Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

26 novembre 2011

DOCUMENTARI BELLICI DI CLAUDIO COSTA

Costa, cineasta romano, da tempo realizza interviste molto interessanti con superstiti italiani del secondo conflitto mondiale, esclusivamente per quel che riguarda il periodo 1943 – 1945. Con molta tenacia ne ha trovati diversi (alcuni, purtroppo, sono morti nel frattempo: ricordo che un ventenne del 1940 oggi avrebbe 91 anni!). Credo che questo esperimento – per le intenzioni e i risultati di documentazione ricorda le interviste ai superstiti della battaglia portati a termine da Enzo Monteleone, autore appunto di “El Alamein – La linea del fuoco” – possa interessare gli appassionati di storia. Qui, in particolare, si riflette  nelle singole esperienze, il tragico momento della divisione dell’ Italia fra Regno (del Sud) e Repubblica (del Nord) ovvero R.S.I. (Repubblica Sociale Italiana). Un elemento di particolare interesse è rappresentato dal fatto che salvo che qualche sottufficiale, tutti gli intervistati sono ufficiali e c’è perfino un generale.


Da tempo volevo portare a conoscenza dei lettori del Blog la minuta e intelligente opera di divulgazione di Costa. Gli ho pertanto chiesto di scrivermi come e perché ha iniziato questa sua esperienza e come riesce a proseguirla. Ecco qui, testualmente, il brano che mi ha inviato:


Le riassumo in breve come è nata la serie sui reduci: inizialmente volevo realizzare un documentario su Teseo Tesei. Per farlo cercai reduci che lo avevano conosciuto, e grazie al sempre fidato elenco telefonico, trovai Gino Birindelli, allora 94enne che viveva a Roma nella zona di ponte milvio. Gli telefonai,  mi presentai e chiesi di fare l'intervista. Lui, stupito dal fatto che qualcuno ricordasse il suo amico Teseo, accettò di buon grado di fare un incontro. Poi il doc su Tesei non lo terminai per mancanza di fondi e anche materiale di repertorio (….) però quando Brindelli morì, decisi di mettere dei brevi estratti dell'intervista su Youtube. Inaspettatamente scoprii che interessava molto agli appassionati di storia. Così decisi di montare il documentario, e realizzai “Lo spirito del Serchio” (il Serchio era il luogo vicino Pisa dove si addestrarono Birindelli e gli altri). Dal Brasile mi contattò Julio Cesar Antunes, curatore di un blog di storia militare, chiedendomi se avrei fatto la stessa operazione con i reduci della Regia Aeronautica, e mi presentò uno storico, Paul Perron, (americano che vive in Italia) che mi diede il telefono di un ex pilota che era a Roma, il comandante Cesare Erminio. Perron mi spiegò che Erminio non aveva voluto farsi intervistare, ma forse io sarei stato più fortunato. Tentai, mandai una copia del doc di Birindelli, ed Erminio accettò volentieri di parlare.  Fu il secondo documentario (“Volando con Visconti”). Sia il primo che il secondo ripagarono i costi (parliamo comunque di micro budget) e da quel momento, aiutato dal passaparola, trovai altri reduci arrivando a farne 11.
Il terzo, Alessandro Setti, mi venne suggerito da Luciano Vincenzoni, che nel 1945 aveva conosciuto a Padova questo pilota aerosiluratore, Vincenzoni mi disse : "se non è morto avrà 94 anni, prova a cercarlo!". Lo cercai, sempre tramite elenco telefonico, e lo trovai a Roma, 96enne, simpatico, vispo e pieno di ricordi. Seguirono Sergio Denti (MTM 548), Eugenio Corti, (consigliato da lei) Mario Montano, Massimo Rendina (di nuovo su consiglio di Vincenzoni), Ottorino Beltrami, sommergibilista comandante dell'Acciaio, e top manager nel dopoguerra (consigliato da lei e dal suo amico Doretti), poi Luigi Gorrini, Asso degli assi, medaglia d'oro al valor militare (che molte persone mi avevano richiesto), Costantino Petrosellini (anche lui consigliato dal blogger Brasiliano), Umberto Bernardini, il primo pilota italiano che ha oltrepassato il muro del suono (consigliatomi da Cesare Erminio).
Il dodicesimo è un reduce di El Alamein, parente di Gian Maria Volontè e si chiama Carlo. Anche lui 91enne più vispo di me e con molte cose da dire.
Dalla carrellata di esperienze narrate da questi soldati, secondo me si impara molto, non solo sulla storia della seconda guerra mondiale, ma anche sulla cattiva gestione politica del nostro paese, in cui ieri come oggi, tanti fanno le spese degli errori pochi. Ieri quegli errori costarono molte vite.

