Qualche tempo fa avevo chiesto al mio amico Renato Venturelli- grande specialista di film Noir e laboriosissimo critico cinematografico del “Lavoro”, edizione genovese de “La Repubblica”- un elenco indicativo riguardante i film americani degli ultimi 2/3 anni che lui predilige. Riporto qui, in corsivo, l’elenco, insieme alle specifiche precisazioni scritte da Venturelli:
“Bastardi senza Gloria” (Inglourious Basterds, 2009) di Quentin Tarantino; “The Social Network” (idem, 2010) di David Fincher; “Gran Torino” (idem, 2008) di Clint Eastwood; “Avatar” (idem, 2010) di James Cameron; “The Town” (idem, 2010) di Ben Afleck; “Le idi di marzo” (“The Ides of March”, 2011) di George Clooney; “War Horse” (idem, 2011) di Steven Spielberg.
Tra i meno recenti, imprescindibile:
“I padroni della notte” (“We Own the Night”, 2007) di James Gray.
Inoltre, tra i più recenti:
“The Tree of Life” (idem, 2011) di Terrence Malick; “Drive” (idem, 2011) di Nicolas W. Refn; “The Fighter” (idem, 2010) di David O. Russell; “Hugo Cabret” (idem, 2011) di Martin Scorsese; “Margin Call” (idem, 2011) di J.C. Chandor; “Un gelido inverno” (“Winter’s Bone”, 2010) di Debra Granik; “Paradiso amaro” (“The Descendants”, 2011) di Alexander Payne; “The Wrestler” (idem, 2008) di Darren Aronosfky
Mi pare un elenco molto interessante. Io ho visto solo una parte dei film e non è escluso che molti dei lettori siano più di me in condizione di esprimere un giudizio meditato. Ma quel che mi pare stimolante è il complesso di una testimonianza articolata secondo le scadenze di un cinema americano (e pur sempre in buona parte hollywoodiano) forse più opaco di qualche tempo fa ma sempre pieno di lampi improvvisi e di invenzioni relativamente inattese.
Una prima considerazione, riguardante il mercato italiano, che è quasi obbligatorio formulare, riguarda il numero dei film per i quali è stato conservato anche da noi il titolo originale. Salvo errore i film sono complessivamente 16 e in ben 11 di essi il titolo americano è stato conservato, con una proporzione assolutamente impensabile sino a 10/20 anni fa. E’ la testimonianza, sempre che occorra ricercarla, della penetrazione minuta e disordinata della lingua inglese nel tessuto complessivo di quella italiana. Moltissimi connazionali ormai usano disordinatamente l’inglese nel tessuto del loro abituale discorrere (in realtà la maggioranza di essi l’inglese di fatto non lo conosce ma, come un personaggio di Alberto Sordi, finge di saperlo a menadito).
Per indulgere a considerazioni più concrete, veniamo alle indicazioni di Venturelli con una immediata notazione per un film che egli considera “imprescindibile”, e cioè “I padroni della notte”. Il regista, James Gray è nato nel 1969 ed è balzato alla notorietà molto giovane, nel 1994, quando, a soli 25 anni di età ha vinto il Leone d’Argento a Venezia con il suo film d’esordio, “Little Odessa”, (ha circolato anche con il titolo “Il quarto comandamento”) centrato su un killer a pagamento che ritorna nella natia Brigthon Beach, a Long Island, luogo di una forte immigrazione di ebrei-russi, a cui probabilmente appartiene la stessa famiglia del regista. Fu un grande successo (una delle interpreti, Vanessa Redgrave, ottenne la Coppa Volpi). Mentre il secondo film di Gray (“The Yards”, 2000) sembra non abbia avuto molta fortuna nel mercato italiano pur contando da noi molti fedeli estimatori che lo considerano superiore a “Little Odessa”. Il suo terzo film fu appunto il prima citato “I padroni della notte”, mentre il quarto (credo che per ora sia il più recente) si intitola “Two Lovers” (2008, ancora un titolo originale!) ambientato di nuovo nel quartiere russo-ebraico di Brighton Beach: Gray, per la prima volta vi affronta un tema non violento e viene sedotto da notazioni apertamente intimiste.
