Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

28 novembre 2012

Per piacere, intercettate! - Arrigo Petacco

Sono contento di poter inserire nel Blog, grazie come sempre alla decisiva collaborazione di Lorenzo Doretti, la telefonata che ho avuto con Arrigo Petacco. Lo conosco da quasi 60 anni (siamo coetanei) il che mi ha permesso di costringerlo ad una lunghissima auto - confessione ove si evoca e si rievoca una parte considerevole del giornalismo italiano post - bellico. Mi auguro che questo lungo viaggio verbale all'interno della vita professionale di Arrigo possa interessare molti lettori. In particolare devo correggere un mio errore. Per una sorta di subitanea mancanza di memoria ho commesso uno sciocco errore di attribuzione nel rievocare un libro di Arrigo, "La signora della Vandea. – Un' italiana alla conquista del trono di Francia" (Mondadori, 1994). La protagonista del libro è un personaggio storico, forse dimenticato al giorno d'oggi ma certamente ricco di risvolti romanzeschi. Si tratta della principessa Maria – Carolina (1799-1870), nata nella real casa di Borbone delle Due Sicilie (era figlia di Francesco I di Napoli e di Maria – Clementina d'Austria, figlia dell'imperatore Leopoldo II e nipote di Maria Antonietta). Cresciuta impetuosamente nell'esilio siciliano ed educata ad odiare i rivoluzionari, nel 1816 sposò giovanissima il Duca di Berry, figlio di Carlo X, Re di Francia dopo il fratello Luigi XVIII, a sua volta salito sul trono dopo il lungo intervallo del dominio napoleonico. Quattro anni dopo, il 14 febbraio 1820, il Duca di Berry venne assassinato da un fanatico bonapartista, Louis - Pierre Louvel, il quale riuscì così a spegnere in apparenza la discendenza dei Borboni "legittimi". Ma accadde che, diversi mesi dopo la morte del marito e cioè il 29 settembre 1820, Maria Carolina dette alla luce un figlio postumo del Duca di Berry. Per questa ragione il bambino venne chiamato "il figlio del miracolo", assunse poi il nome il Conte di Chambord e nel 1871 non divenne Re di Francia solo perché si rifiutò ostinatamente di accettare l'uso della bandiera tricolore, pretendendo di ritornare al vessillo bianco dei Borboni. La persuasione di essere la madre del giovanissimo "re in esilio" convinse Maria Carolina a cercare di scalzare il trono di Luigi Filippo, l'Orleans figlio di quel "Philippe Egalité" che aveva votato per la morte del cugino Luigi XVI, zio del Duca di Berry. Donna avventurosa si mise a capo di un gruppo di congiurati e cercò di sollevare la Vandea, in nome di suo figlio a favore del quale aveva abdicato il re in esilio Carlo X. Cercò di accendere una guerriglia come era successo 40 anni prima, quando i monarchici "chouans" vandeani avevano messo a ferro e fuoco un'intera regione. Ma era un'iniziativa senza senso, la Vandea era ormai una terra pacificata, gli Orleans non erano i Giacobini, e nel periodo maggio-giugno 1832 la rivolta finì. Ma avvenne che nel 1833 la principessa dette alla luce una bambina, Anna Maria (morta poi lo stesso anno). Di fronte allo sconcerto generale dovette confessare di avere sposato segretamente a Roma un nobile siciliano, Ettore Lucchesi Palli (da cui ebbe complessivamente cinque figli). Fu un momento decisivo, ma non unico per i risvolti avventurosi e romanzeschi, nella vita di Maria Carolina, che ebbe una vita sentimentalmente tempestosa e finì poi l'esistenza nel 1870, in Austria, ormai rifiutata dalla sua famiglia. Durante la telefonata, evidentemente rimbambito, ho detto che essa era la moglie del Conte di Chambord, mentre, come ho scritto prima, ne era la madre. Chiedo scusa a tutti.

