Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

31 maggio 2012

I CORVI E LE COLOMBE DALLA FINESTRA DEL PAPA.


In questi giorni le cronache, a parte i doverosi echi del terremoto, sono ricche di informazioni sul recente “scandalo” del Vaticano, sino all’arresto dell’aiutante di camera di Benedetto XVI. Ancora una volta i vertici della Chiesa Cattolica fanno parlare di sé, ma lo fanno in un loro modo inimitabile, che oscilla fra il casalingo e l’universale.

Confesso che, fin dal primo momento, ho seguito le cronache giornalistiche di quel che è accaduto e accade in Vaticano con una attenzione fervorosa e inquieta, vale a dire con lo stesso spirito di profonda dedizione e di partecipante inquietudine con cui solitamente si divorano i romanzi di avventure. Di cui sono appunto  lettore fin da ragazzo e nei quali si respira il venticello, apparentemente fantastico ma in realtà minutamente letterale, della grande inventiva che interpreta e spiega la storia. Da Rafael Sabatini a Rudyard Kipling, da Dumas padre a Fredric Forsythe, nonostante la sensibile differenza di epoca e di statura  variano solo il talento, la cultura, lo stile, la padronanza della lingua, il rigore morale, ma resta sempre eguale l’ intenzione, furbesca e divertita, di recuperare i grandi avvenimenti ed i piccoli personaggi del passato e di reinventarli, cioè di rimodellarli in funzione di uno o più esseri fondamentali, divenuti eroi meravigliosi e, spesso, simboli. Tutte considerazioni che mi stimolano a seguire le recentissime cronache dei “Corvi” vaticani con la stessa fidente attenzione con cui da bambino leggevo, per fare un esempio, le avventure di Ivanhoe, dei Templari, dei sassoni e degli ebrei d’Inghilterra (ovviamente secondo Walter Scott). Cioè con la stessa voglia di un tempo di sbirciare interni di palazzi e di appartamenti,  consegnati alla nostra mente ed al nostro cuore da inappuntabili planimetrie e al tempo stesso popolati da splendide figure romanzate.
In effetti tutta la cronaca vaticana di questi ultimi giorni sembra frutto della fantasia sbrigliata, ma anche superficialmente avventurosa e palesemente orecchiata, di un professionista (di successo) della “soap opera” parareligiosa, come, ad esempio, Don Brown, l’autore, fra l’altro,  del fortunatissimo e pasticciatissimo “Codice da Vinci”. Infedeli aiutanti di camera, cardinali furbeschi o traditi, un Segretario di Stato che non si capisce se è scaltrissimo o ingenuo, una paludata e misteriosa burocrazia in tonaca, un alternarsi di sabotaggi ammiccanti e di addolorate denunce. Ecco, ancora una volta, una partitura che ribadisce la fortissima superiorità del Centro di Controllo e cioè (avrebbe detto Le Carrè “d’antan”, del Circus della Chiesa Cattolica) chiamato appunto Stato della Città del Vaticano, su tante strutture meramente umane e quindi anche su quella fisicamente più vicina di tutte, cioè la Repubblica Italiana. Di rado, da diverso tempo a questa parte, abbiamo avuto la riprova della differenza di statura fra i due Enti. Tutto in Vaticano è, in certo modo, senza confini regionali e temporali, fisiologicamente internazionale, pur essendo, anche oggi come in tanti tragici avvenimenti del passato, strettamente legato ai luoghi deputati del potere centrale del Papa. Il respiro che vi si avverte è mondiale, spazia in tutti Continenti, si articola attraverso cardinali e prelati di tante diverse nazionalità e lingue ma al tempo stesso, secondo l’antica tradizione della Chiesa, si esplica in un ridottissimo cerchio nella carta geografica della città di Roma. Relativamente poche strade e pochi palazzi (molto spesso nel Quartiere Prati) in cui, come al tempo dei Borgia, si recita uno psicodramma palese e segreto, locale e mondiale al tempo stesso. Quando le cronache di questi giorni convulsi - che vedono i “corvi”, invece delle colombe, uscire dalle finestre dell’appartamento papale, e perfino l’aiutante di camera di Sua Santità posto in galera - si saranno dilatate e concretate vorrei tornare con calma sull’argomento. Per ora quel che si può dire oggi è che quanto più fanno impressione gli accadimenti recenti verificatosi “oltre il Portone di Bronzo”, tanto più essi si iscrivono in una antichissima tradizione. Che ha visto la Chiesa profondamente scossa nei secoli da scandali ben più espliciti, clamorosi, tormentosi e dolorosi di questo, e tuttavia mai completamente tocca nel profondo. Considerato che, almeno da un punto di vista statistico e con esplicite variazioni e cambi da Continente a Continente, i Cattolici nel mondo continuano ad aumentare di numero. Io sto cercando di raccogliere un po’ di materiale apparso nei giornali, e certamente il materiale non manca. Almeno per due volte l’Osservatore Romano ha posto in prima pagina notizie sullo “scandalo”: addirittura, oggi giovedì 31/05/12, ecco un titolo su sei colonne dice: “Falsata l’immagine della Santa Sede” mentre nell’occhiello e nel sommario si ribadisce doppiamente il concetto: “il Papa definisce gratuite le illazioni di alcuni media sulla Curia” e “Benedetto XVI rinnova la fiducia e l’incoraggiamento ai suoi più stretti collaboratori”. Un impegno anche formale, come si vede assai notevole tenuto conto del carattere dell’Osservatore Romano, che è sì un “giornale quotidiano politico religioso” (Unicuique suum, Non prevalebunt) ma è di fatto un organo ufficioso, anche se non formalmente ufficiale, della Santa Sede. Non è un caso che in genere, in prima pagina, sotto il titolo “Nostre informazioni” e “Provvista di Chiese” si comunichino le nomine effettuate dal Papa, particolarmente nomine di Vescovi in giro per il mondo, e si citino il nome dei diplomatici e dei dignitari ricevuti in udienza. In buona parte si tratta di Vescovi in visita “ad limina”, ovvero ”ad limina apostolorum” e cioè “alle soglie degli apostoli”, sottointesi Pietro e Paolo (come noto un Vescovo europeo deve recarsi in udienza dal Papa almeno una volta ogni 5 anni. Periodo che è aumentato a 10 anni per i Vescovi extraeuropei).
In questi giorni continuerò a tener d’occhio le principali testate (invidiando i grandi vaticanisti che hanno le loro personali fonti di informazione) per cercare di capire in quale modo può evolversi una complessa situazione politico-religiosa. Si pensi alla clamorosa polemica in corso a proposito della gestione delle Banche vaticane ed ai vaghi ma terribili sospetti legati alla sepoltura di “Renatino”, della Banda della Magliana, nella Basilica di S. Apollinare. Oppure a quei supposti contrasti, su cui la stampa insiste molto, fra il Cardinal Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, ed alti esponenti della Chiesa. Anni fa mi capitò, non so più in quale occasione, di trovarmi insieme ad altri invitati, in una conferenza stampa a fianco della suddetta Eminenza. Che mi parve un astuto piemontese di provincia – è nato a Romano Canavese, distante una quarantina di chilometri da Torino – sorretto da quell’allegria chiesasticamente sorridente che è tipica di tanti salesiani. Così a vederlo non sembra un Segretario di Stato nella linea dei porporati di vocazione diplomatica o paradiplomatica – come Merry del Val, Gasparri o Eugenio Pacelli, poi Pio XII, per fare qualche nome – ma piuttosto, ed è quel che era allora a Genova, un potente Arcivescovo di provincia. Si vede che Benedetto XVI deve avere in lui grande fiducia, dopo averlo avuto al suo fianco per anni come vicario nella Congregazione per la Dottrina della Fede. Anche questo elemento aggiunge una tonalità tutta particolare alla complessa situazione dei vertici vaticani. I quali tuttavia, malgrado ogni crisi ed ogni accenno di scandalo, continuano a conservare quella singolare caratteristica, al tempo stesso provinciale e universale, che contraddistingue in modo unico la Chiesa di Roma e che ho già ricordato. E’ una mescolanza di tollerante furbizia capitolina (una sorta di religiosità alla vaccinara o alla matriciana) e di sguardo totale sul mondo, praticamente senza limiti di paralleli e di meridiani. 
Per fare un esempio banale è quell’ insieme di vizi e di virtù che fanno di Giulio Andreotti un politico totalmente a parte nel panorama della Repubblica, posto a un livello molto più alto dei suoi colleghi. Tutti gli altri, Grillo compreso, sono politici, o parapolitici, italiani. 
Andreotti è vaticano, e fatalmente vede le cose dall’alto. Molte delle sue battute più famose ricordano lo spirito inimitabile di tanti dignitari della Chiesa. Si pensi  alla  frase secca e sorridente ribattuta da un vescovo ai tempi di Pio VII. Un generale francese minacciò il Vescovo: ”Distruggeremo la vostra Chiesa!”. E il Vescovo gli rispose: “Non ci riuscirete mai. Non ci siamo riusciti neppure noi altri.” Oppure alla frase che Leone XIII, dall’alto del suo lunghissimo papato, disse ad un diplomatico della Repubblica francese per convincerlo che la Chiesa non avrebbe più appoggiato i cattolici di Francia, rigidamente monarchici e conservatori e ormai superati dai tempi: “Si ricordi” disse il Papa “che in 19 secoli la Chiesa non si è mai legata a nessun cadavere, salvo che” e con la mano indicò il Crocefisso “ a quello!”.

