Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

30 novembre 2010

RICORDO ADDOLORATO DI MARIO MONICELLI


Ho appreso della morte di Monicelli ieri sera tardi leggendo nel televisore, prima di andare a letto, le notizie dell’Auditel. Come è noto, con il 103 per le “News” vere e proprie e con il 108 per lo sport. Questo naturalmente per ciò che riguarda la RAI. Per Mediaset i numeri sono ancora 103 e poi 108 e 120. Mi accorgo che questi numeri mi vengono automaticamente alla mente e alla mano, a testimonianza del profondo coinvolgimento di cui siamo, al tempo stesso, soggetto e oggetto appunto con il mondo “numerato” che regge la civiltà del televisore e del computer. Per esempio ci sono dei riferimenti obbligati per vedere il calcio in televisione, e alludo soprattutto a Sky, il 201 e/o il 505 per le partite, il 200 per il telegiornale di gossip sportivo, il 500 per il comodo telegiornale a getto continuo, ma anche il 301 e successivi per i film e i numeri per i telefilm polizieschi, tipo “Law and Order”, “Numbers”, “C.S.I.”: titoli che mi fanno venire in mente il periodo ormai lontano quando materiale del genere dipendeva da me, come accadde con tanti seriali d’epoca, da “Miami Vice” a “Hill Street”…

Insomma, schiaccio il bottone del 103 e vedo annunciata la morte di Monicelli. Confesso che la cosa mi ha fatto un’impressione enorme. Tanto più che gli avevo parlato al telefono alcune settimane fa. Per il giorno 12 novembre era prevista a Genova una manifestazione in onore di Suso Cecchi D’Amico, alla quale avrebbero dovuto essere presenti il figlio Masolino e le figlie Silvia e Caterina. Ero stato invitato anch’io, ma avevo fatto presente che non mi muovo molto bene e che, ove Monicelli, antichissimo frequentatore della famiglia D’Amico e tradizionalmente ospite a pranzo alla domenica, non avesse potuto venire da Roma, avrei potuto risolvere il problema da casa, con una telefonata a Mario. Ci sentimmo una prima volta, lui fu con me molto gentile, come lo era in genere nonostante il carattere brusco, e mi disse che ne avremmo riparlato al momento opportuno. Poco prima di quel pomeriggio gli telefonai e lui mi disse che non avrebbe potuto parlarmi perché, aggiunse, “sono tutto intubato”. Lì per lì non capii bene e intuii che doveva essere malato, ma non avevo assolutamente idea di quale malattia e della sua gravità. Mario era molto concreto e spiccio, poco incline a parlare di sé, o, più esattamente, molto lucido e secco nel valutare se stesso e gli altri. Era un personaggio per molti versi eccezionale. Al centro del cinema italiano per decenni (dai primi film con Totò insieme a Steno, via via sino a “I soliti ignoti”, “La grande guerra”, “L’armata Brancaleone”, “La ragazza con la pistola”, “Amici miei, “Un borghese piccolo piccolo”, “I nuovi mostri”, “Temporale Rosy”, “Speriamo che sia femmina”, etc. …), era veramente un testimone di tante epoche diverse. A soli 21 anni di età era stato assistente per “Squadrone bianco” di Augusto Genina, e di anni ne aveva già 91 quando diresse “Le rose del deserto”, ancora una volta in Africa. Era un buon parlatore ma a modo suo schivo e, pur nel garbo, in qualche modo autoritario. Con me fu sempre molto gentile, anche se, all’occasione, sapeva tirar fuori le unghie. Diversi anni fa, per istigazione di Gianluca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, io e lui demmo vita a un curioso duetto sul far cinema in occasione di una manifestazione patrocinata dalla locale università. Non so bene perché, Mario si ostinò a citarmi insieme ad Aristarco, critico cinematografico col quale io non ebbi assolutamente nulla in comune per da sempre e per sempre. Aveva avuto una vita privata intensa, di cui non parlava mai, e si può dire che conoscesse personalmente, e quasi dominasse, tutti i protagonisti del cinema italiano per mezzo secolo. Essendo nato a Viareggio passava, e si faceva passare, per toscano. In realtà la sua famiglia era originaria di Ostiglia, in provincia di Mantova, una cittadina di circa 7.000 abitanti, da cui provenivano anche i Mondadori. Con i quali Mario aveva un legame molto stretto. Infatti sua zia Andreina era la moglie di Arnoldo Mondadori e pertanto Alberto Mondadori era cugino primo di Mario. Il quale aveva fatto liceo e università a Milano, e con il cugino Alberto, quando entrambi erano ancora giovanissimi, aveva dato vita ad un’edizione muta de ”I ragazzi della via Pál”, girata nei giardini pubblici di Milano e interpretata, nella parte del soldato Nemecsek, da Eros Macchi, il quale doveva diventare un noto regista televisivo italiano. Il film io lo vidi a Venezia, non so più in che occasione, e debbo dire che, tenuto conto dell’età degli autori, era già a modo suo maturo e professionale (almeno questo è il ricordo che ne ho io). In questi ultimi anni, Mario aveva fatto una sorta di professione dell’esser vecchio. “L’età migliore – diceva – è quella dei 90 anni. Nessuno ti dice più niente, nessuno ti rimprovera, nessuno si impone, nessuno prova a darti ordini né a impedirti qualcosa”. Almeno era quello che asseriva, perché mi hanno raccontato che una volta entrò, dopo non esservi stato per anni, in una nota trattoria frequentata da registi e sceneggiatori nei pressi di Piazza di Spagna. Mario aperse la porta, dette un’occhiata, guardò bene tutti e poi, ad alta voce, disse “tutti vecchi!” e se ne andò. Da alcuni anni conduceva una vita solitaria, pur avendo figli e nipoti, e su questo argomento dichiarò, in un’intervista, una motivazione paradossale, che è questa: “Vivo da solo per rimanere vivo il più a lungo possibile. L'amore delle donne, parenti, figlie, mogli, amanti, è molto pericoloso. La donna è infermiera nell'animo, e, se ha vicino un vecchio, è sempre pronta ad interpretare ogni suo desiderio, a correre a portargli quello di cui ha bisogno. Così piano piano questo vecchio non fa più niente, rimane in poltrona, non si muove più e diventa un vecchio rincoglionito. Se invece il vecchio è costretto a farsi le cose da solo, rifarsi il letto, uscire, accendere dei fornelli, qualche volta bruciarsi, va avanti dieci anni di più.” Che io sappia la sua ultima compagna è stata Chiara Rapaccini, che lui conobbe quando aveva 59 anni e lei 19. Tempo dopo hanno avuto una figlia, Rosa: la mamma aveva 34 anni, e Monicelli 74.