Se qualcuno conosce un reduce e vuole segnalarmelo questo è l'indirizzo : roninfilmproduction@libero.it
qui ci sono i trailers dei film realizzati :

Claudio Costa.”


Aggiungo una breve osservazione alle molte cose che ha scritto Costa. Considero Teseo Tesei un personaggio straordinario della storia bellica italiana. Insieme al suo amico sodale Elios Toschi, entrambi ufficiali di marina ma non di ruolo di vascello, furono gli “inventori” della Decima Flottiglia Mas (quella vera, della Regia Marina, non della Repubblica Sociale).  Sono loro (con la collaborazione di Angelo Belloni per il perfezionamento decisivo degli autorespiratori) all’ origine della progettazione dei “maiali” e dei barchini saltatori, su uno dei quali Tesei saltò in aria nell’ attacco a La Valletta, a Malta.
Di lui ho parlato molte e molte volte con suo nipote, Oreste Del Buono, che tutti ricordano come scrittore, giornalista, esperto di gialli e protagonista della vita editoriale italiana. Sarebbe forse interessante che io scrivessi qualcosa su questo argomento. Forse, a pensarci bene, potrei farlo veramente.



(Battute 4.416).


25 novembre 2011

A DOMANDA RISPONDE

Precisazioni e divagazioni a proposito di Sarkozy, Humphrey Bogart, Louis De Funès e Jacques Dufilho, Luis Calhern, in risposta a missive di lettori.

Rispondo qui agli ultimi Post arrivati, in ordine di tempo. Fino ad ora sono due quelli occasionati dal mio (troppo) lungo brano su Sarkozy e dintorni. Forse l’Anonimo ha ragione a proposito delle orecchie a punta in comune fra De Gaulle e Sarkozy. Però ho la sensazione che quasi tutti noi se inquadrati (involontariamente) in un certo modo diamo l’impressione di avere le orecchie a punta.  Tuttavia non posso escludere che, grazie alla militanza gollista, “Sarko” sia riuscito a porsi sulla stessa lunghezza d’onda del generale e sia quindi in grado, ancor oggi, di riceverne le direttive. Ho riconosciuto prima che il mio brano era eccessivamente lungo, irto di nomi che nessuno conosceva e che nessuno ricorderà. Sono nomi fondamentali per la storia di Francia nella seconda metà del secolo trascorso ma è sicuramente vero che, soprattutto in Italia, risultino ignoti e, in fondo, incomprensibili. In quanto all’equazione Sarkozy = De Funès più Dufilho la trovo azzeccata e divertente, e in grado di apportare alla vita politica francese, fondamentalmente triste, un tocco di allegria. Fra l’altro, riflettendoci vedo che tutta l’equazione ribadisce il carattere “oriundo” del personaggio. Probabilmente molti non lo sanno ma Louis De Funès è di origine spagnola (la sua famiglia, nobile, si chiamava esattamente de Funès de Galarza) mentre qualche sospetto lo nutro su Jacques Dufilho: mi sembrava di aver letto in passato che in origine si trattasse di un nome portoghese (Du Filho suona come “del figlio”) ma non sono più riuscito ad averne prove sicure.  Va detto che il povero Dufilho, eccellente attore di carattere, interpretò in Francia moltissimi film mentre da noi venne conosciuto soltanto per avere impersonato, in diverse operine di esplicita farsa militare, il Colonnello Buttiglione. Pertanto la sicura origine ungherese di Sarkozy si accoppierebbe alla sicura origine spagnola di De Funès ed alla potenziale origine portoghese di Dufilho. Un vero trionfo di oriundi!
In quanto al Secondo Anonimo che mi ha scritto a proposito di Huston, volevo ricordargli che il meraviglioso “Grande sonno” circola ancora in televisione, per quanto mi risulta, in una edizione fatta ridoppiare da me, perché da molto tempo il doppiaggio originale era stato smarrito e per questa ragione nessuno riproponeva più i film. Fra l’altro la voce italiana venne data a Bogart da Paolo Ferrari e non se ne accorse nessuno…Non posso escludere che la “La Fuga” (Dark Passage, 1947) fosse incluso a suo tempo in un mio ciclo televisivo. Menzionarlo  serve a ricordare un regista secondario ma interessante come Delmer Daves (1904-1967) a cui dobbiamo dal 1943 in poi film come “Destinazione Tokyo”, “L’amante indiana”, “Quel treno per Yuma”, “L’albero degli impiccati”, eccetera, e che fu al tempo stesso testimone importante e partecipante di una straordinaria stagione di Hollywood.
Non vorrei dare lezioni ma approfitto cinicamente del Secondo Anonimo per ricordargli che “l’avvocato con i baffetti” il quale in “Giungla d’asfalto” (film di culto per un’intera generazione, tratto da un libro del geniale  W.R. Burnett) impersona il ricchissimo e tarato Alonzo  D. Emmerich, amante – protettore di una giovane Marilyn Monroe- è niente meno che Louis Calhern (1895- 1956), per lunghi anni idolo del pubblico teatrale e poi anche comprimario di successo al cinema (fu anche Giulio Cesare nel film di Mankievicz del 1953).
Approfitto per ricordare a tutti che dovrebbe iniziare su Film Tv una mia rubrichetta mensile intitolata “Salvate la Tigre”, intesa a rievocare mie operazioni di salvataggio e/o di recupero di film danneggiati o inediti da me portate a termine alla Rai. Soprattutto nel periodo di Rai Uno (1976-1981) in cui non ero ancora capo struttura ed avevo perciò più tempo da dedicare a passioncelle cinefiliche varie.






