Cari lettori,
sperando che la cosa possa interessarvi, vi faccio sapere che sono riuscito entro i primi di Dicembre ad inviare all'editore Scapolla de "Le Mani" - il quale in questi anni si è fatto un'ottima fama come proprietario della Casa Editrice sopra citata, impostasi come una delle migliori in Italia fra quelle specializzate nella storia del cinema - il testo definitivo di un libro sul Cinema di guerra. Come ho già avuto occasione di scrivere in questo Blog qualche tempo fa. Sono lieto di essere riuscito ad inserire nel libro la recensione di "The Hurt Locker" di Kathryn Bigelow, il film che ha vinto a mani basse 6 Oscar: miglior film, miglior regista, miglior sceneggiatura originale, miglior montaggio, miglior montaggio sonoro, miglior sonoro. E che sicuramente verrà riproposto nelle sale, visto che anche in America alla sua prima apparizione ha incassato poco. Ho letto che, al di là dell'immenso successo, "The Hurt Locker" ha destato riserve e commenti negativi proprio fra i militari addetti al terribile lavoro di sminamento alla base del film, che nell'esercito americano è praticato da uno speciale reparto del Signal Corps (Il Genio) denominato EOD (Explosive Ordnance Disposal), come del resto viene puntualmente ricordato nella recensione (ne sono orgoglioso perché credo di essere fra i pochi italiani che lo hanno citato per esteso). Non sono riuscito a comprendere sino in fondo il perché di questo rifiuto (in internet si trovano facilmente dei sottufficiali americani che deplorano il film). Ma in fondo a me interessa poco. E' un piccolo gioiello e credo che resterà, come dico nella recensione, tra i film di guerra che fanno testo. Ho deciso di pubblicarla qui di seguito, dando per scontato l'assenso di Scapolla perché mi auguro anche che l'iniziativa gli faccia piacere. Spero che questo serva a dare aiuto a "Le Mani".
Il cui indirizzo è comunque il seguente:
Le Mani, Microart's Edizioni
Via Fieschi, 1
16036 Recco
- Genova
TEL.: 0185/730.111
E-MAIL: lemani.editore@micromani.it
Il titolo esatto del libro è "Storia del cinema - GUERRA in cento film".
Date una mano all'ottimo Scapolla e compratelo!
The Hurt Locker
(id., 2008); r.: Kathryn Bigelow; sc.: K. Bigelow, Mark Boal; f.: Barry Ackroyd; m.: Marco Beltrami, Buck Sanders; scg.: David Bryan; int.: Jeremy Renner (serg. William James), Anthony Mackie (serg. JT Sanborn), Brian Geraghty (specialista Owen Eldridge), Guy Pearce (serg. Matt Thompson), Ralph Fiennes (caposquadra), Christopher Sayegh (Beckham), David Morse (col. Reed), Evangeline Lilly (Connie James); o.: Usa (First Light Production, Kingsgate Films); d.: 131’.
(id., 2008); r.: Kathryn Bigelow; sc.: K. Bigelow, Mark Boal; f.: Barry Ackroyd; m.: Marco Beltrami, Buck Sanders; scg.: David Bryan; int.: Jeremy Renner (serg. William James), Anthony Mackie (serg. JT Sanborn), Brian Geraghty (specialista Owen Eldridge), Guy Pearce (serg. Matt Thompson), Ralph Fiennes (caposquadra), Christopher Sayegh (Beckham), David Morse (col. Reed), Evangeline Lilly (Connie James); o.: Usa (First Light Production, Kingsgate Films); d.: 131’.
Il vizio di conservare in italiano il titolo originale, anche se ha un significato gergale o specifico, si ritrova in questo eccezionale e recentissimo film di guerra – soggetto e in parte produzione sono opera di Mark Boal, già sceneggiatore di “Nella valle di Elah” - che include decisamente il nome dell’autrice in un ristretto manipolo di registi di cui fanno parte i grandissimi, da Kubrick a Milestone.
