Moviola personale:
lodi per Kazan, Scorsese e per la Cineteca di Bologna
Come si dice buffamente in francese “ Commençons par le commençement”, ovvero, “ Cominciamo dall’ inizio”. Non molto tempo fa lessi una bella recensione di Goffredo Fofi, apparsa il 18 agosto u.s. nel pregevole supplemento domenicale del “Sole – 24 ore”. Nonostante i nostri percorsi personali divergano quasi totalmente, e non ci si veda mai, fondamentalmente mi fido dell’ acutezza mentale di Fofi, con il quale ho anche scritto a tre mani un libriccino su Georges Simenon. Fofi segnalava molto favorevolmente un libro con Dvd – il libro si intitola “ Elia Kazan, appunti di regia”, curato da Robert Cornfield e il Dvd “ A letter to Elia” di Martin Scorsese – editi in un unico cofanetto nella collana “ Il cinema ritrovato” a cura della benemerita Cineteca Comunale di Bologna, l’unica Cineteca italiana che riesca a tenere aperte tutto l’anno due sale cinematografiche, le quali in certe occasioni diventano quattro senza contare la platea estiva di Piazza Maggiore con più di tremila posti. Vorrei ancora ricordare che “Il cinema ritrovato” è una splendida manifestazione annuale - dura da ben 25 anni e si occupa sia del cinema muto che di quello sonoro - grazie alla quale è nato a Bologna il primo laboratorio italiano, specializzato nel restauro dei film. Che ha consentito sino ad ora di realizzare più di mille interventi, recuperando vecchi film sino a quel momento invedibili. Insieme alle “Giornate del cinema muto” di Pordenone (centrate, come dice il nome, su un frammento essenziale della storia delle immagini filmate) quella di Bologna è probabilmente una delle massime iniziative per il recupero del cinema che esistano in Europa. In Italia vi sono tante cose brutte e deplorevoli ma quasi in egual misura vi sono lodevoli iniziative che compattamente gli italiani ignorano e che hanno più estimatori all’ estero che da noi, e qualche volta fa piacere parlarne e scriverne.
Le lodi di Fofi mi hanno incuriosito, ho telefonato al mio amico Gian Luca Farinelli, da diversi anni Direttore della Cineteca ( il Presidente è Giuseppe Bertolucci, regista e sceneggiatore, fratello minore di Bernardo). Gian Luca affettuosamente mi ha subito inviato il libro – Dvd che mi è parso, come a Fofi, opera lodevolissima. Il volume, con l’ottima cura editoriale di Paola Cristalli, raduna una prefazione di Martin Scorsese, una introduzione di John Lahr e, a cura Robert Cornfield, un ritratto di Elia Kazan regista. Poi, soprattutto, contiene un lungo capitolo intitolato “Appunti di regia”, nell’originale “Kazan on Directing”, quasi 300 pagine dedicate appunto sia al teatro che ai film di Kazan. In ognuno di essi si va per opere e per momenti della vita del regista, sia nel teatro che nel cinema, oltre a numerosi altri capitoletti che completano il ritratto ed offrono moltissime occasioni di riflessione autobiografica dello stesso Kazan. Quel che rende il libro di straordinario interesse sono i frammenti di diario e di autobiografia, che hanno ovviamente molte fonti, una delle quali è sicuramente l’eccellente opera specialistica dedicata a Kazan dal grande critico francese Michel Ciment ( il quale, sia detto incidentalmente, è un vecchio amico che purtroppo non vedo dai tempi della mostra di Venezia). A questo punto vorrei ricorrere a mie precedenti esperienze. In effetti frugando nella memoria del computer ho scoperto ( per merito di Elisa) di avere scritto in passato già due lunghi brani su Kazan: uno, mi pare di capire, per “ La Rivista del Cinematografo” e l’altro non so se per la stessa o per altra destinazione. L’uso del computer, sempre che uno si ricordi quel che ha scritto, è indubbiamente comodissimo, visto che basta pescare nell’ archivio per procedere a ciò che si chiama “ copia e incolla”. Ho riletto i miei testi riscoperti (sicuramente di diversi anni fa) ed ho deciso di reimpastarli qui, nell’ attuale versione. Vorrei quindi riepilogare quella che fu la mia prima impressione dell’ opera di Kazan riallacciandomi a quello che scrissi all’ epoca.