23 novembre 2011

ATTRAVERSO "IL FOGLIO" RIFLESSIONI VARIE SU SARKOZY E DE GAULLE

Nel quotidiano di Giuliano Ferrara si mescolano stoccate politiche ad “agudezas”storico – letteraria. Queste pagini sono ispirate da alcuni numeri del giornale.

“Il Foglio” è un curioso giornale. Fra quelli dell’area berlusconiana è certamente il meno prevedibile, con larghissima varietà di divagazione cinematografiche e letterarie, le quali usufruiscono di uno spazio notevole, tenuto conto del numero ridotto di pagine (è vero che sin dall’ inizio ha scelto di usare poco le fotografie, le quali in effetti costituiscono parte del fascino ma anche parte dell’ appesantimento della maggior parte dei quotidiani italiani e stranieri). La militanza irosa ma intelligente di Giuliano Ferrara - negli ultimi numeri preoccupato soprattutto di condurre una lotta di retroguardia ed una di avanguardia contro il “Preside” Monti –spesso  determina la presenza di inserti da super-feuilleton, tipo le quattro pagine di lunedì 14 Novembre disseminate di una immensa aneddotica su Berlusconi e condite da alcune fotografie (qui, una volta tanto, esplicitamente usate) del personaggio durante la prima e primissima infanzia. Spesso il desiderio di evasione del “Foglio” si esplica nel numero speciale del sabato, che ha in Giuseppe Sottile uno specifico responsabile dell’inserto. Ad esempio la pagina intera dedicata il 19 Novembre a Zlatan Ibrahimovic intitolata “Street Fighter Serie Oro” che rievoca, sulla scorta di un recente libro  autobiografico, la figura di un grande centravanti in circolazione, forse il migliore, che nella sua nazionalità svedese e nella sua origine etnica (padre bosniaco madre croata cresciuto in un povero sobborgo di Malmö) ha saputo trarre i succhi di una vita violenta e di un calcio clamoroso. O, ancora, sempre nello stesso numero un appassionato ritratto di Adriano Olivetti, “l’industriale che stampava libri per regalarli”, oppure nel numero di sabato 24/11/2011 un elogio senza riserve –gli juventini sono innumerevoli - per Alessandro Del Piero intitolato “Dieci Comandamento” (Dieci si riferisce al numero della maglia del giocatore, che lo situa fra le grandi mezze ali sinistre di un tempo, quando la numerazione riguardava rigidamente, secondo l’insegnamento inglese, la collocazione in campo: mi ricordo benissimo di quando fu introdotta in Italia a imitazione del calcio britannico). O, la pagina di cinema apparsa il Sabato 22 Novembre affidata alla mercuriale e guizzante Maria Rosa Mancuso. Senza contare il toccante omaggio a Genova, (“Superba, fragile e tradita”) di due liguri, Pippo Marcenaro e Carlo Stagnaro. Oppure qualcuna delle  molte altre manifestazioni, in cui rendono esplicite le vocazioni, al tempo stesso polemiche e fantasticheggianti, della Redazione. Mi riferisco qui ad un’ intera pagina di mercoledì 8 Novembre intitolata “Il gazzettino di M. Sarkozy” ovvero “La sarko – narrazione del mondo secondo il cortigiano Figaro”: amplissima rievocazione del conformismo nei confronti del potere che è tipico non solo dell’Italia ma ancor più, con una tonalità monarchica assente da noi, della Francia. Pochi giorni dopo, e cioè venerdì 11 novembre, ritroviamo sul tema un pezzo significativo intitolato “I boss dell’Euroracaille” (forse non è necessario ma ricordo che è un neologismo ove si unisce la parola “euro”alla parola “racaille”, che in francese significa “gentaglia, feccia,” e che qui è usata perché lo fu da Nicolas Sarkozy, alludendo agli abitanti, in genere di colore, di una zona della “banlieue” in rivolta: egli li definì appunto “racaille”, cosa che gli venne a lungo rimproverata). C’è nella pagina una colonna di apertura, intitolata “La faraona” dedicata alla Merkel ed una colonna di spalla intitolata “Il pavone” e dedicata a Sarkozy. Quest’ultimo articolo comincia così: ” Nicolas Sarkozy è un pavone dallo sguardo mezzo sognante e mezzo ebete, con una delle piume della sua coda in bocca e un lieve, sempre più ebete sorriso”. Se ho capito bene è una frase tolta dal Courrier International. “ (…) un magazine molto bello – dice il Foglio – che traduce articoli da tutto il mondo con un approccio decisamente di sinistra”. Senza voler riassumere qui l’intero articolo del Foglio, mi limiterò a ricordare che in chiusura si dice che nell’articolo del Courrier International : (….) la vignetta più bella è quella tratta dal giornale economico moscovita Kommersant: c’è un busto di Napoleone, sulle sue spalle c’è De Gaulle con  Sarkozy  seduto sulla visiera del cappello del generale mentre lancia un aereoplanino da guerra (uno di quelli spediti per ammazzare Gheddafi in Libia). E, per evitare che ci si dimentichi, c’è un titolo-remainder iniziale: tra sei mesi ci sono le elezioni, il Presidente ha parecchio da fare nel 2012 per convincere i francesi che è ancora lui l’ uomo della situazione”.