(Battute 8.641)

TERREMOTI DI OGGI MA ANCHE DEL PASSATO: UN'ITALIA RASSEGNATA, E INDIFFERENTE ANCHE AL RICORDO MERITEVOLE DI ZAMBERLETTI


In questo blog scrivo di argomenti varia con una certa futilità, ma non vorrei indurre nessuno a pensare che io sia indifferente al tremore ed a dolore via via irradiati dalle terribili notizie  provenienti dall’Emilia, e particolarmente dal modenese.  Son giorni e giorni che i telegiornali ci atterriscono (inevitabilmente e, vorrei dire, doverosamente) con cronache dominate dalla presenza maligna di un male immenso e sotterraneo. La cui violenza, tanto più capricciosamente cieca quanto indifferente, lascia ogni volta stremati e feriti.  Quel che ci colpisce non  è solo la belluina stolidità del male. Quanto, e ancor più, l’idea che da millenni l’uomo riesca a vivere, a moltiplicarsi, ad azzuffarsi ed a sgovernarsi sulla crosta esterna di un globo che in realtà è totalmente divorato da una incessante lotta ottusamente clandestina. Smisurati continenti sotterranei si urtano da millenni, bordo contro bordo, faglia contro faglia, ciecamente azzuffandosi in un silenzio torvo e clamoroso che noi cogliamo nitidamente solo quando, con infantile, capricciosa ferocia, sgorga  alla superficie. E ogni volta ci lascia straniti la compiaciuta ignoranza degli specialisti, i quali accumulano registrazioni su registrazioni, infinite carte elegantemente colorate, minuziosi rilievi sismografici grazie ai quali si scopre che zone rigorosamente non sismiche vengono poi colpite da micidiali incursioni sotterranee. Ancora una volta in quel che accade in questi giorni in Italia (capannoni costruiti in Emilia contra legem, partecipazione sincera della gente ai dolori di chi è stato colpito dal terremoto ma anche palese sfiducia nelle dichiarazioni ufficiali ed ufficiose delle pubbliche autorità, eccetera) si ha la sensazione di essere in presenza di un potere statuale e locale ormai impallidito e screditato. Ad esempio mi ha molto stupito che, proprio all’interno di un governo schifiltosamente formato da “tecnici”, sin dal primo giorno del sisma non si sia avvertita la necessità di una ferma presenza accentrata ed univoca da additare a tutti i cittadini, e particolarmente agli emiliani, come responsabile e giudice unico dei provvedimenti di pronto intervento della Protezione Civile e degli altri organi deputati. Confesso di avvertire molto la mancanza di una persona come Zamberletti che, ad esempio, fu decisivo in presenza di due terremoti ancor più brutali di quello emiliano, e cioè  di quello che colpì il Friuli nel 1976, causando ben 989 morti, e dell’altro scatenatosi in Irpinia nel 1980 con addirittura  2.914 vittime (sono cifre che ho trovato in google e che mi auguro siano, nella loro terribilità, esatte). Credo che si debba a Zamberletti l’istituzione stessa della Protezione Civile e, per la prima volta in Italia, un coordinato intervento a tutela delle popolazioni colpite da sciagure naturali. Ho l’impressione che nessuno lo ricordi più e neppure lo voglia ricordare. A cominciare dallo stesso Presidente della Repubblica che è andato in Friuli giustamente elogiando la laboriosa efficienza delle popolazioni ma non mi pare (almeno io non l’ho sentito) abbia fatto menzione di chi allora fu straordinariamente meritevole.
Mi dispiace di dover commentare quel che sta succedendo in Emilia con una punta di amarezza che si aggiunge alla implicita e serrata tristezza delle notizie che ci pervengono.

30 maggio 2012

SOMMARIO DEL N° 22 DI FILM TV

Aldo Fittante, direttore di Film Tv, mi prega di pubblicare i dati essenziali del sommario numero 22 della rivista che è nell' edicole da ieri martedì 29 Maggio, e che contiene minutissimi elenchi di programmi televisivi ed i testi che li commentano sino a tutto lunedì 4 Giugno. Colgo l'occasione per ricordare che la mia rubrichetta mensile "Salvate la Tigre" appare normalmente nel numero che esce il primo martedì di ogni mese. E che pertanto sarà contenuto nel numero 23 e sarà in edicola martedì 5 Giugno.
Ecco dunque alcuni dati fondamentali del sommario del numero 22:

E' dedicato MARILYN MONROE, con uno Speciale di ben 8 pagine,  le schede dei suoi 14 film più importanti e una serie di articoli e approfondimenti (tra cui quello d'apertura,  scritto da MAURIZIO PORRO): l'occasione è data dal 50esimo anniversario della sua scomparsa (che cadrà il prossimo 5 agosto) e dall' 86esimo anniversario del suo compleanno che cade venerdì 1° giugno, giorno in cui uscirà nelle sale italiane MARILYN, il film che racconta una settimana della vita della diva (mentre girava IL PRINCIPE E LA BALLERINA con Laurence Olivier)-

Nel numero in edicola da martedì 29 maggio - oltre alle recensioni, alle rubriche e ai programmi Tv dal 3 al 9 giugno, c'è anche un servizio dedicato a ROMY SCHNEIDER, di cui proprio il 29 maggio, cade il 30esimo anniversario della morte.  
Naturalmente il numero prevede anche le abituali e largamente articolate rubriche.