26 novembre 2012

A DOMANDA RISPONDE

Rispondo qui ai post che mi sono giunti dopo aver messo nel Blog alcuni miei scritti. Lo farò qui di seguito, occupandomi via via di quelli più lontani e successivamente di quelli più vicini. Cominciamo con i quattro commenti che mi sono giunti in occasione della pubblicazione dell' "Osservatore Genovese", ovvero "Visto con il monocolo", in data 07/11/12. Mi hanno scritto Rosellina Mariani (come sempre!), Rita M., Ivana ed Enrico. Ringrazio tutti per la solidarietà. Va detta però una cosa importante. Dopo aver pubblicato sul Corriere Mercantile il breve brano che ho riportato nel Blog, l'ho spedito per Raccomandata 1 al Dottor. Gubitosi, Direttore Generale della Rai. Non avendo ricevuto risposta ma avendo individuato il suo indirizzo  e-mail glielo ho inviato con questo ultimo mezzo. Incredibilmente, nel giro di poche ore, mi è giunta una mail di ritorno in cui lo stesso Gubitosi mi forniva molto gentilmente delle spiegazioni. L'ho ringraziato spiegandogli come si era verificato il caso della "intervista impossibile". Lui mi ha immediatamente risposto autorizzandomi a dare pubblicità all'accaduto. E' quello che farò nella prossima puntata della rubrica del Corriere Mercantile, se non altro per far rilevare una efficiente cortesia, assolutamente stupefacente per chi ha passato 24 anni fra le brusche ed annoiate rudezze burocratiche della Rai. Rimando pertanto i lettori alla breve puntata che al più presto dedicherò all'accaduto nel Blog.
Vengo ora alle due missive ricevute dopo la pubblicazione del "Salvate la Tigre" del 17/11/12. Oltre a Rosellina che evoca Coluche e Cukor, Rita M. mi cita un film del 1956, "Incantesimo" (The Eddy Duchin Story con Tyrone Power e Kim Novak) in cui sarebbero state apportate "intrusioni" correttive nel doppiaggio italiano. Non ne so assolutamente nulla e sicuramente non mi sono mai occupato di questo film. E' curioso che il titolo italiano sia eguale al titolo che ha assunto da noi, "Holiday" con Katharine Hepburn e Caryn Grant, proprio di quel George Cukor prima menzionato. Infine approfitto qui per dar corso ad una richiesta di Rosellina che, a proposito di "Mano pericolosa" (la mia "recensione" era stata pubblicata il 30/10/12) mi aveva scritto che avrebbe voluto leggere tutto il brano di Jacques Lourcelles di cui citavo solo la prima frase. In via eccezionale, considerata l'acutezza dell'analisi del critico francese (personaggio di testa in un famoso gruppo di cinefili parigini chiamati, dal cinematografo di loro elezione, i "Mac Mahoniens") ho provveduto a far "ricopiare" per il computer il testo originale. Non lo farò altre volte, perchè non so quanti lettori del Blog gradiscano leggere in francese, e d'altro lato non ho voluto tradurre il testo in italiano perchè mi sembrava giusto conservare vocaboli e tonalità di quello originale. Approfitto per far presente che quando stabilmente compravo libri francesi (adesso non compro quasi più niente, neppure in italiano, perchè in casa non ho assolutamente più spazio) e poichè non esisteva e non esiste a Genova una libreria specializzata, mentre è molto difficile fare arrivare libri francesi, mi sono sempre servito con piena soddisfazione della "Librerie française" di Firenze ove la gentilissima signora Torricelli (non di Forlì!) cerca di risolvere ogni problema di approvvigionamento. Ricopio qui di seguito l'indirizzo:
 Piazza Ognissanti, 1 rosso 50123 Firenze Tel 055/21.26.59 e-mail: libfranflorence@iol.it