De Gaulle (1942) da Wikimedia
Il punto è proprio qui. Ovvero la lunga ombra di De Gaulle che si distende, immensa e spietata sopra le scarse membra di Sarkozy. Bisogna ricordarsi che l’ UMP, l’ Union pour la Majorité Présidentielle, è il nome che il partito francese di maggioranza e di eredità gollista  ha adottato nel 2002, raggruppando insieme il vecchio RPR e la “Démocratie libérale” e unendovi circa i 2/3 dei deputati dell’UDF, ovvero la vecchia Union pour la Démocratie Française, di più o meno lontana origine giscardiana. A sua volta l’UMP deriva, conservando abilmente le lettere iniziali, dall’ Union pour un Mouvement Populaire, di netta derivazione  chiracchiana (ho semplificato all’estremo tutti i complessi passaggi di persone, di seggi e di sigle  del centro-destra francese degli ultimi 20/30 anni). De Gaulle, ahimè,  è  morto da 41 anni, sono quasi del tutto scomparsi quelli che furono definiti dal “Nouvel Observateur” nel 1963  “i baroni del gollismo”- ricordo nomi decisivi come quelli di Jacques Chaban – Delmas, Michel Debré, Jacques Foccart, Roger Frey, Olivier  Guichard ed altri ancora come Maurice Couve de Murville, Pierre Messmer, Georges Pompidou, Maurice Schumann – così come sono prossimi a scomparire i pochi superstiti, tuttora vivi, fra i “Compagnons de la Libèration”. E cioè i puri e i duri del gollismo che avevano combattuto a fianco del generale dal 1940 al 1945, e che erano 1036 quando il sodalizio era stato fondato il 23 gennaio 1946 (ma di essi ben 271 lo erano “à titre posthume”). Di fatto furono in 700 e al 20 di novembre di questo anno ne sono rimasti vivi 31. Sicché a testimoniare in diretta di un passato glorioso ma sempre più lontano ci sono solo, nel ramo principale che discende strettamente dal Generale , i due figli ormai vecchi (Philippe del 1921 e Elisabeth del 1924) ed i loro eredi.