25 maggio 2012

BEPPE GRILLO E' L'EREDE ITALIANO DI COLUCHE (O NO?)


Mi limito qui a formulare un dubbio, forse infondato, che viene chiaramente espresso nel titolo. Mi riservo di studiare un po’ meglio le biografie di Grillo e di Coluche, indubbiamente vicini per generazione (l’uno è del 1948 e l’altro del 1944). Entrambi furono all’origine dei comici, naturalmente approdati, per esplosiva torrenzialità di natura, alle insidie ma anche ai successi, ma anche insuccessi dell’ “One Man Show”. Ripeto, la mia è un ipotesi che potrebbe rivelarsi infondata, ma che stabilirebbe un curioso parallelo fra i due personaggi. Uniti, in certo modo, anche dall’origine “etnica”: Coluche, come è noto si chiamava in realtà Colucci, nato a Parigi da madre francese e da un padre che era originario di Casalvieri, paesino della provincia di Frosinone. Anche il papà di Grillo, Enrico, era un “immigrato”, un marchigiano titolare a Genova di una fabbrica di attrezzature per il taglio e la saldatura dei metalli a fiamma. Ed entrambi sono evidentemente radicati nei luoghi di nascita: la cadenza e il vocabolario di Coluche erano orgogliosamente ricchi di tonalità e di lessico proletario-parigini. La cadenza di Grillo (che credo, in realrà, conosca pochissimo il dialetto) è tipicamente e quasi ostentatamente genovese.
Ripeto, ho fatto qui cenno di quello che è un dubbio, forse infondato, e di una intuizione, forse totalmente immotivata. Ho buttato giù queste poche righe per “bloccare” l’argomento. Come ho scritto all’inizio mi riservo di studiare meglio l’ipotesi e prometto di rifarmi vivo. Forse l’argomento non interessa nessuno o, forse, il fatto che gli italiani in genere non sappiano che era e che cosa rappresentava Coluche, può alimentare una certa perplessità. Ma, come ho scritto prima, il dubbio mi tenta e mi riservo di ritornare sul’argomento.

24 maggio 2012

IL CAMMINO CINEMATOGRAFICO (E NAVALE) DI CALLISTO COSULICH


Ho ricevuto da pochi giorni un libro per me importante, allietato da una bella dedica a me ed a mia moglie del personaggio che nel libro è celebrato (in essa Callisto ricorda il “Sorriso”, cioè il piccolo albergo del Lido di Venezia dove ci ritrovammo per anni in occasione della Mostra del Cinema). Il libro si intitola appunto  “Il coraggio della cinefilia – Scrittura e impegno nell’opera di Callisto Cosulich”, ed è edito dalle Edizioni Università di Trieste a cura di Elisa Grando e Massimiliano Spanu, in nome della Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Dipartimento di Studi Umanistici.  Vi si rievoca tutta la carriera di critico e giornalista di Callisto Cosulich attraverso una serie di saggi e testimonianze, i cui titoli ed i cui autori mi pare giusto riportare qui con la massima esattezza. 
I Saggi sono a firma di Massimiliano Spanu (la scrittura politico – culturale: Callisto Cosulich tra televisione, critica e lotta alla censura); Roy Menarini (la costruzione del canone. Cosulich al Giornale di Trieste); Leonardo Gandini (il tempo della critica); Alberto Pezzotta (dal neorealismo al realismo); Sergio Grmek Germani (l’ABC del cinema nel mondo); Riccardo Costantini (La “pagina bianca”, libertà critica di Callisto Cosulich su “Left”); Lorenzo Pellizzari (frammenti di tracce amorose -  sul Cosulich saggista); Claudio Bisoni (il critico e il marmo: le monografie di Callisto Cosulich); Sergio Crechici (i quattro moschettieri del cinema triestino); Roberto Calabretto (Callisto Cosulich e la musica per film). 
Le Testimonianze comprendono invece: Carlo Lizzani (Callisto Cosulich: uno sguardo oltre il cinema); Renzo Rossellini (Rossellini & Cosulich); Alessandro Mezzena Lona (uno schermo di ricordi per Callisto); Alberto Crespi (quell’estate del 1991: Cosulich e la settimana della critica); Franco Giraldi (Callisto ed io, dal Circolo della Cultura e delle Arti a Via Massaciuccoli).
Il libro è introdotto da uno dei due autori, Elisa Grando con il brano  “Callisto Cosulich un critico fuori misura”. La Grando firma anche un incontro con Cosulich e riporta un soggetto inedito di film dell’ intervistato. 
Infine il libro (prezzo: 16 euro) prevede anche una bibliografia molto ampia e accurata, con citazione di libri, saggi, singoli articoli, prefazioni e postfazioni, indici di film e immagini e memorie. Mi pare giusto farne cenno nel Blog per tanti e diversi motivi. Callisto Cosulich e sua moglie, la carissima Lucia (che nasce Rissone, figlia di Checco e nipote di Giuditta, prima moglie di Vittorio De Sica, per cui Emi De Sica è sua cugina prima) per tanti anni furono compagni d’albergo al “Sorriso” del Lido di Venezia. Il che significa che trascorremmo insieme tanti e tanti periodi della Mostra del Cinema, un accadimento rituale, allora come oggi, nella vita di molti critici cinematografici. Il “Sorriso” era un piccolo e modesto hotel del Lido, praticamente collocato sul retro dell’ultima parte della spiaggia (quella che iniziava trionfalmente con le cabine dell’Excelsior). Davanti all’albergo si trovava un campo di tiro a segno che in quei giorni di festival (fine agosto, primi di settembre) radunava torme di eroi della doppietta che sparavano perdutamente dal mattino alla sera mentre tutti noi eravamo inchiodati, nelle nostre camere, davanti alle macchine da scrivere (non era certo l’epoca dei computer! Dovevamo portare i nostri fogli, freneticamente riempiti, sino al Palazzo del Cinema, dove in piccole stanze si annidavano le telescriventi di “Radio Stampa”, una società che aveva il monopolio in materia, e serviva praticamente tutti i quotidiani d’Italia). L’albergo prima della Mostra era meta di una modesta clientela veneta. Quando la Mostra iniziava si popolava di un gruppetto di cinefili professionisti, le loro mogli ed i loro bambini (per questo ho visto Oscar Cosulich e Giovanni Kezich quando facevano le elementari). Eravamo quasi sempre gli stessi, anno per anno, e naturalmente Callisto, la moglie  e il bambino, rappresentavano una delle colonne di quella deputazione che aveva finito col dar vita ad una sorta di minoranza compatta e al tempo stesso polemica. E’ un ambiente che ho rievocato anche in un articolo da me scritto, non tantissimo tempo fa, in onore di Tullio Kezich e intitolato , con furbesco gioco di parole, “Il Sorriso  del grande tentatore”. Fra tutti Callisto spiccava proprio per la sua signorilità tranquilla e un po’ trasognata, che continua a rappresentare una delle sue caratteristiche di fondo. Nato (ricco, come ricorda lui stesso, facendo un parallelo con Roberto Rossellini) in una famosa famiglia triestina di armatori, originaria di Lussinpiccolo, a cui si deve anche la fondazione dei cantieri navali di Monfalcone, Callisto, per amor di cinema, rinunciò a Trieste ed alla laurea in ingegneria navale- gli mancavano pochi esami- per trasferirsi a Roma facendo il segretario della Federazione dei Circoli del Cinema. Ed anche a Roma dedicandosi a quella naturale passione di scrivere dei film e sui film che ha costituito l’asse portante di tutta la sua esistenza. Una vita che appunto il libro intende rievocare attraverso i numerosi capitoli prima citati, i quali fanno il possibile per dar conto di una esistenza al cinema interamente votata. Callisto ha sempre scritto per quotidiani (a Trieste, ovviamente, “Il Piccolo”, a Roma “Paese Sera”) ed anche per riviste diverse, allineando migliaia, anzi probabilmente decine di migliaia, di “pezzi” in cui, come tutti noi, ha dissipato ma ha anche splendidamente illustrato, un naturale talento di divulgatore. C’è in Callisto un amor di cinema ancora adolescenziale (quest’anno compie 90 anni) che fa il paio con il suo naturale “gauchisme”, che io non condivido ma che rispetto proprio per l’affezione che gli porto. Il libro dedicato a Callisto è un atto di giustizia che, come vecchio critico anche io da quotidiano, condivido profondamente e affettuosamente. Tutti noi siamo stati legati alla necessità di scrivere bene e rapidamente milioni di righe di testo che, poche ore dopo la pubblicazione, erano già moribonde, stampate in quotidiani rapidamente mutati in custodie di cibi e di oggetti di casa. 
Fra tutti Callisto, con la sua naturale signorilità e con la facilità di fornire festosamente informazioni ai colleghi che ne hanno bisogno ha sempre rappresentato, nella sua apparente quietezza, qualche cosa di straordinario (ad esempio Carlo Laurenzi, elzevirista principe, quasi costretto da Indro Montanelli alla critica cinematografica per “Il Giornale”, scoperse tardivamente questa sua qualità e ne rimase entusiasta). Ribadita dalla sua capacità di affrontare il mondo senza drammi. Si pensi alla sua avventura bellica, quando, arruolato in Marina come aspirante guardiamarina, si trovò imbarcato sull’ “Eugenio di Savoia” e ricevette l’incarico di occuparsi delle proiezioni cinematografiche per i marinai. Gli fece vedere anche “La corazzata Potëmkin”) e, la sera dell’8 settembre 1943, “L’eterna illusione”, mentre tutte le mitragliatrici antiaeree de La Spezia, festeggiando quel che sembrava la fine della guerra, traforavano il cielo di proiettili luminosi e fu poi congedato solo nel 1945.
Callisto è impagabile e siamo ancora in tanti a volergli bene. 