Il primo ricordo che ho di Kazan risale all'immediato dopoguerra quando, al Nord, arrivarono compattamente gli infiniti film americani amministrati dal P.W.B (Psychological Warfare Branch), e noi adolescenti bruciammo pellicole in quantità industriali, recentissime e meno recenti, in un calderone di bramosia giovanile. E così vidi, e mi fece un grande impressione, di nitore, di eleganza figurativa e di sensibilità sociale, "Un albero cresce a Brooklyn" ("A Tree Grows in Brooklyn", 1945), appena sfornato, con quella sua trepida storia di una ragazza cresciuta nella New York popolare e irlandese dell'inizio del secolo, e con quegli splendidi attori americani di una volta: Dorothy McGuire, Joan Blondell, James Dunn, Peggy Ann Garner, Lloyd Nolan, e non sono che i maggiori. Volti e voci, (quando i film erano distribuiti, allora accadde spesso, in originale e sottotitolati), che ci riportavano, dopo tanto cinema autarchico, il sapore di mondi e persone sognate per un quinquennio. Di quel regista dal nome bizzarro e tronco - solo anni dopo apprendemmo che i suoi genitori, greci dell’ Anatolia, nel 1913 erano emigrati a New York dove il padre aprì un negozio di tappeti e dove Elia crebbe all'interno della colonia ellenica - non ci saremmo dimenticati mai più. Apprendemmo anche che quello era il suo film d'esordio, che veniva dal teatro, che negli anni '30 e nei primi anni '40 aveva fatto parte del Group Theatre, fondato da Lee Strasberg e Harold Clurman. Da cui nacquero gli stimoli che poi nel 1947 portarono Kazan, insieme a Cheryl Crawford e Robert Lewis, a dar vita ad una scuola destinata a diventare rapidamente famosa, l'Actor's Studio, in cui Lee Strasberg ebbe una importanza fondamentale. E che in quell'ambiente politicamente di sinistra e artisticamente all'avanguardia si era formato facendo un po' tutti i mestieri della scena (inizialmente ebbe successo come attore “giallo”) giungendo infine ad imporsi come uno dei migliori registi teatrali di Broadway. Il suo primo contatto col cinema, dopo alcune esperienze giovanili, fu appunto quello di far l'attore in due film di Anatole Litvak. Poi venne l'occasione del film prima ricordato, già straordinariamente maturo per essere un'opera prima, che lo fece subito notare. Nel 1947 e negli anni seguenti, a grappolo, l'eccellente "Boomerang - L'arma che uccide" ("Boomerang", 1947), un thriller prodotto da Louis De Rochemont", maestro di tutti i produttori realisti americani d'epoca e con la migliore interpretazione che ci abbia mai dato Dana Andrews; "Mare d'erba" ("Sea of Grass", idem) con una coppia famosa, la Hepburn e Tracy; "Barriera invisibile" ("Gentleman's Agreement", idem) con Gregory Peck, centrato sull'antisemitismo strisciante di tanta parte della buona società americana; "Pinky la negra bianca" ("Pinky", 1949), sui neri che passavano la frontiera del colore, tema un tempo ossessivo in America ed ormai dimenticato; l'ottimo "Bandiera gialla " ("Panic in the Streets", 1950), ove Richard Widmark ufficiale sanitario portuale che cerca di rintracciare a New Orleans il portatore di un micidiale contagio - al suo fianco esordiva nel cinema Jack Palance - è da par suo al centro di un impeccabile aneddoto poliziesco. Infine nel 1951 Kazan pagò il suo debito al teatro,filmando "Un tram chiamato desiderio" (“A Streetcar Named Desire”, 1951, da TennesseWilliams) con Marlon Brando, Vivien Leigh, Kim Hunter; con i primi due lo aveva già portato sul palcoscenico nel 1947. Le due attrici ricevettero entrambe l'Oscar, come protagonista femminile e come caratterista. Nel 1952 Kazan ha 43 anni. E' famoso ormai anche nel cinema e con relativamente pochi film è già diventato un collezionista di "nominations" e di "Oscar" veri e propri. Il film d'esordio ne aveva ricevuto uno per James Dunn miglior caratterista, "Barriera invisibile" ben tre (il film, Kazan e Celeste Holm miglior caratterista) ed altri ancora lo aspettavano negli anni successivi. Ma il 1952 fu l’anno di “ Viva Zapata!” (un Oscar per Anthony Quinn come migliore attore non protagonista e molte celebrazioni per il carattere “ rivoluzionario “ del film) ma anche l’ anno del controverso “tradimento” del regista.
