Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

29 marzo 2013

A DOMANDA RISPONDE



Come al solito rispondo alle missive giunte a Clandestino in Galleria dopo gli ultimi articoli, facendo ancora una volta presente ai lettori che, almeno per un mese, avrò ancora poco tempo da dedicare al Blog, preso come sono, dalla confezione di due libri e dalla preparazione di una nuova serie di presentazioni di film per la rete Class TV.
Passo subito al solito, affettuoso contributo di Rosellina Mariani giunto il 26 Marzo in calce al brano “Presentazione libro (solo per genovesi?)”. Grazie degli elogi. La presentazione ha avuto luogo, come preannunciato, al sesto piano della Feltrinelli di Genova, erano presenti due dei tre autori (e cioè Alessio Accardo e Federico Govoni, mentre Chiara Giacobelli non è potuta venire), la saletta era piena e il pubblico mi pare si sia divertito. Ricordo che il libro, edito da “Le Mani” di Francangelo Scapolla, è intitolato “Furio Scarpelli-Il cinema viene dopo” (costo 20.00 euro) è, in qualche modo la continuazione ideale di un precedente volume dello stesso Accardo, e cioè “Age & Scarpelli. La storia si fa commedia” edito nel 2001, con prefazione di Paolo Virzì, dall’ A.N.C.C.I. Questo perché la parte centrale della vita e del lavoro di Age e Scarpelli (che ad un certo punto si divisero) fu comune e dette vita a qualcuno dei più disinvolti e intelligenti film del cinema italiano post-bellico. A parte il blocco dedicato al cinema di Totò fra il 1949 e il 1950, mi limiterò a ricordare nove film del 1951 fra cui “Cameriera bella presenza offresi…”, nel 1952 quattro film fra cui “Totò e le donne” e “Totò a colori”, nel 1953 nove film fra cui “Villa Borghese” di Gianni Franciolini e “Totò e Carolina” di Monicelli. Nel 1954 tre film fra cui “Tempi nostri” di Blasetti, nel 1955 cinque film fra cui “Il bigamo” di Luciano Emmer e “Bravissimo” di Luigi Filippo D’Amico e “Le signorine dello 04” di Gianni Franciolini, sei film nel 1956 fra cui “La banda degli onesti” di Mastrocinque e “Souvenir d’Italie” di Pietrangeli, nel 1957 quattro film fra cui “La legge è legge” con Totò e Fernandel, “Il medico e lo stregone” e “Padri e figli” di Monicelli. Nel 1958 tre film fra cui il fondamentale “I soliti ignoti” di Monicelli, nel 1959 quattro film fra cui “L’audace colpo dei soliti ignoti” di Nanni Loy, “La grande guerra” di Monicelli e “Policarpo, ufficiale di scrittura” di Mario Soldati, nel 1960 l’eccezionale “Tutti a casa” di Comencini, “Il mattatore” di Risi e il malinconico “Risate di gioia” di Monicelli (naturalmente in tutti questi film essi non sono gli unici sceneggiatori, uniti spesso a colleghi famosi che vanno da Amidei a Sonego, da Scola a Maccari a Vincenzoni; eppure praticamente quasi in tutti si ritrova l’unghiata della coppia, ove la struttura drammaturgica fa forse più capo a Scarpelli e la vocazione della irresistibile parafrasi linguistica ad Age). Due film nel 1961, tre nel 1962 e cioè “Il commissario” di Comencini, “Il mafioso” di Lattuada e “La marcia su Roma” di Risi. Quattro film nel 1963, fra cui “I compagni” di Monicelli e “I mostri” di Risi. Nel 1964 tre film, fra cui “Sedotta e abbandonata” di Germi. Nel 1965 due film, fra cui “Signore e Signori” sempre di Germi. Il 1966 vede quattro film, fra i quali “L’armata Brancaleone” di Monicelli e “Il buono, il brutto e il cattivo” di Sergio Leone. Tre film nel 1967, uno solo nel 1968 ma è “Straziami ma di baci saziami” di Risi. Dei due film del 1969 più una mini-serie Tv, “Quel negozio di piazza Navona”, ricordo “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?” di Scola. Il 1970 è l’anno di due film (più una serie TV) e cioè “Brancaleone alle crociate” di Monicelli e “Dramma della gelosia-tutti i particolari