Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

28 settembre 2012

10 - Alcuni film americani che conviene avere visto - I dimenticati

DECIMA PUNTATA DELLA RUBRICA IN CUI SI "RECENSISCONO" OPERE CINEMATOGRAFICHE DEL PASSATO PROSSIMO
I dimenticati (Sullivan's Travels) di Preston Sturges (1898–1959)

Preston Sturges: un piccolo miracolo.

Nel 1976 rischiai di intaccare il mio prestigio “tecnico” allestendo a Rai Uno (mi sembra di ricordare in seconda serata) un breve ciclo dedicato a Preston Sturges. Dopo un quarto di secolo - ha influito anche la riscoperta di un mio articolo nel numero di giugno del 1976 de “La rivista del cinematografo” - ho deciso di ritornare sull’argomento e di farne partecipi i lettori di “Clandestino in galleria”. Il regista allora come oggi era amato da un ristretto gruppo di fedeli e in genere ignorato da quello che si suole chiamare “il grande pubblico”. Nato a Chicago il 29 agosto del 1898 e morto a New York il 6 agosto del 1959, Edmund Preston Biden (Sturges era il cognome del suo patrigno, che divenne rapidamente anche il suo e con il quale fu sempre conosciuto) fu un fortunato uomo di spettacolo. Autore di canzoni e di testi teatrali (almeno uno di grande esito) passò al cinema agli inizi degli anni’30 come sceneggiatore, quando, con l’arrivo del sonoro, i produttori scopersero di aver bisogno di esperti dialoghisti. Ebbe successo anche in questo campo. Successo grazie al quale nel 1940 ottenne di diventare regista trasferendo in immagini testi scritti da lui stesso: “Il grande McGinty”( The Great McGuinty. Che riuscii a dirigere (offrendo praticamente gratis la sceneggiatura completa) e “Un colpo di fortuna” (Christmas in July): entrambi piacquero immediatamente. Nel 1941 “Lady Eva” consacrò definitivamente il suo talento. Fecero seguito “I dimenticati” (Sullivan’s Travels - 1941), “Ritrovarsi” (The Palm Beach Story - 1942), “Il miracolo del villaggio” (The Miracle of Morgan’s Creek -1944), “Evviva il nostro eroe” (Hail the Conquering Hero – 1944) “Meglio un mercoledì da leone …” (The Sin of Harold Dideblock oppure Mad Wednesday- 1947), “Infedelmente tua” (Unfaithfully Yours - 1948), “L’indiavolata pistolera” (The Beautiful Blonde from Bashful Band – 1949), “Il carnet del maggiore Thompson” (Les Carnets du Major Thompson – 1955). Come ho detto è morto nel 1959 ma già alla fine degli anni’40 il suo notevolissimo talento era in qualche modo appannato se non addirittura spento. Se ricordo bene “Il grande McGinty” fu doppiato a mia cura nel ciclo prima ricordato. In particolare “I dimenticati” resta il suo film forse più conosciuto e più discusso. Centrato su un notissimo regista di commedie e di “musicals” che decide di dirigere un dramma sociale sulla povertà, il film è forse un pochino più opaco nella conclusione di quanto non lo sia nella sua struttura generale ma rimane un piccolo gioiello per quel che riguarda il gusto dell’invenzione comica e della digressione paradossale. Si ricordi che è un film del 1941, vale a dire pensato e prodotto diversi mesi prima di Pearl Harbour. Il mondo era già inghiottito da una guerra quasi senza confini ma gli Stati Uniti riuscivano ancora a mantenersi in pace. Quella che vediamo è, in effetti, l’America prebellica di Roosevelt, una nazione sotto moltissimi profili molto diversa da quella attuale. Resta infatti tipica la scelta dello sfondo sociale del film: un’ America povera e periferica, vista ancora con l’occhio di chi da pochi anni era uscito dalla Depressione. Si veda l’ampio spazio concesso a quella tipica, e terribile, istituzione degli anni’20 e ’30 americani (ereditata tuttavia dal secolo precedente) che furono gli “hobos” e/o i “tramps”, disoccupati ridotti al rango di mendicanti, che si spostavano preferibilmente e continuamente utilizzando di straforo treni merci, e che erano di continuo controllati e incalzati dai duri controllori delle ferrovie chiamati i “bulls” cioè i “tori”. In certo senso l’America romanzata nel film è in fondo quella stessa che Steinbeck (e Ford) ci avevano fatto conoscere con “Furore”, ma qui in una versione esplicitamente urbana. Altra tipica notazione d’epoca è quella della chiesa cristiana “nera” col suo benevolente pastore ben deciso a far cantare ai suoi docili fedeli “Go Down Moses … Let’s My People Go …”. Si osserverà che, in prigione come nei ricoveri, i neri (pochi) sono mescolati ai bianchi. Sono notazioni che possono sembrare marginali ma non possiamo dimenticare che sono passati più di 70 anni: guardando un film, è sempre doveroso ricordarsi di collocarlo nel mondo sociale, antropologico, politico e umano in cui è stato pensato e prodotto. Ma anche in quest’ottica mi sembra che “I dimenticati” continui a conservare una sua agile, divertita e sorridente piacevolezza. Per quel che riguarda il Dvd, utilizzato da Doretti per confezionare la “recensione”, vi ricordo che è stato comprato attraverso il sito “E-bay.it” e, comprese le spese di spedizione, è costato complessivamente euro 15,49. Ci sono diversi dati correlati inseriti nel Dvd, comprese le filmografie di Joel McCrea e Veronica Lake e, soprattutto, un lungo dialogo fra due critici, miei vecchi colleghi, Vieri Razzini e Maurizio Porro, che esaminano a fondo il film e dicono anche, seppur con maggiore spazio a disposizione, alcune delle cose che ho detto e scritto anch’io. Infine per quel che riguarda il doppiaggio, citato solo parzialmente nel sito di Antonio Genna “Il mondo dei doppiatori”, ho provveduto a farlo controllare a Enrico Lancia, inarrivabile intenditore di voci. Mi ha confermato che la doppiatrice di Veronica Lake è Rosetta Calavetta, individuando poi in Giulio Panicali il doppiatore di Joel McCrea.