Kazan, che in gioventù era stato comunista per qualche anno, venne infatti convocato davanti alla cosiddetta “HUAC” (House Un-American Activities Committee) cioè alla Commissione della House of Representatives (la Camera dei Deputati) fondata nel 1938 e abolita nel 1975, incaricata di indagare sulla infiltrazione comunista, in particolare nel mondo del cinema. Fu quello il periodo di più ampia incidenza nella vita pubblica americana del cosiddetto “maccartismo”, fenomeno politico che prende il nome dal senatore repubblicano Joseph McCarthy ( 1908 -1957) il quale scatenò una furiosa “caccia alle streghe”, soprattutto nel mondo della politica accusando moltissimi alti funzionari del Dipartimento di Stato (il Ministero degli Esteri) di essere comunisti o al servizio del comunismo. Il periodo più clamoroso del maccartismo, iniziato pressappoco nel 1947, terminò di fatto il 2 dicembre 1954 quando il Senato votò, con 67 voti contro 22, una censura contro McCarthy per “condotta contraria alle tradizioni” della Camera Alta americana ( in tutta la storia di quell’ assemblea era solo la terza volta che una decisione del genere veniva adottata). È chiaro che tutto quel che avvenne in questo ambito e in quegli anni nella politica americana è riconducibile al Senatore McCarthy. Tuttavia in senso stretto le competenze riguardanti il mondo dello spettacolo furono della “HUAC”, e quindi, come ho già scritto prima, della House of Representatives, mentre McCarthy era senatore e si muoveva nell’ambito del Senato. Tanto è vero che i Presidenti di Commissione che via via si succedettero alla HUAC furono tutti membri della Camera.
Fuori di dubbio quello del maccartismo fu sicuramente un periodo buio nella storia postbellica della democrazia americana, e ormai molti libri ed alcuni film ci hanno descritto la sorte dolorosa di registi e sceneggiatori moralmente e professionalmente distrutti, costretti ad un frettoloso espatrio, al silenzio e non di rado alla prigione. O, nel migliore dei casi, a lavorare sotto pseudonimo. Furono, credo, alcune migliaia le persone dell’ ambiente del cinema entrate nell’ occhio della Commissione, in diversi casi costretti all’ esilio ( fra i tanti Joseph Losey) oppure, per anni, ridotti a mendicare collaborazioni, scrivendo sceneggiature con nomi falsi (precedente che è stato rievocato ormai in diversi film americani). Alcuni assai significativi a questo riguardo. Ad esempio ”Come eravamo” di Sydney Pollack del 1973, “ Il Prestanome” di Martin Ritt del 1976, ( Ritt, lo sceneggiatore Walter Bernstein e l’ attore Zero Mostel erano stati tutti “ Blacklisted”) e nello stesso 1976 “ Il maratoneta” di John Schlesinger in cui alcuni hanno rinvenuto allusioni anti maccartiste. Nel 1988 ci fu “Labirinto mortale” di Peter Yates, sempre su sceneggiatura di Walter Bernstein, e nel 1991 “Indiziato di reato” di Irwin Winkler, ove nella figura del protagonista interpretato da Robert De Niro si è voluto rivedere proprio una esplicita allusione a Joseph Losey, prima richiamato. Forse il film più recente sull’ argomento è una convincente prova del 2005 di George Clooney regista, “Good Night, and Good Luck”, premiato a Venezia per la sceneggiatura e l’ interpretazione di David Strathairn. In quel periodo l’ avvenimento più clamoroso forse, fra quanti riguardano il mondo del cinema americano, fu quello dei cosiddetti “Dieci di Hollywood”, sceneggiatori e registi additati alla pubblica deprecazione: fra di essi c’ erano Edward Dmytryk, Ring Lardner Junior e Dalton Trumbo.
