UN TENTATIVO DI INTERPRETARE FRAMMENTI DELLA POLITICA ITALIANA COME OMAGGI ALLA RECITAZIONE ALL'ITALIANA. IL TUTTO ALL'INSEGNA DI UNA CATTIVA MA FONDAMENTALE BATTUTA DI ORSON WELLES
Il titolo è un po’ funebre, ma solo perché prende le mosse da un libro del 1862 di Ferdinando Petruccelli della Gattina “I moribondi di Palazzo Carignano”, parafrasato da Vittorio Gorresio nel 1947 con ”I moribondi di Montecitorio” e successivamente negli anni ‘50, credo, con “I moribondi di Palazzo Madama”. Il ripescaggio di Petruccelli testimonia del senso giornalistico di Gorresio, giornalista giustamente famoso nel dopoguerra ed ora praticamente dimenticato, come il suo amico Paolo Monelli, ancor più bravo di lui.
In effetti Petruccelli della Gattina (Moliterno, in provincia di Potenza, 28/8/1815- Parigi, 29 marzo 1890) è un curioso protagonista del Risorgimento e del post-Risorgimento, di cui per la verità non ho mai saputo un accidente, salvo appunto il ricordo del titolo parafrasato da Gorresio.Ho fatto qualche ricerca in internet ed ecco il risultato. Liberale e anticlericale egli fu giornalista (sembra anzi che Montanelli lo abbia definito “il più brillante giornalista italiano”). Era iscritto alla Massoneria grazie ad uno zio che era stato medico di Gioacchino Murat. Praticamente aveva passato l’infanzia e la prima giovinezza a scontrarsi con tutti gli istituti di educazione religiosa del Regno delle Due Sicilie. Laureato in medicina a Napoli, corrispondente da Francia e Germania, eletto deputato a Melfi durante la fragile costituzione concessa da Ferdinando II, si schierò poi contro il monarca, visse in clandestinità per circa un anno, emigrò in Francia, si oppose al colpo di stato di Luigi Bonaparte (in seguito Napoleone III), andò a Londra dove entrò in contatto con molti politici esuli fra cui Mazzini e Proudhon, venne richiamato in patria da Garibaldi dopo l’impresa dei Mille ed eletto deputato. Siamo nel 1861. Il 18 febbraio viene aperta a palazzo Carignano a Torino la prima sede del Parlamento Subalpino. Dopo gli iniziali entusiasmi l’on. Petruccelli rimane profondamente deluso dai suoi colleghi ed ecco il perché del titolo del libro (“I moribondi di palazzo Carignano”) prima richiamato. Nei quasi trenta anni che seguirono la vita di Petruccelli fu ancora molto intensa. Nel 1867 conobbe a Londra una scrittrice inglese che sposò. A partire dal 1873 i due si trasferirono definitivamente a Parigi, dove egli morì quasi un trentennio dopo. Negli ultimi anni fu afflitto da una paralisi che gli impediva di scrivere, ma poté continuare nella professione con l’aiuto della moglie. Come si vede un personaggio curioso e complesso, che durante il periodo in cui fu perseguitato dai borbonici si inventò addirittura il predicato “della Gattina” per mascherare la sua vera identità. Non ho capito in che modo potesse riuscirci ampliando in un modo così buffo il suo nome, ma è una delle tante cose che non comprendo bene in questo curioso personaggio, di cui ho trovato una frase curiosa, pomposa, lievemente sgrammaticata e vagamente arrogante: “io sono poco democratico. Non disprezzo il popolo, ma amo meglio innalzarlo fino a me coll’istruzione e col lavoro che discendere fino a lui, abdicando una parte di me stesso.” Ha pubblicato molti libri, quelli più importanti superano la ventina e la cosa più triste è che sembrano interessanti dai titoli ma ho l’impressione che non li leggerà mai nessuno.