Sarkozy (Album di Oao)
Il problema di Sarkozy è tutto legato alla disperata battaglia, da lui condotta sin da adolescente, per inserirsi in un passato che non aveva direttamente conosciuto (era quindicenne nel 1970 quando morì De Gaulle) sicché, come capita a molti altri cinquantenni francesi, il suo gollismo è soprattutto immaginato e costruito. Si direbbe che la sua continua vocazione delle grandezze trascorsa della Francia, la sistematica esaltazione di una “grandeur” che gli è stata raccontata dai libri, la celebrazione senza riserve di un passato totalmente eroico e di un presente totalmente militare, siano una delle numerose manifestazioni del disperato tentativo di essere accettato senza riserve. In un paese pur fittissimo di oriundi d’ogni paese (il fenomeno di affollamento alle frontiere, che l’Italia conosce da non più di venti anni, è stata per la Francia una regola sin dall’Ottocento) lui rimane pur sempre il primo presidente della repubblica nato da genitori di origine straniera, oltreché ovviamente il primo ad essere nato nel dopo guerra.  Se si riguardano tutti i presidenti di Francia dalla seconda Repubblica in poi, a partire da Luigi Napoleone Bonaparte, figlio di un fratello di Napoleone, presidente prima di farsi proclamare Napoleone III –era molto francese per ragioni dinastiche, anche se parlava con lieve accento tedesco perché era cresciuto in Germania e in Svizzera, ….- si trova un solo oriundo straniero. E cioè Patrice de Mac Mahon, (1808-1893) nato, è vero, da una famiglia d’origine irlandese stabilitasi però in Francia dalla fine del 1600 e che appunto Napoleone III aveva  fatto duca di Magenta. Pertanto uno straniero per modo di dire. Tutti gli altri (XX compreso Mac Mahon) sono di salda origine francese, spesso provenienti da quella media borghesia che, praticamente come tutta Europa, fornisce la maggior parte della classe politica. Sono 14 nella Terza Repubblica, sino a quell’ Albert Lebrun il cui secondo mandato fu brutalmente sospeso dopo un anno dall’ arrivo in scena del Maresciallo Petain (anche egli di origine garantita). Sono due quelli della Quarta Repubblica, e cioè Auriol e Coty e infine, sino ad ora, sei quelli della Quinta Repubblica, da De Gaulle appunto a Sarkozy. Mentre tutti gli altri vengono da famiglie saldamente confitte o a Parigi o nel “terroir”, Sarko nasce nella capitale il 28 gennaio 1955 con il nome impressionante di Nicolas Paul Stéphane Sarközy de Nagy-Bocsa (riportarlo sembra una pignoleria da parte mia ma a quanto pare è la dizione usata nel conferimento di decorazioni allo stesso Sarkozy, come nel decreto che lo nominò “Cavaliere della Legion d’Onore”). Il padre era l’ultimogenito, naturalizzato francese, di una famiglia dell’aristocrazia ungherese e la madre ( Andrée Jeanne “Dadu” Mallah) era la figlia di un medico ebreo sefardita di Salonicco convertito al Cristianesimo e di una francese cattolica. Come si vede il gusto della mescolanza era vivo in famiglia e Nicolas, dal canto suo, vi contribuì nei limiti del possibile, sposando prima Marie-Dominique Culioli ( di evidente origine corsa) da cui ha avuto due figli, Pierre nel 1985 e Jean nel 1986, anche egli attivissimo in politica e che nel 2009 lo ha già reso nonno. Prediligendo le famiglie sbrindellate e le soluzioni romanzesche, nel 1996 sposa Cécilia Ciganer-Albéniz che paradossalmente aveva conosciuto nel 1984 quando, nella sua qualità di sindaco di Neuilly-sur-Seine, cittadina ricchissima di 60 mila abitanti dove risiedono molti francesi famosi, aveva celebrato le nozze della stessa Cécilia con un cantante e intrattenitore televisivo allora notissimo in Francia, Jacques Martin ( ad esempio una sua celebre rubrica della domenica mattina si chiamava “Dimanche Martin” invece che “Dimanche Matin”). Per un certo periodo essa lavorò al fianco di Sarkozy, prima in servizio al Ministero degli interni e poi venne posta a capo dello staff dell’UMP, il già citato partito gollista. Fu molto nota all’epoca la difficile trattativa in cui essa riuscì a salvare dalle prigioni di Gheddafi cinque infermiere bulgare e un medico palestinese condannati a morte in Libia. Infine, come è noto,  Sarkozy, dagli appetiti intensi, ha divorziato da Cécilia (nel 1997 ne ha avuto un figlio, Louis) per sposare nel 2008 Carla Bruni, la quale recentemente gli ha dato la quarta figlia, chiamata italicamente Giulia (in francese esiste sicuramente la parola Julienne ma è soprattutto usata come termine culinario).
La vita privata di Nicolas rispecchi evidentemente la rabbiosa elasticità del suo modo di vivere ed anche quello di far politica (nulla di più differente dai costumi privati di De Gaulle e semmai più simile all’ esistenza personale di Chirac, però ufficialmente monogamo, e di Mitterrand, ufficiosamente bigamo). La stessa vivacità l’ ha trasferita, sin dall’ adolescenza, nel suo modo di far politica. Mosso da una rabbiosa voglia di salire è riuscito ad impadronirsi della corrente gollista, nonostante le forti opposizioni ( ci fu un momento in cui sembrò un perdente perché aveva scelto Balladur invece di Chirac) riuscendo sempre a riprendersi con un colpo di reni, sino a diventare Presidente della Repubblica, come credo avesse sognato sin da ragazzo. La sua strabordante vitalità e la sua voglia di essere padrone del campo a 360 gradi si riflette molto bene nella consacrazione che gli tributa sistematicamente il sito della Presidenza della Repubblica francese (www.élysée.fr). Basta dargli un’ occhiata - fra l’altro contiene anche degli interessanti filmati sulla storia e sul funzionamento della Presidenza della Repubblica - per rendersi conto di quanti e quali cose faccia continuamente Sarkozy, il tutto comprovato e ribadito da altri numerosi filmati e da minuziose ricostruzioni di incontri e di discorsi. La quantità di uomini politici francesi e stranieri, di delegazioni nazionali e internazionali, di rappresentanze di eletti e di poteri locali che egli riesce ad incontrare in una settimana fa impressione, così come lo fa l’ altissimo numero di discorsi e di messaggi che egli pronuncia - vorrei dire che recita – con la tradizionale eleganza dell’ eloquenza pubblica francese ( non so se tutti i discorsi li scriva direttamente lui o se siano, come sembra più logico, apprestati da un apposito nucleo di consulenti, ma sono sicuramente di alto livello formale). Basta sentirlo parlare una volta per capire perfettamente la sua intensa voglia di protagonismo: il che spiega tanti risvolti dei suoi interventi di politica internazionale di cui è stato l’ interprete quasi esagitato. Si pensi alle sue compiaciute ostentazioni belliche ed al suo recente, pesante intervento sulla NATO per distruggere la Libia di Gheddafi. Si è avvertito benissimo il bisogno di Sarkozy di integrare il suo successo “civile” con un successo militare. Forse lo ha conseguito ma continua a mancargli quel che lo ha affascinato nell’eredità gollista: una famiglia ben pensante, cattolica, settentrionale, legata alle tradizioni di Lille; un intenso cammino personale che inizia con la severa selezione di Saint- Cyr, le ferite e la prigionia nella prima guerra mondiale; l’esperienza in Polonia, e l’iniziale dimestichezza con Petain, sfociata poi in una reciproca avversione;  gli anni di lucida follia della lotta solitaria condotta da Londra verso il mondo intero. Perfino le sue recenti “maleducazioni” nei confronti dell’Italia rispecchiano, in certo modo, i malumori del generale verso di noi: la tentazione di annettersi la Valle di Aosta, la tenacia nel farsi attribuire Briga e Tenda, perfino l’ironia sprezzante testimoniata da una frase famosa (“L’Italie, un pays pauvre….non, un pauvre pays”…).