Ed ecco adesso il brano di Lourcelles, che nelle ultime righe rimanda ad una trasmissione televisiva di Antenne 2 del 1982, in cui Fuller spiega come ha ricostruito in studio a Los Angeles la sequenza iniziale del film ambientata nella metropolitana di New York:
 Admirable leçon de cinéma dont chaque plan est marqué par la sensibilité à vif de Fuller, Pickup on South Street est à la fois le plus impersonnel et le plus personnel des films. Il s’inscrit dans la veine documentaire du film noir, c‘est— à-dire qu‘il comprend beaucoup d’extérieurs et décrit une enquête qui pourrait donner lieu à un excellent  un excellent article de journal. Quand il était journaliste, Fuller avait d’ailleurs fréquenté les milieux de la petite pègre représentée ici. Les mérites de Pickup sont ceux d’un bon film d’action, parcouru de surcroît par le frémissement électrique que Fuller impose à tous ses récits : caractérisation aiguë des protagonistes secondaires et même des silhouettes (cf. l’homme s’empiffrant de riz qui vend des renseignements à Jean Peters et saisit avec ses baguettes les billets froissés qu’elle pose sur la table); tempo vif et parfois haletant; utilisation savante de la profondeur de champ et des longs mouvements d‘appareil pour donner à l’action sa juste dose de piment et de réalisme. (Par ailleurs, le baroquisme fullérien privilégie les plans très serrés ou très larges au détriment des plans moyens.) N’oublions pas l’humour, un certain humour sardonique et désabusé qui n’est pas spécifique à Fuller (cf. les films de Don Siegel) et qui a un double effet contradictoire, très fréquent dans le cinéma hollywoodien d’après-guerre : il distancie le spectateur d’un premier degré qui déjà ne fonctionnait plus à 1’époque mais accroche ainsi plus efficacement ce spectateur à 1 l’action en sollicitant sa complicité. Fuller laisse d’ailleurs tomber cet humour quand il juge bon, c’est—à—dire ici au milieu du récit. On jugera de son talent, de sa virtuosité et de son contrôle sur la matière du film au fait que la séquence la plus drôle de l’intrigue et la séquence la plus tragique ont pour protagoniste le même personnage, la vieille Moe (interprétée par la parfaite Thelma Ritter dont les compositions ont été souvent inoubliables cf. Letter to Three Wives‘, The Mating Season de Mitchell Leisen, l951, Rear Window‘: etc.). Dans la première de ces séquences, elle vende Widmark à la police selon tarif habituel. Dans la second séquence, elle se laisse assassiner, veille femme fatiguée, courageuse et intègre à sa façon, appelant la mort comme une délivrance. Passons à l’aspect le plus strictement fullérien du film. Toute l’action est vue du côté de deux rebuts de la société, deux personnages qui ne valent rien selon les valeurs bourgeoises de cette société, et donc traîtres l’un et l’autre à ces valeurs. La ressemblance profonde  qui existe entre Jean Peters l'aventurière et Widmark le pickpocket (passeé trouble, dynamisme et vitalité puissante, situation précaire de survie dans la jungle des villes) rend crédible le coup de foudre qu’ils ressentent l’un pour l’autre entre deux tabassages (ils n'arrêteront pas de se cogner dessus tout au long du film). Le point de vue de Fuller est de montrer une certaine solidarité une certaine intégrité chez ces personnages marginaux, assumant plus ou moins bien leur condition et adeptes à demi conscients d‘une morale qui pourrait en remontrer aux piliers de la société. Personnages décalés, déphasés constamment en déséquilibre entre l’univers des bons et celui des méchants et n’appartenant pas plus à l’un qu’à l’autre, ils permettent à l’auteur d’ exprimer, au sein de son pessimisme: explosif, une vision morale et non conventionnelle du monde. L‘anticommunisme sujet sert de critère pour juger de la relative pourriture des personnages. Ceux qu’affectionne particulièrement Fuller, tel le pickpocket joué par Widmark, se tiennent à la bordure du mal absolu, mais ne franchissent jamais la frontière. Quand ils sont tentés de le faire, leur bon ange les en empêche (scène où J. Peters assomme Widmark). Peut-être parce qu’ils sont les plus exposés, sont-ils aussi — dramatiquement et moralement — les plus attachants. N.B. Selon le désir des dirigeants de la Fox française, les agents communistes furent transformés, dans la version française du film, en trafiquants de drogue. D’où le titre: Le port de la drogue. Remake: The Cape Town Affair, 1967, de Robert D. Webb. Dans une séquence de l'émission de télévision << Cinéma Cinéma >> (du 1-12-1982 sur Antenne 2), Fuller commente à la moviola les premiers plans de son film et indique notamment sont, contre toute attente, des décors construit en studio.

Brano tratto da: "Dictionnaire du Cinéma" di Jacques Lourcelles, Editions Robert Laffont, Collection "Bouquins" dirigée par Guy Schoeller, Parigi 1992.

19 novembre 2012

LA TIGRE E’ STATA SALVATA ANCORA TRE VOLTE.


Provvedo adesso ad inserire nel Blog le ultime tre puntate pubblicate su FilmTv della mia rubrica “Salvate la tigre”. Ovviamente, anche in questo caso, mi auguro che interessino a qualcuno. Cordiali saluti.

7) Salvate la Tigre ( La signora scompare e riappare per merito mio).

Quasi sicuramente questa esperienza risale agli anni ’70, quando alla Rai dovevo occuparmi solo di film. Nel 1981 divenni capostruttura a Rai Due e le mie competenze si allargarono enormemente, inglobando anche telefilm, seriali, Tv Film e soap-operas, per cui ebbi più responsabilità e meno tempo a disposizione (fra l’altro dovetti anche inventare, anche da un giorno all’altro, il “cinema di notte”). In sostanza credo che l’esperienza di cui parlo adesso risalga perciò agli anni ’70 (più passa il tempo e più le esperienze del passato diventano “flou”).
Avevo l’intenzione di dedicare un ciclo ai film inglesi di Alfred Hitchcock, che sono in genere molto belli, ammontano a circa una ventina ed erano largamente sconosciuti da noi. Credo che per i soliti motivi contrattuali non riuscì nel mio intento. Alla fine mi ritrovai con una sola preda e cioè con il delizioso “The Lady Vanishes” del 1938. E’ uno dei film di “Hitch” di più esplicito impegno storiografico: in un treno trans-europeo, una ragazza inglese, Iris Henderson (Margaret Lockwood) simpatizza con un’anziana governante britannica, Miss Froyd (Dame May Whitty), la quale poi scompare subitamente senza lasciare tracce. Ma Iris è sicura di averla vista e di averle parlato e si mette disperatamente alla sua ricerca, fra passeggeri menzogneri e subdoli cospiratori. Alla fine, naturalmente, riuscirà a trionfare. Riuscii ad importarla, a farla doppiare ed a metterla in onda. Come Hitchcockiano militante sono molto orgoglioso (anche se nessuno me ne ha mai riconosciuto il merito) di questo tassello che consentì di allargare nel pubblico italiano la conoscenza del regista. Fra i doppiatori Fiorella Betti, Manlio De Angelis, Giorgio Piazza, Gianfranco Bellini e perfino Rosetta Calavetta. Tutto sommato un buon “cast”.

