Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

31 luglio 2013

A DOMANDA RI-RISPONDE

Due brevi righe di commento riguardanti i post apparsi dopo la pubblicazione del “ A Domanda risponde” del 24 di Luglio. Per quel che riguarda Rosellina Mariani, il doppio intervento del Principe Myskin e “bollicine” ho deciso, fra qualche tempo, di scrivere un (forse) breve ma fortemente autoritario intervento a proposito di “The Tree of life”. 
Per quel che riguarda invece Luigi Luca Borrelli lo ringrazio per quel che ha scritto a proposito del mio intervento su Lubitsch. Anche qui, fra qualche tempo, penso ancora di intervenire sul tema perché debbo approfondire molte cose. Per quel che riguarda von Sternberg, Fritz Lang e George Cukor (si pronuncia “zucor” e in ungherese significa, curiosamente, “zucchero”) non vi è dubbio che i primi due fossero “asburgici”, come ha scritto Borrelli. Cukor, nato negli Stati Uniti da genitori ungheresi, lo era evidentemente in modo molto indiretto ma in qualche modo antropomorfico, visto che appunto gli Asburgo riunivano l’impero d’Austria e il Regno di Ungheria in una sola entità. L’origine ebraica era invece esplicita in Sternberg (il “von” credo fosse una sua invenzione) e in Cukor. In modo, invece, estremamente indiretto in Fritz Lang. Non mi risulta infatti che suo padre fosse ebreo lo era invece la madre (si chiamava infatti “Schlesinger”, che credo sia appunto un cognome askenazita) ma di una famiglia convertita al cattolicesimo. Poiché gli ebrei considerano determinante ai fini dell’eredità religiosa e “nazionale” la madre e non il padre (mater sempre certa est) da un certo punto di vista Lang potrebbe essere considerato ebreo ma in certo modo, come dire, indiretto e “involontario”. Austriaco, anche se credo poi naturalizzato tedesco, lo era fuori di dubbio, visto che in guerra era stato ferito diverse volte, e in particolare, per quel che mi risulta, sul fronte italiano. Come è noto nella sua vita intensa c’è una curiosità paradossale. Sua moglie (credo la seconda) e sua collaboratrice alla sceneggiatura, fu Thea von Harbou che pressappoco nel periodo in cui Lang stava maturando la sua fuga all’estero divenne apertamente nazista, iscrivendosi allo N.S.D.A.P.  (Nationalsozialistiche Deutsche Arbeiterpartei e cioè Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori ) che era appunto il pomposo nome intero del partito. 

29 luglio 2013

L'OSSERVATORE GENOVESE

Come ormai ogni lunedì ricopio qui il testo della mia rubrica domenicale del "Corriere Mercantile". Spero, scrivendo quel che ho scritto, di non urtare la sensibilità di nessuno. Non mi sento abbastanza giovane per condividere l'entusiastico peronismo teologico di Papa Francesco (Primo). E sono abbastanza vecchio per rimpiangere l'esangue e raffinata dedizione bavarese di Papa Benedetto XVI (che palesemente si è arreso, come da secoli un pontefice non si arrendeva). Naturalmente con sole 2.200 battute di computer a disposizione (20/21 righe) ho dovuto omettere molte precisazioni. Ad esempio, Paolo VI non era solo lo scafatissimo Monsignore di Curia che sotto Pio XII, ed insieme a Monsignor Tardini, fu per molti anni ai vertici della chiesa, ma anche un intellettuale tormentato, affascinato dai teologi francesi e imprigionato al Seggio dai momenti più crudi e rabbiosi della lotta politica italiana. E così la complessa personalità di Papa Wojtyła  non può essere imprigionata nelle pochissime righe che ho potuto dedicargli. Infatti fu un protagonista a tutto tondo ma ho la sensazione che, preso da altri problemi, di alcuni stridori della Chiesa abbia preferito non accorgersi: per fare un esempio si pensi ai Legionari di Cristo ed alla figura del suo fondatore,  Marcial Maciel Degollado, solo tardivamente smascherato e, per anni, molto abile  nel porsi al riparo dell’ombra di Giovanni Paolo II.

Altrettanto dicasi per tutti gli altri pontefici, compreso il possente (e discusso) Eugenio Pacelli, ovvero Pio XII. Secondo Alberto Sordi, (che me lo disse una volta, in "camera caritatis", mentre scriveva un libro su di lui) "è stato l'ultimo dei Papi". E penso che Sordi lo credesse veramente... In ogni caso credo che le ultime elezioni siano state compiute da Cardinali tutti nominati o da Giovanni Paolo II o da Benedetto XVI. Capaci, entrambi, di leggere nell'animo degli Episcopati di tutto il mondo e di scegliere fra Vescovi non italiani, nominandone in numero sufficiente da determinare l'elezione degli ultimi papi. Si direbbe infatti che i "Cardinali" stranieri siano da tempo orientati in direzione di una forte riduzione dei poteri romani, tanto è vero che, a quanto è stato scritto, nel precedente conclave fu proprio Bergoglio ad essere il massimo antagonista di Ratzinger. A netta testimonianza del fatto che ormai da molti anni la maggioranza dei Cardinali voleva cambiare la conduzione "curiale" della Chiesa Universale. Prima nel modo "morbido" che condusse a Benedetto XVI. Poi, dopo la "resa" di questo ultimo, in quello più reciso che ha portato a Francesco.