L’ ombra di De Gaulle, a cui accennavo prima, spiega dunque moltissime cose e copre di un’ antica aspirazione di “grandeur” quasi ogni suo gesto pubblico, reso più aggressivo dalla giusta apprensione per le elezioni presidenziali dell’anno prossimo. 

All’apparenza egli ha molte cose del Generale, salvo due: la statura fisica e il genio.

Battute (14.438)

14 novembre 2011

A DOMANDA RISPONDE


Considerazioni del Secondo Anonimo su una telefonata degna del  “Salto Angel” e su John Huston, con mia non soddisfacente risposta.

Rispondo subito ad un corrispondente che credo di avere individuato. Mi hanno divertito le considerazioni sul Critico Televisivo Sublime, con la sua “voce che cade da vette altissime”. Purtroppo non posso seguirlo sul terreno dell’ultimo Huston. Debbo confessare a mio disdoro che, per vari motivi (rinuncia alla rubrica su un quotidiano, pensionamento, età, malattia) negli ultimi trent’anni ho perso molti film. Molti almeno in rapporto con la filmofagia obbligatoria e contrattuale che fu la mia per decenni. Fra i film perduti debbo purtroppo annoverarne due del mio pur carissimo John Huston. E cioè “Annie” (1982) e “Sotto il vulcano” (1984). Francamente, da quel che ho letto, non ardo dal desiderio di colmare le mie lacune. Per fortuna, tuttavia, ebbi il privilegio di vedere in anteprima ed in originale  l’ultimo film del regista, e cioè “The Dead- Gente di Dublino” (1987, lo stesso anno della sua morte). Con esso il regista si congedò da noi e dal mondo, e ancor più, da quel popolo e da quella nazione irlandese da cui credo discendesse la sua famiglia e della quale aveva voluto assumere la cittadinanza. Come è noto si tratta di una splendida variazione su un  pranzo post-natalizio di gente della buona società di Dublino, che diventa pretesto e causa per, come dice il Morandini, “una tormentata analisi delle varietà dell’amore.” Non è un caso che Huston, che aveva portato il padre Walter al premio Oscar con “Il tesoro della Sierra Madre”, si congedi da noi con un film sceneggiato da suo figlio Tony e interpretato anche da sua figlia Anjelica.
I miei rapporti di fedeltà con Huston sono quelli intensi di tutta la mia generazione ma, in particolare, si colorano di una curiosa tonalità “parallela”. Verso la fine degli anni ‘70 realizzai per Rai Uno un ciclo di film, che ottenne  ovviamente grande successo, dedicato a Humphrey Bogart (forse rievocherò l’accaduto in una rubrichetta intitolata “Salvate la Tigre”, che ho iniziato su “Film Tv” dietro richiesta del direttore Aldo Fittante). Trovai modo in quella occasione di far doppiare o ri-doppiare (nel caso si fossero perse le colonne originali) alcuni film interpretati da Humphrey. Fra di essi due inediti, uno dei più belli in assoluto, “I ruggenti anni Venti” di Raoul Walsh  (1939) ed uno dei più curiosamente brutti (brutto ma non totalmente banale) e cioè “Agguato ai Tropici” (1942) appunto di John Huston. Fra gli altri interpreti c’erano Mary Astor e Sidney Greenstreet. Questi, giunto molto tardivamente al cinema, aveva esordito sullo schermo l’anno prima con il fondamentale “Mistero del falco”, clamorosa opera di esordio dello stesso Huston. Qui, nello stesso anno in cui Greenstreet disegnò in “Casablanca” l’indimenticabile figura del “Signor Ferrari” (nel doppiaggio italiano “Signor Ferrack”), Humphrey e Sidney si affrontavano sulla tolda di un piroscafo in cui il primo era salito come agente del controspionaggio americano mentre il secondo impersonava un grasso inglese spia dei giapponesi. L’insieme sacrificava alla convenzione ma non escludeva il divismo e, se ricordo bene, Huston che si era arruolato nelle forze armate dopo Pearl Harbour, abbandonò la lavorazione prima di girare l’ultima sequenza, quasi totalmente assurda, ambientata in un giardino (o in una foresta), ove ovviamente tutto si risolveva bene.
Per questi motivi ho conservato nella memoria una sorta di imbarazzato affetto per “Agguato ai Tropici” e probabilmente desidererei rivederlo…

