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29 dicembre 2008

CAMERA EYE: L'ETEROGENESI DEL FINI







Tutto quello che vedrete riportato qui è stato accuratamente controllato su libri ed in internet. Cominciamo dall’inizio: la parola “eterogenesi” ha significati diversi e affini. In Biologia indica la capacità di certi animali di riprodursi in maniere differenti. Sempre in Biologia, con la stessa parola si indica la teoria evoluzionistica per cui gli organismi si trasformano secondo una legge di perfezionamento, in modo discontinuo. In Filosofia l’espressione “eterogenesi dei fini”, teorizzata per la prima volta da Gianbattista Vico, fu ripresa da Wilhelm Wundt, diventando una legge da lui enunciata. Vale a dire i fini realizzati dalle storia non sono un compimento delle volontà umane, ma la risultante del rapporto o contrasto fra le intenzioni degli uomini e le condizioni oggettive. Nel dizionario del Battaglia ho trovato a questo proposito una divertita enunciazione di Benedetto Croce che dice testualmente: “La Provvidenza vichiana…prese un nome più prosaico ma non mutò carattere, nell’astuzia della ragione, formulata dallo Hegel; e fu spiritosamente e cervelloticamente ritradotta nella popolare astuzia della specie dello Schopenahuer e, poco spiritosamente sebbene assai psicologicamente nella così detta legge wundtiana dell’eterogenesi dei fini”, voce dotta che viene dal greco “έτερος” (“altro”) e “γενεσις” (“principio, origine”).
Queste notazioni mi servono per introdurre un tema che è già enunciato nel titolino, e cioè l’eterogenesi non dei fini, ma del Fini, intendendo così Gianfranco Fini (Bologna, 3 Gennaio 1952). Uomo politico proveniente dal Movimento Sociale Italiano, di cui, dopo alterne vicende, fu per due volte, su iniziale designazione di Giorgio Almirante, segretario nazionale: sino al Gennaio 1990 e poi di nuovo dal Luglio 1991. Resterà in tale carica fino al Gennaio 1995, quando avvenne, con la sua determinante collaborazione, la cosiddetta “svolta di Fiuggi”, che sancì la nascita di Alleanza Nazionale di cui è rimasto il massimo esponente fino al Maggio 2008, lasciando la reggenza a Ignazio La Russa in attesa del congresso che porterà alla confluenza ufficiale del partito del Popolo della Libertà.
La militanza di Fini iniziò nell’adolescenza, a sedici anni, quando si imbatté in un picchetto di sinistra, che impediva agli spettatori bolognesi di assistere al film “Berretti verdi” con John Wayne, e per reazione si iscrisse alla “Giovane Italia” ed al “Fronte della Gioventù”, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano. In questo partito egli, trasferitosi a Roma con la famiglia, trascorse tutta la sua successiva vita politica, diventandone il massimo esponente e propiziando poi, appunto, la svolta di Fiuggi che doveva iniziare la progressiva “defascitizzazione” (la parola è brutta ma l’indicazione è precisa) del movimento. Che è andata di pari passo con l’altrettanto progressivo allontanamento di Fini dal peso di un passato rivendicato molto esplicitamente sino ai primi anni ’90. Non è un caso che il Movimento Sociale, fondato nel Dicembre ’46 principalmente da reduci della Repubblica Sociale, abbia sempre invocato una chiara filiazione dal Fascismo. Ad esempio (prescindo da dichiarazioni anteriori) molto esplicite erano state le sue prese di posizione sull’argomento: “Credo ancora nel Fascismo, sì, ci credo” (19 Agosto 1989). “Nessuno può chiederci abiure della nostra matrice fascista” (5 Gennaio 1990). “Mussolini è stato il più grande statista del secolo. E se vivesse oggi, garantirebbe la libertà degli italiani” (30 Settembre 1992). “…Chi è vinto dalle armi ma non dalla storia è destinato a gustare il dolce sapore della rivincita…dopo quasi mezzo secolo il Fascismo è idealmente vivo”. E ancora nel Giugno ’94 ribadisce la sua fede in Mussolini e aggiunge: “Ci sono fasi in cui la libertà non è tra i valori preminenti”.
Nel giro di poco tempo egli, a giudicare dalle sue dichiarazioni ufficiali, subisce una mutazione totale, un netto cambiamento di rotta che lo porta ad affermazioni tanto radicali quanto inattese. Innanzitutto prende coscienza della realtà della legislazione antisemita varata in Italia verso la fine degli anni ’30, con una legge purtroppo controfirmata da Vittorio Emanuele III, dimentico del fatto che proprio sotto il regno del suo bisnonno, Carlo Alberto, era stata emanata lo statuto che garantiva diritti civili e politici alle minoranze religiose (ebrei e valdesi). In questo senso Fini ha effettuato un ripudio totale dell’atteggiamento fascista verso gli ebrei, soprattutto quello articolato nella legge prima ricordata (a tratti, sino all’8 Settembre 1943, in qualche modo elusa) e ancor più nell’atteggiamento furiosamente servile tipico della cosiddetta Repubblica Sociale Italiana. Varrà la pena di ricordare quello che Gianfranco Fini, in occasione di una sua visita ad Israele, ha scritto il 24 Novembre 2003, nel