“The Hurt Locker”, letteralmente “cassetta del dolore”, indica in realtà nel gergo militare americano uno stato di estremo pericolo. “We are all hurt locked” significherà dunque “Siamo tutti spacciati”. Il titolo introduce immaginosamente le caratteristiche e le tonalità del film, ambientato all’interno di uno dei reparti speciali del Signal Corps, ovvero il Corpo del Genio, chiamati EOD, cioè Explosive Ordnance Disposal (neutralizzazione degli ordigni esplosivi) in forze nelle unità di prima linea. Addestrati ad individuare ed a mettere fuori uso residui bellici d’ogni sorta e particolarmente i più pericolosi, i genieri degli EOD costituiscono una minoranza abituata al pericolo e soggetta a tutte le tensioni implicite in una specializzazione ove il rischio di morte è di ogni minuto. L’EOD descritto dal film opera in Iraq all’interno della compagnia “Bravo” e mancano una trentina di giorni prima di ricevere il cambio. Va subito detto che la prima mezz’ora del film è allo stesso livello della prima mezz’ora di “Salvate il soldato Ryan” o di certe celebrate sequenze di “Orizzonti di gloria” e di “All’Ovest niente di nuovo”. Una convivenza furente e terribile con il pericolo e la morte, impliciti nel concetto stesso di guerra, ma così difficili da recuperare veramente al cinema e nel cinema. Qui vediamo il protagonista (lo Staff Sergeant William James, impersonato con tenace continuità di recitazione da Jeremy Renner; al suo fianco un ottimo partner di colore, il Sergeant J.T. Sanborn, interpretato da Anthony Mackie) risolvere da par suo un difficilissimo problema tecnico, mettendo fuori uso un complesso sistema esplosivo. L’Iraq del film, ricostruito in Giordania, evoca uno sfatto disordine urbano - irto di case distrutte e di radi, enigmatici abitanti - in cui i genieri americani si muovono con la tensione e la scioltezza imposte da una presenza ossessiva. La guerra possiede totalmente William James, il quale ha una moglie e una figlia piccola, ma non riesce ad accettarle fino in fondo: alla fine del film tornerà in Iraq, assegnato ad una compagnia “Delta”, ancora agli inizi della sua esperienza bellica. Si badi, una delle caratteristiche di base del film è che i protagonisti sono volontari, come tutti i soldati americani di oggi, e sono dei professionisti. Non c’è pertanto, nel film, al di là della feroce brutalità dell’ambientazione e della descrizione, alcun intento critico nei confronti della guerra in Iraq in sé, accettata dai militari come un oggettivo dato di fatto.
Con questo film Kathryn Bigelow – classe 1951, al suo attivo diverse opere di valore tra cui “Point Break”, “Strange Days” e “K-19”, quest’ultimo ambientato su un sommergibile russo – fa quello che pochi uomini sono riusciti a fare, e cioè restituire la stravolta e minuta assurdità della guerra, dimostrando che il talento non è un problema di ormoni. In futuro non potremo più parlare e scrivere del conflitto in Iraq senza ricordarci di “The Hurt Locker”. Per onestà, debbo dire che in Internet ho trovato molti accenni a esplicite riserve di ex-combattenti o di giornalisti “embedded”, proprio a proposito della attendibilità di tutto ciò che il film evoca o mostra. “Non era così”, “Non è così che andavano le cose al fronte”, eccetera, con una sorprendente maggioranza di critiche e di smentite. Io le annoto per scrupolo, anche se vedendo il film da “civile”, lontano fisicamente e mentalmente, non ho avuto il minimo sospetto di mistificazione e “tradimento”.
P.S.: Sono contento di essere arrivato in tempo a vedere ed a includere il film della Bigelow nel libro. E’ desiderio dell’editore e mio di ricordare qui che “The Hurt Locker” si è aggiudicato ben 6 Premi Oscar nel 2010. Ed esattamente quelli per il miglior film, la miglior regista, la miglior sceneggiatura originale, il miglior montaggio, il miglior montaggio sonoro, il miglior sonoro. Converrà ricordare che la regista ha battuto l’ex marito James Cameron, il quale per “Avatar” ha vinto soltanto tre Premi come miglior scenografia, effetti visivi e fotografia. Evidentemente ci sono altri film recenti che avrebbero potuto ambire ad essere presenti nel libro. Comunque credo doveroso citarne almeno due: “Lebanon” di Samuel Maoz e “La terra di Elah” di Paul Haggis. Mark Boal ha scritto il soggetto di quest’ultimo film e di “The Hurt Locker”.
La Bigelow ha quasi sessant’anni, sembra un’attrice quarantenne, è la prima donna ad aver ricevuto l’Oscar per la regia ed ha battuto Cameron in tutti i sensi.