 (Battute 1.790).

8) Salvate la Tigre (“Garçon!” di Claude Sautet)

Ho sempre avuto molta attenzione e molta simpatia per l’opera di Claude Sautet (1924-2000). Esperto confezionatore, correttore di sceneggiature, regista raffinato, lavorò spesso con un gruppetto di interpreti di alta qualità.   E’ stato via via un piccolo maestro del nero francese (“Asfalto che scotta”,”Corpo a corpo”, “Il commissario Pelissier”), grande rievocatore di ricordi intimi e sentimentali (“L’amante“ cioè “Les choses de la vie”), insuperato cantore degli amori e dei dolori della medio - alta borghesia francese (“E’ simpatico …. ma gli romperei il muso”, “Tre amici, le mogli e (affettuosamente) le altre”), via via diresse un’altra serie di film di qualità, e infine gli ultimi “Un cuore in inverno” e “Nelly e Monsieur Arnaud”, piccoli e (forse) ormai dimenticati capolavori. Ma negli anni’80 avanzati mi accorsi che un suo film, “Garçon!” centrato su uno dei suoi attori prediletti, Yves Montand (fra gli altri Michel Piccoli, Romy Schneider, Serge Reggiani, Michel Serrault)  non era stato importato in Italia. Riuscii a comprarlo, a farlo doppiare ed a trasmetterlo. Purtroppo, schiacciato dai compiti molteplici che incombevano all’ epoca su un capo - struttura, non potei seguire il doppiaggio come avrei dovuto. Non credo, a memoria, che il film abbia ottenuto un grande successo in televisione ma mi consentii, in un certo senso, di pagare una sorta di debito d’onore con un regista da noi poco apprezzato.
Verso la fine della sua vita ebbi la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo e diventammo (quasi) amici. Mi raccontò moltissime storie personali che lo situavano in un momento determinato della società francese (aveva 16 anni nel 1940 al crollo della Francia). Da lui imparai molto, sul cinema francese e sul cinema in generale, e lo ricordo con molta nostalgia.

(Battute 1.792).

9) Salvate la tigre (Ruggivano gli anni di Cagney).

Sto cercando di ricordarmi quale sono i cicli di film che ho inventato  a Rai Uno e a Rai Due (così numerosi e complessi che fatalmente si estinguono nel ricordo). Uno di cui sono sicuro è quello che, dedicato a James Cagney, permise a tanti telespettatori di gustare questo eccellente attore, ormai completamente rimosso dalla memoria di tanti cinefili. Nato nel 1899 e morto nel 1986 di diabete, fu all’inizio di carriera un eccellente ballerino e si mutò poi in un divo di carattere, spesso obbligato a inventare indimenticabili personaggi di “duro” e di “gangster”. Fra film e TvFilm poco meno di una settantina di opere, nella maggior parte dei casi da protagonista o da coprotagonista, e dagli anni trenta ai sessanta quasi allo stesso livello di Gable, Cooper e Tracy. Per il ciclo credo di aver fatto doppiare diversi film, e di due inediti sono sicuro: uno è “Lady Killer” (1933) di Roy Del Ruth, che ricordo come uno scatenato strumento comico in cui Cagney è un gangster in fuga che si rifugia a Hollywood e diventa un divo del cinema. Il caso dell’altro è ancora più curioso. Si tratta di “The Roaring Twenties” (1939) di Raoul Walsh (lo ribattezzai “I ruggenti anni venti”), famoso nel mondo ma inspiegabilmente mai importato in Italia. Qui Cagney, al fianco di Bogart (forse per l’ultima volta comprimario di lusso), impersona un reduce di guerra che diventa uno dei capi del commercio illegale di alcol ed è fatalmente destinato a cadere. Come è noto Raoul Walsh (1889-1981) fu un autore autentico protagonista del cinema americano dagli anni 10 ai primi anni 60. Ci lasciò nel 1964 con “Far West”, in cui il genere, così tipicamente americano, è rivisitato con una sorta di pacata tristezza. 
Mi congedai a mia volta da Cagney importando “Terrible Joe Moran”, TvFilm inedito del 1984.

(Battute 1.799).

17 novembre 2012

RITORNA “SALVATE LA TIGRE”



Riprendo qui la pubblicazione di alcune delle puntate della rubrica “Salvate la tigre”di cui sono titolare sul settimanale FilmTv. Pertanto provvedo a riportare la quarta, la quinta e la sesta puntata pubblicate a suo tempo sulla rivista. Mi auguro che la cosa possa interessare i cinefili più attenti. Approfitto, con una certa civetteria professionale, per riportare anche i numeri di battute di ogni frammento. L’accordo con la redazione di “FilmTv” è che ogni puntata consti di 1800 battute. Come potrete vedere riesco quasi sempre a restare praticamente nei limiti.