VISTO CON IL MONOCOLO

L'ACUME DEGLI ELETTORI NELLA STORIA DEI PAPI
Mentre appariranno queste righe il viaggio in Brasile del Pontefice sarà agli sgoccioli. Ma sin da ora è evidente che si tratta di un grande successo personale di Papa Bergoglio, ormai consacrato come adunatore di folle forse ancor più di Giovanni Paolo II. Ma quel che è soprattutto evidente è l’accumulo di furbizia e di tempismo che ha contraddistinto gli ultimi Concistori. Ovviamente tutti li ricordano ma vale la pena di riportare qui nell’ordine i Papi dal 1958 ad oggi. In quell’anno muore Pio XII, in carica dal 1939. Dal 1958 al 1963 tocca a Giovanni XXIII. Dal 1963 al 1978 a Paolo VI. Sempre nel 1978 c’è il papato misteriosamente breve di Giovanni Paolo I. Gli subentra, sempre nel 1978, Giovanni Paolo II, che rimane sul Soglio 27 anni e muore nel 2005. Tocca poi a Benedetto XVI sino al 2013 quando “abdica”. Tocca al cardinal Bergoglio che diventa Francesco (“tout court”, non so perché senza numero). I cardinali elettori sono cambiati tutti diverse volte, eppure è evidente la sagacia (un credente direbbe lo Spirito Santo ) nelle scelte. La chiesa di Pacelli era funzionante ma estremamente gerarchica e imbrillantinata di orpelli. I cardinali lo hanno capito e sono ricorsi alla furba bonarietà contadina del bergamasco che inaspettatamente si “inventò” addirittura un Concilio. Poi, per una sorta di colpevole ma funzionante reazione, si accentrarono su un Montini che aveva trascorso tutta la sua vita nella rarefazione diplomatica della Segreteria di Stato. Alla sua morte compirono una sorta di capolavoro pescando in Polonia (terra di contadini e di poeti, entrambi un po’ matti) un Wojtyła, che era stato per entusiasmo attore e per convenienza operaio, e che soprattutto, da straordinario personaggio da palcoscenico, dette un colpo mortale in Russia ad un regime che durava dai tempi della Rivoluzione di Ottobre. Un evidente desiderio di calma e di eleganza intellettuale portò alla scelta del raffinatissimo Ratzinger, presumibilmente distrutto dall’apparato. Per approdare scaltramente a Francesco, sorta di gesuita travestito da salesiano, che dà al pubblico tutto quello che Benedetto XVI non concedeva. I Cardinali sono proprio uno straordinario corpo elettorale...