in cronaca” di Scola. “In nome del popolo italiano” viene nel 1971. Passando al 1973 troviamo due film fra cui “Vogliamo i colonnelli” di Monicelli. Del 1974 sono “C’eravamo tanto amati” di Scola e “Romanzo popolare” di Monicelli. Il 1975 (due film) vede il fondamentale incontro fra Age e Scarpelli e Fruttero e Lucentini con “La donna della domenica”. Nel 1977 (due film)  fra i quali “I nuovi mostri” di Monicelli, Risi e Scola, nel 1979 due film fra cui il raffinato “Temporale Rosy” di Monicelli. Dei due film del 1980 ricordo la “Terrazza” di Scola e del 1983 “Ballando ballando” sempre di Scola. Poi, negli anni’80 la collaborazione fra i due è quasi terminata e mi par giusto fermarmi qui. Alla fine di una lunga elencazione, che forse finirà col parere noiosa, ma che mi sembrava doverosa per poter ricordare un momento quasi decisivo della nostra storia recente-e non solo di quella cinematografica in senso stretto- nella quale l’apporto creativo di Age e Scarpelli è stato incalcolabile. 
Passiamo ai due post giunti il 25 Marzo. La proposta di Gianni Dello Iacovo di parlare dei gesuiti nel cinema mi sembra interessante, anche se in questo momento non ho purtroppo a disposizione il tempo necessario per una ricerca sistematica. Faccio però presente che vi sono diverse pubblicazioni che riguardano, più generalmente, i sacerdoti nel cinema. 
Per quel che riguarda in particolare Padre Arpa potrei scriverne  a lungo perché, con un gruppo di amici ormai sparpagliati per il mondo o scomparsi (Gianni Amico, Franco De Salvo, Amos Segala, eccetera) collaborai con lui nella conduzione del Cineforum Genovese, fondato all’inizio degli anni’50 dallo stesso padre Arpa e dal professore Carlo Cormagi. Seguii padre Arpa nella fondazione di un Ente chiamato “Segretariato di cultura” a cui fece seguito il “Columbianum” che godette di una certa notorietà e, fra l’altro, dette vita a un Festival del Cinema Latino-Americano fra Santa Margherita, Sestri Levante e Genova, che durò complessivamente cinque anni e che credo sia stata la prima manifestazione europea ad interessarsi di cinematografie allora lontanissime con in testa un pianeta totalmente sconosciuto, che era l’Argentina… Io me ne disinteressai quasi subito perché ero diventato il critico cinematografico titolare del Corriere Mercantile e non avevo più molto tempo a disposizione. Del resto su Padre Arpa, su quel che contò nella Genova degli anni ’50 e ’60 e sui suoi rapporti con l’allora potentissimo Cardinal Siri, è già stato scritto molto e con conoscenza di causa. Sempre sullo stesso tema ringrazio Bollicine. Il sito da lui segnalato, che riguarda la “confezione” dei titoli, mi è parso piuttosto interessante. E in un qualche modo famigliare perché in quasi sessant’anni di attività non ho fatto altro che inventare titoli: nei giornali, nelle riviste, in televisione ed in ogni altro luogo possibile e immaginabile. Per i post del 13 Marzo soliti ringraziamenti a Rosellina e molti saluti a Giorgio di Roma (sono contento di avergli fornito dati interessanti). Per quel che riguarda i post dell’11 Marzo ovvi saluti a Rosellina. Forse giusta l’osservazione di PuroNanoVergine ma il fondo di quel che ho scritto mi pare pur sempre giustificato. Certo Torino capitale sarebbe risultata nel Sud ancora più “marziana” di Roma ma sarebbe diventata egualmente una meta, come lo fu poi negli anni’ 50 e ’60 a causa della Fiat.
Infine per quel che riguarda i post del 6 Marzo mi fa piacere che la Stanza del Cinema abbia avuto successo! Del funzionamento dello streaming non so niente e perciò non posso pronunciarmi! Ricambio di cuore i saluti di Rosellina e di Giorgio, entrambi di Roma. Spero che in futuro continueranno a leggermi.
A tutti i corrispondenti auguri di buona Pasqua!