(battute 3.460)

9 novembre 2011

A DOMANDA RISPONDE


Opinioni sul contraddittorio fra me e Veneziani, sulla “Guerra lampo dei fratelli Marx” e perfino sulla mia fortunata sopravvivenza al fortunale che ha investito Genova.


Ringrazio Enrico per le sue osservazioni concernenti le opinioni della mamma, di fatto mia coetanea. Non mi stupisco delle lodi per le opere pubbliche del Ventennio: in effetti molte strade e costruzioni d’epoca resistono all’usura del tempo ed alle trappole della meteorologia molto meglio di quanto non facciano le costruzioni via via realizzate a partire dal ritorno della democrazia in Italia. Evidentemente non è un giudizio politico ma è una banale constatazione visuale. Se mai lo stupore nasce dal raffronto fra il successo dei fabbricati d’epoca (per restare nel campo del cinema si pensi a Cinecittà o al palazzo della Mostra al Lido di Venezia) e l’approssimazione totale nel campo della preparazione bellica: cannoni antiquati, aerei di base pochi e assolutamente invecchiati, modelli da caccia nuovi e moderni prodotti con il contagocce, scarpe e divise della truppa assolutamente insufficienti, eccetera. Si vede qui il mal funzionamento di quella burocrazia statale a cui accennavo nella mia lettera a Veneziani e che soffrì palesemente dell’accentramento di tutti i ministeri importanti nelle mani di Mussolini.
Mi pare straordinario, e mi riempie di orgoglio l’aneddoto riguardante il successo de “La guerra lampo dei fratelli Marx” nelle aule di medicina. Ne deduco che il mio interlocutore è un medico e che i miei interlocutori cinematografici del tempo erano di qualità…
Quello che scrive Antonio Sabino mi pare molto vicino alle mie osservazioni: non è un caso che la generazione del GUF sia composta di una piccola minoranza di fedeli entusiasti (molti di essi cambiarono poi idea e, come diceva Totò, si “buttarono a sinistra”) ed una maggioranza di furbetti  indifferenti, disciplinati in apparenza e totalmente neutri nel fondo. Si pensi alla figura di quel giovane ufficiale di fanteria, magnificamente incarnato da Alberto Sordi, che regge e motiva l’intera  struttura narrativa di “Tutti a casa” (1960), diretto da Luigi Comencini e scritto da Age & Scarpelli più Marcello Fondato. Il personaggio di Sordi ha idee ossequiose ma vaghe su Nizza, Corsica e Savoia ma a suo modo più precise, ma pur sempre sbrindellate, sugli Stati Uniti, visti attraverso il filtro di Fred Astaire e Ginger Rogers.
Infine  ringrazio pubblicamente Davide Barranca che mi ha consigliato di approfittare del Blog per dare notizie su di me e sul “tifone” scatenato su Genova. Io e mia moglie stiamo bene, non ci è successo assolutamente nulla e in senso stretto nulla è accaduto intorno al caseggiato dove abito. Esso si trova in una traversa (lo dico per quelli che conoscono la città) di via Casaregis, alla Foce. Ho appreso adesso che nella zona ci sono stati diversi allagamenti e che, a non grande distanza da casa mia, sono stati concentrate centinaia e centinaia di automobili divorate dalle acque. Come accade quasi sempre l’unico modo per non conoscere veramente le notizie è quello di trovarcisi immersi dentro. Per fare un esempio tipico ricorderò (io non me ne sono mai dimenticato) che cosa accadde a Genova il 30 giugno 1960. Io ero chiuso nel palazzo del “Corriere Mercantile” intento a scrivere a macchina la traduzione di una serie di fumetti americani che avevano per protagonisti John Fitzgerald Kennedy e Richard Nixon. Vi si riassumevano le biografie dei due politici in lotta per la presidenza degli Stati Uniti (come è noto vinse il primo e assunse la carica nel Gennaio dell’anno seguente). Lavorai per tutto il pomeriggio senza sentire il minimo rumore dall’esterno, anche per la perfetta chiusura sonora del palazzo che era di recente costruzione. Non mi accorsi di nulla. In realtà a meno di un chilometro da me la folla tumultuava in via XX settembre e in piazza De Ferrari contro la polizia, per protestare contro l’apertura di un congresso a Genova del Movimento Sociale Italiano. Praticamente alla fine della giornata la rivolta di Genova fece cadere il governo Tambroni. Mi raccontarono tutto i colleghi della cronaca che, da breve distanza,  tornarono stravolti in redazione. E’ l’eterna lezione stendhaliana di Fabrizio del Dongo che partecipa alla battaglia di Waterloo e non se ne accorge…