4) Salvate la tigre

Il mio amico Enrico Lancia (grande intenditore di doppiatori, dotato di un favoloso orecchio) mi ha segnalato un piccolo avvenimento “cinefilico” di cui mi ero completamente dimenticato. Una domenica sera ha rivisto in una vecchia registrazione “Ribalta di Gloria” (Yankee Doodle Dandy, 1942) di Michael Curtiz. Ed ha avuto la sorpresa, assolutamente inaspettata, di riconoscere la mia voce che riassumeva brevi sequenze trasmesse in originale o che traduceva titoli di giornali americani. Me lo ha scritto e mi è venuto in mente quel che era successo (me ne ero completamente dimenticato). Lavoravo ancora a Rai Uno quando progettai e poi  misi in onda un fortunato ciclo inteso a rivalutare James Cagney, attore apparentemente monocorde ma in realtà capace di molte sfumature, consacrato come “duro” ma anche eccellente ballerino e uomo di commedia. Recuperai e proiettai molti film, naturalmente nelle copie integrali stampate apposta, diversi dei quali inediti  (uno di essi fu sicuramente “Lady Killer” del 1934). “Ribalta di gloria” è la biografia laudativa di George Michael Cohan (1878-1942),  popolarissimo attore e compositore di canzoni di grande successo (circa 1.500, si calcola, e fra di esse il famoso “Over There”, che divenne una sorta di inno nazionale durante la prima guerra mondiale). Molti dei doppiaggi forniti erano manchevoli (perché, non so). Invece di adottare il solito criterio Rai di tagliare brutalmente le immagini non coperte da doppiaggio finii nell’ufficio di un montatore dalle parti di Piazzale Flaminio: qui registravo per ogni brano “scoperto” un riassunto e le traduzioni prima citate. Fu un esperimento nuovo e probabilmente mai tentato in precedenza alla Rai. Non credo abbia avuto seguito. Chissà dove sono finite le copie dei film con la mia voce..?

(Battute 1.793)

5) Salvate la tigre

In Francia si stanno preparando ben cinque libri per commemorare Coluche. Il quale, nato a Parigi il 28 ottobre del 1944 e morto a Opio, nelle Alpi Marittime in un incidente di macchina il 19 Giugno 1986, continua a godere Oltralpe di una grande popolarità. Figlio di un imbianchino laziale e di una fiorista francese egli divenne un giovanotto estremamente parigino, in possesso di un tagliente e naturale humor proletario. Fatalmente approdò allo spettacolo leggero, francesizzò in Coluche il nome nativo Michel Gèrard Joseph Colucci, e iniziò una carriera salutata da un enorme successo personale. Paradossalmente si candidò alla Presidenza della Repubblica e fondò una catena di mense per i poveri, “Les restos du coeur”, tuttora in funzione. Il suo personaggio beffardo, rivestito di una “salopette”blu e di una T-Shirt gialla, divenne famoso . Lavorò in almeno 26 film, oltre che in alcune mini serie televisive, tutti di intenzioni comiche. Salvo uno, “Tchao Pantin” (1983) di Claude Berri (quello de “Il vecchio e il bambino”) volutamente ed esplicitamente drammatico. A Rai Due seguivo da tempo, attraverso stampa e televisione, la sua carriera e mi accorsi dell’inatteso talento concentrato in questo suo film “nero” di vocazione e di coloritura. Nel mercato italiano non interessò a nessuno, io lo comprai, lo feci doppiare e poi lo trasmisi. Coluche interpretava un ex poliziotto alcolizzato che lavorando in una stazione di servizio vendicava la morte di un piccolo “dealer” e veniva ucciso a sua volta. Naturalmente dotato, come tutti i comici di talento, per il versante drammatico Coluche ritagliò un grande personaggio, al punto di ricavarne un “César” per la migliore interpretazione (al suo fianco un altro premio toccò a Richard Anconina). 
Sono contento di aver avuto occhio!

(Battute 1.795)