“The Hurt Locker”, letteralmente “cassetta del dolore”, indica in realtà nel gergo militare americano uno stato di estremo pericolo. “We are all hurt locked” significherà dunque “Siamo tutti spacciati”. Il titolo introduce immaginosamente le caratteristiche e le tonalità del film, ambientato all’interno di uno dei reparti speciali del Signal Corps, ovvero il Corpo del Genio, chiamati EOD, cioè Explosive Ordnance Disposal (neutralizzazione degli ordigni esplosivi) in forze nelle unità di prima linea. Addestrati ad individuare ed a mettere fuori uso residui bellici d’ogni sorta e particolarmente i più pericolosi, i genieri degli EOD costituiscono una minoranza abituata al pericolo e soggetta a tutte le tensioni implicite in una specializzazione ove il rischio di morte è di ogni minuto. L’EOD descritto dal film opera in Iraq all’interno della compagnia “Bravo” e mancano una trentina di giorni prima di ricevere il cambio. Va subito detto che la prima mezz’ora del film è allo stesso livello della prima mezz’ora di “Salvate il soldato Ryan” o di certe celebrate sequenze di “Orizzonti di gloria” e di “All’Ovest niente di nuovo”. Una convivenza furente e terribile con il pericolo e la morte, impliciti nel concetto stesso di guerra, ma così difficili da recuperare veramente al cinema e nel cinema. Qui vediamo il protagonista (lo Staff Sergeant William James, impersonato con tenace continuità di recitazione da Jeremy Renner; al suo fianco un ottimo partner di colore, il Sergeant J.T. Sanborn, interpretato da Anthony Mackie) risolvere da par suo un difficilissimo problema tecnico, mettendo fuori uso un complesso sistema esplosivo. L’Iraq del film, ricostruito in Giordania, evoca uno sfatto disordine urbano - irto di case distrutte e di radi, enigmatici abitanti - in cui i genieri americani si muovono con la tensione e la scioltezza imposte da una presenza ossessiva. La guerra possiede totalmente William James, il quale ha una moglie e una figlia piccola, ma non riesce ad accettarle fino in fondo: alla fine del film tornerà in Iraq, assegnato ad una compagnia “Delta”, ancora agli inizi della sua esperienza bellica. Si badi, una delle caratteristiche di base del film è che i protagonisti sono volontari, come tutti i soldati americani di oggi, e sono dei professionisti. Non c’è pertanto, nel film, al di là della feroce brutalità dell’ambientazione e della descrizione, alcun intento critico nei confronti della guerra in Iraq in sé, accettata dai militari come un oggettivo dato di fatto.
Con questo film Kathryn Bigelow – classe 1951, al suo attivo diverse opere di valore tra cui “Point Break”, “Strange Days” e “K-19”, quest’ultimo ambientato su un sommergibile russo – fa quello che pochi uomini sono riusciti a fare, e cioè restituire la stravolta e minuta assurdità della guerra, dimostrando che il talento non è un problema di ormoni. In futuro non potremo più parlare e scrivere del conflitto in Iraq senza ricordarci di “The Hurt Locker”. Per onestà, debbo dire che in Internet ho trovato molti accenni a esplicite riserve di ex-combattenti o di giornalisti “embedded”, proprio a proposito della attendibilità di tutto ciò che il film evoca o mostra. “Non era così”, “Non è così che andavano le cose al fronte”, eccetera, con una sorprendente maggioranza di critiche e di smentite. Io le annoto per scrupolo, anche se vedendo il film da “civile”, lontano fisicamente e mentalmente, non ho avuto il minimo sospetto di mistificazione e “tradimento”.
P.S.: Sono contento di essere arrivato in tempo a vedere ed a includere il film della Bigelow nel libro. E’ desiderio dell’editore e mio di ricordare qui che “The Hurt Locker” si è aggiudicato ben 6 Premi Oscar nel 2010. Ed esattamente quelli per il miglior film, la miglior regista, la miglior sceneggiatura originale, il miglior montaggio, il miglior montaggio sonoro, il miglior sonoro. Converrà ricordare che la regista ha battuto l’ex marito James Cameron, il quale per “Avatar” ha vinto soltanto tre Premi come miglior scenografia, effetti visivi e fotografia. Evidentemente ci sono altri film recenti che avrebbero potuto ambire ad essere presenti nel libro. Comunque credo doveroso citarne almeno due: “Lebanon” di Samuel Maoz e “La terra di Elah” di Paul Haggis. Mark Boal ha scritto il soggetto di quest’ultimo film e di “The Hurt Locker”.
La Bigelow ha quasi sessant’anni, sembra un’attrice quarantenne, è la prima donna ad aver ricevuto l’Oscar per la regia ed ha battuto Cameron in tutti i sensi.
Claudio G. FAVA