24 luglio 2013

A DOMANDA RISPONDE

Come al solito rispondo in blocco ad un certo numero di post giunti a partire dal 25 Giugno in poi.
Ringrazio Maria Francesca (giovane e valente collega del Gruppo Ligure Critici Cinematografici) che comprando “Stampa” e “Mercantile”-come si dice, “in panino”- ha letto la mia rubrica. Ringrazio Enrico per gli apprezzamenti, la segnalazione del sito “Luce e Cinecittà” e, ancor più per “l’esilarante sketch Sordi-De Laurentiis-Montanelli”, che non ho ancora visto ma che cercherò. Ringrazio infine Luigi Luca Borrelli (divenuto un fedele corrispondente) per le precisazioni su YouTube. Probabilmente le perplessità da parte di Rosellina Mariani (che lavora ad “Uno Mattina”) sono giustificate ma i suoi dubbi  sul modo un po’ “facile di fare televisione” sono probabilmente dovuti al fatto che noi siamo stati modellati non solo in un’altra Rai ma, in senso più ampio, all’interno di un mondo televisivo profondamente diverso. 
Il 2 di Luglio Rosellina, sempre puntualissima, reagisce alla pubblicazione all’elenco dei “film in uscita nazionale” dicendomi che andrà a vedere “To the wonder” di Malick e che si chiede se le piacerà?
Lo ha visto? E in questo caso che cosa ne pensa?
Passiamo ai post per l’8 Luglio. Da un lato ancora Rosellina che, rievocando la felicità calcistica della sua infanzia brasiliana, ricorda Pelé, Vavà, Garrincha allegri e sorridenti, senza niente di rabbioso. Dall’altro Enrico ci fa giustamente ricordare che vi sono “etnie che nutrono un amore violento per lo sport: i brasiliani, i turchi, i serbi.” E rievoca le conseguenze (sapevo che lo scoramento totale aveva colpito il paese ma non che vi fossero stati addirittura decine di suicidi) dopo la famosa sconfitta del Brasile con l’Uruguay del 1950, con i brasiliani spietatamente inchiodati dal goal di Chiggia. Lo ricordo ancora dopo sessant’anni…Il calcio è veramente un mistero che in pochi (Soriano, Gianni Brera) hanno cercato di perforare…
Rosellina e Borrelli mi offrono il destro per ricordare rapidamente la sorridente, tagliente e “facile” allegria di quel grand’uomo del cinema che è stato Ernst Lubitsch (Berlino 28 Gennaio 1892- Los Angeles 30 Novembre 1947). In meno di quarant’anni di attività egli, figlio di un piccolo sarto ebreo-polacco emigrato a Berlino, da comico nei “music-hall”divenne attore di teatro, poi dal 1913 interprete di comiche centrato su un personaggio di nome Meyer e dopo subito regista di film inizialmente comici poi di più esplicita ambizione drammatica. Per approdare infine a Hollywood, ove visse sino alla morte, pur con numerosi viaggi negli anni trenta a Parigi, a Roma, a Londra e perfino nella Russia di Stalin per prepararsi segretamente a “Ninotchka”. Fu molto fertile nel periodo del muto, con diversi film di notevole valore, fra cui è ricordato, nel 1925, “Il ventaglio di Lady Windermere” da Oscar Wilde. Il sonoro consacrò definitivamente il talento di Lubitsch, con molti film in cui si rivelava il suo gusto naturale per la commedia e l’ironia, a suo agio nella variazione musicale ma, ancor più, in film di vocazione gentilmente beffarda, spesso ambientati in un’Europa stilizzata. Fra i molti citerò: “Mancia competente” (1932), “Se avessi un milione”(idem), “Partita a quattro” (1933), “Angelo” (1937), il già ricordato “Ninotchka” (1939), e “Scrivimi fermo posta” (1940). Per scrupolo ricordo che quest’ultimo film è stato rifatto nel 1988 da Nora Ephron con Tom Hanks e Meg Ryan nelle parti che erano state di James Stewart e Margaret Sullavan. Fra quelli successivi è doveroso ricordare quel “Vogliamo vivere!” (1942) che ha motivato i post dei corrispondenti e “Il cielo può attendere” (1943), che forse è l’ultimo dei suoi piccoli capolavori. Del 1946 è “Fra le tue braccia”. Ed è del 1948 (uscito quindi dopo la sua morte) “La signora in ermellino, che venne in realtà terminato da Otto Preminger, perché Lubitsch venne colpito dal suo sesto infarto al nono giorno di lavorazione.
Che cosa forma la grandezza di Lubitsch? Un insieme di manifestazioni di talento: il gusto sorridente per una descrizione ironica, che confina da un lato con la commedia più aperta e dall’altro  con la drammaticità più sottile. L’uso, con una intima eleganza che non diventa mai ostentazione, di una macchina da presa che al tempo stesso è leggerissima e invadente, esibendosi, il bisogno, in caute ma clamorose acrobazie. La predilezione per una sceneggiatura minuziosa ma mai perentoria (uno dei suoi ultimi allievi e collaboratori sarà un altro grande, Billy Wilder, accomunato dalla stessa origine askenazita, che sembra sia stato l’inventore della famosa definizione: “The Lubitsch’s touch” ovvero “Il tocco di Lubitsch”). L’uso magistrale di interpreti di grande talento che lui riesce ad esaltare. La presenza sempre consapevole della grande lezione brillante di una recitazione che egli riesce a far oscillare, con estrema e apparente facilità, dal comico al drammatico. 
Queste sono alcune delle qualità del nostro Ernst. Confesso di aver attinto, per controllare il mio ricordo, alla voce su di lui curata, nella Enciclopedia del Cinema, da un amico di grande talento. E cioè da uno dei più sottili critici cinematografici della sua generazione, Guido Fink, di cui vanno citati almeno due libri, dallo stesso Fink giustamente inclusi nella bibliografia compilata per la voce prima ricordata. E cioè, “Ernst Lubitsch” (Firenze 1977, nuova edizione Milano 1997) e  “Non solo Woody Allen-la tradizione ebraica nel cinema americano” (Venezia, 2001).
Lubitsch è un autore ed un tema sul quale, ora che dovrei avere più tempo, vorrei ritornare con i necessari approfondimenti.
Vengo ora ai post del 15 Luglio per ringraziare in blocco Rosellina Mariani, Enrico e Giulio Fedeli per i loro complimenti e le divagazioni varie sul tema del cioccolato.
Veniamo ora ai post del 17 Luglio. Di nuovo grazie a “bollicine”, Rosellina e ad Andrea Napoli. Mi segnala informazioni varie su quel curioso attore orgogliosamente autodidatta che fu Folco Lulli. Opportuna la citazione di Alberto Farassino, che anch’egli era un amico.
Infine ecco i post pubblicati ieri e riguardanti il mio Blog. Ho gradito le informazioni inviate dal Principe Myskin. Confesso di aver dovuto consultare il vocabolario per capire cosa può significare “narcisismo anancastico”: ho appreso che l’anancasmo è, in psichiatria, il comportamento sintomatico delle persone affette da disturbo ossessivo-compulsivo, per cui il soggetto non può mancare di compiere alcune azioni o di avere determinati pensieri. L’etimologia (uso, per semplificare, l’alfabeto latino) rimanda al greco “anaykazo”, ossia costrizione, violenza, da un verbo che significa “costringere”. Per cui anche vedi “ananke” e cioè il destino ineluttabile tradotto in latino con “necessitas”. Per la verità non ho capito niente ma mi sento vagamente più colto. L’idea che il molo prescelto per loschi traffici sia automaticamente il numero 13 non so quanti riscontri abbia in dottrina.
Ringrazio PuroNanoVergine per le informazioni sui numeri delle “visite” sul mio Blog, sull’esplicito apprezzamento con cui Enrico “quota” le valutazioni dello stesso PuroNanoVergine e sulle osservazioni di Luigi Luca Borrelli. Ringrazio anche Rosellina, sempre presente, e mi auguro che possa venire presto a trovarmi a Genova.
Grazie e saluti a tutti.