6) Salvate la tigre

Questa piccola operazione che sto per descrivere è stata resa possibile solo dalla confluenza in un'unica persona (cioè io!) delle competenze che riguardavano sia il mondo del cinema cosiddetto Theatrical che quello della fiction di produzione. Da mesi avevo deciso che volevo dedicare un ciclo e rendere quindi un grande omaggio a quel personaggio straordinario che è stato Katharine Hepburn, al tempo stesso grande attrice drammatica e grande attrice brillante. Perciò da tempo controllavo filmografie varie e “lo stato dei diritti” dei singoli titoli, operazione noiosissima ma ineluttabile. A questo punto mi accorsi che esisteva un’opera drammatica interpretata dalla Hepburn di cui a rigori si davano notizie nelle biografie più puntigliose ma che al tempo stesso sfuggiva ad una somma globale. La sintesi mi fu resa possibile per l’abitudine forzatamente professionale a dover controllare sia gli elenchi della produzione cinematografica che di quella televisiva. In sostanza la Hepburn nel 1975 aveva interpretato per la Tv, a fianco di Laurences Olivier, un grande pezzo di teatro intitolato “Love among the Ruins” (Amore tra le rovine). Ma poiché era prodotto per la televisione veniva scartato dagli elenchi propriamente cinematografici. E nessuno dei cinefili aveva mai provveduto a saldare due elenchi non comunicanti. Si trattava, in verità, di un piccolo gioiello diretto da George Cukor, centrato su un anziana attrice denunziata dal suo giovane fidanzato e difesa da un famoso avvocato che da giovane era stato un suo innamorato. “Grande romantica commedia che riunisce per la prima volta due autori leggendari. Debutto in televisione di Cukor a 76 anni. Premi Emmy a tutti e tre” dice il dizionario del mio amico Morando, che gli concede ben quattro stellette. Adesso ne rivendico il merito!

(Battute 1.809)

14 novembre 2012

VISTO CON IL MONOCOLO


Ecco la decima puntata della mia rubrica settimanale apparsa sul Corriere Mercantile 12/11/12. 


10-CON L'INNO DI MAMELI RISCHIAMO LA BOCCIATURA
Una norma approvata al Senato, e già approvata dalla Camera, rende definitiva una disposizione riguardante il così detto Inno di Mameli. E’, in qualche modo, dall’avvento della Repubblica l’inno italiano (anche se non so quando e come questa ufficialità sia stata formalmente ribadita per legge). Ma da oggi è anche materia di insegnamento obbligatorio nelle scuole. Con 208 voti a favore, 14 no e due astenuti la pronuncia del Senato rende definitiva questa decisione. Che naturalmente ha sollevato la prevedibile opposizione della Lega Nord (a cui credo dispiaccia particolarmente il brano in cui si dice “(…) dov’è la vittoria, le porga la chioma, che schiava di Roma, iddio la creò (…)”. E’ quella più inattesa, dell’Associazione Nazionale dei Présidi il cui Presidente Giorgio Rembado parla di “visione ottocentesca” trovando anacronistico e sbagliato che “il Parlamento si occupi dei contenuti dell’insegnamento”. 
Ripeto. Non mi pare un argomento di una decisiva importanza tale da fargli sopportare la lunga trafila legislativa prevista dal nostro bipartitismo perfetto. Tuttavia, visto che perfino i calciatori hanno imparato le parole dell’inno, farne oggetto di studio nelle scuole può ribadire la profonda dipendenza dell’immaginario collettivo italiano dal gioco del football. Su due piedi non saprei dire se e quanti sono gli inni nazionali tutelati dalle leggi dei rispettivi Paesi. Ad esempio la Marsigliese (ammettiamo che la musica di Rouget de l’Isle sia più trascinante di quella del maestro Novaro) è prevista dalle leggi francesi o è solo un simbolo vocale e sonoro di tutto un momento della storia di Francia? E, a parte il profondo radicamento nella tradizione nazionale, quale è l’assetto giuridico che concerne il God Save the Queen (o, secondo i casi, the King)? Lo stesso inno nazionale americano, The Star Spangled Banner, è di fatto ufficiale o solo ufficioso? E altrettanto dicasi per quello tedesco (dove si è conservata la musica ma si è tolto il brano che diceva “Deutschland, Deutschland Über Alles”).
Gli unici che potrebbero ufficialmente compiacersi sono i genovesi, visto il luogo di nascita di Mameli (pur di origine sarda) e di Novaro. Ma non lo farà nessuno.

Claudio G. Fava
(battute 2.198)

N.17 del CORSARONERO rivista Salgariana di letteratura popolare

PERIODICO SEMESTRALE-REDAZIONE C/O BIBLIOTECA CIVICA , VICOLO S. SEBASTIANO, 3-37121 VERONA CONTATTI: ilcorsaronero@delmiglio.it 


