento del cinema: una famosa trasmissione andata in onda dagli anni ‘20 al 1944 (il prevalente titolo originale è “Our Gang”) centrata esclusivamente su un gruppo di bambini piccoli, protagonisti. Forse il suo momento di maggior successo venne con il sonoro negli anni ‘30 quando Hollywood fu affetta da una vera e propria mania di “bambinismo” cinematografico: Jackie Coogan, Jackie Cooper e, soprattutto, l’incontrastata diva Shirley Temple. Le “Simpatiche Canaglie” erano reclutate (ad un certo punto vi furono enormi concorsi collettivi in tutti gli Stati Uniti) puntando su bambini assolutamente autentici, colti nella loro naturalezza, spesso aggressivi, a volte motivati da aperte vocazioni farsesche, non di rado volutamente plebei, con maschi e femmine, bianchi e neri, mescolati all’insegna di una integrazione non abituale all’epoca. Credo che quelli che potete vedere in televisione siano fondamentalmente i bambini degli anni ‘30 , cioè quelli del maggior successo, stimolati dall’uso del sonoro. In realtà essi non sono che uno dei tantissimi esempi della genialità di un grande produttore ormai conosciuto solo dagli appassionati, Hal Roach (morto centenario nel 1992) che rimane fondamentale nella storia di Hollywood. Gli dobbiamo tantissimi frammenti di cinema: ad esempio il primo lancio di Harold Lloyd (come “Lomesome Luke”), quello di moltissimi divi – ora dimenticati ma all’epoca famosi come Thelma Todd o ZaSu Pitts – e soprattutto l’invenzione, insieme a Richard Jones e Leo McCarey, della coppia comica più famosa nella storia del cinema: Stanlio & Ollio cioè Stan Laurel e Oliver Hardy.
Come si vede un personaggio straordinario, di cui ho riassunto l’immenso apporto alla storia del cinema americano. Il suo talento ci ritorna ora su Rai Tre in modo quasi clandestino. Mi è parso giusto ricordarlo.

8 gennaio 2014

L'OSSERVATORE GENOVESE

Cari amici, come al solito la mia collaborazione al blog sarà, ancora per qualche tempo, molto ridotta a causa di un problema di salute che mi porterò dietro per alcune settimane. In compenso i tre libri, ognuno molto diverso dagli altri due, che ho preparato nel frattempo sono paradossalmente giunti alla conclusione tutti e tre insieme (non ho capito bene se da parte mia è stato un eccesso di attivismo o una totale mancanza di pianificazione). Comunque sia tutti e tre sono stati consegnati agli editori: rimangono aperte solo le prefazioni da chiudere all'ultimo momento. Intanto, come al solito, ecco la puntata di "visto con il monocolo" apparsa sul "Corriere Mercantile" domenica 5 Gennaio 2014. I colleghi della redazione hanno concesso alla puntata uno spazio inusuale, trovando posto anche per le immagini dei tre protagonisti dei due telefilm seriali menzionati nel mio testo.
Ve lo lascio leggere con calma.

VISTO CON IL MONOCOLO

NON TOCCATE ANGELA LANSBURY

Ho appreso senza (soverchio) stupore che la NBC ha ereditato il titolo dalla CBS, e vuole riproporlo ma con un’altra interprete (questa, in particolare, nera). È stata una delle serie poliziesche di maggior successo degli ultimi decenni. Si tratta di “Murder, She Wrote” (per il titolo italiano vedi dopo). La CBS, dal 1984 al 1996 ne ha trasmesso complessivamente 264 episodi più 4 film-tv. Il successo è stato grandissimo in America come in Italia dove la serie, centrata su Angela Lansbury (eccellente attrice di origini inglese) venne trasmessa prima dalla Rai e poi da altri canali, dove la si vede tuttora e dove, diciotto anni dopo esser stata terminata, garantisce tuttora un più che discreto successo. L’idea di riproporre il personaggio con un’attrice completamente diversa è tipico degli istinti speculativi di tanta televisione, e per questo non mi stupisce troppo, anche se in questo caso vale sempre la lezione di buon senso della ZDF tedesca che, quando abbandonò l’”Ispettore Derrick” si guardò bene dal proporre un erede di Horst Tapper e ha, se mai, cercato di sostituirlo con altri seriali polizieschi (che peraltro io, a suo tempo, acquistai e trasmisi su Rai Due). Il ricordo di “Murder, She Wrote” mi diverte sempre. Non ricordo se nel 1984 o 1985 andammo come sempre a Los Angeles con il mio amico Carlo, detto Carletto, Fuscagni. Lui per Rai Uno, io per Rai Due. E come sempre, con l’aiuto di una sola funzionaria della Rai Corporation, visionammo molto materiale e procedemmo a molti acquisti. Una mattina mi ricordo che vedemmo insieme due “piloti”. L’uno centrato su una scrittrice di gialli che si imbatteva continuamente in crimini, l’altro su due poliziotti, uno di New York, l’altro che viveva a Miami su una barca con un alligatore come guardiano. Dissi a Carletto: “non è male la serie della scrittrice”. Per la verità mi rispose imbarazzato: “questo è il seguito, l’abbiamo già comprata l’anno scorso ed ha già un titolo italiano, La Signora in giallo, ma non me lo mettono mai in onda”. Allora gli risposi “tu prendi il seguito de La Signora in giallo e io mi tengo Miami Vice, il poliziotto con l’alligatore”. Così fu. Entrambi i programmi ebbero un grande successo.