Si può dire che tutto nella sua vita fu singolare e in certo senso unico. Ad esempio io lo interrogai molto sui suoi rapporti con i cugini Mondadori, e lui mi ripeté molte volte che quando da ragazzo andava nella loro villa di Meina, vedeva Arnoldo sempre con un taccuino in mano, che alla sera faceva dei conti.

E questo mi sembra un ritratto straordinario di un editore altrettanto straordinario, il quale si era fatto completamente da solo e aveva iniziato la vita lavorativa, da ragazzo, spingendo un carretto di libri. Questa mattina, mentre stavo dettando queste righe, mi telefonò Luciano Vincenzoni, mio grande amico e grande testimone di tutto un momento della storia del cinema non solo italiano. Mi disse di essere rimasto molto colpito dal suicidio di Mario, a cui aveva dato il soggetto e con cui collaborò in modo decisivo alla sceneggiatura de “La grande guerra”. “Ho fatto i conti – mi ha detto Luciano – e ho scoperto che sono l’ultimo superstite. Con la morte di Mario sono rimasto il solo ad essere vivo. Sono tutti scomparsi, almeno quelli principali: Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Silvana Mangano, Romolo Valli, Folco Lulli, Livio Lorenzon, Bernard Blier, Tiberio Murgia, Elsa Vazzoler, Age & Scarpelli, lo scenografo Mario Garbuglia… ci sono rimasto solo io!”. E Luciano ha concluso tristemente: “tutti hanno scritto di tutto, e a me nessuno ha chiesto niente…”. Egli mi ha anche ricordato anche il padre di Mario, Tomaso, si suicidò, il 25 maggio 1946, e che fu proprio il figlio a trovarlo, dopo aver sfondato la porta del bagno. Tomaso era nato ad Ostiglia il 10 febbraio 1883, era stato per anni un noto giornalista e, dopo un inizio da militante nel sindacalismo rivoluzionario, si era poi imposto come critico letterario e teatrale e aveva successivamente costeggiato, negli anni anteriori alla Prima Guerra Mondiale, il movimento nazionalista, partecipando nel 1910 alla fondazione del partito. Negli anni Venti diresse molti quotidiani e una delle prime riviste italiane di cinema: “In penombra”.

Si avverte nella famiglia, al di là del successo, una spietata vocazione autodistruttiva che si sposa ad un grande talento e, almeno per anni, in apparenza, alla fama ed alla popolarità.