26 marzo 2013

PRESENTAZIONE LIBRO (SOLO PER GENOVESI?)





Cedo ad un impeto di vanità e faccio presente, come si deduce dall'invito allegato, che Mercoledì 27  Marzo alle ore 18.00, alla libreria Feltrinelli di Genova, presenterò, insieme agli autori (che non conosco) un libro edito dalle Mani ed inteso ad analizzare vita e opere di Furio Scarpelli. Come è noto questi fece con grande successo lo sceneggiatore di film e, in particolare, per diversi decenni, diede vita insieme ad Age (Agenore Incrocci) alla più famosa coppia di scrittori di soggetti e sceneggiature per il grande schermo che abbia conosciuto il cinema italiano. Ancora pochi giorni fa ho avuto occasione di scrivere (non ricordo dove) che le due coppie fondamentali di scrittori del dopoguerra italiano erano formate da Age e Scarpelli e da Fruttero e Lucentini. Almeno un terzo del cinema italiano di rilievo dagli anni'50 agli anni'80 è frutto del lavoro dei due sceneggiatori, fra cui Scarpelli era probabilmente il più "drammaturgo" mentre Age era titolare di uno straordinario orecchio inventivo perciò che riguardava gerghi, parole strane o inusuali, invenzioni verbali di ogni tipo. Ho accettato di presentare il libro (indubbiamente molto utile) perchè analizza e ricostruisce la vita e l'opera di Scarpelli, comprende una filmografia totale e contiene anche un'amplissimo numero di testimonianze di parenti, amici, collaboratori ed allievi dello stesso Scarpelli. Ho deciso di uscire di casa (cosa che ormai sono costretto a fare molto di rado) e di andare alla Feltrinelli sia perchè l'occasione risale all'amico Scapolla proprietario de Le Mani ma anche perchè posso vantarmi di qualcosa di unico in materia. In effetti quando ero il responsabile della programmazione dei film di Rai Uno convinsi l'allora mio Capo Struttura Paolo di Valmarana (nel 1981 lascia Rai Uno e andai a mia volta a fare il Capo Struttura a Rai Due) a dedicare ad Age e Scarpelli un intero ciclo di film per il lunedì sera di Rai Uno, che allora era ancora la più famosa collocazione cinematografica della televisione italiana. Nessuno aveva mai fatto un omaggio del genere a degli sceneggiatori italiani, e sono tutt'ora orgoglioso di essere riuscito io a progettarlo e a portarlo a termine, vincendo resistenze di ogni tipo. Si ricordi che certe convenzioni all'epoca erano abbastanza forti e su Age e Scarpelli "pesava" il fatto di avere iniziato la carriera come sceneggiatore di fiducia per Totò. Il che adesso è un titolo di merito ma allora  destava qualche dubbio nelle persone assetate di cultura "alta".
Spero che questo annuncio possa incuriosire qualche concittadino interessato al cinema.

25 marzo 2013

L'OSSERVATORE GENOVESE

Come ogni settimana trascrivo nel Blog la puntata più recente della mia rubrica ebdomadaria sul Corriere Mercantile (è la puntata di domenica 24/03/2013). Come vedete,  constatando che le mie ultime due rubriche si susseguono nel Blog potrete dedurre un fatto ovvio: non ho molto tempo da dedicare al "Clandestino" e me ne scuso con i lettori. Entro un mesetto spero di riuscire a sistemare i miei compiti più urgenti e quindi di riuscire a dare al Blog tutto il tempo e lo spazio che esso merita, con una continuità di applicazione a cui i lettori si erano via via abituati. Molti saluti a tutti.