Questa lunga, e forse fuorviante introduzione, rischia di sviare il lettore (eventuale) dal mio modesto obbiettivo. Che è appunto quello di introdurre le mie altrettanto modeste riflessioni sulle sedute della Camera e del Senato del pomeriggio del 3 agosto 2011 e appuntamenti seguenti, con le dichiarazioni del presidente del consiglio Berlusconi e le risposte dei portavoce dei diversi gruppi parlamentari. Confesso di essere un appassionato di cronache parlamentari, sin da quando ero piccolo. All’inizio della guerra mio padre mi regalò un libro che probabilmente nessuno ricorda oggi ma che io lessi e rilessi e che mi fece molto impressione: “Storia terribile del Parlamento italiano” di Titta Madia. Anni dopo appresi che questi era un famoso avvocato, nato nel 1894 a Petilia Policastro, in provincia di Crotone, ufficiale mutilato durante la prima guerra mondiale e poi fascista. Lo fu anche nel secondo dopoguerra, quando venne eletto al parlamento come deputato del MSI. Va detto che fu unanimemente elogiato come oratore di talento ed il suo libro fece grande impressione a me ragazzo perché rievocava, con quella che mi parve una grande eloquenza, il passato del nostro Parlamento. Probabilmente le sue intenzioni erano polemiche ma, il risultato fu che la massa di nozioni e di citazioni finì col far nascere in me una grande ammirazione per la vita parlamentare, per molti dei suoi protagonisti famosi e per tutti i meccanismi regolamentari che la reggono. Probabilmente era esattamente il contrario dello scopo che Madia si proponeva ma in certo senso egli era troppo bravo, per quel che mi ricordo: le conseguenze furono di far nascere in me una gran voglia di Parlamento.
Non ne sono guarito neppure oggi e tutti i rituali parlamentari continuano ad affascinarmi: il campanellino del presidente, la complessa disposizione dei seggi della Presidenza che sovrastano quelli del Governo, il complicato ordinamento che sovraintende agli interventi e alle repliche, perfino la disposizione dei seggi dei parlamentari dove la Destra e la Sinistra sono quelle che appaiono agli occhi del presidente e son pertanto capovolte rispetto alla zona dove siedono i parlamentari. Confesso ad esempio che, rispetto a questo rituale, ereditato e ulteriormente complicato, credo, dalle tradizioni del parlamento francese, ho sempre trovato affascinante il semplice meccanismo tipico della Camera dei Comuni, dove i partiti contrapposti siedono l’uno di fronte all’altro, il primo Ministro e gli altri suoi colleghi prendono posto nella prima fila, per parlare si alzano in piedi ed appoggiano i loro scartafacci in un grande tavolone di separazione e poi si risiedono al loro posto, mentre l’unico luogo di rilievo è quello concesso allo “speaker”, un tempo tradizionalmente dotato di parrucca, come gli avvocati inglesi (esclusivamente i “barristers” e non certo i “solicitors”) quando difendono in aula.
Ancora una volta, lo spettacolo offerto dai deputati italiani (per colpa del bicameralismo perfetto è stato poi ripetuto minuziosamente al Senato ma con minore risalto) è stato complessivamente mediocre. Va ricordato che i nostri parlamentari (dimentichi del fatto che son membri di un Parlamento e non di un Leggimento) tendono a compitare i loro interventi, forse scritti anche da altre persone, togliendo alla immediatezza fisica e a volte rabbiosa dell’apparente improvvisazione quel sapore di aggressiva verità che è in tutti i discorsi nati direttamente dalla mente e da lì proiettati verso la bocca. In genere (come molti loro elettori) sono modesti lettori. Credo che nessuno prenda dei corsi di dizione, che pure è una materia di rilievo nelle scuole di recitazione. Inoltre si avverte nel loro modo di leggere una sorta di fretta frenetica, dettata dal fatto che sono consapevoli di avere un testo fatalmente destinato a superare il tempo concesso dai regolamenti, nonostante che i computer di oggi consentano di stabilire il numero esatto delle battute. Infine c’è nella nostra classe politica una sorta di trascuratezza linguistica, che è tipica di tutta l’Italia odierna, e che sposa alla banalità dello stile la burbanza burocratico-ideologica del vocabolario politico , con risultati di indubbia noia.