22 luglio 2013

VISUALIZZAZIONI STATISTICHE DEL BLOG (CON FORTE PREGHIERA D'INTERVENTO)

Ho appreso di essere l’”amministratore” del mio Blog. In questa veste ho diritto di consultare il resoconto, continuamente aggiornato, del numero di contatti che il Blog registra. A titolo di curiosità per i lettori riporto i dati così come appaiono:

Visualizzazione di pagine oggi                    36
Visualizzazioni di pagine ieri                       107
Visualizzazione di pagine mese                 4028
Visualizzazione di pagine totali                  114.536

Vorrei precisare che i dati sono stati ricavati nella mattina (circa ore 11:00) di Lunedì 22/07/13.
In un’altra statistica è fornita anche la provenienza, nazione per nazione, dei vari interventi (ovviamente la maggioranza viene dall’Italia). Ma Doretti mi ha spiegato che data la struttura della comunicazione internazionale via internet, l’indicazione del paese di origine riguarda non la provenienza del segnale in senso stretto, ma, eventualmente, il possibile “rimbalzo” della comunicazione dall’origine ad un’altra nazione per motivi di immediata disponibilità del percorso. É un peccato che sia così. Ero lusingato dal fatto che ben 17 visualizzazioni di pagine provenissero dagli Stati Uniti, 15 dalla Svezia e addirittura 3 dall’Ucraina e dalle Filippine. Si prova inizialmente la sensazione di essere tenuti d’occhio dall’intero universo. Ma è una sensazione doppiamente sbagliata, sia per i dati evocati prima sia perché non è specificato a quale lasso di tempo si riferiscano i dati stessi.
Rimane tuttavia l’apporto di informazioni implicite nei numeri inizialmente riportati. Sono numeri grandi o piccoli? 36 visualizzazioni alle undici del mattino sono poche o tante? E 114.536 visualizzazioni (da che il Blog esiste o in un periodo di tempo minore?) significano il successo o l’insuccesso? É forse superfluo aggiungere che si tratterebbe, in ogni caso, un’elencazione di contatti ma non una valutazione di gradimenti. Ma è evidente che con questi dati a disposizione non mi pare si possa fare molto di più.
Mi farebbe piacere ottenere comunque al riguardo qualche risposta, o semplicemente qualche considerazione, dai lettori più affezionati.  É fortemente probabile che fra di loro se ne trovino alcuni ben più competenti di me in fatto di statistiche e, soprattutto, in fatto di statistiche che riguardino specificamente lo stato di salute di un Blog.
Se qualcuno interverrà mi farà molto piacere e, spero, mi farà capire qualche cosa di più.

Grazie in anticipo

L'OSSERVATORE GENOVESE


Alla mia età, come è noto, il tempo passa molto velocemente, almeno tanto quanto passava lentamente quando si era bambini. Ogni Lunedì mi sembra sempre, più di prima, immediatamente vicino al lunedì che lo ha preceduto. Ecco dunque il mio solito brano domenicale, che nei riflessi del Blog mi sembra quotidiano ma che invece è settimanale. Ci sentiremo presto, molti cordiali saluti a tutti.
Domenica 21/07/13


VISTO CON IL MONOCOLO

NON METTETE LA CANOTTA, METTETE LA CANOTTIERA

Ci sono naturalmente molti motivi di cronaca che mi si affollano alla mente, suggerendo argomenti per la rubrica. Ad esempio uno che ho già ricordato e sul quale sicuramente ritornerò, è il funzionamento della giustizia calcistica. Un altro tema, ben più importante e, direi, decisivo nel panorama italiano di oggi è rappresentato dal fatto (l’ho appreso con stupore) che lo Stato, fonte del diritto,  non paga i suoi debiti come il diritto impone. Tuttavia mi si è affacciato sulla tastiera del computer un tema, certamente più frivolo e fragile, e cioè quello della fortuna (misteriosa) di certe parole. Ce n’è una, ad occhio e croce di origine romanesca, che mi da particolarmente fastidio. E cioè la parola “canotta”. Che deriva, o forse affianca, o forse si sovrappone, ad una parola ben più nobile e più resa attendibile dalla letteratura. E cioè “canottiera”. Ovvero “maglietta da canottiere”. E ci riporta, anche nell’aggressivo atteggiarsi del vestire (in un Ottocento affollato di uomini ferrati in camice inamidate e in cravatte imperative) dei praticanti il canottaggio: vestiti con borghese ricchezza come pescatori poveri. Seguendo una moda esplosa in Inghilterra, da qui infiltrata in Francia, a partire dal 1855 quando nacque il “Rowing Club de Paris” e poi rapidamente penetrata in Italia, all’inizio soprattutto attraverso il Piemonte (il noto Rowing Club di Genova venne fondato un po’ dopo, nel 1890). Dire “canottieri” fa pensare ad allegri e sfrontati personaggi di Maupassant che si aggirano in canotto nei fiumi intorno a Parigi. Nel Grande Dizionario del Battaglia, nel volume stampato nel 1962, la parola “canotta” non è neppure registrata, mentre canottiera, come maglietta senza maniche, è corredata anche da due citazioni: Pasolini (“povera presenza/d’una dozzina d’anziani operai/con gli stracci e le canottiere arsi/dal sudore”) e Calvino (“era un ometto calvo, in sandali, vestito di un paio di pantaloni e d’una canottiera nonostante l’ora non calda”). E se “canotta” fosse stata di uso comune figuriamoci se Pasolini, filologicamente attentissimo alle parole nuove e proletarie, non ne avrebbe approfittato.
Mi raccomando, infilatevi la canottiera e non la canotta…

17 luglio 2013

BOTTAI, ROSSIF E LULLI FRA LA STORIA VERA E LA STORIA NEL CINEMA

Ho apportato alcune correzioni, in genere di stile, rispetto alla versione di questo brano riguardante "Ombre sul sole" , posto nel Blog qualche ora fa. Mi scuso con i lettori e mi auguro che in Google venga conservata questa versione corretta. In particolare mi scuso con "Bollicine" che  ha già inviato un post di commento, regolarmente pubblicato. Evidentemente se volesse fare ulteriori osservazioni sarebbe il benvenuto ma, in linea di massima, mi sembra che il testo nel suo assetto globale conservi le stesse caratteristiche di prima. Molti saluti a tutti.