19 maggio 2012

IL BIANCO PERDE IL BANCO



C’è una notizia che tutti i giornali italiani hanno ripreso ieri e che il giorno prima era stata resa nota dal New York Times. E cioè che, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, nel 2011 i neonati bianchi non ispanici sono stati meno della metà dei due milioni di nuove nascite. Le“minoranze”(ispanici, neri, asiatici e figli di coppie miste) sono diventate, seppur di pochissimo,  maggioranza, il 50,4%. E’ una notizia in qualche modo attesa ma pur sempre clamorosa. Poiché se questa tendenza demografica continua (e magari si amplifica) fra qualche generazione gli Stati Uniti saranno un paese completamente diverso da come li abbiamo conosciuti noi. In certo senso questa notizia ha anche un sapore di avvertimento per l’Italia, dove il numero degli stranieri continua sistematicamente ad aumentare. Anche perché gli italiani e soprattutto le italiane non hanno più voglia di praticare certi mestieri: si pensi alla decisiva presenza delle badanti latino-americane, rumene, moldave, ucraine, peruviane, ecuadoriane, eccetera, dalle quali, bene o male, dipende l’esistenza stessa di milioni di italiani sempre più vecchi e indifesi.
Ma negli Stati Uniti il “sorpasso” che ho prima menzionato cambia in modo decisivo un assetto demografico, psicologico, comportamentale che li contraddistingue dal momento stesso in cui sono nati. Erano, all’origine, e sono rimasti  per generazioni, un paese W.A.S.P. (White, Anglo-Saxon, Protestant), ove la lezione dei Padri Fondatori rimase viva e ascoltata per moltissimo tempo. La compattezza etnica rispondeva ad una continuità mentale e culturale, quella che ha reso possibile il “miracolo” del passaggio nel giro di meno di due secoli da una piccola colonia di inglesi ribelli alla più importante nazione del mondo. Questa compattezza fu incrinata una prima volta con l’arrivo massiccio di poveri emigranti europei, segnati da diverse vocazioni etniche e religiose: italiani meridionali, irlandesi, polacchi, estranei o nemici fra di loro ma tutti fervorosamente cattolici (una netta eccezione fu rappresentata dall’arrivo, spesso dall’Impero russo, degli ebrei askenaziti con il drammatico carico linguistico e religioso che gravava su di essi). Ma non v’è dubbio che questa immigrazione si è sforzata in ogni modo di inserirsi nel tessuto civile e linguistico del paese “antico”. Quel che, presumibilmente, non credo sia accaduto con i milioni di immigranti latino – americani. I quali conservano la lingua spagnola  con una tenacia generalizzata a tutto il paese e che, nonostante la conservazione dei dialetti nelle “isole” siciliane, non ha avuto eguali in una storia ancora articolata, almeno fino a tutti gli anni’60, da un profondissimo desiderio di inserimento e di “naturalizzazione”. Evidentemente un primo fattore di diversità lo si dovette alla presenza di migliaia di africani, cinicamente strappati al loro continente,  costretti a diverse forme di schiavitù ma sin dagli inizi linguisticamente, seppur fantasiosamente, integrati. Di fatto tenuti a distanza per generazioni in una nazione che ancora oggi si articola nelle città in quartieri bianchi e neri, ma che ha conosciuto negli ultimi 50 anni una integrazione non ancora totale ma certamente ancora impensabile ai tempi di Martin Luther King, i “black”danno vita ad un altro fenomeno tutto particolare. Sicuramente diverso di quello rappresentato dall’ immensa immigrazione “messicana” (che spesso messicana non è perché è fatta da latino – americani di molti diversi paesi di lingua spagnola).
Non v’è dubbio che essi fanno parte di una America “precedente” a quella che cominciamo a conoscere adesso e che non riusciamo ancora ad immaginare quale aspetto definitivo assumerà fra 50 anni. Proprio in questi mesi, rivedendomi in Dvd tanti fondamentali film americani degli anni’40 e ’50 sono rimasto ancora una volta colpito dal fatto che essi ritraggono una nazione apparentemente compatta. Una nazione di bianchi, in cui i neri figuravano solo occasionalmente come servitori, facchini o dipendenti delle ferrovie, ed in cui i latino – americani fruivano ancor più occasionalmente di fugaci apparizioni ridanciane. Un po’ come capitava agli italiani, che, se apparivano, erano generalmente grassocci, furbeschi, servilmente ridenti, quasi strappati a forza dalla recita di una filodrammatica napoletana, evidentemente con l’eccezione dei gangster che erano invece freddamente feroci o istericamente autocelebranti.
Tutto questo mondo sparirà nei prossimi decenni. L’America che abbiamo conosciuto nel 1945 sotto forma di soldati bianchi, ben vestiti, ben rasati, ben nutriti, coccolati dalle ragazze e di qualche reparto nero, apparentemente sottomesso ma aggrappato all’esplosiva fuga del jazz, non ci sarà più.
Chi vivrà da qui al 2050 assisterà probabilmente ad una sorta di quieta ma decisiva rivoluzione all’interno di una nazione apparentemente eguale ma sostanzialmente molto diversa. Ma che è stata, e forse lo sarà ancora per molti anni, quella che ha maggiormente condizionato il mondo in cui viviamo. Per cui ogni suo cambiamento avrà conseguenze esplosive anche al di fuori delle frontiere degli Stati Uniti. 