In particolare Kazan, come si è detto, comparve davanti alla Commissione, per l’ esattezza il 14 gennaio del 1952. Ammise di essere stato membro del Partito Comunista ma si rifiutò di fare nomi. Tornò tuttavia spontaneamente il 10 di aprile e rivelò l’ identità di molti compagni di partito, compresi otto membri del famoso Group Theatre, a cui aveva ampiamente partecipato e che in certo senso originò l’Actor’s Studio: fra i nomi denunciati c’erano quelli di Clifford Odets e di Paula Strasberg, la moglie di Lee. Pur senza minimamente voler scusare quel che in modo isterico e rabbioso accadde nella Hollywood di allora, con grandi dimostrazioni di ipocrisia e di servilismo, va tuttavia ricordato che la guerra fredda era entrata già in un momento di estrema durezza. I partiti comunisti che gli Stati Uniti si trovavano contro nel mondo, a cominciare da quello dell' Unione Sovietica, davano prova, all'interno ed all'esterno, di una spietatezza ideologica senza mezzi termini. Di fronte a cui le persecuzioni realizzate in America nel mondo del cinema, in genere orribili, crudeli ed immotivate, avevano un'aria pressoché liliale rispetto all' universo dei Gulag e delle epurazioni in massa di nemici e dissidenti, che erano diventate, sotto Stalin (morì nel 1953), quasi una regola burocratica. Pochi anni dopo, la pubblicazione del Rapporto Krusciov (reso ufficiale nelle sedute del Congresso del Partito Comunista Sovietico del 24 -25 febbraio del 1956) doveva dar ragione alle perplessità ed alle ricusazioni a cui debbono forse e in parte addebitarsi i “tradimenti” di tanti comunisti degli anni Quaranta e Cinquanta. Comunque sia, Kazan uscì duramente provato da quella terribile esperienza, di cui egli stesso ha detto che ha diviso in due la sua esistenza, ma forse ancor più lucido nel giudicare se stesso e gli altri.
Ed ecco tutta la seconda parte della sua vita di regista. Nel 1953 “ Salto mortale”( Man on a Tightrope) con Fredrick March, Gloria Grahame, Adolphe Menjou. Dal 1954 al 1976 alcuni film di grande impatto di spettacolo, di grande successo e di grandissima furbizia di costruzione: "Fronte del porto" (”On the Waterfront” 1954) - ben 4 Oscar, miglior film, miglior regia, Brando e Eve Marie Saint -"La valle dell' Eden" (“East of Eden”,1955), "Baby Doll" (idem, 1956) "Un volto nella folla" (“A Face in the Crowd”,1957), "Fango sulle stelle" (“Wild River”, 1960), "Splendore nell'erba" (“Splendor in the Grass”,1961), "Il ribelle dell'Anatolia" (“America, America”, 1963: toccante bianco e nero per ricostruire la storia dei famigliari di Kazan in fuga verso l'America, e forse il suo film più dolorosamente autobiografico), "Il compromesso" (“The Arrangement”, 1969), "I visitatori" (The Visitors”, 1972), da una sceneggiatura del figlio Chris, "Gli ultimi fuochi" (The Last Tycoon”,1976). Dopo quest’ultimo film, tratto dall’incompiuto romanzo di Scott Fitzgerald, non ha più fatto cinema. Ma quel che ci ha raccontato – ha lasciato pochi romanzi, poi tradotti in cinema, ed una autobiografia del 1988 intitolata “Elie Kazan: A Life” - ed il modo in cui lo fatto, l'America che ha descritto e quella che ha immortalato, tutto quello straordinario patrimonio di volti, di scorci, di immagini non lo potremo mai dimenticare come non tradiremo mai quell'antica fedeltà nata negli incantati cinematografi della nostra adolescenza.
Vorrei ricordare che Elia Kazan era nato il 7 settembre 1909 in quella che si chiamava allora Costantinopoli, Impero ottomano, ed ora Istanbul, Turchia. Apparteneva ad una famiglia della minoranza greca dell’ Anatolia ed evidentemente il suo cognome – la versione normalmente accettata è “ Kazanjoglu ” o “Kanzanjoglus” - era stato “turchizzato”, dato che Joglu è un suffisso molto turco (mi ricordo che durante la guerra il Ministro degli Esteri di Ankara si chiamava “ Menemenejoglu”!). Kazan, che, come si è detto, era emigrato negli Stati Uniti con la famiglia all’ età di soli 4 anni, era in tutto e per tutto newyorkese e morì a Manhattan il 28 settembre del 2003. Ebbe due figlie e due figli e tre mogli. La seconda delle quali, l’attrice Barbara Loden, morta nel 1980, diresse un solo film, “Wanda”, che, presentato nel 1970 fuori concorso alla Mostra di Venezia, dove lo vidi, fu una vera e propria rivelazione. La terza moglie, Frances Rudge, sposata nel 1982 e credo tuttora vivente, è largamente intervistata negli “ extra” del Dvd insieme Al Pacino, Robert De Niro, Ellen Burstyn, Lois Smith, il grande Eli Wallach (classe 1915, Oscar alla carriera nel 2011) e Alec Baldwin. Essa ha scritto due libri e, credo dopo aver conosciuto il marito, si è specializzata in studi universitari sulla cultura turca.