Conosco da molti anni Enzo Natta. Il suo cognome è rivelatore perché svela la sua origine di ligure di ponente (un suo omonimo, Alessandro, dalle stesse origini, è stato uno degli ultimi segretari del PCI. In dialetto, per quanto ne so io, il cognome significa “sughero”).  Per l’esattezza è di Imperia (non voglio specificare se di Porto Maurizio o di Oneglia per non ravvivare un’antica polemica nata dall’incomprensibile decisione del primo governo Mussolini di fondere insieme i due borghi, vicini ma divisi da un odio antichissimo e dall’eredità della storia). Da molti anni Enzo abita a Roma ove si è sempre occupato di critica cinematografica. È stato per molto tempo il titolare della rubrica per “Famiglia Cristiana”, fra i curatori della pagina sullo spettacolo dell’”Osservatore Romano”, Capo Ufficio Stampa di molti enti cinematografici, Capo Redattore della rivista del “Cinematografo”, eccetera. Ne faccio cenno qui perché da pochi mesi è uscito un suo libriccino (11 euro) presso un editore di Chieti che ha un nome curioso “Gruppo Editoriale Tabula Fati”. Il libro è intitolato “Ombre sul Sole” e reca il sottotitolo: “Storie di uomini-contro: Bottai, Lulli, Rossif”. Mi pare doveroso farne cenno perché è collocato al centro di un rapporto fondamentale che mi ha sempre incuriosito, quello della vita pubblica e politica e quello del cinema, e perché è mosso da uno stimolo quasi giallo, nell’evocare tre persone che pur non avendo nulla in comune erano invece uniti a legami da loro stessi ignoti.

Il primo è Giuseppe Bottai (3 settembre 1895-9 gennaio 1959), che rimane forse la personalità più curiosa e contraddittoria creata dal fascismo. Da un lato ne fu uno degli esponenti più noti: romano di famiglia fondamentalmente proletaria, poi giovane ufficiale nella prima guerra mondiale, quindi organizzatore a Roma di gruppi squadristi, infine, giunto il fascismo al governo, si trovò per vent'anni  al tempo stesso al centro ed alla periferia del potere: fra l’altro fu Ministro delle Corporazioni e Ministro (come si diceva allora) dell’Educazione Nazionale (si deve a lui l’introduzione della scuola media unica: lo so perché appartengo alla classe di età che nel 1940 l’esperimentò per prima). Uomo misteriosamente contradditorio, da un lato aderì senza riserve all’applicazione delle leggi razziali, sia nel Gran Consiglio del Fascismo che nella pratica quotidiana al Ministero. Dall’altro fu un raffinato umanista -si deve a lui la rivista “Primato” a cui collaborò il fior fiore delle lettere e del giornalismo d’Italia- e al tempo stesso un fascista impegnato ma sempre più critico; decisivo, insieme a Dino Grandi, ed in misura diversa insieme a Galeazzo Ciano, nella mozione anti-mussoliniana del Gran Consiglio del 25 Luglio 1943. Richiamato alle armi nella Seconda Guerra Mondiale per alcuni mesi in Grecia fu un eccellente Comandante di un Battaglione Alpini (credo il “Vicenza”). Nel 1944 ricercato dalle autorità della Repubblica Sociale Italiana, come la maggior parte di quelli che avevano votato con lui al Gran Consiglio, venne inizialmente salvato dal Vaticano, che lo fece ospitare in diversi Istituti religiosi, e poi decise di saltare il fosso, salvando da un lato la sua vita e dall’altro rimettendola in gioco, al fine di riscattarsi per le responsabilità che si assumeva “nella degenerazione finale del fascismo”. Si arruolò infatti nella Legione Straniera (con il nome di Andrea Battaglia e poi  con quello di André Jacquier), vi raggiunse via via il grado di Sergente e, nelle file del Reggimento di cavalleria della Legione, il I° R.E.C. (divenuto già allora un Reggimento blindato) nell’inverno 1944-45  combatté contro i tedeschi sino a quando i legionari arrivarono alla vittoria nel cuore stesso della Germania. Questa almeno è la versione ufficiale sin qui conosciuta. Ma Enzo è andato a scavare nel suo passato militare ed ha scoperto qualcosa di inatteso. Proprio in una delle istituzioni parallele ma decisive della Legione Straniera. Frédéric Rossif (è uno dei tre protagonisti del libro, ne riparleremo) ex legionario egli stesso, andò nel ricovero dei legionari anziani, aperto da anni nel sud della Francia, a Puyloubier, nei pressi di Aix- en Province, ricovero che si chiama “Centre Capitain Danjou”. Danjou, sia detto incidentalmente,  è il nome dell’ufficiale che,il 30 Aprile del 1863, cadde alla testa di un reparto di sessantadue legionari  in Messico a Camerone (in originale: Camarón de Tejada), combattendo contro duemila soldati messicani che concessero l’onore delle armi ai sei sopravvissuti. Da allora il 30 Aprile è la festa della Legione: si dice infatti “Fêter Camerone” e durante la cerimonia la mano di legno del Capitano Danjou è portata in processione da una persona di particolare rilievo, chiamato, in quell'occasione “porteur de la main”. Fra quei vecchi legionari di Puyloubier Rossif ne trovò uno che infrangendo un impegno solenne gli raccontò quella che doveva essere la vera storia dell’impegno del I Cavalleria della Legione ("le premier éntrangér de Cavalerie", come dice l'inno del reggimento stesso) nella parte finale della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1944 sbarcò in Provenza e, come si è detto, terminò la guerra giunto nel cuore stesso della Germania. Ma secondo il vecchio legionario contribuì in modo decisivo a liberare il sud della Francia prima di proseguire la marcia verso la patria del nemico. Questa liberazione sarebbe avvenuta grazie ai saggi consigli di Bottai, vecchio combattente di due guerre, secondo modalità che il libro illustra ampiamente. Ma non se n’è mai parlato per non dover ammettere che erano stati dei soldati (in prevalenza) stranieri e non francesi ad assicurare la liberazione di un’ampia parte della Francia.
Questa è dunque la tesi del libro di Enzo, illustrata grazie alla sua amicizia con Frédéric Rossif (1922-1990) un curioso personaggio del cinema che ebbe più di un momento di notevole notorietà in qualità di autore di documentari e antologie storiche (“Mourir à Madrid”, “Le temps du ghetto”, sono tra le opere più famose). Francesizzato nella vita e nel lavoro Rossif era, in realtà, nato a Cettigne in Montenegro ed era parente della Regina Elena. Venuto a Roma per studiare matematica, all'età di 19 anni decise di partecipare alla guerra, riuscì ad arrivare ad Alessandria e poi ad arruolarsi nella Legione Straniera. Tornò in Italia e conobbe nuove esperienze belliche. Nel dopoguerra, ormai noto documentarista, Rossif (che con facilità slava parlava ancora l’italiano) venne a Roma per cercarvi occasioni di lavoro nell’allestimento dei documentari di alto livello in cui si era specializzato. Ognuno per conto proprio sia Enzo Natta che io lo abbiamo conosciuto e frequentato: Rossif veniva spesso alla Rai in Viale Mazzini, in quelle occasioni passava a trovarmi nel mio ufficio: la sua conversazione era ricca di dati e misteriosa su molti frammenti del suo passato, ma di largo interesse umano e storico. Mi ricordo che mi ripeté spesso che il suo ingaggio nella Legione Straniera sfuggiva ai criteri abituali ed era uno di quelli determinato dallo stato guerra mondiale e dal desiderio di arruolare legionari mossi da motivi politici e di ideali e non dall’abituale desiderio di cambiare nome e vita che è sempre stato tipico del legionario medio. Rossif mi ripeté spesso che il suo contratto prevedeva un ingaggio sino alla fine della guerra più sei mesi. Quello di Bottai durò complessivamente quattro anni.