Mi è giunto il n.17, settembre 2012, de "IlCorsaroNero". E' una pubblicazione che non solo ricevo regolarmente ma sulla cui copertina (riproduciamo qui il logo con quella che credo sia una famosa caricatura di Salgari ad opera di Pipéin Gamba) figura il mio nome, insieme a quelli di Raffaele Crovi, Mino Milani e Darwin Pastorin, tutti e quattro a titolo di direttori spirituali. All'interno, nella rubrica dal titolo catulliano "Nugae", figura anche un mio articolo su Raffael Sabatini, pubblicato in questo stesso blog, nel mese di marzo 2009 (vedi qui). Si trattava all'origine di una mia lettera a Goffredo Fofi riguardante appunto quel trascurato e straordinario romanziere avventuroso che fu Rafael Sabatini (nativo di Jesi) di cui allora era stato ripubblicato un romanzo famoso, "Scaramouche" (da cui venne tratto un film altrettanto famoso). Nella mia lettera ne parlo a lungo e parlo soprattutto di quello che ne è il seguito (nella versione italiana "La congiura di Scaramouche") che a mio parere è ancora più bello.
Ho approfittato della cosa per rileggere quello che avevo scritto e ho anche apportato qualche minima correzione stilistica al testo. Ma soprattutto la pubblicazione è tornata utile perchè mi concede qui di riproporre il sommario del n.17 che torna tutto a favore del suo industriosissimo direttore, Claudio Gallo.
Ecco il sommario:
Pg.2 EDITORIALE
Pg.3 TESTIMONIANZE: "Il Cavalier Salgari, mio condomino" di Ernesto Ferrero 
Pg.6 LABORATORIO: "Odore di tradimento" di Giulio Gorello; "Marco Buticchi e il segreto della morte di Hitler" di Luca Crovi; "Siano lodati i vampiri oggi o alla moda": intervista con Fabio Giovannini, di Fabrizio Foni; "Salgari e la musica" di Simonetta Sotragni Peruzzi; "Emilio Salgari e i Casalesi. Strane coincidenze e ragionamenti matematici ci trasportano verso una nuova scoperta letteraria" di Mauriozio Sartor; "Valerio Evangelisti, Salgari del Duemila" di Carlo Crescitelli 
Pg.31 STUDI: "Il principe triste che ispirò Salgari. Sconfitte e conquiste dell'avventuroso Duca degli Abruzzi" di Pablo dell'Osa; "Un Duca ai confini del cielo" di Beppe Muraro 
Pg.39 ARCHIVIO: "La vertenza tra il Capitano Cagni e lo scrittore Emilio Salgari" di Claudio Gallo e Caterina Lombardo 
Pg.45 (il già ricordato) NUGAE: "Racconto" di Darwin Pastorin; "In the name of Sabatini" di Claudio G. Fava; "A modo mio. Un alfiere milanese" di Giuseppe Bonomi.  
Inoltre a Pg.52 PROFILI, a Pg.56 NOTIZIE, a Pg.62 Segnalazioni bibliografiche.

Mi auguro che questo sommario possa interessare i lettori del Blog. Se avrò una segnalazione in questo senso lo includerò fra le riviste di sui vorrei pubblicare regolarmente i sommari, contando anche CINECRITICA, edito a cura del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani.

7 novembre 2012

L’OSSERVATORE GENOVESE


VISTO CON IL MONOCOLO

Riprendo qui la pubblicazione della mia rubrica che, con l’occhiello e il titolo sopra citati, appare ogni domenica sul Corriere Mercantile di Genova. Sino ad oggi nel Blog avevo riportato le prime 7 puntate. Quelle che pubblico ora sono le ultime due apparse (per l’esattezza la seconda, e più recente, è stata pubblicata, per ragioni di impaginazione, non alla domenica 4 novembre ma il giorno prima, sabato 3 novembre). Cominciando da oggi numererò progressivamente le rubriche, che in futuro cercherò di trascrivere settimanalmente sul Blog, vale a dire con la stessa cadenza con cui esse appaiono sul giornale.

8 - DA VERO PROVINCIALE, RIFLESSIONI SULLE PROVINCE 

La decisione del governo Monti di ridurre il numero delle Province mi ha lasciato stupito sin dall'inizio  Probabilmente ne sono state istituite troppe, alcune forse inutili. Ma è certo che esse sono intimamente legate alla struttura dello Stato Nazionale, come si venne configurando dalla proclamazione del Regno d’Italia (1861) ed anzi dall’assetto assunto dal Regno di Sardegna dopo la fine del dominio napoleonico. Istintivamente ognuno di noi si è sempre riconosciuto nella provincia in cui è nato o e domiciliato. E sempre, se si menziona un paese o una località che non conosciamo, salta istintivamente in bocca la domanda: “in che provincia è?”. Un’ antica abitudine che non è stata certamente dissolta dall’istituzione ufficiale delle regioni come enti territoriali autonomi (previste dalla Costituzione nel 1948 ma di fatto attuate solo nel 1970). Da allora esse costituiscono un indubbia fonte di larghe spese e, in qualche caso, di clamorose assunzioni clientelari. Ma non mi sembra che nessuno pensi di limitarle o, paradossalmente, di accorparle. Mentre le riforme previste implicano un vero e proprio terremoto amministrativo in confini spesso consolidati da almeno un secolo e mezzo. In Liguria dovrebbero restarne solo tre: Genova e La Spezia ingrandite ed una terza formata da due entità poco affini: Imperia, prevalentemente di colore bianco, e Savona, prevalentemente di colore rosso (quale fra le due città sarà il capoluogo? Si tenga conto del fatto che a sua volta Imperia è nata da una discutibilissima decisione del governo Mussolini: fuse insieme due paesini che profondamente si odiavano, Oneglia e Porto Maurizio). Inoltre, fatalmente, la provincia di La Spezia finirebbe con l’inghiottire altre terre linguisticamente genovesi, oltre quelle che già detiene: Deiva, Framura, Bonassola e Levanto. I provvedimenti allo studio colpiranno due regioni a statuto speciale, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige, in cui la pressione linguistica e culturale italiana colpevolmente esercitata a suo tempo su popolazioni di altra lingua e tradizione, implica da parte dello stato il dovere di non intaccare le concessioni fatte in questo dopo-guerra.
Mi sembra un gran brutto pasticcio.

