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6 ottobre 2010

Il presente è veloce e triste

Parlavo l’altro giorno con Piero Pruzzo, che ha due anni più di me e che pertanto, come e più di me, è testimone di un passato scomparso. “In fondo” mi disse Piero “noi abbiamo vissuto in tre secoli diversi.” Nell’800 quando eravamo prima della guerra alla scuola elementare. Nel ‘900 durante la guerra e nei decenni successivi alla fine del conflitto. Negli anni 2000 siamo stati introdotti a forza in un terzo secolo, di cui non comprendiamo le usanze, di cui ignoriamo l’idioma, i cui abitanti e la cui televisione ci fanno paura.”
In fondo è proprio così. Ho riflettuto spesso sulle parole di Piero e sono stato invogliato a riflettere sulla furiosa velocità della vita che siamo costretti a vivere. Ogni nuovo decennio è un mondo nuovo. Per fare un esempio banale si pensi all’adozione furiosa dei telefoni cellulari. In una decina di anni o poco più abbiamo abbandonato i telefoni pubblici (vi ricordate quando li cercavate per strada frugandovi le tasche per trovare un gettone?)e abbiamo scoperto il cosiddetto “telefonino”. Tutti lo hanno e il fatto che lo si abbia sembra doveroso e obbligatorio. Anzi, si assiste ad uno spettacolo rivelatore. Sempre di più, se dipende da loro, i giovani rinunciano al telefono “fisso”ed usano solo il cellulare. E’ una cosa che colpisce tutti quelli della mia generazione e ribadisce quel senso di separazione fra vecchi e giovani che presumibilmente non è mai stato così intenso come nel periodo che stiamo vivendo. Non è una riflessione molto intelligente la mia ma è tuttavia strettamente legata a quel senso di cambiamento furibondo di vita e di relazioni che è tipico di questi ultimi sessant’anni della vita degli umani. In realtà fino all’inizio della seconda guerra mondiale la gente viveva in un modo assai simile a quello delle generazioni che l’ avevano preceduta. C’erano stati, è vero, i massacri della prima guerra: ad esempio il mio amico Paolo Cervone ha pubblicato da poco, presso Mursia, un libro sulle grandi battaglie in Francia, dalla Marna a Verdun e Le Chemin des Dames in cui sono riproposte, sul solo fronte francese, le ossessive carneficine amministrate dai diversi generali sui vari fronti europei. Esperienze terribili da cui milioni di persone, in prevalenza contadini ed operai con una significativa presenza di giovani liceali frettolosamente mutati in sottotenenti di complemento, uscirono ulcerati ma in qualche modo ancora segnati dal loro modo di vivere anteriore al conflitto. In qualche modo era ancora esistente quel legame col passato che rappresentò il tessuto della vita per secoli e secoli fino a tutto l’Ottocento. Erano epoche in cui molta gente, soprattutto i contadini che rappresentavano in modo determinante il rapporto col passato, vivevano pressappoco come erano vissuti gli uomini e le donne della generazione precedente alla loro. In una campagna rigorosamente legata la flusso delle stagioni, coltivata a mano o con l’uso antico degli animali come i buoi e i muli, tutti vivevano “come nel passato”. Nonostante l’avaro uso di macchine nuove e rivoluzionarie, abitudini e coltivazioni erano pressappoco simili a quelle che avevano contraddistinto l’esistenza dei padri e dei nonni. E così via via, risalendo nel tempo per anni e per secoli. L’esistenza di un contadino della prima metà dell’Ottocento non era poi fondamentalmente diversa da quella di un contadino del Settecento. Il quale a sua volta riproponeva gli schemi fondamentali della vita ereditati, insieme al dialetto ed alla religione dai padri dei nonni. Lentamente risalendo sino al Medioevo. Si confronti questo lento, austero, meditato fluire del tempo e delle usanze, filtrate ed assaporate attraverso i secoli, con la vita degli anni successivi al lancio della bomba atomica sul Giappone. Ormai ogni decennio finisce col costituire un mondo a sé, con i suoi miti e la sua lingua. Il che spiega il vago senso di vertigine che, ad esempio, ci coglie quando vediamo un vecchio documento della televisione. In realtà il mondo cambia troppo in fretta per le possibilità di reazione dell’uomo medio. Tutti – e particolarmente noi vecchi- soffriamo di una sorta di faticosa esposizione allo scorrere troppo rapido del tempo. Tutto sembra immobile ma in realtà tutto cambia ad una velocità incongrua. Non possiamo abituarci, e paradossalmente questo disagio colpisce anche i giovani che stentano sempre di più ad inserirsi nella vita lavorativa di una società ove tutto cambia in fretta non solo per noi ma anche per loro.
Se non fosse sintomo di una sterile reazione senile direi che la mescolanza di antiche usanze automaticamente riprodotte e di nuovi dettami spesso misteriosi costituisce una terribile alternativa. Spaventa i vecchi come me e impedisce ai più giovani di fare quello che gli antenati hanno fatto per secoli se non per millenni. E cioè inserirsi con calma nella vita di tutti i giorni, in modo da modellare la propria esistenza in funzione di un’attività lavorativa perseguita senza drammi e senza dolori.
Probabilmente mai come oggi la difficoltà del vivere, che ogni generazione ha creduto di dover affrontare come se fosse una novità assoluta, si manifesta con tale intensità. Non è una prospettiva divertente.
Claudio G. Fava

2 commenti:

Anonimo ha detto...

E pensa che effetto "devastante" avrebbe il telefonino se applicato alla finzione pre Anni Novanta: romanzi e film completamente da rifare....
ciaoo
natalino
P.S.: a proposito del telefonino: basta guardare riprese di gente comune per strada , allo stadio o seduta in un bar: tutti smanettano sulla tasteria come se questo oggetto fosse il simbolo della loro esistenza. Come dire: io uso il telefonino, dunque esisto. E anche al cinema se uno si siede nelle ultime postazioni e la platea è in pendenza si vedono accendere in continuazione i fuochi fatui dei display di chi controlla i messaggi... Eppure, quando non esistevano i cellulari, non ricordo, se non in determinate ore e situazioni alle stazioni ferroviarie, code di decine di persone in attesa di poter telefonare. Più abuso che uso... Sono convinto ch stiamo vivendo un nuovo MedioEvo dove all'estrema difficoltà di comunicare del primo si è andato sostituendo l'eccesso opposto.

Anonimo ha detto...

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