Terzo personaggio del libro è quell’ interessante personaggio del nostro cinema post-bellico che fu Folco Lulli (1912-1970). Molti lo ricordano come caratterista di peso in molti film italiani del dopoguerra via via sino agli ultimi anni ’60: una settantina di titoli spesso con registi di primo ordine. Fra di essi Lattuada, Camerini, Soldati (“Fuga in Francia” che Lulli, secondo Enzo,  sosteneva esser stato girato per intero da Pietro Germi, perché Soldati era malato), Malasomma, Steno e Monicelli, Fellini, Matarazzo, Blasetti, Clouzot, Carné, Coletti, eccetera. Dal libro di Natta scopriamo tutto un risvolto “storico” di Lulli che non sospettavamo. Nel 1943, quasi subito dopo l’8 Settembre, divenne partigiano in Piemonte e prestò servizio in quelle Brigate Autonome, che spesso erano monarchiche e venivano chiamati (dai fascisti ed anche dai “garibaldini”) i “badogliani”. Folco Lulli fu con il Maggior degli Alpini Martini detto Mauri: era a capo di forti formazioni partigiane nelle Langhe e sotto di lui militò Beppe Fenoglio (l’autore de “I ventitré giorni della città di Alba” e “Il partigiano Johnny”) che descrisse Mauri chiamandolo “il Comandante Lampus”. Catturato dai tedeschi Lulli si trovò, come uomo di fiducia di Mauri, al centro di un sottile rapporto di penetrazione nelle file dello spionaggio nazista, che vi lascio scoprire nel libro di Enzo Natta, per non svelare proprio tutti i segreti dell’opera.

Un’opera da raccomandare ai lettori interessati ai problemi della storia della Seconda Guerra Mondiale, in particolare di quella partigiana e italiana e dal tocco romanzesco che finisce sempre con l’unire (ma anche col dividere) la “storia nella storia” e la “storia nel cinema”.

15 luglio 2013

L'OSSERVATORE GENOVESE

Inevitabile pubblicazione del lunedì mattina quando riporto nel blog il testo della mia rubrica domenicale sul "Corriere Mercantile". Se qualcuno la legge si accorgerà che la motivazione , pur legata al cioccolato e al torrone, riguarda una piccola tragedia nostrana, cioè la vendita all'estero di aziende tipicamente italiane. Il titolo posto dalla redazione, molto più asciutto ed esplicito, è migliore del mio. A dimostrazione del fatto che, in genere, chi impagina ha ragione. 