Ogni volta che vedo in televisione i nostri uomini politici esprimersi in parlamento, mi viene in mente una battuta cattiva ma divertente di Orson Welles. Gli era stato chiesto “perché gli attori italiani sono così mediocri?” (domanda, in realtà, ingiusta e immotivata, perché l’Italia ha sempre avuto molti bravi attori, a teatro ma anche al cinema). E Welles dette una risposta molto anglosassone: “Perché in Italia recitano tutti ed i peggiori sono i professionisti.”E’ una conclusione, vagamente razzista, che però si adatta a molti dei nostri protagonisti. Cominciamo con la recitazione di Berlusconi, che ha sempre avuto una oratoria stringata e in qualche modo autoritaria, tipica di chi è abituato a dominare i Consigli di Amministrazione. E che ora, (sarà la stanchezza l’età, l’affollarsi di tante preoccupazioni pubbliche e personali, le innumerevoli telefonate agli altri Capi di Stato) dà l’impressione di essere più impacciato e meno sicuro di una volta. Come un primattore che tende insolitamente a dimenticare il copione e che invoca l’ormai scomparsa presenza del suggeritore. Purtroppo sembra un primattore argentino, di quelli con il cognome italiano che scaturivano un tempo dagli “studios” di Bueno Aires e che in Italia ci sembravano vagamente parodistici. Al contrario Alfano, più giovane e meno logorato, si è gettato inaspettatamente in una convinta, apparente improvvisazione, in qualche modo controllando una dizione minimamente siciliana all’interno di una fisionomia pallidamente insulare. Quasi tutti gli altri, invece, sono apparsi ancora una volta legati a collaudati schemi di comportamento. Che implicano una stanca divisione delle parti e delle battute. Casini (il cui cognome è sempre più adatto all’attuale situazione italiana) tende per fortuna a cogliere suggerimenti da un foglietto tenuto in mano ma non legge un testo per intero. C’è in lui una pallida ombra della scorrevolezza verbale saltuariamente tipica della vecchia Democrazia Cristiana (fu infatti aiutante fedelissimo di Arnaldo Forlani).Tende istintivamente ad articolare la voce in falsetto ma in qualche modo l’ aver tenuto per anni, credo in pieno accordo con Berlusconi, la Presidenza della Camera gli consente di recitare la sua parte di oppositore con quasi sufficiente credibilità. Pier Luigi Bersani ha invece un’oratoria di tipo martellante ereditata dal vecchio PCI ma al tempo stesso raddolcita dalla lamentosità piacentina della cadenza. Più esattamente Bersani è di Bettola, paese di 3.116 abitanti situato a 33 chilometri da Piacenza. Suppongo pertanto che il suo dialetto si muova nell’ area provinciale. Il nome del paese fa pensare ad una vocazione fortemente alcoolica, e questa non è una mia malignità. In effetti da una voce di Google ho copiato il seguente brano, tuttavia non so quanto attendibile: l’origine del toponimo Bettola è un sinonimo dell’italiano "osteria"; esso probabilmente richiama alla funzione che aveva il luogo in passato, quella cioè di ristoro per i viandanti. Ecco quindi che il suo abitato lo si fa risalire alla metà del Quattrocento come luogo di sosta dei commerci tra Piacenza e Genova. Complessivamente l’oratoria di Bersani, oltre le origini partitiche da me prima ricordate, ribadisce una sorta di rugginosa bontà e insieme di doverosa ostinazione. Se Casini è un caratterista furbesco all’italiana, Bersani, con il suo viso prevalentemente gallo-italico non alieno da eventuali infiltrazioni celtiche, fa pensare semmai ad uno stanco caratterista di western, come tanti ne ha inventati la specializzazione italiana del genere. Mettetegli una parrucca, così da coprire convenientemente la sua calvizie da laureato in filosofia con lode grazie ad una tesi su San Gregorio Magno, ed un paio di baffi pseudo- messicani, come usavano appunto nei film falso-americani girati dagli italiani nel deserto del Tabernas, presso Almeria, ambientati al confine con il Messico fra Arizona, Texas e New Mexico e ne avrete un bonario cattivo da bettola (appunto). L’unico personaggio-base che possa tenergli testa mi sembra sia il suo equivalente al senato, e cioè Anna Finocchiaro, già sostituto procuratore a Catania. Non recita male ma è sorretta da un altro tipo di lamentosità, certamente non emiliana ma palesemente siciliana, che dà alle sue organizzate deprecazioni di Berlusconi e della sua opera un sapore da prefica regionale. Antica ma al tempo stesso recuperata da notazioni contemporanee: si va dalle sorelle di Giovannino Percolla in “Don Giovanni in Sicilia” di Vitaliano Brancati ad altri personaggi collaterali ma decisivi che si immaginano sempre all’interno di fondamentali pubblicazioni di Sellerio Editore.