Come si vede la citazione di Venturelli evoca un autore, forse non molto conosciuto in Italia da quello che si chiama abitualmente il grande pubblico, ma sicuramente dominato da un forte temperamento personale ed, ancora una volta, ritmato da la seduzione dei ricordi “etnici” di quella minoranza ebraica che ha sicuramente un peso determinante nella storia del cinema americano.
Che cosa si può dedurre da tutti gli altri titoli qui riportati? Certamente la presenza dell’eredità di un cinema “fisico-violento” che si riallaccia ad antiche tradizioni hollywoodiane e la cui presenza è qui ribadita da opere come “The Fighter” e “The Wrestler” . Inoltre la vocazione a rivisitare tipici sfondi sia urbani che umani propri degli Stati Uniti (si veda “Gran Torino”e “Un Gelido Inverno”). O a recuperare, con le “Idi di Marzo” tonalità decisive nella storia di quel cinema “para-politico” un tempo così vivo a Hollywood. Si pensi a “Mr. Smith va a Washington” di Frank Capra, del 1939, “Tempesta su Washington” di Otto Preminger, 1962, “Sette giorni a maggio”, 1964, di John Frankenheimer, “Tutti gli uomini del Presidente”, 1976, di Alan J.Pakula, e via citando.
Tutti gli altri titoli, e quindi tutti gli altri registi, citati da Venturelli, implicano una complessa visione collettiva di un cinema come quello americano da cui nessuno storico serio può mai prescindere. Da un lato nomi significativi per quel che implicano o per quel che si vorrebbe implicassero (Tarantino, Eastwood, Cameron, Scorsese, Spielberg e l’enigmatico ma da molti adorato Terrence Malick) , dall’altro un profilo variamente articolato di una visione del mondo che alterna le connotazioni gialle e nere intersecate con l’inquieta e variegata tempestosità di una condizione sociale ed umana che, nei pregi e nei difetti, rende gli Stati Uniti un “unicum” nella storia del mondo contemporaneo.
Queste sono poche, generiche e affrettate notazioni generali su un elenco, e quindi su un tema, che mi auguro possa interessare qualche lettore e a proposito del quale amerei ricevere un fitto ed intenso elenco di Post. Resto in attesa e saluto tutti.
6 commenti:
Una considerazione. Nell'elenco mi pare (non li ho visti tutti) non sia presente alcuna commedia. Billy Wilder e Blake Edwards non hanno dunque eredi? Peccato.
Non conosco tutti i film dell'elenco indicato. Fra quelli da me visti, una particolare e personalissima nota di merito per i film di Scorsese, Eastwood, e Fincher. Notevoli anche i lavori di Clooney e Refn. Spero di non incorrere negli strali di nessuno, ma a me The Tree of Life non è piaciuto.
Chi ha commentato prima di me ha ragione. Difficile trovare delle belle commedie. L'ultima, a mio avviso, degna dei padri tutelari citati è "Little Miss Sunshine".
Sono d'accordo su molti film nominati nell'elenco di Venturelli.
Primi fra tutti " Bastardi senza gloria", " Drive", ma anche" Gran Torino" , " Le idi di marzo", " Fighter", " Paradiso amaro"...Sono anche d'accordo con il tuo lettore che nomina " Little Miss Sunshine" e vorrei nominare un delizioso film che ha vinto lo scorso Festival del Cinema di Roma : "Un cuento chino"dove la bellezza del racconto si mescola ad un abile regia ( Borenzeistein). Il protagonista del film è un grande attore :Ricardo Dain che già mi incantò in un altro bel film " Il segreto dei suoi occhi".
Grazie come sempre
Little Miss Sunshine è stupendo! La commedia nel 2012 ha visto la Francia dare prova di grande maestria vedi:"Gli Infedeli", "Quasi Amici", "Sister", "Piccole bugie tra amici"...Titoli Tradotti.
Rita
Juno potrebbe rientrare fra le commedie indimenticabili (termine forse eccessivo) degli ultimi anni.
Il Petroliere di Paul Thomas Anderson con Daniel Day Lewis!
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