cosiddetto “Libro della Memoria”: “Di fronte all’orrore della Shoa, simbolo perenne dell’abisso d’infamia in cui può precipitare l’uomo che disprezza Dio, sale fortissimo il bisogno di tramandare la memoria e far sì che mai più in futuro sia riservato, anche ad un solo essere umano, ciò che il nazismo riservò all’intero popolo ebraico”. Non è un caso che egli abbia anche definito le leggi razziali come “male assoluto del ventesimo secolo”. Infine nel 2008 in occasione dell’annuale kermesse di Azione Giovani, “Atreju”, ha sostenuto che la destra deve riconoscersi nei valori dell’antifascismo, ribadendo il distacco dalle ideologie che caratterizzarono pesantemente il suo passato missino. Questo decisivo cambio d’opinione sugli ebrei e sulla nequizie delle Leggi Razziali è tanto più impressionante quanto fu decisiva nella carriera politica di Fini la protezione esplicita di cui godette ad opera di Giorgio Almirante. Questi – rimasto in clandestinità dall’Aprile 1945 fino al Settembre 1946 - fu uno dei fondatori del Movimento Sociale, e non solo era reduce di Salò, ma aveva occupato in essa la carica di Capo di Gabinetto del Ministero della Cultura Popolare. Il Ministro, Fernando Mezzasoma, fu un tipico esponente di quel furbesco fascismo “intellettuale” che nel corso degli anni ’30 si era espresso in una caratteristica istituzione, la “Scuola di Mistica Fascista (fondata nel 1930 da Niccolò Giani, il quale poi nel 1941 morì combattendo in Libia). Seguì Mussolini fino all’ultimo e venne ucciso il 26 Aprile 1945. La protezione di Almirante e della moglie fu decisiva per la carriera missina di Fini e va detto che il personaggio Almirante era più complesso di quanto lo fossero molti gerarchi fascisti: di origine nobiliare partenopea era professore di Filosofia in Liceo, ma la sua vita era stata profondamente influenzata dall’appartenenza ad una famiglia di teatranti. Il padre era stato il direttore di scena di Eleonora Duse e di Ruggero Ruggeri, gli zii Ernesto, Giacomo e Luigi attori assai noti (Luigi fu una piccola icona del cinema italiano immediatamente post-bellico). Il passato di Almirante è tanto più significativo nella carriera di Fini in quanto era stato segretario di redazione, dal 1938 al 1942, della più esplicita rivista antisemita italiana e cioè “La difesa della razza”, fondata e diretta da Telesio Interlandi, un siciliano che aveva deciso di difendere disperatamente l’uomo nordico (fu autore del libro “Contra judaeos”). Va detto che Almirante, sempre orgoglioso del suo passato fascista, sconfessò il suo rapporto con Interlandi, sostenendo di avere “superato” la sua adesione al movimento razzista per ragioni umane e concettuali. Tuttavia la sua determinante presenza nella carriera di Fini rende ancor più difficile capire la sua rapida conversione tipica di questi ultimi anni. Vorrei aggiungere che considero Fini non solo, com’è ovvio, un politico molto astuto, ma anche un politico abile, dotato di capacità oratorie e relazionali che mi sembrano rare nell’attuale classe politica italiana (ad esempio ho notato che spesso egli parla senza leggere su un foglietto, cosa che fanno ormai quasi tutti i parlamentari italiani, dimentichi del fatto che l’organismo in cui siedono – sia la Camera dei Deputati che il Senato – si chiama “Parlamento” e non “Leggimento”, tanto per ribadire quel gusto della libera improvvisazione verbale che è una delle grandi, nobili eredità della inglese Camera dei Comuni). Presumo che Fini, giunto ormai a ricoprire la terza carica dello stato, punti alla seconda (Presidenza del Consiglio), se non in prospettiva lontana alla prima (Presidenza della Repubblica). Probabilmente, rispetto ad altri suoi colleghi, ne ha almeno le capacità formali: scioltezza del dire, furbizia dell’agire, che mancano invece a tanti. Rimane tuttavia straordinario il suo recente cammino e la sua eccezionale capacità di ricostituirsi un passato, accumulando nell’arco di una vita adulta le immagini che le vedono effettuare il saluto romano in mezzo a camerati festanti, e qualche anno dopo ad essere effigiato a Gerusalemme, indossando la “kippah”.
Mi son chiesto spesso se questo suo clamoroso cambio di passo non risenta di quello altrettanto tipico che fu di Benito Mussolini: passato dal Socialismo rivoluzionario e clamorosamente anticlericale, che lo portò ad essere processato per offesa alla bandiera italiana, alla esaltazione del Tricolore ed alla stipula dei Patti Lateranensi.
Forse è un tipico destino italico che segna un esemplare di uomo nostrano estremamente significativo, in possesso di tutti gli strumenti necessari per dar vita ad una clamorosa carriera politica. Tutto sommato Fini non mi è antipatico e pertanto la minima cosa che io possa fare è augurarmi che la sua vita non tocchi i vertici di successo ma anche l’esplosiva violenza della parte finale che resta tipica della vita e della morte di quell’altro…

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