Quegli che si distingue fra tutti, e particolarmente dai suoi compagni di partito che come lui sembrano sempre arrabbiati senza averne tuttavia la contadina vitalità, è Di Pietro. Un po’ più rigonfio di quando, son passati ormai circa venti anni, fu il magistrato fatto in casa, trionfatore di “Mani Pulite”, ma, ancor più, carico di una intensità teatrale che ne fa l’ultimo, degno continuatore di una lunga e favolosa dinastia di caratteristi meridionali (importanti, anzi decisivi, nella storia del teatro e del cinema italiani). Quel che in lui è realmente cambiato, rispetto ai vecchi tempi, è il modo di camminare. Osservatelo in uno spazio abbastanza ampio e vi farà venire in mente una definizione di un letterato dell’epoca il quale scrisse che: “Mussolini camminava con il passo pesante del contadino sull’aia”. Che esattamente è quello che fa Di Pietro. Certamente la sua esplosione verbale alla Camera, quando si rivolse a Berlusconi, dicendo pressappoco: “Signor Presidente del Consiglio ma se potessi vorrei dire caro Silvio, te ne devi andare”, è degna del miglior Totò e del miglior Peppino de Filippo (peraltro, entrambi, sempre migliori e molto raramente peggiori). Si pensa all’irresistibile “Votantonio, Votantonio, Votantonio! Italiani!” de “Gli Onorevoli” di Sergio Corbucci e si troverà una sorta di folle , amichevole equivalente che disegna uno strano rapporto fra Antonio Di Pietro e Antonio La Trippa.
Fra gli altri attori importanti della nuova traduzione mortuaria di Petruccelli della Gattina, c’è indubbiamente anche Giancarlo Fini. Il quale, via via che il tempo passa, assomiglia sempre di più ad un ipotetico, abile, astuto notaio bolognese ma, nonostante l’attitudine ad identificarsi con il personaggio del Presidente della Camera non è ancora giunto a disegnare completamente la parte del grande Moderatore di assemblee, come è accaduto con certi attori americani che hanno immortalato le figure del Vice-Presidente Usa, a cui spetta, quando può e ne ha voglia, la Presidenza del Senato.
Non è detto, con l’impegno che palesemente ci mette, che un giorno o l’altro non ci riesca. Così da eguagliare l’apparentemente stinto, ma in realtà geniale, Lew Ayres di “Tempesta su Washington” di Otto Preminger (Lew Ayres fu l’ottimo protagonista di “All’Ovest niente di nuovo” di Lewis Milestone, “punito” e poi parzialmente recuperato per essere stato obiettore di coscienza durante la seconda guerra mondiale). Anche Fini ha alle sue spalle e nel suo presente un percorso politico non proprio rettilineo. Si potrebbe dire che ha rigettato nel suo passato una sorta di vocazione quasi quadristica, che invece ora è intinta di nobili, acculturati e contagiosi istinti democratici, fatti di fervida adesione all’epoca e di fattivo filosemitismo.
Può darsi che ci sia un recupero anche per lui.
Battute 14.996
3 commenti:
La lettura su pc è decisamente più impegnativa rispetto alla lettura su carta.
14996 battute sarebbero un ostacolo non indifferente da superare se non andassero a comporre un articolo ironico, leggero e intelligente come pochi altri sanno scrivere.
Le immagini del Bersani messicano, del Di Pietro Vota Antonio e della Finocchiaro prefica siciliana sono impagabili.
.....leggimento, parlamento e il portamento?
Bellissimo articolo.
Grazie
Grazie per il lungo,interessante e divertente affresco sul nostro parlamento.Credo vi siano altri comprimari di discreta levatura in questo filmetto parrocchiale mal riuscito e mal recitato : Calderoli emulo di Gigi Ballista ? una Carfagna micro Louise Brooks? Bocchino/Leopoldo Trieste?
La frase di Percalli da lei citata è sì pomposa,ma credo esprima in modo azzeccato l'obiettivo che dovrebbe porsi un politico davanti al degrado culturale di una (piccola?) parte del popolo.Invece i "nostri eroi" preferiscono scendere in basso,o far credere alle masse di farlo,creando un desolante processo di identificazione ("è volgare come me,è ignorante come me"),che trova il suo completamento nei deprecabili "reality show" televisivi,che incoraggiano le persone rozze e incolte a rimanere tali.Ah,è stata una piacevolissima sorpresa leggere il suo scritto sulla Monroe in Film TV.Spero sia solo l'inizio.La saluto cordialmente.
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