VISTO CON IL MONOCOLO

ANCHE LA PERNIGOTTI SALUTA L'ITALIA
In realtà nella rubrica volevo scrivere un’altra cosa (a proposito della giustizia sportiva: un tema su cui ritornerò). Poi la lettura dei giornali mi ha distratto e, in certa misura, addolorato. Sembrerà buffo ma all’origine di questo “dolore” c’è la notizia della vendita della società Pernigotti di Novi Ligure. A me il cioccolato piace ed anche il torrone, ma non al punto di soffrirne per una teorica mancanza nazionale. In effetti ho scoperto che da solo il nome Pernigotti mi riporta all’infanzia e all’adolescenza: mio nonno era di Novi Ligure, in famiglia ho sempre avuto delle cameriere novesi che parlavano in dialetto, sino al dopoguerra disponemmo di una bella casa in campagna fra Gavi e Novi dove ho passato tutte l’estati dell’infanzia e dal 1943 al 1945 gli ultimi due anni della guerra. Sicché la parola Pernigotti basta da sola a rievocare tutto uno scomparso mondo locale, dove il suono del dialetto (che un tempo era vivissimo e che io so imitare abbastanza bene) la ravvivava di una tonalità vernacolare quasi toccante: la “o” chiusa, le due “t” quasi accorciate come se fossero una e mezza. La ditta durava da quasi un secolo e mezzo. Venne infatti fondata nel 1868, a pochi anni di distanza da quando, per compensarla del cosiddetto “decreto Rattazzi” che assegnava Novi al Piemonte, avevano dato alla città il contentino di chiamarsi “Ligure”. Un lungo periodo, ormai, durante il quale la Pernigotti si era identificata con Novi come poche altre aziende. Apprendere adesso che gli attuali proprietari, i siciliani Averna, l’hanno venduta addirittura alla ditta Sanset di Istanbul , da alla notizia una coloritura inaspettatamente confessionale: dopo  la proprietà del Paris Saint Germain affidata a Nasser Al-Khelaїfi e quella del Manchester City che tocca allo sceicco Mansur bin Zayed Al Nahyān, ecco altri, almeno teorici, mussulmani, impadronirsi di una istituzione tipicamente europea. Quasi a compensare le incursioni europee dei francesi, che stanno facendo man bassa di tante aziende italiane: ultimi acquisti Loro Piana e Pomellato. 
Come se una parte intera dell’Italia scomparisse, mentre gli italiani, distratti, si dedicano soprattutto ad uccidere le loro compagne.
(TITOLO ORIGINALE: LETTURA PARADOSSALMENTE "RELIGIOSA" DI UNA NOTIZIA CHE RIGUARDA NOVI LIGURE)

8 luglio 2013

STANZA DEL CINEMA

A partire da questa estate la votazione mensile sui film usciti nel periodo, a cura del Gruppo Ligure del S.N.C.C.I. (Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani) verrà pubblicata sul "Corriere Mercantile" anche se da Luglio a Settembre non avrà luogo, com e ogni anno, l'abituale raduno della Stanza del Cinema. Pertanto ricevo dal collega Guido Reverdito (che per ragioni di lavoro vive a Firenze ma opera a Genova!) la tabella riguardante il periodo Maggio-Giugno e la pubblico qui di seguito.


L'OSSERVATORE GENOVESE

Cari amici come d'abitudine riporto qui il testo della mia rubrica domenicale sul "Corriere Mercantile". E' stimolato da una ipotesi "parapolitica", forse goffa e forse superficiale. Giudicatene voi. Tornerò presto con qualcosa di più corposo. Faccio presente una cosa estremamente curiosa: nel mio testo avevo citato alcune famose squadre di calcio brasiliane col nome abbreviato solitamente usato da tutti. Ad esempio Corinthians, Botafogo, eccetera. A quanto sembra il testo è giunto al giornale non totalmente comprensibile ma in possesso di "rinvii" e cioè di collegamenti ipertestuali (si dice così) che rimandavano a fonti più complesse. Per cui le squadre venivano citate con il loro nome complessivo, cioè con le antiche testate dei diversi Club calcistici, che nella pratica quotidiana vengono omessi da tutti, credo anche in Brasile. Li troverete nel testo (ho provveduto a correggere il mio originale in funzione di quel che apparso sul giornale) a testimonianza di una misterioso ma esatta intrusione tecnologica, che qualcuno un giorno o l'altro riuscirà a spiegarmi.
Molti cordiali saluti a tutti.