Sono curioso di sapere quale saranno le reazioni dei lettori del Blog. Se il film interesserà alla maggioranza cercherò di recuperare qualche altra opera del regista.

26 settembre 2012

IN ARRIVO LA “RECENSIONE” DI UN FILM E QUALCHE ANNUNCIO COLLATERALE RIGUARDANTE MIE COLLABORAZIONI VARIE DI DIVERSA NATURA.


Cari Amici, sono consapevole del fatto che da qualche tempo sono costretto a trascurare un poco il Blog. Per altre destinazioni ho dovuto e debbo scrivere dell’ altro (vi terrò informati a cose fatte).  Inoltre debbo sempre portare a termine i due libri - uno a più mani ed uno antologico – per cui sono impegnato da tempo.
Infine faccio rilevare agli eventuali lettori genovesi – o comunque in grado di comprare in edicola il cosiddetto “Panino” formato  da “La Stampa” e dal “Corriere mercantile” – che dopo tanti e tanti anni sono tornato a scrivere sul mio vecchio quotidiano nella cui redazione mi sono formato. Da tre settimane (la prossima puntata, la IV,  apparirà il 30 settembre) ho iniziato a pubblicare ogni domenica, appunto sul “Corriere mercantile”, una piccola rubrica settimanale di riflessioni varie. E’ intitolata “Visto con il monocolo” e ha come occhiello “L’osservatore genovese”. Rilievi al riguardo saranno graditi.
Una volta risolti tutti gli impegni in corso (per la Cineteca di Bologna debbo anche scrivere un brano sui film tratti da Simenon) e, soprattutto, risolti i due incubi “librari” prima ricordàti, cercherò di nuovo, salute permettendo, di dedicarmi, come una volta, a “Clandestino in galleria”.
Infine vi informo che fra pochi giorni (spero entro venerdì 28) Doretti riuscirà a collocare nel Blog una nuova “recensione” di un film americano del passato. Si tratta, questa volta, di una curiosa commedia, in apparenza molto lontana nel tempo eppure egualmente assai attuale, che ancora una volta rientra fra i film americani “che conviene aver visto”.
Molti saluti a tutti con la speranza di ritrovarvi presto. In particolare Doretti mi ha insegnato a penetrare nei segreti statistici del Blog. Fra di essi vi è l’elenco dei lettori abituali di “Clandestino in galleria”. Li cito qui di seguito rendendo loro l’onor delle armi: 1. Rear Window; 2. Simone Starace; 3. Jay Paoloni; 4. Salvatore M. Ruggiero; 5. RONIN FILM PRODUCTION; 6. Giuristi per Naso; 7. robydick; 8.lattanziluca; 9.requiemforadreamtonight; 10. Paolo Pirola.

