Nell’ ordine in cui le “lettere” mi sono pervenute rispondo qui ai lettori che mi hanno scritto e che sono molto spesso gli stessi, adunati “en petit comité”.
A proposito del mio pezzo sul 25 luglio 1943 (pubblicato il 25 luglio del 2012!) ringrazio il Principe Myskin per “il bisturi di cristallo morbido”, espressione che anche fra virgolette cela un certo mistero. Grazie anche ai fedeli corrispondenti Rosellina Mariani e Rear Window per la loro affettuosa approvazione.
Passiamo ai commenti sul film “Bandiera gialla” posto nel Blog il 26 luglio. Ringrazio Rita M. per aver evocato “Un albero cresce a Brooklyn”, un film del 1945 che credo di non aver più visto da quel tempo. Era il primo di Kazan, fino a quel momento solo uomo di teatro, e lo vedemmo subito dopo la fine della guerra. Forse ancora nelle edizioni sottotitolate a cura del P.W.B. (Psycological Warfare Branch), l’organismo dell’esercito U.S.A. incaricato di sovraintendere a tutti i problemi di comunicazione e di informazione nei paesi ove si addensavano le truppe americane. Da ragazzo mi fece una grande impressione, che mi è rimasta ancora impressa dopo più di sessant’anni. Ho controllato e ho scoperto che mi ricordavo ancora i nomi degli attori. E cioè Peggy Ann Garner, allora tredicenne, Dorothy McGuire, James Dunn, Joan Blondell e Lloyd Nolan. Ovviamente, sono morti tutti, a testimonianza della commovente lontananza in cui è immerso quel cinema americano che mi folgorò durante l’adolescenza. La referenza fatta da Rosellina a proposito di “Fronte del porto” mi pare tipica di tutta una generazione di spettatori affascinata non soltanto da Marlon Brando ma anche, via via, da Lee J. Cobb, da Rod Steiger, Eva Marie Saint (ha 88 anni ed è viva!), Karl Malden (Mladen George Sekulovich era il suo vero nome) e Nehemiah Persoff (anche lui è ancor vivo ed ha 93 anni!).
In quanto ad un altro affezionato, e cioè Rear Window, mi fa piacere che citi “Un volto nella folla” con Andy Griffith, Patricia Neal, Anthony Franciosa, Walter Matthau e Lee Remick. Non so se egli ha notato che il protagonista Andy Griffith, il quale ha avuto una lunga carriera cinematografica ma soprattutto televisiva, è lo stesso attore, ovviamente molto invecchiato, che dal 1986 al 1995 ha interpretato per la televisione ben 198 episodi di un seriale americano di successo, proiettato ai nostri giorni anche da reti televisive nazionali. Si intitola “Matlock” e Griffith vi ha ottenuto un notevole successo nei panni di un furbesco avvocato di provincia in grado in ogni puntata di smascherare un assassino. Benjamin Leighton "Ben" Matlock vive e lavora a Atlanta (Georgia), e sembra che nell’originale il personaggio sia stato contraddistinto da un forte accento del Sud, il cosiddetto “Southern Drawl”. Non vorrei sembrare un collezionista di salme ma ho controllato le date ed ho visto che Andy Griffith, nato il 1 giugno 1926, è morto proprio pochi giorni fa, e cioè il 3 luglio 2012. Valgano queste poche righe come una sincera forma di necrologio.