VISTO CON IL MONOCOLO

PAPA FRANCESCO E I VOTI GESUITI


Ci sono in questi giorni due grandi moti popolari, che possono piacere o dispiacere, ma che è impossibile negare. L’uno è quello propriamente italiano: i “grillini” che  hanno ottenuto il 25% dei voti. L’altro è transnazionale e riguarda l’improvvisa popolarità del Papa Francesco. Chi ha seguito in televisione l’”habemus papam” del Cardinale Tauran ha visto che l’iniziale, febbrile attesa della gremitissima piazza San Pietro si è mutata in una percepibile incertezza all’annuncio del cognome Bergoglio, ai più sconosciuto. Ma son bastate poche settimane perché si coagulasse invece intorno al nuovo Papa una sorta di gioiosa e compiaciuta aspettativa, ribadita da mille particolari accadimenti. Confesso, pur col massimo rispetto, che questa sorta di entusiasmo senza confini mi lascia perplesso. Tante cose nel nuovo pontefice che destano entusiasmo, mi sembrano di un vago buonismo che contrasta con la nitida ma consapevole timidezza di Benedetto XVI, ove si celava una complessa superiorità intellettuale. Ecco invece la croce di legno e non d’oro, l’anello piscatorio d’argento dorato, le scarpe nere e non rosse, la tonaca bianca vagamente stropicciata che sembra quasi tolta da un magazzino di costumi teatrali e non progettata e cucita da un famoso negozio romano, eccetera. Tutti atteggiamenti vagamente “semplificatori” che suggeriscono nel nuovo Papa un’eredità che sembra più quella salesiana che quella gesuitica. E’ indubbio che da Benedetto XV (1914) ad oggi i Cardinali in Concistori non si sono sbagliati nello scegliere uomini di indubbio risalto personale e/o culturale (Ratti, Pacelli, Roncalli, Montini, Luciani, Wojtyła, Ratzinger) ed è quindi probabile che abbiamo ragione anche questa volta. 
Una sola, minima curiosità. Ricordo che come gesuita Papa Francesco (perché non Francesco I?) oltre ai tre voti canonici ne ha pronunciato un altro, che deriva evidentemente da Ignazio di Loyola, e cioè quello di un obbedienza totale e incondizionata al Papa, Vicario di Cristo. Come potrà regolarsi adesso il nuovo Papa vincolato da un giuramento di totale obbedienza a se stesso? E l’obbedienza dovuta prima a Benedetto XVI è valida anche dopo l’”abdicazione”?
La teologia mi tenta…

(TITOLO ORIGINALE: IL GIURAMENTO A SE STESSO DI PAPA FRANCESCO I)

19 marzo 2013

L'OSSERVATORE GENOVESE

Come al solito pubblico qui la mia abituale rubrica settimanale sul "Corriere Mercantile". Che questa volta, per un problema di affollamento di pagine, è stata pubblicata anziché domenica 17 Marzo lunedì 18 Marzo. Nell'edizione del Mercantile che, in omaggio ad una vecchia tradizione, reca la testata "Gazzetta del Lunedì". Dove quando era veramente un quotidiano settimanale ho lavorato per anni ed ho imparato ad impaginare (ovviamente, come osava allora, col piombo). Titolo originale "Papa Francesco I troverà troppo sontuose le guardie svizzere?"
Molti saluti a tutti.

VISTO CON IL MONOCOLO
  
PAPA FRANCESCO E LE GUARDIE SVIZZERE

Come tanti ho seguito le febbrili cronache televisive del Vaticano e fatalmente, più di una volta, mi è caduto l’occhio sui Corpi Armati Pontifici. Da un lato c’erano gli uomini della Gendarmeria Vaticana e dall’altro le Guardie Svizzere. I primi sono gli eredi (l’uniforme del 1816 era vagamente napoleonica) dei Gendarmi Pontifici aboliti nel 1971, con improvviso sussulto anti-militarista, da Paolo VI, e ripristinati, seppure con divisa diversa, da Papa Wojtyła. I secondi, ribadendo un’antica vocazione svizzera (nel medioevo essi alimentavano le migliori milizie mercenarie del mondo), dal 1506 forniscono una pittoresca ed efficiente guardia personale del Papa. Vedendoli gli uni e gli altri di fronte, mi son detto più di una volta, guardando gli Svizzeri: “Ma allora è vero che esistono etnie, popoli, divisioni razziali, chiamatele come volete, più portate degli altri al mestiere delle armi?”. In effetti vedendoli di fronte i Gendarmi (che sono professionisti) sembravano dilettanti, e gli Svizzeri (che sono dilettanti) sembravano professionisti. I primi, circa 130, sono dotati di un modernissimo centro operativo tipo telefilm poliziesco e danno vita anche ad un reparto di “teste di cuoio” chiamato GIR (Gruppo di Intervento Rapido) e ad un altro di artificieri anti sabotaggio. I 110 Svizzeri sono invece dei giovanotti fra i 18 e i 30 anni, che hanno fatto servizio militare in patria, dispongono di una “maturità medio-superiore” e scelgono di fare per qualche anno questa particolare esperienza romana. In maggioranza sono svizzeri-tedeschi, che provengono dai vecchi cantoni cattolici (Uri, Schwyz, Unterwald, Nidvaldo, Obvaldo, eccetera, ma sono previsti anche romandi e ticinesi), che innestano la loro “Vacanza romana”, all’interno di un esperienza militare totalmente fuori del tempo. Risultato è che sfilano, manovrano, presentano le alabarde con una precisione micidiale mentre (l’ho visto con i miei occhi) su tre gendarmi due facevano dietro front a sinistra e uno a destra.
Sono un’incredibile testimonianza di un lontanissimo passato, di un’Europa scomparsa. Non vorrei che Papa Francesco I, cedendo agli impulsi di un tempestoso egualitarismo argentino, li abolisse.