A DOMANDA RISPONDE



Sempre in attesa (la colpa del ritardo è mia!) di inserire qualche ghiotta “recensione” in video e immagini dvd montate da Lorenzo Doretti, provvedo qui a fornire qualche risposta agli ultimi post pervenuti.
Rispondo ad Anonimo che ha inviato un commento dopo il mio breve brano “Adieu, Sarko!” del 09 maggio 2012. Confesso di non aver capito bene il passaggio fra la Francia di Sarkozy (forse anch’essa in corso di “pericolo finanziario”) e la Grecia, ben più pericolante. Ho trovato in internet brani e video abbastanza significativi a proposito dei militanti di Alba Dorata, ma da quel poco che ho capito in genere mi pare  che i partiti tradizionali della Grecia dovrebbero riscuotere alle prossime elezioni di Giugno una risicatissima maggioranza. Come tutti sono in allarme anch’io.
Risposte ora Post pervenuti dopo la pubblicazione di “A domanda risponde” del 11 maggio 2012 (come si vede domande e risposte si incrociano ulteriormente). Mi fa piacere che il Principe Myskin abbia apprezzato moltissimo la prima parte de “I migliori anni della nostra vita”, e confesso francamente che mi fa anche piacere che lui e un suo amico seguano il mio piccolo ciclo dei “Film americani che conviene aver visto” e rendano in qualche modo onore all’elenco a suo tempo pubblicato di registi e di film “fondamentali”. Confesso anche che mi hanno divertito le sue valutazioni a proposito di “Identificazione di una donna” di Michelangelo Antonioni. Il Principe mi sembra perplesso. Gli ricordo, ad esempio il giudizio apertamente favorevole del Morandini: “(…) è il più concreto dei film di Antonioni, quello in cui c’è maggiore spazio alle emozioni, al comportamento, alla fisicità. Il più parlato anche  (Gérard Brach in sceneggiatura con l’apporto di Tonino Guerra), il più ironico e il più sereno anche se di una contristata serenità, puntato sui personaggi più che sul loro rapporto con l’ambiente e il paesaggio.” E’quello invece negativo di un altro amico, Paolo Mereghetti, che anche egli nel suo Dizionario scrive: “(…) è un film inutilmente verboso che cerca di descrivere l’impossibilità di possedere il mondo con l’immaginazione  - Fofi -; per farlo usa simboli datati e scontati (…) che la raffinata fotografia di Carlo Di Palma non riesce a vivificare. La  presentazione a Cannes fu l’occasione per dare ad Antonioni una Palma d’oro per l’insieme della sua opera.” Ho riportato due opinioni riassuntive e nettamente opposte per restituire le contrastanti reazioni dell’epoca. Invece mi fa veramente piacere che gli sia “ripiaciuto” lo straordinario “Jazz band” di Pupi Avanti. Un terzo amico che, probabilmente, in quello sceneggiato televisivo, ove si rievocava la sua ingenua e forsennata passione giovanile per la “musica americana”, ha raggiunto uno dei livelli più alti della sua irregolare ma vastissima autobiografia a 35 m/m. Fra i corrispondenti figura anche Rosellina Mariani a cui, unendo due sue post, darò una risposta complessiva poche righe più in là.
Rispondo ora a chi mi ha scritto a proposito di “Guerre (palesi) dei giornali e guerre (clandestine) d’Italia” del 15 maggio 2012. Anonimo (che poi in realtà si firma: Cinzia) traccia un parallelo fra i giornalisti di oggi, anche quelli delle testate più famose, e gli strilloni di un tempo (me li ricordo benissimo, erano ancora in funzione in tutti gli anni’50 ed effettivamente, a volte, gridavano notizie insensatamente deformate). Io ho vissuto a lungo nei giornali e non mi pare che, nella sostanza, i giornalisti siano molto cambiati. I pregi, e soprattutto i difetti, mi sembra siano sempre gli stessi. E’ un argomento interessante quello dei giornalisti (e cioè della loro preparazione o impreparazione, della loro aggressività e della loro tendenza a dimenticare rapidamente le notizie clamorose sostituendole con altre ancora più clamorose) su cui vorrei ritornare con maggior calma. Sempre lo stesso giorno ecco le considerazioni di Rear Window  e di Rosellina Mariani, le quali fanno riferimento alla crescente diffusione on line dei giornali, a scapito delle edizioni cartacee che, rispetto al web, sono ovviamente sempre in ritardo. Rosellina mi fa presente che da una notizia Ansa del 4 agosto 2011 si apprende che contrariamente a quel che accade in Europa e negli Stati Uniti, nel BIC (Brasile, India, Cina) aumentano a dismisura giornali e riviste a stampa. Francamente non saprei spiegarmene il motivo. In Europa e negli Stati Uniti una delle cause è sicuramente la disaffezione verso la carta stampata che agita gli animi dei più giovani, ormai abituati a conoscere il mondo solo attraverso il web. Per quel che accade nel BIC una spiegazione potrebbe essere la povertà di fondo di centinaia di milioni di persone, le quali non possono attingere all’uso dei computer ma che, essendo alfabetizzati, possono orientarsi verso la carta. E’ una spiegazione che mi sembra, come si dice, tirata per i capelli. Forse qualche lettore mi saprà suggerire qualcosa di più attendibile. Approfitto per ricordare a Rosellina che vorrei sapere qual è la sua opinione sui miei capitoletti autobiografici (sono molto banali?) pubblicati in “FilmTv”.
Intanto invio molti saluti a tutti.

