“Midnight in Paris”
di Woody Allen
di Woody Allen
Soggetto e sceneggiatura: Woody Allen – Direzione della fotografia (colore): Johanne Debas, Darius Khondji – Musica: Stephane Wrembel – Scenografia: Anne Seibel - Montaggio: Alisa Lepselter – Produzione: Letty Haronson – anno 2011– Interpreti, personaggi e doppiatori: Owen Wilson (Gil) - ((Massimiliano Manfredi)); Rachel McAdams (Inez) – ((Chiara Colizzi)); Kurt Fuller (John) – ((Carlo Valli)); Mimi Kennedy (Helen) – ((Melina Martello)); Michael Sheen (Paul) – ((Loris Loddi)); Nina Arianda (Carol) – ((Franca D’Amato)); Carla Bruni (Guida a Versailles) – ((Se stessa)); Marion Cotillard (Adriana) – ((Elsa Mollien); Adrien Brody (Salvatore Dalì) – ((Neri Marcorè)); Corey Stoll (Ernest Hemingway) – ((Adriano Giannini)); Kathy Bates - (Gertrude Stein) ; ((Ludovica Modugno)); Tom Hiddleston (Francis Scott Fitzgerald) - (( Riccardo Rossi)); Alison Pill ( Zelda Fitzgerald) – ((Alessia Amendola)); Léa Seydoucs ( Gabrielle) – (Diana Fleri)) eccetera. Doppiaggio : CVD – dialoghi italiani: Elettra Caporello – Direzione: Maura Vespini. (L’indicazione delle voci italiane è ricavata dal prezioso sito di Antonio Genna “Il Mondo dei doppiatori”).
Mi ero occupato qualche tempo fa (vedi nel Blog l’ articolo “Solo la Parigi del passato funziona nell’Europa del presente”, pubblicato in data 3 dicembre 2011) di questo recente film di Woody Allen, chiarendo il tema di fondo, e cioè la fuga ossessiva verso un mito letterario del passato, molto forte nella letteratura anglo–americana, ossia la Parigi degli anni’20. Come è noto gli idoli anglofoni del tempo furono molti. Da Ezra Pound a James Joyce si potrebbero via via citarne molti. Ad esempio Scott Fitzgerald e la moglie risiedettero in Europa dal 1924 al 1929. Dal canto suo Ernest Hemingway passò a Parigi interi periodi dal 1921 al 1928, dopo esservi arrivato per la prima volta, appunto nel mese di dicembre del 1921, con la moglie Hadley. Fu a Parigi che scrisse i suoi primi racconti, e fu anche a Parigi che, nei bar nella zona di Montparnasse, scrisse “Fiesta” (“Il Sole sorge ancora”) e iniziò la stesura di “Addio alle armi”. Sulla città, nella quale tornò trionfalmente nel 1944 mettendosi alla testa di un gruppo di partigiani, le sue testimonianze sono infinite, a cominciare da una frase rimasta famosa grazie alla quale egli inventò anche il titolo di un romanzo: ”Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dopo, ovunque tu passi il resto della tua vita, essa ti accompagna, perché Parigi è una festa mobile”.