VISTO CON IL MONOCOLO

FORSE IL CALCIO NON E' SOLTANTO UN GIOCO
Vorrei chiarire subito una cosa. Non ho niente contro il gioco del calcio. Anzi, esso esercita su di me una fascinazione che rimonta alla primissima infanzia, all’anteguerra, quando il Genoa era costretto a chiamarsi Genova, il Milan Milano e l’Inter Ambrosiana (“da ragazzo ero ambrosianista” dichiarò una volta Bearzot e nessuno lo capì). Insomma, nessuna prevenzione: anzi, come milioni d’italiani, mi lusingo di essere un finissimo intenditore di football. Tuttavia in questi giorni mi si è affacciata alla mente un’idea forse sciocca ma comunque curiosa. Ho notato che le due nazioni in cui si sono svolte, o continuano a svolgersi, campionati internazionali di calcio sono in preda ad una rivolta assolutamente inattesa. L’una è la Turchia, in cui sono in corso i complessi campionati FIFA “Under 20”, l’altro è il Brasile, dove domenica scorsa si è conclusa una combattutissima edizione della Confederations Cup. Sono due nazioni dove il calcio è molto forte: i maggiori club turchi, come il Galatasaray (19 titoli), il Fenerbahçe (18 titoli), il Beşiktaş (13 titoli) sono noti anche da noi e partecipano ai mercati internazionali. E l’importanza calcistica del Brasile con ben 5 campionati del mondo vinti (è il massimo) non ha certo bisogno di essere illustrata: nazione in preda ad un pregresso febbrile ma convulso e contraddittorio vanta squadre famose (Atlético Mineiro, Botafogo de Futebol e Regatas, Sport Club Corinthians Paulista,  Clube de Regatas do Flamengo,  Santos Futebol Clube,  Club de Regatas Vasco da Gama, eccetera) e fornisce calciatori a tutto il mondo. In quanto alla Confederations Cup è un bizzarro torneo (dura dal 1992, e io non ne sapevo niente) che si svolge con cadenza quadriennale nell’anno precedente alla Coppa del Mondo e nello stesso paese che l’ospiterà. Ebbene sia in Turchia (partendo da un malessere politico che ha tolto a pretesto l’abbattimento di alberi antichi in una piazza famosa) sia in Brasile (dove il calcio è stato tirato in ballo in diretta, per l’alto costo e, forse, la corruzione legata ai nuovi stadi per l’anno prossimo) sono scoppiati scontri violenti e, credo, non completamente sedati. Che ci sia una misteriosa connessione fra il rabbioso amore per il calcio e il rabbioso odio politico? È un ipotesi folle ma, forse, da discutere…

2 luglio 2013

FILM IN USCITA NAZIONALE

3 luglio 2013

The lone ranger
Regia di Gore Verbinski


4 luglio  2013

To the wonder
regia di Terrence Malick
con Ben Affleck, Olga Kurylenko, Rachel McAdams , Javier Bardem e Romina Mondello
01 Distribution
Durata 112 minuti circa

Dino e la macchina del tempo   Animazione

Italian Movies
Durata 99 minuti circa.

The last Exorcism - Liberaci dal male
«continua
Durata 88 minuti circa.

Il grande orso Animazione
Durata 90 minuti circa

Violeta Parra - Went To Heaven
Regia di Andrés Wood
Durata 110 minuti circa.

The East
Regia di Zal Batmanglij.
Durata 116 minuti circa.

A un passo dal sogno
Regia di Mark Bacci
Durata 95 minuti circa


Questo sono i 40
Regia di Judd Apatow
Durata 134 minuti circa

1 luglio 2013

L'OSSERVATORE GENOVESE

Secondo tradizione ricopio qui la mia rubrica domenicale sul Corriere Mercantile. Prometto che per un po' non farò più accenni a YouTube. In compenso credo di poter comunicare che il mio libro è (praticamente) finito e che quindi dalla settimana prossima disporrò di più tempo per il Blog.
State in guardia perché questa è una esplicita minaccia.
Molti saluti a tutti.

VISTO CON IL MONOCOLO

IN AMERICA DEL SUD LA PRUSSIA SI CHIAMA CILE

Non vorrei tediare i lettori, ma vorrei tuttavia riferire di una mia ulteriore esperienza, sempre su YouTube (vedi rubrica scorsa) che mi ha fatto impressione. Quasi per caso sono finito su un sito dell’esercito cileno, per passare via via ad altri siti affini e similari (confesso di nutrire fin da ragazzo un intermittente interesse per quelli che sono chiamati “Militaria”, spesso oggetto di mostre periodiche e di riviste specializzate). E ne ho ricavato un impressione enorme, che mi ha costretto a riflettere. 
Ho trovato materiale del 1992, quando il generale Pinochet aveva abbandonato la presidenza della Repubblica da 2 anni ma conservava il comando delle forze armate. Ma altro contemporaneo (2012 e 2013) che, pur in condizioni politiche profondamente diverse, nella sostanza è eguale. Struttura, divise, portamento dei reparti che sfilano sono sostanzialmente gli stessi. E testimoniano, in un modo ormai raro nel nostro mondo, della sopravvivenza di tradizioni militari che fanno delle forze armate cilene (e quindi del Cile in senso lato) qualcosa di unico al mondo. In effetti nel 1886 arrivò in Cile dalla Prussia (e quindi in realtà dalla Germania ormai unificata) il primo istruttore militare. E da allora, per una ventina di anni, furono gli ufficiali tedeschi a modellare le forze armate cilene. Il risultato paradossale è che tutto questo appare visibile ancora oggi. Le sfilate del 2013 sono uguali a quelle, ad esempio, del 1992, e così via nel tempo. Si direbbe che in un secolo e mezzo non sia cambiato nulla: portamento, scatto fisico, “parademarch”(che prevede anche l’uso di una specie di “passo dell’oca” a gamba rigida) elmetti di tipo teutonico, al punto che in occasioni ufficiali sono ancora usati quelli cosiddetti “a chiodo”, abbandonati dai tedeschi già nel 1915. Perfino le marce militari sono di palese influenza germanica: una marcia si chiama “Aleman” (in spagnolo: tedesco), un’altra “San Petersburg”, una terza è palesemente quella di Radetzky, una quarta è addirittura Lily Marleen adattata alla bisogna. Solo le parate russe e nordcoreane (non quelle tedesche!) suggeriscono lo stesso piglio violentemente militare. Da esse si apprendono molte cose sul Cile.