15 maggio 2012

GUERRE (PALESI) DEI GIORNALI E GUERRE (CLANDESTINE) D'ITALIA


Attingendo a due statistiche diverse perchè condotte con criteri diversi  ho cercato di capire quale sia veramente, fra Corriere della Sera e La Repubblica, il quotidiano più importante e diffuso d'Italia. La conclusione è complicata ma una cosa è sicura: per ciò che riguarda il peso della stampa aumenta sempre di più il potere di Roma.


C’è un argomento appassionante (per chi ci si appassiona, ovviamente. Io  mi interesso di giornali fin da ragazzo, da  quando, in un pomeriggio del tardo luglio 1943, non ancora quattordicenne lessi avidamente sul “Corriere della Sera” le prime notizie ufficiali e ufficiose sull’arresto di Mussolini). L’argomento è appunto quello della diffusione dei maggiori quotidiani italiani e, quindi, del  numero di lettori di cui ciascuno di essi fruisce. E’ un tema  sul quale sono apparsi in questi ultimi tempi notizie senza dubbio interessanti anche se, almeno in apparenza, contraddittorie. Ad esempio ecco, da un lato, le abituali statistiche pubblicate mensilmente da quell’eccellente rivista specialistica, dedicata appunto ai problemi della stampa e dell’informazione, che è “PRIMA Comunicazione”. In base a ciò che si legge nel numero di Aprile 2012 vi sono cifre che farebbero pensare che il quotidiano italiano di maggior diffusione sia il Corriere della Sera. Infatti i dati riportati a pagina 2 sono chiari. Media copie diffuse nel Febbraio 2012 rispetto all’anno prima: Febbraio 2012 copie 459.100, Febbraio 2011 copie 490.700. Il che significa, confrontando appunto i due mesi di Febbraio a distanza di un anno, un arretramento di 31.600 copie, con una perdita del 6.4% (ometto tutti gli altri dati e gli altri raffronti per non intasare la pagina di cifre e confondere la mente dei lettori). Gli stessi dati per La Repubblica sono di 402.900 nel Febbraio 2012 e 434.200 nel Febbraio 2011, con un arretramento di 31.300 copie e quindi, percentualmente, una diminuzione del 7.2%. Gli stessi dati per Il Sole 24 Ore sono di 266.600 per il Febbraio 2012 e di 262.600 per il Febbraio 2011 con un aumento di 4.000 copie e, percentualmente, dell’1.5%. Si potrebbe anche citare il terzo quotidiano generalista d’Italia e cioè La Stampa: 257.600 per il 2012 e 262.700 per il 2011, con una diminuzione di 5.100 copie e, percentualmente, dell’1.9%. Come si vede tutti  gli elementi tendenzialmente  riguardano quotidiani largamente diffusi, ma in buona parte in crisi   con l’eccezione di quelli sportivi (i quali sono, credo, una delle curiosità della stampa italiana, la quale può vantare ben tre quotidiani di questo tipo, il che mi sembra il massimo per una nazione europea. La Spagna e la Francia, per quanto ne so io,  ne hanno uno solo a testa, Marca e L’Equipe).
Da questi dati sembrerebbe pertanto che il Corriere della Sera, anche se in perdita, sia comunque il più diffuso quotidiano italiano, sopravanzando La Repubblica di circa 56.000 copie. Al contrario, secondo i dati pubblicati recentemente dallo stesso Corriere della Sera in data 11 Maggio 2012, da un altro punto di vista la classifica sembrerebbe sostanzialmente diversa. Innanzitutto il primo in assoluto risulterebbe uno dei tre deliberatamente omessi nelle graduatorie di “PRIMA”, e cioè La Gazzetta dello Sport che, secondo i dati di Audipress riguardanti i “lettori medi giornalieri” avrebbe raggiunto i 4.420.00, seguita da La Repubblica che perderebbe 12.000 lettori giornalieri, scendendo pertanto a quota 3.511.000 (diminuzione -0.3%) mentre il Corriere della Sera ne perderebbe ben 77.000, con una diminuzione del 2.2%.
In sostanza si tratta di dati, strettamente parlando, non raffrontabili perché i primi concernono le copie diffuse e i secondi il numero dei lettori. Tuttavia resta evidente la disparità dei consuntivi: il Corriere della Sera, in testa nei dati riguardante la diffusione secondo “PRIMA Comunicazione”, è invece secondo, per ciò che riguarda i lettori,  in base a ciò che è pubblicato dal Corriere della Sera. Un’altra considerazione che si può trarre da queste ultime cifre citate è che i trionfatori della stampa quotidiana, sempre calcolando i “lettori medi giornalieri”, siano i quotidiani sportivi. Della Gazzetta dello Sport abbiamo già detto. E’ sostanzialmente quasi stabile il secondo giornale specializzato e cioè il Corriere dello Sport-Stadio (molto diffuso a Roma e, credo, nel Centro Sud) con 1.862.000 lettori quotidiani (-4.000 e -0.2%) mentre il terzo quotidiano sportivo, e cioè Tutto Sport (più diffuso al Nord) è addirittura in aumento, con 1.129.000 lettori ed un attivo di 55.000 unità pari al 5.1%. L’unico quotidiano non generalista che, in base alle due statistiche diverse nei criteri di valutazione, sembra ugualmente in vantaggio è Il Sole 24 Ore (come è noto specializzato in economia). Il quale secondo “PRIMA Comunicazione” si trova al terzo posto assoluto con 266.600 copie diffuse nel Febbraio 2012 (aumento di 4.000 e cioè dell’1.5%) mentre secondo l’altra classifica sarebbe passato a 1.243.000 lettori (+64.000 con un aumento percentuale del 5.4%). Per la verità c’è ancora un altro quotidiano che, secondo le cifre pubblicate dal Corriere della Sera acquista copie con una percentuale del 5.3%: è Il Mattino (di Napoli), che però rientra già fra i quotidiani regionali importanti come Il Gazzettino o Il Secolo XIX ed è fuori dal giro dei pesi massimi.
Che cosa si deduce da questo guazzabuglio di cifre? (sempre che l’eventuale lettore sia riuscito a sopravvivere). Almeno due considerazioni fondamentali. E cioè che da un lato i quotidiani “importanti” perdono peso e lettori. Dall’altro che il loro ripudio sia parzialmente compensato dall’aumento dei lettori dei giornali “specializzati”. Anche questo, probabilmente, è un indizio negativo. Si direbbe infatti che un numero sempre più grande d’italiani rifiuti le informazioni generiche, e quindi anche quelle propriamente specifiche e politiche ma, in compenso, che un numero sempre crescente ricerchi quelle “evasive” o “professionali”. Rifugiarsi nei giornali sportivi, per gioire dello scudetto juventino o per addolorarsi per il semi-sicuro addio di Inzaghi, è forse una forma di fuga e di ripudio da parte di un pubblico sempre più spaventato dalle cronache ufficiali e ufficiose dell’Italia non sportiva. Mentre  approfondire le informazioni economiche può anche essere un sintomo del brivido del lettore medio ma consapevole di fronte ai terribili problemi della crisi dell’euro e del deficit del debito pubblico italiano.
L’altra considerazione riguarda il “peso” dei giornali di cui si tratta. Nell’elencazione di “PRIMA” il Corriere della Sera rimane in testa e quindi rimane in testa anche Milano. Nell’ottica del calcolo delle copie vendute, invece, se ci si va ad informare leggendo La Repubblica si vede che il quotidiano romano, secondo il quotidiano stesso mantiene una quota stabile di lettori di 3.511.00 (-0.3%) mentre il Corriere della Sera scivolerebbe del 2.2% a 3.353.00 allargando il vantaggio de La Repubblica sino a 158.000 lettori al giorno. Qui la vittoria di Roma sembrerebbe netta.
In ogni caso, chiunque sia il vincitore della competizione a due, la lotta sembra esplicita e nettamente individuata, fra Milano e Roma. Non v’è dubbio che questo scontro contraddistingua gli ultimi venti anni di un panorama giornalistico profondamente mutato. Un tempo i giornali attendibili e importanti erano al Nord, contando anche La Stampa di Torino, per molti anni vittoriosamente avversato dalla “Gazzetta del popolo”, anch’essa di Torino. Attualmente quelli di Roma, in particolare La Repubblica, risultano  altrettanto attendibili e importanti, e non solo perché sono redatti nella capitale (spesso i quotidiani romani del passato erano inferiori e contavano soprattutto perché erano gli echi della “voce del padrone”. Capitò anche a testate di prestigio e di valore come “Il giornale d’Italia”, inizialmente liberal-monarchico di peso sulla scia dei fondatori Sonnino e Salandra ma mutato poi, con la direzione di Virginio Gayda, in un megafono personale di Mussolini). Ciò significa che anche nella stampa si è riverberato il profondo mutamento verificatosi in Italia negli ultimi decenni, da quando Roma conta ormai  tre volte più abitanti di Milano e, sotto molti punti di vista, è divenuta  anch’essa una capitale finanziaria e tecnologica e non solo politica e cinematografica. Una rivoluzione cui molti italiani non si sono resi conto ma che ha sostanzialmente mutato i dati strutturali di una nazione, ove la capitale, a suo tempo disperatamente trascinata a Roma ad opera del Nord piemontese, ha acquistato ormai col passare degli anni una sua autonomia e spesso una sua preminenza bene al di là dei confini ministeriali e governativi di un tempo.  Qualche decennio fa Milano contava ancora moltissimo anche fuori dei campi propriamente finanziari. Ad esempio se si ripensa ad un Remigio Pavone, si vede che Milano, fra le diverse preminenze in cui si articolava, era anche la capitale del teatro italiano dove produttori ed attori andavano a stabilirsi, mentre ora la stessa cosa accade a Roma. La quale indubbiamente sotto il fascismo si è ingigantita, attraverso l’esplosione di una classe dirigente e impiegatizia parastatale, acuitasi ormai senza limiti. Ma che solo nel dopoguerra, e in particolare da qualche decennio a questa parte, si è posta non più come una alternativa ma come una reale protagonista solitaria. 
Una Roma (ed una Milano) che probabilmente Alberto Sordi, romano da esportazione e da simbolo, nell'adolescenza andato a Milano (vi vide per la prima volta in vita sua le pubblicità luminose) per studiare recitazione e scacciato dopo poche settimane perché aveva l’accento romanesco, non riuscirebbe neppure a riconoscere. Che poi i quotidiani (quasi tutti e non solo in Italia) perdano copie perché i giovani, affascinati da internet e dai “cinguettii”,  non li comprano più, è verissimo. Ma è già tutt'altro discorso.
Ci sarebbe un altro tema da affrontare, e cioè quello dell'importanza relativamente crescente, dell'editoria libraria romana nei confronti della città che dell'editoria italiana è il luogo deputato, e cioè Milano.  Anche questo è un tema interessante ma purtroppo non posseggo né i dati né la competenza necessaria per affrontarlo. Chissà che qualche lettore sapiente non possa aiutarmi?