13 marzo 2013

Stanza del Cinema - due o tre cose sugli Oscar 2013

A commento del brano da me posto nel Blog a proposito della Stanza del Cinema, Giorgio (da Roma) mi ha chiesto se fosse possibile vedere un frammento di quel che accade nella stanza stessa. Come fa da anni il collega Massimo Marchelli, attualmente presidente del Gruppo Ligure Critici Cinematografici, ha ripreso una puntata del nostro appuntamento mensile. Per l’esattezza quello di lunedì 4 Marzo. Mi è stato inviato, e grazie a Doretti sono riuscito a farlo installare nel Blog. Mi rendo conto che l’immagine globale può risultare abbastanza banale perché riprende una persona che parla (in genere i relatori sono due) ed io al centro che arbitro la tenzone. Il problema è che l’illuminazione della stanza è quella che è e il sistema di due altoparlanti condizionati da un microfono non sembra il veicolo sonoro più favorevole. Per cui si rischia di vedere poco e di sentire male. La mancanza di una vera e propria ripresa stile telegiornale non rende possibile far vedere che l’attenzione dei presenti (in genere almeno una quarantina) è sempre molto alta e quasi altrettanto intensa è la partecipazione al dibattito susseguente ai vari interventi. Si tratta di una iniziativa modesta ma, per così dire, calorosa fondata ormai quasi quattordici anni fa e proseguita puntualmente, ogni mese, dal primo lunedì di Ottobre al primo lunedì di Giugno. In ogni caso Doretti ha provveduto a montare la ripresa di Marchelli apportando dei tagli in un materiale che, in se e per se, è importante ai fini di una futura documentazione di una iniziativa ormai ricca di anni, ma che, esposta integralmente, può rischiare di apparire un po’ noiosa. Un giudizioso montaggio mi pare serva ad illustrare bene le caratteristiche fondamentali dell’iniziativa. Mi auguro che quel poco che si vede non scoraggi troppo il gentile lettore romano del Blog.
Molti cordiali saluti a tutti.



11 marzo 2013

L'OSSERVATORE GENOVESE

Come al solito pubblico qui la puntata di domenica 10 marzo 2013 della mia rubrica "Visto con il Monocolo" apparsa sul Corriere Mercantile.

VISTO CON IL MONOCOLO

Piero Ottone, vecchia gloria giornalistica nostrana, ha una rubrica settimanale, intitolata appunto “Lettere genovesi”, nell’edizione del sabato de La Repubblica-Il Lavoro. Il 16 febbraio, occupandosi della riedizione di un libro intitolato “Stile piemontese” (centrato sulla giusta celebrazione di Giovanni Giolitti e Luigi Enaudi ad opera di quel grandissimo e convulso giornalista che fu Giovanni Ansaldo) Ottone si lascia quasi sfuggire un’esplicita affermazione a modo suo rivoluzionaria: “…la lettura di questi scritti mi conferma più che mai nella convinzione che l’Italia sarebbe oggi un paese diverso, e meriterebbe ben altro rispetto, se dopo l’unificazione lo stile piemontese avesse dato la sua impronta all’intera penisola, e se la capitale fossa rimasta a Torino.” E’ quello che ho sempre pensato anche io, e non vorrei sembrare immodesto annettendomi una testimonianza ben più a sinistra di quanto non possa essere la mia. Io ho sempre avvertito la ferita di quel forzato trasloco del 1864 della capitale da Torino a Firenze, e poi del balzo definitivo che culminò poi nel breve assalto a Porta Pia del 20 settembre 1870. Son contento di non essere solo, persuaso che con la capitale a Torino la storia dell’Italia unita (e anche quella della Fiat!) sarebbe stata totalmente diversa, e sicuramente più seria e meno cialtronesca. Anche se è una nozione storica controllabilissima, sono convinto che molti italiani non sappiano che proprio l’annuncio del trasferimento da Torino a Firenze indusse alla rivolta la pur disciplinata popolazione torinese d’epoca. L’esercitò sparò sui cittadini al punto che il 21 e il 22 settembre del 1864 vi furono 52 morti e 187 feriti. Non se ne parla mai e si tende a dimenticarlo, anche se ho scoperto che il 4 dicembre 1999 il Comune di Torino ha fatto apporre una lapide ove sono accaduti quei fatti crudeli. Io non ho niente contro Roma (vi ho abitato 25 anni e in molte strade di Prati mi ritroverei a casa mia). Ma sono sicuro che sullo sfondo di Torino, fra le caute tonalità sonore del piemontese così diverse da quelle romanesche, molte delle cose che sono accadute non si sarebbero verificate (compresa, per ovvie ragioni, la Marcia su Roma!).

