Citazione di qualcuno dei molti nomi evocati da Giulio Fedeli in un suo Post di commento al mio brano intitolato “Contraddittorie reazioni di fronte all’ ”Erba Foglio””
Ho risposto a tutti quelli che mi avevano scritto a proposito della mia sfortunata offerta di collaborazione al quotidiano di Giuliano Ferrara. L’unico che ho rimandato è stato il post di Giulio Fedeli, il quale aveva evocato tanti nomi e tanti temi che non potevano essere liquidati in poche righe. Provvedo adesso a rispondere, facendo ovviamente presente che per comprendere la natura della mia risposta è indispensabile leggere la missiva di Fedeli che trovate QUI (o nei commenti del mio pezzo, intitolato, come ho scritto prima, “Contraddittorie reazioni di fronte all’”Erba Foglio”).
Rispondo pertanto ad alcune sollecitazioni di Fedeli, non nell’ordine da lui adottato ma “au fur et à mesure” che mi vengono in mente e trovo i riscontri. Egli mi chiede non so bene il perché, di spiegare chi fu il generale Maxime Weygand. Riconosco che fu importante nella storia delle due guerre mondiali a cui la Francia ha partecipato, ma non mi è per niente simpatico. La sua biografia è romanzesca perché nacque a Bruxelles (21 Gennaio 1877) da genitori ignoti. Secondo alcuni sarebbe il figlio illegittimo del Re Leopoldo II del Belgio e di una contessa Kosakowska, sposa di un nobile russo di origine lituana. Secondo altri sarebbe nato dagli amori di un certo colonnello Van der Smyssen e di Carlotta del Belgio, che fu la sfortunata moglie di Massimiliano Ferdinando di Asburgo, divenuto imperatore del Messico e fucilato a Queretaro nel 1867. Come è noto Carlotta divenne pazza dopo tutti i dolori che aveva dovuto affrontare (sia detto incidentalmente si deve a lei ed al marito, quando era ancora governatore del Lombardo Veneto, la costruzione del famoso Castello del Miramare vicino a Trieste). Weygand, in quanto belga, con il nome di Maxime de Nimal entrò all’Accademia militare di Saint-Cyr. Divenuto ufficiale dei dragoni venne adottato da un certo François-Joseph Weygand, contabile di un commerciante di Marsiglia, David Cohen, che del giovane era stato il tutore. Ormai francese percorse, con il nuovo nome, una fortunata carriera militare (non privo di astuzia aveva sposato la figlia del colonnello comandante del suo reggimento). Per farla breve, alla vigilia della guerra venne notato dal generale Joffre. Poi anche da Foch ed anche da Petain, fu promosso generale e quando Foch divenne il capo delle forze armate alleate Weygand fu nominato capo di stato maggiore generale. Al punto che fu il generale incaricato, nel famoso vagone nella foresta di Compiègne, di leggere le clausole dell’armistizio agli inviati dell’esercito tedesco. Non ebbe mai un comando operativo in battaglia ma percorse lo stesso una fortunata carriera in Francia, in Polonia, in Siria, sino a diventare nel 1930 Capo di Stato maggiore generale dell’esercito francese. Si ritirò nel 1935 (Gamelin prese il suo posto) ma venne mantenuto in servizio senza limiti di età. La sua carriera fu sempre brillante, al punto che, nel maggio del 1940, Gamelin venne silurato e, a 73 anni, Weygand divenne il comandante supremo di quel che restava dell’esercito francese. Resosi conto dell’ampiezza del disastro che stava sovrastando la Francia cercò in qualche modo di porre riparo alla disfatta, nel giro di meno di un mese finì col seguire le idee di Pétain (divenuto Vicepresidente del Consiglio in attesa di ereditare tutto il potere) e pensò che l’unica soluzione possibile fosse la richiesta dell’armistizio. Fu severissimo con De Gaulle quando questi “si rivoltò” a Londra, lo fece retrocedere a Colonnello, da Generale di brigata a titolo provvisorio che era, riuscì a convocare due corti marziali e il 2 Agosto 1940 a farlo condannare a morte. Nel governo di Vichy fu per tre mesi ministro della difesa, poi delegato Generale nell’Africa francese, applicando ovunque rigidamente le norme nate dall’armistizio ma opponendosi sempre, tuttavia, a progetti di collaborazione militare con l’Asse. Nel Novembre 1942, dopo l’invasione alleata dell’Africa del nord e dopo l’invasione tedesca della cosiddetta Francia “non occupata”, proprio dai tedeschi fu arrestato e rinchiuso in un castello dipendente dal campo di Dachau insieme a Reynaud, Daladier e Gamelin. Divenne il decano dell’Accademia di Francia. Quando morì De Gaulle, che non aveva dimenticato, impedì che venisse sepolto agli Invalides.