(battute: 9.947)

11 maggio 2012

A DOMANDA RISPONDE


Inizio a rispondere ai post inviatomi dal 24 Aprile in poi. Il raffronto operato dal principe Myskin fra i calciatori del Genoa e i tifosi che si fronteggiavano immobili mi ha tristemente divertito. Sono curioso di conoscere le sue impressioni su “I migliori anni della nostra vita”. In effetti il pensiero di Fiorella circa le “Lettere dei condannati a morte alla Resistenza” ed il suo rapporto con la partita del Genoa non è chiarissimo ma certo è significativo. Non è possibile paragonare la dignità degli uni alla ingenua violenza degli altri. C’è un pizzico di buon senso in quel che dice “Anonimo” a proposito degli Ultras genoani che hanno bloccato una partita e preteso le maglie dei giocatori. In fondo dopo, quell’inverecondo episodio, bisogna riconoscere che il Genoa è mutato in meglio e qualche giocatore ha ricominciato a correre. Le osservazioni di Rear Window sono sostanzialmente fondate. Apprendo con piacere che è genovese e genoano e pertanto lo esorto ad un ragionevole pessimismo…
Sempre per ciò che riguarda i post del 24 aprile concernenti però “L’uomo Ombra” sono proprio contento che il film abbia piacevolmente incuriosito Rosellina Mariani, la quale ha deciso di comprare il cofanetto dei film. Anche il mio dentista ha avuto la stessa reazione. Comincio a pensare di essere un benemerito del commercio dei DVD. Approfitto anche per ringraziare Rita M. dei suoi complimenti.
Per quel che riguarda i post del 30/04/2012 “Curiosità periferiche per parole esotiche ma di uso comune” ringrazio PuroNanoVergine per le sue osservazioni sul suffisso “poli” (affittopoli, calciopoli, parentopoli…) rigorosa manifestazione di cattivo gusto e di pigrizia giornalistica nostrana. I dubbi di Enrico sulle pronunce inglesi potrebbero essere moltiplicati per milioni. La grafia inglese, rispecchiando l’origine e la nascita della lingua (frutto di un ibrido connubio fra il francese medioevale dei normanni e il sassone dei sassoni) è, come è noto, una delle più ordinate forme di follia che i britannici abbiano inflitto al mondo, oltre che a se stessi. Se ricordo bene è stato George Bernard Shaw ha lasciare una parte d’eredità ad un ente incaricato di razionalizzare l’anarchico modo inglese di scrivere. Ottima l’osservazione sul “piuttosto che” applicabile ai menù ma anche al resto dei discorsi possibile. Molto divertente l’ipotesi di SG sul fatto che il termine inglese “chat” derivi dal genovese “ciattella”, “ciattellà”. Divertente ma insostenibile, giusta la osservazione del dizionario Meriam Webster che recupera un uso risalente al XV secolo. Ringrazio Rosellina per il suo interesse per la mia rubrichetta “Salvate la Tigre” su “Film TV”. Ricordo che essa appare una sola volta al mese ed esattamente il primo martedì di ogni mese. Ovviamente, trattandosi di un settimanale, la rivista rimane nelle edicole la massimo sette giorni.
Per il resto molti saluti a tutti e grazie.