6 marzo 2013

NOTIZIE DALLA STANZA DEL CINEMA DI GENOVA


GRUPPO LIGURE CRITICI CINEMATOGRAFICI
Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani.
Genova 16121 Genova Via Fieschi 3/26 (13° piano).
Tel. 010565702 Fax 010 564170

Oggetto: Grace Kelly, da Hitchcock al trono
Lunedì 11 Marzo alle ore 17.30 a Genova nei locali dell’Istituto di Storia Patria, al piano terreno di Palazzo Ducale, si terrà la consueta Stanza del cinema – conversazione curata dal Gruppo Ligure Critici Cinematografici (SNCCI), in accordo con la Direzione del Ducale.
Maria Francesca Genovese  parlerà di "Grace Kelly, da Hitchcock al trono" esemplificando il tema con immagini e brevi filmati.
A 30 anni dalla morte di Grace Kelly ne verra' ripercorsa la carriera, che raggiunge il suo apice con i capolavori di Hitchcock per poi concludersi prematuramente dopo il matrimonio con Ranieri di Monaco. Nell'occasione verranno svelati dietro le quinte e curiosita' dell'atteso film "Grace di Monaco", interpretato da Nicole Kidman e girato proprio nella nostra citta' nei mesi scorsi.

L’ingresso è libero.



Francesca Felletti – ufficio stampa gruppo ligure critici cinematografici

4 marzo 2013

A DOMANDA RISPONDE

Rispondo qui ai post giunti (27/02/2013) dopo la pubblicazione del mio brano d’attualità su Coluche e Grillo. Giusto il rilievo di Rear Window che cita il film di Dino Risi “Scemo di guerra” (1985) in cui Coluche e Grillo apparivano insieme (c’erano anche Fabio Testi, Claudio Bisio, forse meno noto di adesso, e il grande Bernard Blier). Volevo menzionarlo, perché era un riferimento obbligato, e poi mi è passato di mente. Mi dispiace, perché negli ultimi anni Dino e io eravamo diventati amici e ogni tanto lo chiamavo al telefono nel suo Residence romano (con quella sua voce molto simile a quella di Gianni Agnelli mi diceva: “Chiamami chiamami, perché mi diverti”). 
Ringrazio Bollicine per i due siti internet che mi ha segnalato (uno è quello “Le point”, una rivista francese di cui sono stato lettore per anni). Ed anche per la segnalazione del film “L’uomo dell’anno” (2006) di Barry Levinson con Robin Williams e Cristopher Walken centrato su un comico TV che si fa iscrivere alla campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti e viene eletto (a causa di un cattivo funzionamento del sistema informativo). Levinson è un regista curioso (nato nel 1942) di cui non ci si ricorda quasi mai e che pure ha diretto molti film interessanti a cominciare da quello di esordio “A cena con gli amici” (1982), “Il migliore” (1984), “Good Morning, Vietnam” (1987), “Rain Man- L’uomo della pioggia”(1988), via via sino al curioso “Disastro a Hollywood” (2008).
Soliti ringraziamenti anche a Rosellina, a PuroNanoVergine (proiezione di “Scemo di guerra” giovedì 7 marzo alle 12.20 su RaiMovie) e un certo imbarazzo a Filippo M. che intravede in me un ideale Presidente della Repubblica. A parte ogni considerazione sulla mia sostanziale pochezza, resta viva la imbarazzante possibilità di dover ricevere a casa mia sia Grillo che Casaleggio (Grillo conosce la zona perché il piccolo teatrino, “L’Instabile” dove l’aveva scoperto Pippo Baudo, era a poche centinaia di metri da casa mia. Ma desso è ormai chiuso). Forse è meglio che ne faccia a meno, anche perchè il Quirinale è più spazioso…