4 settembre 2012

A DOMANDA RISPONDE


Citazione di qualcuno dei molti nomi evocati da Giulio Fedeli in un suo Post di commento al mio brano intitolato “Contraddittorie reazioni di fronte all’ ”Erba Foglio””

Ho risposto a tutti quelli che mi avevano scritto a proposito della mia sfortunata offerta di collaborazione al quotidiano di Giuliano Ferrara. L’unico che ho rimandato è stato il post di Giulio Fedeli, il quale aveva evocato tanti nomi e tanti temi che non potevano essere liquidati in poche righe. Provvedo adesso a rispondere, facendo ovviamente presente che per comprendere la natura della mia risposta è indispensabile leggere la missiva di Fedeli che trovate QUI (o nei commenti del mio pezzo, intitolato, come ho scritto prima, “Contraddittorie reazioni di fronte all’”Erba Foglio”). 
Rispondo pertanto ad alcune sollecitazioni di Fedeli, non nell’ordine da lui adottato ma “au fur et à mesure” che mi vengono in mente e trovo i riscontri. Egli mi chiede non so bene il perché, di spiegare chi fu il generale Maxime Weygand. Riconosco che fu importante nella storia delle due guerre mondiali a cui la Francia ha partecipato, ma non mi è per niente simpatico. La sua biografia è romanzesca perché nacque a Bruxelles (21 Gennaio 1877) da genitori ignoti. Secondo alcuni sarebbe il figlio illegittimo del Re Leopoldo II del Belgio e di una contessa Kosakowska, sposa di un nobile russo di origine lituana. Secondo altri sarebbe nato dagli amori di un certo colonnello Van der Smyssen e di Carlotta del Belgio, che fu la sfortunata moglie di Massimiliano Ferdinando di Asburgo, divenuto imperatore del Messico e fucilato a Queretaro nel 1867. Come è noto Carlotta divenne pazza dopo tutti i dolori che aveva dovuto affrontare (sia detto incidentalmente si deve a lei ed al marito, quando era ancora governatore del Lombardo Veneto, la costruzione del famoso Castello del Miramare vicino a Trieste). Weygand, in quanto belga, con il nome di Maxime de Nimal entrò all’Accademia militare di Saint-Cyr. Divenuto ufficiale dei dragoni venne adottato da un certo François-Joseph Weygand, contabile di un commerciante di Marsiglia, David Cohen, che del giovane era stato il tutore. Ormai francese percorse, con il nuovo nome, una fortunata carriera militare (non privo di astuzia aveva sposato la figlia del colonnello comandante del suo reggimento). Per farla breve, alla vigilia della guerra venne notato dal generale Joffre. Poi anche da Foch ed anche da Petain, fu promosso generale e quando Foch divenne il capo delle forze armate alleate Weygand fu nominato capo di stato maggiore generale. Al punto che fu il generale incaricato, nel famoso vagone nella foresta di Compiègne, di leggere le clausole dell’armistizio agli inviati dell’esercito tedesco. Non ebbe mai un comando operativo in battaglia ma percorse lo stesso una fortunata carriera in Francia, in Polonia, in Siria, sino a diventare nel 1930 Capo di Stato maggiore generale dell’esercito francese. Si ritirò nel 1935 (Gamelin prese il suo posto) ma venne mantenuto in servizio senza limiti di età. La sua carriera fu sempre brillante, al punto che, nel maggio del 1940, Gamelin venne silurato e, a 73 anni, Weygand divenne il comandante supremo di quel che restava dell’esercito francese. Resosi conto dell’ampiezza del disastro che stava sovrastando la Francia cercò in qualche modo di porre riparo alla disfatta, nel giro di meno di un mese finì col seguire le idee di Pétain (divenuto Vicepresidente del Consiglio in attesa di ereditare tutto il potere) e pensò che l’unica soluzione possibile fosse la richiesta