Tornando al film non è qui il caso di rievocare il cammino del protagonista, Gil, che appunto a Parigi viene accompagnato ogni sera da una impeccabile automobile d’epoca (probabilmente una Hispano-Suiza) nella città e fra i suoi frequentatori proprio del suo passato più splendido. In particolare fra i miti, in parte anglosassoni, di quella Parigi (non solo gli Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway prima citati, ma anche Cole Porter, Josephine Baker, Man Ray, T.S.Eliot, l’inevitabile Gertrude Stein con Alice B. Toklas, oltre a Salvador Dalì, Pablo Picasso, Luis Buñuel, Henri Matisse, eccetera). Questa vena rievocativa, tipicamente americana, serve anche a riproporci uno dei risvolti del gusto personale di Woody Allen. Vorrei ricordare che noi, e la gente in genere, pensiamo ad Allen soprattutto come ad un attore filtrato dalla voce quasi altrettanto celebre di Oreste Lionello. Ma egli, in realtà, ha iniziato la carriera come gagman e come autore di sketch teatrali e televisivi, finendo poi col tradurre di persona i suoi scritti e, trascinato dal successo e dal talento, col proporli personalmente a doppio titolo come attore e come regista. Egli ha tante vocazione ed al tempo stesso una sola, che è poi quella di mettere in scena fiabe ora ingenue, ora esilaranti, ora feroci che divertano il trepido e malignetto fanciullino newyorkese rimasto dentro di lui nel corso degli anni. Si ricordi che Woody, è nato, come Allen Steward Konigsberg, nel 1935 ed ha pertanto 77 anni. Via via che si avvicina all’ottantina , e diventa sempre più fragile d'aspetto, si avverte visibilmente in lui il desiderio preminente di restare dietro la macchina da presa e di essere solo regista, probabilmente sia per sfogo creativo che per reggere meglio il terribile giuoco cinematografico consistente nell’ essere al tempo stesso autore e interprete di immagini. Giuoco logorante, sia dal punto di vista inventivo che da quello fisico: io ne so qualcosa come spettatore perché, a suo tempo, ho lavorato in qualità di modesto attore secondario in “Ladri di saponette” di Maurizio Nichetti ed ho visto Maurizio sopportare il duplice stress di dirigere e poi di entrare in scena, ed una volta terminata l’ una e l’ altra incombenza costringersi a giudicarle entrambe. In effetti gli ultimissimi film di Allen sono spesso soltanto opera di regia e sceneggiatura. Si pensi a “Melinda Melinda”, “Sogni e delitti”, “Vicky Cristina Barcelona”, “Basta che funzioni” ed a questo “Midnight in Paris” in cui il giuoco d’autore dell’invenzione è forse ancora più palese. Evidentemente egli tornerà ancora (lo fa quest’anno nel film realizzato a Roma) sotto l’occhio della macchina da presa, perché è qui che la gente lo preferisce, appunto come l’attore che ha creato un piccolo mito. Ma è certamente come solo regista che egli può abbandonarsi al libero fluire delle sue memorie letterarie di venti/trentenne newyorkese. Molte allusioni che ci sono in “Midnight in Paris” sono probabilmente difficili da cogliere per un europeo (e forse anche per un americano) di oggi. Si osservi il piccolo particolare di un inquadratura in cui campeggia l’immagine di una libreria, “Shakespeare and Company”, che una libraia ed editrice famosa fra gli espatriati americani, Sylvia Beach, tenne aperta con successo a Parigi dalla fine degli anni’20 sino al 1941. Il nome e la libreria vennero riproposti da altri espatriati americani, a partire dal 1964 e il locale è aperto ancora oggi. Non è un caso che la libreria sia stata mostrata non solo nel film di Allen ma anche in “Before Sunset - Prima del tramonto” di Richard Linklater nel 2004.
In questo senso tutto il film è una patetica e toccante galoppata verso delle memorie che Woody Allen vorrebbe fossero veramente le sue. Forse per questo essa è ricca di strizzatine d’occhio allo spettatore, come accade quando il protagonista propone a Luis Buñuel di realizzare un soggetto che in realtà è l’inizio de “L’angelo sterminatore”, famoso film enigmatico il regista spagnolo che diresse poi veramente in Messico nel 1962. La cosa divertente è che Gil continua a dirgli che il film dovrebbe iniziare con un gruppo di personaggi i quali si trovano bloccati da una forza misteriosa in una casa e non riescono ad uscirne. Mentre Buñuel, dal canto suo, continua a dirgli che non comprende e chiede ripetutamente: “ma perché non possono uscire? Non capisco proprio”.
In un certo senso Woody si diverte e, in gran parte, anche noi…
3 commenti:
....HO VISTO IL FILM DI lUIS BUNUEL...DECISAMENTE ENIGMATICO!!!!
C'è una cosa nel film di Woody Allen , "Midnigth in Paris", ( film che per me non è fra i suoi migliori, forse perchè ho amato troppo "Io e Annie","Sturdust Memories", "Manhattan" , ma molti altri)che mi ha un pò infastidita: Gil che camminava, parlava , metteva le mani in tasca come Woody....tutto ciò mi faceva venire il desiderio di vedere Gil- Woody Allen e non Gil - Owen Wilson.
E' palpabile , come dici tu, che Allen non vuole più abbinare i due ruoli di regista e attore, ma se ci fosse stato forse avrei amato di più il film ( che comunque ha dei pregi ,come ti ho già scritto)
Grazie, come sempre !
A me nel film è piaciuta molta la gag finale in cui è coinvolto l'investigatore finale. A questo proposito vorrei chiederle: mi sembra che questo personaggio sia stato creato solo per giustificare la gag finale, sbaglio?
Gianni
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