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13 dicembre 2011

Il dirupo di Di Rupo.

Misteri di un paese (forse) inesistente.

Implicazioni tragiche implicite nel cognome di un figlio di abruzzesi diventato, dopo tenacissimi negoziati, Presidente del Consiglio del Belgio.

Da molto tempo confesso di seguire con curiosità e con qualche incredulità gli sviluppi della politica belga. Ovviamente nei limiti delle mie possibilità, ad esempio consultando il sito web di “Le Soir”, di Bruxelles, probabilmente il maggior quotidiano vallone (mi piacerebbe sapere anche cosa si scrive ad Anversa, ma purtroppo non conosco il fiammingo o coloritura belga del neerlandese, forse il più riottoso fra gli idiomi germanici occidentali, insieme al tedesco, all’ inglese e al frisone). Per farla breve ricordo che da pochi giorni il Belgio ha risolto una crisi politica che durava da un anno e mezzo. Se ho fatto i conti esattamente da più di 500 giorni il Paese era di fatto amministrato dalla alta burocrazia, che per altro sembra essersela cavata benissimo. Dopo infinite e laboriosissime contrattazioni un uomo politico è riuscito a formare un governo composto da una dozzina di ministri e da un piccolo gruppo di vice ministri. Il problema di fondo del Belgio risiede nella sua stessa natura originaria. Dal 1831 ad oggi si sono succeduti sei sovrani, ed esattamente Leopoldo I (1831-1865), Leopoldo II (1865-1909), Alberto I (1909-1934), Leopoldo III (1934-1951), Baldovino (1951-1993) e poi suo fratello Alberto che appunto regna, dal 9 agosto del 1993, con il nome di Alberto II. In senso stretto  essi sono non “Re del Belgio” ma “Re dei Belgi”, per ribadire, credo, il senso di una sovranità non legata alle terre ma ai popoli. Appartengono alla famiglia Sassonia - Coburgo – Gotha, che nei secoli scorsi si è praticamente impadronita di quasi tutti i troni disponibili in Europa (oltre il Belgio, la Gran Bretagna, la Bulgaria e, in parte, il Portogallo; non entro nel merito di questa ultima successione che è complicatissima). Sin dalla sua nascita il Belgio fu diviso fra abitanti francofoni, i “valloni” e quelli di lingua olandese, i “fiamminghi”. All’ inizio i primi erano probabilmente i più numerosi, i più ricchi e quelli che, attraverso una aristocrazia ed una classe superiore di cultura francese, governavano la nazione. Nel giro di meno di due secoli tutto si è capovolto: i fiamminghi sono più numerosi (almeno il 53%), più ricchi e più autorevoli; i valloni sono ridotti ad essere formalmente il 36% circa. Nel restante 10% della popolazione (che nel 2010 era di 11.868.000 abitanti) credo vada computata la città di Bruxelles, che, almeno all’ 85% è un’isola francofona in territorio fiammingo. È proprio questa caratteristica impedisce che i valloni ed i fiamminghi, i quali credo cordialmente si detestino, si separino gli uni dagli altri dando vita a due piccole nazioni indipendenti. Gli abitanti di Bruxelles, in notevole maggioranza non vogliono rinunciare all’ uso del francese; i fiamminghi dal canto loro non ammettono di avere nel loro territorio un’ isola vallona. Il problema è terribilmente complicato da fatto che Bruxelles non è solo la capitale (ormai federale) del Belgio. Ma anche che ha moltiplicato la sua importanza diventando una virtuale, ma in parte anche sostanziale, capitale d’ Europa, con il suo carico di diplomatici e alti burocrati multilingui e di fatto quasi onnipotenti.
Insomma la situazione di fondo è tale che nessuno dei partiti prevalenti (tutti in doppia versione, vallone e fiamminga, salvo ovviamente il fortissimo movimento indipendentista fiammingo) riesce a risolvere la situazione. Il fatto che comunque una persona sia riuscita a saldare insieme partiti insanabilmente divisi è già abbastanza miracoloso. Il personaggio in questione si chiama Elio Di Rupo, nato in Belgio nel 1951 ma figlio di emigrati abruzzesi, giunti nel 1947 e provenienti da una cittadina dal nome romanzesco, San Valentino in Abruzzo Citeriore, sita a poco più di 50 chilometri da Pescara e con una popolazione, nel 2010, di 1.949 abitanti. Di Rupo ottenne un dottorato in chimica  presso l’ università di Mons. Fin da giovane militò nel partito socialista di lingua francese, di cui ormai da anni è l’ esponente incontrastato. Con altrettanta autorevolezza Di Rupo ha proclamato la sua omosessualità, che nessuno più gli contesta. Naturalmente adesso bisognerà vedere se e in che modo riuscirà a governare un paese che funziona soltanto se viene lasciato a se stesso per il disbrigo delle pratiche ordinarie. In ogni caso l’ impresa in cui è riuscito adesso è, comunque vada, assai notevole. Di Rupo ha detto pubblicamente che intende approfondire la sua conoscenza del fiammingo, il che è abbastanza significativo all’ interno di una minoranza che, sin da quando era maggioranza, ha orgogliosamente ribadito la sua intenzione di parlare e far parlare in francese (si tenga conto del fatto che obbiettivamente i francofoni fanno in genere una fatica del diavolo a imparare una lingua straniera).
Confesso che attendo con molta curiosità l’ opera di Di Rupo. Ma è evidente, anche se la maggioranza dei belgi credo non se ne renda minimamente conto, che il suo cognome, con un minimo spostamento, può diventare oggetto di un crudele gioco di parole. Di Rupo è un cognome ma “dirupo” è un sostantivo dall’ implicazione quasi tragiche. “Cadere in un dirupo” fa pensare alla conclusione di una crudele gita in montagna, ed è quindi un pessimo auspicio per un uomo che tenterà un’ operazione quasi impossibile, in un Paese che ha pochi motivi per restare unito e molti per dividersi. “Dirupo” in francese si dice “escarpement”, “diruparsi” suona “être escarpé”, ovvero “ essere dirupato”.
Speriamo che in Belgio non glielo faccia sapere nessuno.

1 commento:

rosellina mariani ha detto...

Mi sono molto incuriosita a Di Rupo e i tuoi approfondimenti storici rendono l'articolo molto interessante.
Come al solito non manca l'ironia!
Grazie