dell’armistizio. Fu severissimo con De Gaulle quando questi “si rivoltò” a Londra, lo fece retrocedere a Colonnello, da Generale di brigata a titolo provvisorio che era, riuscì a convocare due corti marziali e il 2 Agosto 1940 a farlo condannare a morte. Nel governo di Vichy fu per tre mesi ministro della difesa, poi delegato Generale nell’Africa francese, applicando ovunque rigidamente le norme nate dall’armistizio ma opponendosi sempre, tuttavia, a progetti di collaborazione militare con l’Asse. Nel Novembre 1942, dopo l’invasione alleata dell’Africa del nord e dopo l’invasione tedesca della cosiddetta Francia “non occupata”, proprio dai tedeschi fu arrestato e rinchiuso in un castello dipendente dal campo di Dachau insieme a Reynaud, Daladier e Gamelin. Divenne il decano dell’Accademia di Francia. Quando morì De Gaulle, che non aveva dimenticato, impedì che venisse sepolto agli Invalides.
Veniamo a qualcuno degli infiniti nomi citati da Fedeli. 
Per quel che riguarda il “Mac-mahonismo” genovese , ammesso che esista (Sandro Ambrogio lo conosco da quando aveva 14 anni e veniva al Cineforum dell’ Arecco e Massimo Marchelli lo vedo abbastanza regolarmente) posso anche riconoscermi, in parte, in quello che venne chiamato “Le carré d’As”, e cioè Raoul Walsh, Otto Preminger, Joseph Losey e Fritz Lang (con un occhio particolare per quel che riguarda il secondo ed il quarto). Ma certamente non nella diffidenza per Welles e Hitchcock: uno è un genio strabordante e disordinato ma fuor di misura, il secondo è uno dei miei idoletti personali. Ricordo che la definizione “Macmahoniens”, per indicare i forsennati cinefili che frequentavano il cinema parigino è stata inventata da quel curioso personaggio che è Philippe Bouvard, ammiccante umorista televisivo molto noto in Francia
Per quel che riguarda gli scrittori tedeschi menzionati da Fedeli, ammetto che, in genere, Fassbinder mi annoia, ma anche vero che non li conosco per niente, con una sola sfumatura d’eccezione per Hans Carossa:  fin da bambino mi ha fatto pensare ad una “carrozza” detta in genovese. Invece per quel che riguarda gli italiani di cui dovrei parlare a fondo, conosco un po’ Obertello, Linati, Quarantotti Gambini cugino di Pio De Berti Gambini, che fu mio direttore a Rai Due, ma gli altri li ignoro completamente. Infine non ho nessuna veste per parlare di Montherlant, Paul-Jean Toulet e Valery-Larbaud. In quanto a Gabriel Matzneff so solo che è nato nel 1936 da una famiglia di origine russa, che conosce molte lingue, fra cui l’italiano (cominciò a coltivarlo vedendo i film di Totò) e che è un osservante della religione ortodossa. E, soprattutto, che predica l’amore per gli adolescenti dei due sessi: si veda “Les Moins de seize ans” del 1974. E’ un territorio per il quale non ho nessuna autorità e di cui non vorrei occuparmi.
Visto che Fedeli conclude salutandomi in francese gli risponderò citando le frasi iniziali del famoso discorso pronunziato da De Gaulle il 18 Giugno 1940 alla BBC (lo sentirono in pochi ma fu comunque decisivo). La prima frase è proprio pensata in funzione di Weygand e di Pétain:
“Les chefs qui, depuis de nombreuse années, sont à la tête des armées françaises, ont formé un gouvernement. Ce gouvernement, alléguant la défaite de nos armées, s’est mis en rapport avec l’ennemie pour cesser le combat (…) mais le dernier mot est- il dit ? L’ésperance doit- elle disparaître ? La défaite est-elle définitive ? Non ! (…) Quoi qu’il arrive, la flamme de la résistance française ne doit pas s’éteindre et ne s’éteindra pas ! »
Come vecchio gollista non potrei fare di più.