Claudio G. Fava

30 novembre 2010

Battute 8.461

29 novembre 2010



PRECISAZIONI SU DE NIRO

Nell’ultimo mio intervento in video parlo di due film diretti da Robert De Niro. Di quello che forse fra i due è il più importante, e cioè “L’ombra del potere” (The good shepherd), trascinato dall’entusiasmo, dimentico di dare alcuni dati essenziali. Prima di tutto che il protagonista (il personaggio si chiama Edward Wilson) è un eccellente Matt Damon. Il quale, nato a Boston nel 1970, ha già nel suo passato quasi sessanta film. Fra di essi, a partire dai tardi anni Novanta, vanno sicuramente citati alcuni titoli. “L’uomo della pioggia”, “Will Hunting, genio ribelle”, “Salvate il soldato Ryan”, “Ocean’s eleven – Fate il vostro gioco”, “Confessioni di una mente pericolosa” (esordio nella regia di George Clooney), “The Bourne supremacy”, “Ocean’s twelve”, “The Bourne Ultimatum – Il ritorno dello sciacallo” e “Ocean’s Thirteen”. Testimonianze di un talento molto più sottile (e non solo atletico) di quanto non sembri a prima vista. Gli altri attori al suo fianco sono Angelina Jolie, che è Margaret “Clover” Russell, Alec Baldwin, che è Sam Murach, Tammy Blanchard, che è Laura, Billy Crudup, che è Arch Cummings, e Keir Dullea, che è il senatore John Russell. Nel testo ho citato lo stesso De Niro nella particina decisiva di “Wild Bill” Donovan. La sceneggiatura è ottimamente bilanciata ed è opera di Eric Roth, nato a New York il 22 maggio del 1945, autore di una ventina di copioni messi in scena, fra cui mi sembra inevitabile ricordare “Forrest Gump” (1994), “L’uomo che sussurrava ai cavalli” (1998) e “Munich” (2005). Per il 2012 è annunciato il sequel de “L’ombra del potere”, che mi auguro De Niro riesca a realizzare e che dovrebbe arrivare, suppongo, nel ricostruire la storia della C.I.A., dalla Baia dei Porci ai giorni nostri. La mia breve apparizione in video ha provocato questa lettera di Alberto Marcheselli, di cui il 29 settembre ho pubblicato un elzeviro intitolato “Le mammine mannare” e ambientato fra le giovani madri del quartiere genovese di Castelletto. Pubblico ora la lettera di Marcheselli che mi invita ad una sorta di classifica di film secondo me imperdibili. Non so se dargli retta o no e mi sarebbe molto utile l’eventuale opinione degli (eventuali) lettori. Aspetto vostri pareri a stretto giro di “post”.

Ecco la lettera:


Carissimo Maestro,

ho visto A Bronx tale di De Niro ieri sera e mi è piaciuto molto.
Oggi guarderò A Good Shepherd.

Questo mi ha fatto venire in mente un'idea, che probabilmente è stupida, ma che devo comunque manifestare irrimediabilmente.

Sarebbe bellissimo che lei proponesse dei "percorsi di cinema", una specie di "caccia al tesoro".
Non (non necessariamente almeno) una classifica dei film secondo lei imperdibili, che probabilmente è un giochino per lei banale o noioso o troppo arbitrario, ma anche solo un gioco di libere associazioni, una specie di ciclo virtuale, come quei cicli magistrali che hanno allietato la mia infanzia e giovinezza in TV.
Qui si tratterebbe solo di indicarli e poi uno se vuole se li va a reperire e a vedere, ma avendo l'idea di una mano (la sua) che lo guida.

Per me e credo per molti sarebbe veramente una caccia al tesoro

A me già solo essere andato a recuperare questi due di De Niro su suo suggerimento ha divertito tantissimo e dato grandissimo piacere (ognuno ha le sue perversioni).

Chissà, magari piacerebbe anche a qualcun altro.
A me sicuramente sì.

E' solo un'idea e un modo per manifestarle la mia devota ammirazione.