Infine per quanto riguarda i commenti dopo il mio brano sulle province, apparso il 27 luglio, ringrazio ancora Rosellina e il Principe Myskin (entrambi “aficionados” di prima classe) e mi limito a riservarmi di scrivere ancora sul tema. Ritengo che nella pratica quotidiana dell’Italia di ieri e di oggi, le province (soprattutto quelle più antiche e consolidate) siano un riferimento obbligato alla nostra conversazione. Istintivamente è ad una provincia che facciamo riferimento quando indichiamo l’origine o l’appartenenza di qualcuno: “viene da XXX, un paesino nella provincia di YYY”. Mentre il riferimento alla Regione è meno naturale e più pomposo (come si fa a dire: “viene dall’Emilia – Romagna” o “dal Friuli – Venezia Giulia?”). Non dimentichiamo poi che delle 20 regioni ben 5 sono a Statuto Speciale: 3 di esse (Sardegna, Sicilia e Friuli Venezia Giulia) lo sono per lusingare motivi e movimenti autonomisti se non indipendentisti, forse largamente superati dal trascorrere dei tempi. E pertanto questa speciale caratteristica non può che lasciare lievemente perplessi, se si pensa alla quantità clamorosa di denaro che, a quanto si legge nei giornali, verrebbe spesa dalla regione Sicilia. Altre 2 possono vantare motivi più radicati: la Valle D’Aosta lo è in certo senso per chiedere scusa di un centralismo dell’800 e del 900 che di fatto ha sradicato dalla regione l’uso della lingua francese, nonostante sia formalmente osservato un bilinguismo ossequioso che non ha, se non mi inganno, un vero seguito nella regione stessa. L’unico caso veramente giustificato è quello dell’ Alto Adige, di fatto costituito da un lembo meridionale del Tirolo, dopo la nostra vittoria nel 1918 trasformato a forza in una regione italiana. In realtà è costituito da una provincia italofona, Trento, e da una prevalentemente tedescofona, e cioè Bolzano (in entrambe esistono minoranze ladine). Le competenze regionale credo siano state in buona parte trasferite alle province, riconoscendo quindi il carattere essenziale che l’istituzione conserva in Italia. Nella provincia di Bolzano l’uso del tedesco da parte della popolazione d’origine austriaca è ormai tutelato da accordi internazionali ed è il minimo che si potesse fare da parte nostra per rispettare la struttura originaria di una zona in cui il tedesco era la lingua largamente predominante e che, a causa della nostra vittoria del 1918, è stata strappata di peso all’Austria e inclusa nei nostri confini (se gli italiani avessero avuto l’intelligenza di imparare e rispettare la lezione di tolleranza linguistica ed etnica impartita per secoli dall’Austria – Ungheria non ci saremmo trovati nelle condizioni in cui ci trovammo per lunghi anni nel cosiddetto Alto Adige, che gli indigeni preferiscono chiamare Südtirol).
Ultimo argomento è quello del prossimo film, forse più conosciuto di quelli che ho incluso in precedenza nelle mie “recensioni” vocali, ma che resta pur sempre una grande e divertita curiosità del cinema americano dei primi anni’40. Spero di riuscire a porlo nel Blog a partire dalla prima settimana di settembre.
Vorrei fare anche presente che, salvo sorprese dell’ultimo minuto, ho intenzione di sospendere per il mese di agosto l’apporto di nuovo materiale nel Blog. Da molto, troppo tempo ho promesso un libro a Francangelo Scapolla, editore de “Le Mani” (che in passato ha edito anche il mio “Cinema di guerra in 100 film”) e vorrei concludere al più presto possibile (ci vorranno, comunque, alcuni mesi). E’ un lavoro a più mani, che implica alcune complicazioni.
In ogni caso a presto e, senz’altro, ai primi di settembre.
2 commenti:
A proposito di Andy Griffith, ecco come veniva presentato al pubblico italiano nel pressbook d'epoca di Un volto nella folla:
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Andy Griffith, molto noto in America come attore di teatro e televisione, fa un sensazionale esordio sullo schermo. La sua personalità, traboccante di dinamismo e di allegria, ci dà in questo film una caratterizzazione complessa e potente, una fusione di egocentrismo, amoralità ed immaturità emotiva. Molto utile per l’interpretazione del particolare personaggio di Rhodes gli fu il suo accento meridionale, così marcato da richiedere, a volte, un traduttore, e che denuncia immediatamente la sua provenienza dalla Carolina del Nord. Egli canta, con stile personalissimo, due canzoni di grande successo attuale: Mama Guitar e Un volto nella folla, accompagnandosi con la chitarra.
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Grazie per queste precisazioni e buon lavoro per il tuo libro che attendo con gioia e curiosità!
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