Veniamo a qualcuno degli infiniti nomi citati da Fedeli.
Per quel che riguarda il “Mac-mahonismo” genovese , ammesso che esista (Sandro Ambrogio lo conosco da quando aveva 14 anni e veniva al Cineforum dell’ Arecco e Massimo Marchelli lo vedo abbastanza regolarmente) posso anche riconoscermi, in parte, in quello che venne chiamato “Le carré d’As”, e cioè Raoul Walsh, Otto Preminger, Joseph Losey e Fritz Lang (con un occhio particolare per quel che riguarda il secondo ed il quarto). Ma certamente non nella diffidenza per Welles e Hitchcock: uno è un genio strabordante e disordinato ma fuor di misura, il secondo è uno dei miei idoletti personali. Ricordo che la definizione “Macmahoniens”, per indicare i forsennati cinefili che frequentavano il cinema parigino è stata inventata da quel curioso personaggio che è Philippe Bouvard, ammiccante umorista televisivo molto noto in Francia
Per quel che riguarda gli scrittori tedeschi menzionati da Fedeli, ammetto che, in genere, Fassbinder mi annoia, ma anche vero che non li conosco per niente, con una sola sfumatura d’eccezione per Hans Carossa: fin da bambino mi ha fatto pensare ad una “carrozza” detta in genovese. Invece per quel che riguarda gli italiani di cui dovrei parlare a fondo, conosco un po’ Obertello, Linati, Quarantotti Gambini cugino di Pio De Berti Gambini, che fu mio direttore a Rai Due, ma gli altri li ignoro completamente. Infine non ho nessuna veste per parlare di Montherlant, Paul-Jean Toulet e Valery-Larbaud. In quanto a Gabriel Matzneff so solo che è nato nel 1936 da una famiglia di origine russa, che conosce molte lingue, fra cui l’italiano (cominciò a coltivarlo vedendo i film di Totò) e che è un osservante della religione ortodossa. E, soprattutto, che predica l’amore per gli adolescenti dei due sessi: si veda “Les Moins de seize ans” del 1974. E’ un territorio per il quale non ho nessuna autorità e di cui non vorrei occuparmi.
Visto che Fedeli conclude salutandomi in francese gli risponderò citando le frasi iniziali del famoso discorso pronunziato da De Gaulle il 18 Giugno 1940 alla BBC (lo sentirono in pochi ma fu comunque decisivo). La prima frase è proprio pensata in funzione di Weygand e di Pétain:
“Les chefs qui, depuis de nombreuse années, sont à la tête des armées françaises, ont formé un gouvernement. Ce gouvernement, alléguant la défaite de nos armées, s’est mis en rapport avec l’ennemie pour cesser le combat (…) mais le dernier mot est- il dit ? L’ésperance doit- elle disparaître ? La défaite est-elle définitive ? Non ! (…) Quoi qu’il arrive, la flamme de la résistance française ne doit pas s’éteindre et ne s’éteindra pas ! »
Come vecchio gollista non potrei fare di più.
3 commenti:
Innanzitutto, caro CGF, un ringraziamento commosso per aver voluto 'stralciare' il mio scritto e avergli dato risposta puntuale. Il senso di esso, se non sono stato abbastanza chiaro chiedo perdono a tutti, era: non ascoltare il canto, pur dolce, di sirene che si possono incontrare 'navigando', e rimani qui con noi, e dacci il tuo parere o il tuo punto di vista, illuminaci, somministraci qualche ghiottoneria culturale delle tue intorno ad argomenti che ti (ci) sono cari. Ecco: è arrivata una risposta sopraffina che confermerà me (e diversi altri 'aficionados' di "Clandestino") nel loro parere (e nella loro ammirazione).