A questo punto è doveroso far cenno dell’ interessante documentario contenuto nel Dvd del cofanetto. Si tratta di rivisitazione del cinema di Kazan, a cura come si è detto di Martin Scorsese e di Kent Jones, intitolata “ A letter to Elia”, in cui il regista italo – americano rievocata e ripercorre da par suo ( salvo forse il già ricordato “Pinky, la negra bianca”) tutta l’ opera dello stesso Kazan. Introducendo e anticipando i brani di film Scorsese scioglie un inno commosso non solo al regista che egli talmente ammira ma anche alla sua stessa infanzia ed adolescenza di quando andava a vedere i film di Kazan, negli ormai scomparsi cinematografi newyorkesi a 12 o a 15 cents. Dentro i quali letteralmente viveva. È un’ antologia raccomandabilissima che addito agli appassionati e che spero li soddisfi e li commuova come è successo a me. Ho già fatto cenno degli altri contributi “ extra” del Dvd. Mi limiterò qui a ricordare che vi è anche una lunga e appassionata intervista al regista tedesco, figlio di turchi, Akin Fatih, classe 1973, di cui molti film sono venuti in Italia ( “ Ai confini del Paradiso”, “ La sposa turca”, eccetera). L’ intervista consiste in un appassionato raffronto fra l’ opera di Elia Kazan e quella del regista turco Yilmaz Gűney ( si pronuncia “ Gunè”). Di lui in Italia è venuto, credo, solo un film, “ La rivolta” del 1983, (ma ne ha girato più di venti) ambientato in una di quelle carceri del suo paese che egli conosceva così bene: vi ha scritto cinque sceneggiature e vi ha girato almeno un film. Il brano della visita in carcere di Kazan a Gűney, pur sciatto, è da antologia. Ma tutto quel che dice Fatih Akin di Gűney (regista al quale il Festival di Lecce ha dedicato di recente una "personale") è estremamente interessante, a cominciare dalla spiegazione del perché Kazan e Gűney hanno fraternizzato. Erano entrambi figli di etnie minoritarie in Turchia, i greci ed i curdi ( è un argomento che andrebbe approfondito in base alla complessa origine etnica del padre del regista curdo, ma non voglio farla troppo lunga). Inoltre Akin sostiene che fra di loro Gűney e Kazan parlavano turco. Come abbia fatto Kazan, che, è vero, è nato a Istanbul da famiglia greca dell’Anatolia (e nel suo ambiente parlava greco) ma è andato in America all’ età di quattro anni, a imparare e ricordare il turco, è un autentico mistero. Degno di quell’ ampio mistero che circonda la vita del grande regista.
Per scrupolo vorrei ricordare che nel 1989 l’ American Film Institute si rifiutò, sempre a causa del famoso “ tradimento”, di onorarlo con un premio alla carriera. In compenso ricevette l’ Orso d’ Oro alla carriera al Festival cinematografico di Berlino e, finalmente, nel 1999 l’ Oscar alla carriera a Hollywood. Quando morì Kazan aveva 94 anni: poche persone nel mondo del cinema possono dire di avere avuto una vita intensa, combattiva, avversata e insieme favorita, come la sua.
( battute: 19.317)
2 commenti:
Il tradimento di Kazan segnò a tal punto la sua vita che vi furono polemiche per l'Oscar alla carriera che ricevette nel 1999 (a quasi 50 anno di distanza dai fatti incriminati).
Avrei una domanda e una richiesta da porLe.
Mi incuriosce la precisazione a fondo post del numero di battute che lo compongono.
Come mai è indicata la lunghezza del pezzo?
La richiesta riguarda Ciment.
Sarebbe bello se potesse telefonargli e conversare con lui (da appassionato kubrickiano non mi perderei per nulla al mondo una simile telefonata).
Grazie.
Mi rimase impressa,la notte degli Oscar 1999,la maschera impassibile di Nick Nolte (candidato come miglior attore per "Affliction",poi l'Oscar andò a Benigni...come italiano esultai,come cinefilo l'avrei assegnato a Nolte),che non partecipò alla standing ovation per Kazan
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