Mi sono accorto, per caso, che oggi è il 25 luglio, ed ancora una volta mi sono reso conto di come crudelmente si stemperino gli avvenimenti e le date importanti, logorate dal trascorrere del tempo.
Forse la mia è l’ultima generazione (già i settantenni sono automaticamente esclusi) che possa in qualche modo ricordarsi di che cosa rappresentò per un’ intera nazione la data del 25 luglio 1943. E’ ormai destinata ad allinearsi negli sgabuzzini del tempo insieme ad altre date decisive nel momento in cui prendevano corpo, via via abbandonate ad ingrigire nell’indifferenza (da quella della dichiarazione di guerra del 1940 a quella della caduta del muro di Berlino …).
Il 25 luglio 1943 avevo 13 anni e 9 mesi ed ero perciò abbastanza ricettivo per cogliere l’estrema importanza di quel che era successo. Se ricordo bene accadde in mattinata (eravamo in campagna, presso Novi Ligure): mia madre si avvicinò al mio letto, cominciò a scuotermi dolcemente e quando, con la riluttanza a svegliarsi tipica dell’adolescenza, apersi gli occhi, essa mi disse: ”Claudio svegliati, è caduto Mussolini!”.
Teniamo conto di quale era l’automatismo dell’insegnamento “statale” durante il periodo del fascismo. Alla mia nascita Mussolini era Presidente del Consiglio e Capo del Governo già da 7 anni, sicché quando andai alle scuole elementari e poi alla scuola media, la struttura formale del consenso era già stata eretta e solidificata. Come dimostrano gli avvenimenti successivi al 25 luglio l’immenso apparato della costruzione fascista crollò in pochi giorni, con una partecipazione di popolo altrettanto fastidiosa di quanto lo erano state le innumerevoli folle festanti dell’ostentazione fascista. Ma per un ragazzo della mia età la notizia era pur sempre enorme, e quasi incredibile. Bisogna ricordarsi che fin dalla prima elementare eravamo soggetti ad un meccanismo di integrazione, italicamente cinico ma in apparenza ferreo e incrollabile. A partire dal primo giorno di scuola divenni Figlio della Lupa e successivamente, mi pare con l’arrivo nella scuola media, Balilla. In particolare Balilla Marinaretto perché frequentavo una scuola ormai scomparsa, il Vittorino da Feltre di Via Anton Maria Maragliano a Genova, tenuta dai Padri Barnabiti (vi aveva perfino studiato, credo in corsi di ragioneria poi scomparsi, Eugenio Montale). Dalle elementari al liceo tutti gli alunni formavano un unico reparto della G.I.L. chiamato Legione Autonoma “Antoniotto Usodimare” (un cognome particolarmente adatto per un corpo di apprendisti marinai). In realtà non apprendevamo niente perché il nostro Rettore fu per anni un sacerdote fascistissimo, che era stato perfino, durante la conquista dell’Impero, cappellano di una divisione delle milizie, la “23 Marzo”. Grazie alla presenza del Rettore eravamo considerati, evidentemente, tanto fidati da venire di fatto esentati dalle obbligatorie adunate del cosiddetto “Sabato fascista”, che invece guastavano le feste a tutti gli alunni delle scuole governative. Ma comunque l’identificazione formale del fascismo con la Cosa Pubblica e di quest’ultima con la perfezione, era totale. Mi ricordo che in classe nella parete di fronte a noi vedevamo il Crocefisso ed ai due lati le fotografie del Re e del Duce, come in una sorta di Trinità eretica ma patriottica.
Ovviamente il tentativo di comprendere quello che era successo fu vivissimo in me per tutti i 45 giorni di Badoglio. Mi ricordo ancora della curiosità accesa con cui seguivo sul Corriere della Sera le prime, scaltre cronache da Roma ove venivano esplorati tanti aspetti del Regime appena crollato. Comprese le indiscrezioni fra il liberatorio e il servile con cui veniva sollevato il mistero che aveva circondato la relazione fra Mussolini(chiamato nell’intimità Bibi, precisavano i giornali) e la Petacci.
Insomma quel 25 luglio di 69 anni fa rappresentò per me una sorta di clamorosa iniziazione al mondo degli adulti. Che da ragazzi al tempo stesso si invidia e si depreca, all’interno di quell’eterna commedia drammatica del vivere, dell’invecchiare e del morire in cui si riassume il mistero della nostra esistenza.
Dire (come facevano i nostri antichi quando ricorrevano a citazioni francesi per sentirsi importanti), “tout casse, tout passe, tout lasse” è forse banale ma al tempo stesso decisivo.
3 commenti:
Un articolo meraviglioso come sempre.
Scritto con quel Suo "bisturi di cristallo morbido" che non cesso di ammirare smodatamente.
Quando leggo un tuo articolo: lo "vedo" !Credo che questa tua grande abilità di trasmettere immagini durante la lettura ti venga dall'essere grande critico e grande uomo di cinema.
Grazie come sempre.
Grazie per aver condiviso in questo modo così vivido, questo suo bellissimo ricordo.
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