(Data di pubblicazione sul Corriere Mercantile: Domenica 28/10/2012).

9 - RAI NON FARE, PAURA NON AVERE.

Circa una settimana fa mi ha telefonato da Roma un funzionario di Rai Uno per invitarmi a partecipare, dalla sede genovese di Corso Europa, ad un collegamento per un’ intervista con una trasmissione intitolata “MixItalia”. Il tema era l’uso del cinema in televisione nel corso degli anni. L’intervista (ovviamente gratuita) mi interessava e risposi di si. Pochi giorni dopo il funzionario, visibilmente imbarazzato, mi ha richiamato per dirmi che aveva appreso di una recente disposizione aziendale: erano proibiti tutti i collegamenti, anche gratuiti, con ex – dipendenti. Si trovava nella stessa situazione anche con Antonio Lubrano e con un altro noto ex - collega, e non sapeva come sostituirli. La notizia era tanto sbalorditiva che lì per lì ho stentato a capirla. Una proibizione del genere dovrebbe colpire potenzialmente centinaia di ex-dipendenti, da Umberto Eco a Furio Colombo da Ettore Bernabei al mio amico Arrigo Petacco che fu per anni caporedattore del Tg1 quando il direttore era il genovesissimo Emilio Rossi, ferito alle gambe in un attentato e ormai totalmente dimenticato dalla Rai. Confesso che la notizia mi ha ferito. Sono assolutamente consapevole, con una punta di civetteria, di far parte di quel manipolo di dirigenti che negli anni’80 ha vittoriosamente salvato gli ascolti di Rai Due. Ho “inventato” e programmato centinaia di film, forse migliaia di telefilm, alcune collocazioni che furono fondamentali, dal “preserale” poliziesco al “cinema di notte”, rubriche come “Dolly” e “Set”, per non parlare dell’enorme incasso pubblicitario di cui ho fatto usufruire per anni  l’azienda, avendo io lanciato la soap opera “Capitol” e scoperto “Beautiful” e “Quando si ama” (molti me lo rimproverano!). Sono anche abituato alla totale mancanza di riconoscenza della Rai nei miei confronti (capita a molti). Ma questa esclusione – che mi ha impedito di parlare di un tema di cui sono storicamente uno dei pochi in grado di occuparsi – mi ha ferito. Se questa è la nuova Rai, ansiosa di riformarsi, ho la sensazione che si avvii ad essere ancor peggio di quella precedente.
So che l’Italia ha problemi più gravi da risolvere, ma anche questo è un sintomo di un irreparabile decadimento.

(Data di pubblicazione Corriere Mercantile: Sabato 3/11/2012).

N.B. : dopo aver scritto il pezzo ho appreso che la disposizione della Direzione Generale può essere alleggerita se chi vuol richiedere l’intervista domanda il permesso almeno 8 giorni prima. La precisazione non attutisce il vago senso di inverosimiglianza che si prova ad apprendere la notizia della proibizione.

A DOMANDA RISPONDE


Rispondo qui tutto insieme, ai post apparsi sul Blog dopo i miei brani pubblicati il 22, il 24 e il 30 Ottobre.
Ringrazio Rosellina Mariani per tutti i suoi vari commenti, sia quello che riguarda la “scomparsa della carta stampata” (interessanti, sullo stesso tema, le notazioni crepuscolari di Anonimo), Preston Sturges, le mie presentazioni su Class TV e la “recensione” di “Mano Pericolosa”. Mi dispiace che, sempre a proposito di Sturges, Rita M. non sia riuscita a leggere il mio brano tratto da “La Rivista del Cinematografo”. Ma credo di avere ceduto alla mia vanità riproducendolo. Sono contento che “Mano pericolosa” abbia destato interesse anche in altri lettori come, ad esempio, il Principe Myskin. Grazie a PuroNanoVergine per le precisazioni tecnologiche e per il suggerimento di chiedere ad Aldo Fittante di riportare l’indirizzo del Blog in fondo alla mia rubrichetta “Salvate la Tigre” su Film Tv. Fittante mi ha risposto che accetta e che d’ora in avanti ci sarà in coda al mio brano la citazione di “Clandestino in Galleria”. Grazie infine a Lucio Linaro a cui ho risposto via e-mail.
In attesa delle prossime telefonate molti saluti a tutti.