9 maggio 2012

ADIEU, SARKO!


Visto e rivisto l'addio di Nicolas Sarkozy ai suoi fedeli ed alla sua presidenza, è stato calmo, intenso, scaltro ma anche sincero, a testimonianza di un reale spirito da uomo di Stato, spesso scalfito in passato da una sorta di frivola intemperanza. Le righe che ho scritto qui sotto sono il minimo che gli si possa tributare.

Ho visto in diretta, e poi l’ho rivisto in internet, il discorso con cui a Parigi, alla Maison de la Mutualité, Nicolas Sarkozy si è congedato dal pubblico dei suoi sostenitori.
Mi rendo conto, ed è evidente in molti dei nostri giornali, che in Italia il clima non è favorevole allo sconfitto Presidente francese. Ma mi sembra doveroso qui, visto che io gli sono sempre stato favorevole, far cenno di questo suo momento di congedo, che non è stato imbarazzato come quello di Lionel Jospin cinque anni fa ma, vorrei dire, pieno di autentica nobiltà e, al tempo stesso,  di articolata astuzia. La platea che aveva di fronte non era meno passionale di quella che contemporaneamente, in un’altra parte di Parigi, festeggiava il vincitore François Hollande. Anche qui c’erano molte ragazze giovani, però palesemente sconvolte dalla sconfitta, le quali piangevano e invocavano in coro “Nicolas, Nicolas”. C’erano molte bandiere tricolori (ovviamente nella folla che festeggiava Hollande c’erano invece molte bandiere rosse) e una qualità collettiva dei partecipanti di tonalità medio borghese e, come si dice in Francia, molto BCBG (Bon chic, bon genre). Ma il livello di partecipazione era lo stesso e, semmai, la consapevolezza della sconfitta acuiva l’intensità passionale delle reazioni.
Di fronte a questa folla fedele e addolorata, propensa ad ogni tipo di partecipazione scomposta, Sarkozy è stato invece preciso, autorevole e severo nel richiedere rispetto per Hollande, il quale era ormai il nuovo Presidente e che tutti i francesi dovevano quindi riconoscere come il loro capo. Ha precisato che di fatto intendeva ritirarsi dalla vita politica ma non da la militanza di partito, a differenza di quel che a suo tempo aveva fatto Jospin.
Ha ribadito che nella sconfitta il capo era tenuto ad assumersi ogni responsabilità, e che il capo era stato lui. Ha ringraziato chi lo aveva sostenuto dicendo che quel che aveva ricevuto dai suoi partigiani era stato straordinario e indimenticabile. Dopo 35 anni di vita politica e, in particolare, dopo 10 anni di responsabilità ad alto e altissimo livello (ministro degli interni e poi Presidente della Repubblica) era giunto per lui il momento di abbandonare e di cambiare.
Mi rendo conto che tutti quelli che avevano avuto inizialmente simpatia per Sarkozy in Italia ora lo hanno completamente abbandonato (si prenda il caso di Giuliano Ferrara, che credevo fosse un suo sostenitore e che invece a “Qui Radio Londra” ha apertamente gioito per la sua sconfitta ricordando il “siparietto” anti italiano fra lui e la Merkel). Ma dal mio punto di vista mi sembrerebbe scorretto, e anche un po’ vile, unirmi alle deprecazioni degli altri senza riconoscere all’addio di Sarkozy una fredda ma drammatica consapevolezza del momento, una eleganza di dizione che interpretava benissimo l’intensità dei sentimenti suoi e dei presenti.
In un partito come lo UMP, che formalmente si richiama in modo esplicito alla tradizione gollista ma che dal gollismo mi sembra molto distante, ho sentito nelle parole di Sarkozy aleggiare per un attimo il peso e l’intensità della lezione del Generale. Se la Quinta Repubblica funziona in Francia è per merito totale di De Gaulle. Sarkozy, che a volte è sembrato invece furbescamente pronto ad approfittare di momentanee utilità, ha rivelato qui, al momento di partire, una statura autentica di uomo di Stato, che spesso non si è avvertita nei cinque anni del quinquennio (o, come si ama dire attualmente, in modo francioso “del quinquennato”).
Mentre parlava ho sentito per un momento aleggiare per la sala il sapore di un’ epoca passata e straordinaria. Mi è parso che per un attimo il ricordo dell’uomo del 18 giugno fosse in sala presente e palpabile. E mi sono quasi commosso.

NUOVO NUMERO DI FILM TV

E' uscito, e si può pertanto richiedere in edicola, il n.1007 di "Film TV" settimanale di cinema, televisione, musica e spettacolo diretto da Aldo Fittante! Colgo abilmente l'occasione per ricordare che, ogni primo martedì del mese, la rivista contiene la mia rubrica "Salvate la Tigre" (titolo suggerito dallo stesso Fittante) in cui rievoco brevemente i miei interventi effettuati durante i miei 24 anni di Rai. Cioè intesi a introdurre nel mercato italiano opere inedite o ad effettuare la "Restitutio in integrum" di film in un qualche modo mutilati nel momento in cui erano stati inseriti nel circuito nostrano.
Come sempre "Film TV" contiene i programmi televisivi minutamente esposti. In questo caso elenca i programmi dal 13 al 19 Maggio di 50 Reti televisive, le schede dei film trasmesse dai vari canali e le recensioni di 10 nuovi film in uscita nelle sale.
 Oltre a questa amplissimo servizio il sommario prevede:



" Un Grande Speciale su CINEMA & MAFIA in occasione di una serie di anniversari: i 20 anni dalle stragi di Capaci e di Via D’Amelio e i 30 anni dagli omicidi di Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa. Articoli di presentazione sui nuovi film per la televisione su PAOLO BORSELLINO e sulla sua scorta, una filmografia ragionata e unica divisa per voci e personaggi che hanno contrassegnato la storia italiana degli ultimi 60 anni, una bibliografia con oltre 30 titoli, un’intervista con NANDO DALLA CHIESA, un focus su LEONARDO SCIASCIA e altre spigolature

 EVA GREEN*cover e servizio con filmografia sulla protagonista di DARK SHADOWS, il nuovo film TIM BURTON 

Tutto sul Dr. House*in onda su Canale 5 gli ultimi episodi della serie sul celebre medico: tutte le curiosità sui personaggi che hanno affollato le 8 Stagioni del serial che, tra una settimana, chiuderà per sempre i battenti negli States 

Il Libro del Momento*intervista con ELEONORA MAZZONI, attrice e oggi anche autrice di LE DIFETTOSE, un romanzo sugli effetti tragicomici della fecondazione assistita
 

i 30 anni di RADIO ITALIA e un perché sì perché no sugli AFTERHOURS
Marco Ferreri*A 15 anni dalla scomparsa, la locandina in regalo
di IL SEME DELL’UOMO "