--
Alberto Marcheselli
"La mente è come un paracadute. Funziona solo se è aperta" - Frank Zappa

23 novembre 2010

Mafia e Cia - Video


Indispensabile precisazione sui due "De" - Video

Ho registrato, grazie come sempre alla operosa cortesia di Lorenzo Doretti , due brevi video da pubblicare qui sul blog. I due interventi riguardano l’uno Dino De Laurentiis e l‘altro Robert De Niro, con queste due “De”, meridionali e non nobiliari, che curiosamente uniscono due temi i quali in realtà non hanno nulla in comune. Vista l’amplissima e motivata partecipazione della stampa, quotidiana e televisiva, alla morte di Dino de Laurentiis, mi è parso in qualche modo giustificato questo mio breve intervento riguardante due periferici contatti avuti con lui nella bellissima e solitaria villa di Los Angeles, che era appartenuta a Joan Crawford. Le mie considerazioni su De Niro sono invece frutto di una solitaria devozione, e cioè dell’affetto vero e proprio che nutro su di lui come regista di due film semi dimenticati e, nel caso del secondo, “L’ombra del potere – The good shepherd”, del 2006 (lo trovo un piccolo capolavoro), totalmente sottovalutato:

10 novembre 2010

IL DOPPIAGGIO pregi e difetti - Video

Qualche mese fa la professoressa Micaela Rossi, che insegna nella Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’ Università di Genova, sezione di Francesistica, mi ha chiesto una lezione sul tema del doppiaggio, che interessava gli studenti ovviamente in funzione dei rapporti fra l’italiano e il francese. E’ un tema del quale ritengo di essere autorizzato a parlare, sia per la lunga esperienza specifica che ho avuto alla RAI, sia perché da quattordici anni dirigo il più consolidato festival italiano sull’argomento, prima “Voci nell’ombra” e nel 2010 soltanto “Voci”. La serata di chiusura del festival ha avuto luogo a Genova al Teatro della Gioventù il 30 ottobre scorso, e debbo riconoscere che sono stato fatto oggetto da tutti i doppiatori presenti, alcuni dei quali famosissimi, di una commovente manifestazione di affetto.
La lezione sul doppiaggio richiestami dalla professoressa Rossi la tenni, tenuto conto delle mie condizioni di salute, non di persona ma attraverso un DVD realizzato, come sempre con la sua abituale dedizione, dall’amico Lorenzo Doretti. Venne mostrata agli studenti i giorno 21 maggio 2010, e mi pare di capire che sia stato complessivamente accolto in modo favorevole dagli spettatori. Se ricordo bene dovrebbe durare 45 minuti, che era appunto il tempo previsto secondo le tradizioni universitarie. Ho pregato Doretti di inserire il DVD nel blog, e ritengo che lo farò per tutte le mie altre, eventuali, conferenze in DVD, che forse possono rappresentare materia di curiosità per i lettori.

Ecco dunque il testo come l’abbiamo registrato poco prima del 21 maggio:



4 novembre 2010

Eugenio Corti - Video

Ho conosciuto Claudio Costa, cineasta e documentarista romano (a Roma ci sono moltissimi Claudio, e lui è un Costa non ligure), quando preparò una bellissima intervista a Luciano Vincenzoni intitolata “Il falso bugiardo”. Segnalai il documentario al Genova Film Festival e conobbi l’autore quando venne a presentarlo al cinema Sivori. Da tempo l’ottimo Costa sta preparando dieci monografie da 50 minuti l’una su altrettanti ex-combattenti italiani della Seconda Guerra Mondiale (il più noto di essi è l’ammiraglio Birindelli). A suo tempo ho segnalato a Costa il romanziere Eugenio Corti, che da giovane ufficiale di complemento combatté prima in Russia e poi in Italia nelle file del benemerito e dimenticatissimo C.I.L. (Corpo Italiano di Liberazione), che il Regio Esercito allestì nel 1944 per schierarlo contro i tedeschi in Italia. Originato dal cosiddetto Raggruppamento Motorizzato del generale Dapino, il C.I.L., alternativamente alle dipendenze degli inglesi e dei francesi, combatté coraggiosamente, nonostante la totale mancanza iniziale di mezzi e di divise, agli ordini del generale Massimo Utili. Il quale era stato proprio in Russia, nello C.S.I.R., come capo di stato maggiore del maresciallo Messe, e che ci ha lasciato un bel libro di ricordi. Io segnalai l’esistenza dello scrittore a Costa, indirizzandolo a Milano a Cesare Cavalleri, direttore di “Studi cattolici” e responsabile della casa editrice A.R.E.S., la quale ha appunto stampato i libri di Corti. Cavalleri è stato cortesissimo e grazie a lui l’intervista ad uno scrittore generalmente trascurato (il suo libro più famoso è “Il cavallo rosso”) ha avuto luogo. A lavoro ultimato il DVD su Corti comprenderà anche una intervista a me, che Costa è venuto a girare a Genova (mi aveva chiesto di parlare al massimo 10 minuti, ed esattamente 10 minuti ho parlato, avendo io conservato automaticamente l’abitudine ai tempi televisivi). Adesso grazie alla cortesia di Lorenzo Doretti pubblico l’intervista qui nel blog.