Per quel che riguarda invece i post del 26 febbraio concernenti la telefonata ad Arrigo Polillo, soliti e doverosi ringraziamenti ai tre Anonimi (uno è anche Enrico C.) a Rosellina, a Claudio Costa della Ronin Film Production, a Giorgio ed una risposta più circostanziata a SG che si compiace del ritorno di Vincenzoni (conto anche io di utilizzare ancora Luciano), mi incita a tener d’occhio Polillo (cosa che farò senz’altro) ed a intervistare Camilleri (vedrò cosa posso fare). Ho girato la sua richiesta tecnica (“scaricare le telefonate in podcast”) a Lorenzo Doretti che sta riflettendo se ed eventualmente come convenga operare la riguardo. Per il vecchio amico Lorenzo Pellizzari un abbraccio forte.

Infine i post del 25 febbraio che riguardano la mia nota su Amazon sono di tenore diverso, ma tutti ugualmente interessanti. Soliti ringraziamenti a Rosellina, a PuroNanoVergine (informatissimo ma un po’ pessimista) e ad Enrico, ricchissimo di esperienza in materia.



L'OSSERVATORE GENOVESE

Come al solito riporto sul Blog la puntata di "Visto con il Monocolo" apparsa nel "Corriere Mercantile" di domenica 3 marzo 2013. La tendenza sistematica della televisione, e in particolare della Rai, a togliere la parola ai papi quando non parlino italiano, mi ha sempre dato fastidio sin dai tempi di Paolo VI. Figuriamoci adesso. Titolo originale "IL PAPA HA RAGIONE, MA NON SE PARLA FRANCESE"

VISTO CON IL MONOCOLO

L'EGO DEI GIORNALISTI E IL SALUTO DEL PAPA

Confesso che l’abdicazione di Benedetto XIV mi ha fatto un enorme impressione. Si tenga conto del fatto che io, in un altro mondo e in un’ altra Genova, ho fatto quasi tutte le scuole al Vittorino da Feltre con i Padri Barnabiti e sono cose che lasciano una traccia. Ma torno su un argomento (l’ultimo Angelus) : debbo levare un piccolo grido di dolore per quelle che sono le abitudini dei telegiornali Rai quando si odono lingue straniere, e in particolare quando queste lingue le parla il Papa. La trasmissione mattinale da Piazza San Pietro aveva un evidente valore letterale ed uno simbolico. Naturalmente erano convenuti giornalisti e vaticanisti, ansiosi di ascoltare ma soprattutto di farsi ascoltare. Ed ancora una volta, come accade da molti anni a questa parte e con tutti i Papi, quando il pontefice ha terminato l’intervento in italiano e ha cominciato quello in francese, la sua voce è stata tolta e i convenuti sono finalmente riusciti a parlare loro per primi, sicuri di imperversare su un’enorme platea. E’ una pratica usuale della Rai, che confina da un lato con la maleducazione e dall’altro con l’ottusità. Ascoltare l’ultimo messaggio pubblico del Papa nelle varie lingue avrebbe consentito molti sottili risvolti, utili per comprendere meglio la sua psicologia ed il suo modo di vivere e di operare. Si prenda ad esempio il suo francese, che lui ha studiato librescamente ma che pronuncia con un accento sorprendentemente esatto (mi sembra, se mai, che il suo accento tedesco sia più pronunciato quando parla italiano, che pure è una lingua che egli pratica costantemente da almeno due decenni). E’ altrettanto potrebbe dirsi nei confronti delle diverse lingue in cui il Papa si esprime. Una traduzione simultanea per ogni lingua avrebbe consentito di mettere in luce le potenziali differenze fra un testo e l’altro e soprattutto di cogliere la passionalità di un ultimo messaggio “urbi et orbi”, al tempo stesso una confessione e un congedo, significativi.
In un mondo in cui tutti credono di sapere l’inglese perché dicono “spending review” e “election day”, un ultimo, decisivo messaggio plurilingue sarebbe stato una mirabile chiusura. Ma i nostri giornalisti devono parlare loro…

(battute: 2.204)