Cominciamo. Ti sei reso conto che se all'esame di Storia Contemporanea, uno studente universitario francese rispondesse alla domanda "Chi fu Maxime Weygand?" con le parole che tu hai usato, verrebbe subito gratificato da un bel 30 e lode?
Ti sei reso conto che, laddove esistessero lettori di "Clandestino" con questa lacuna storica, ora l'hanno perfettamente colmata? Questo vogliamo, questo hai dimostrato ancora una volta di saper fare perfettamente.
Quanto al motivo che mi ha spinto a chiederti di scrivere di questo personaggio, esso è molto semplice: i militari hanno sempre avuto in Francia una rilevanza (lo dico a un gollista) sconosciuta in altri Paesi, e può essere (ed è) storicamente importante conoscerne l'agito. Tu hai fatto un ritratto perfetto, con un linguaggio chiaro, alla Montanelli. Avrei potuto chiederti: ma che giudizio dai dei comandanti francesi in Indocina (Navarre per primo)? Non videro che la 'cuvette' di Dien-Bien-Phu poteva essere una trappola mortale? E oltre a De Gaulle, altri militari suoi contemporanei si mossero sulla scena francese: che dire di Alphonse Juin, l'unico che in tutta la Francia gli dava del "tu" (Charles e la moglie si davano del "voi"); che dire di Giraud? quali furono i suoi rapporti con il Generale?
Come vedi la domanda era perfettamente giustificata, stante anche lo scarso (nullo?) interesse che in Italia c'è per questi nomi e queste vicende.
Andiamo avanti. Io apprendo solo ora, da questa risposta, della parentela tra Pio De Berti Gambini e Pier Antonio Quarantotti Gambini! Curioso. E del debito che i mac-mahoniens hanno con Philippe Bouvard. E, vivaddio, per una volta il nome di Sandro Ambrogio esce dalla cerchia ristretta degli amici.
Ecco questo io vorrei: che partendo da qui, ogni lettore possa poi iniziare con i suoi mezzi un viaggio che lo porterà lontano. Grazie a te, alle tue risposte (che non hanno bisogno di nessun Foglio: è evidente che ti conoscono benissimo. Se non hanno risposto, è perché il "peso specifico" del tuo nome avrebbe rotto degli equilibri...).
Parleremo un'altra volta di Losey-Preminger-Lang-Walsh vs. Hitchock-Welles.
Alla precisazione su Matzneff però non rinuncio. L'ho citato solo perché "il Foglio" è stato l'unico -per la penna dell'eccellente Marina Valensise- a parlarne. E ora che anche coloro i quali "non sapevano", "sanno", ribadisco: con coraggio. Io volevo solo dire che non mi sta bene che sulle stesse pagine si scriva di lui e di Lucaks. Perché Matzneff, al di là di quello che afferma o pratica(va) - secondo me: molto afferma, pochissimo pratica(va) - e che anche a me non interessa, Matzneff, dicevo, ha scritto con serietà del suicidio presso gli stoici, e all'inizio del 1973, in modo praticamente clandestino, venne in treno a Roma con l'urna contenente le ceneri del suicida Henri De Montherlant. Di mattina presto si recò al Foro Romano e le sparse al vento, gettando poi l'urna nel Tevere.
Adesso, chi "non sapeva", sa perché ho scritto: in odore di zolfo.
Ma al suo riguardo non ti ho chiesto e non ti chiedo proprio nulla.
Intanto accetta i miei ringraziamenti, il mio pensiero riconoscente, la mia ammirazione per come conosci la storia francese di oggi e di ieri.
Ancora grazie.
Giulio Fedeli.
Quanta cultura!
Voglio sperare che la sua mail sia stata filtrata da un passacarte di Ferrara,magari col gel nei capelli,orecchino d'ordinanza,cravatta mal annodata e camicia mal abbinata,tatuaggio tribale al bicipite destro,che mai e poi mai potrebbe conoscere ciò che lei scrive e dice.Non condivido molte idee di Ferrara ma cedo sia persona intelligente ed educata.Abbastanza da spiegarle cortesemente un rifiuto di collaborazione (che resta comunque un grave errore).Mi piace ritrovarla su "Film TV",e rievocare attraverso le sue parole un periodo aureo-e per me formativo- del cinema in televisione.Cagney noto ed inedito,"Tre roaring twenties","Ribalta di gloria"...grazie di cuore.
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