2 novembre 2011

DAL 28 OTTOBRE 100 ANNI DI STORIA ITALIANA


Il 28 Ottobre scorso Marcello Veneziani ha scritto un “taglio basso” de “Il Giornale”,  all’interno della rubrica “Cucù”, intitolato “Necrologio onesto del fascismo”. Gli ho inviato all’indirizzo e-mail del  quotidiano una breve missiva in cui esaminavo il suo pezzo e muovevo alcune riserve, lui mi ha cortesemente risposto subito, facendomi tra l’altro osservare che nelle 1500 battute a sua disposizione non poteva dilungarsi troppo, a mia volta io gli ho risposto dicendogli che avrei voluto riprodurre nel Blog il breve carteggio di cui ci stiamo occupando e Veneziani mi ha scritto dicendomi che se lo ritenevo utile lo facessi pure. 

Vorrei riprodurre qui il brano originale e il nostro breve frammento di corrispondenza, chiudendo il tutto con una mia nota che mi auguro possa interessare qualche lettore  (e perfino lo stesso Veneziani). E’ evidente che la pubblicazione è avvenuta, come dice lo stesso autore all’inizio, in occasione dell’anniversario della cosiddetta “Marcia su Roma”. La quale , appunto il 28 ottobre 1922 portò gli squadristi nella Capitale a festeggiare l’annuncio del ministero Mussolini che doveva sostituire quello di Facta. Gli squadristi erano giunti o a piedi o a bordo dei 18 BL, un camion Fiat prodotto in circa 20.000 esemplari che restò in servizio sino all’inizio degli anni ’40 e che fece parte della retorica automobilistica legata alla prima guerra mondiale e al dopoguerra fascista. Mussolini, su invito del generale Cittadini, aiutante di campo di S.M. il Re, aveva preso più saggiamente un vagone letto, inaugurando una sorta di versione morbida del colpo di stato. Sotto il fascismo il 28 ottobre era il giorno della festa nazionale forse più importante dell’anno. Come Figlio della Lupa, prima, e come Balilla Marinaretto, poi , festeggiai anche io ogni volta l’anniversario della Marcia su Roma con quella naturale inclinazione al rispetto che si respirava ovunque all’epoca. E conservai, senza assolutamente volerlo, il vago ma fermo ricordo di quella data, che mi è rimasta infitta nella memoria a dispetto di ogni sentimento d’ironia o di distacco, così come mi è accadute con altre di quel tempo. Ad esempio il 23 Marzo (fondazione dei Fasi di Combattimento) altra data sistematicamente celebrata e consacrata con l’istituzione di una divisione di camice nere che, nel 1935/36  partecipò alla conquista dell’Impero e fu poi distrutta in Libia nei primi mesi del 1941. Tralascio le altre date (compreso il 28 ottobre) a cui furono consacrate divisioni di Camice Nere e vengo immediatamente al breve ma significativo testo di Veneziani di cui fornisco sia la  sia la riproduzione de “Il Giornale” che il testo molto più leggibile (qui sotto in corsivo) ricavato dal sito del quotidiano.

M.Veneziani In Rubrica "Cucù"; "Il Giornale" 28/10/11












 “Il 28 ottobre del 1922 il fascismo marciava su Roma e io vorrei tentare in poche righe un necrologio onesto che scandalizzerà molti e scontenterà tanti. Tenetevi forte. Nei 150 anni di Italia unita il fascismo resta insuperato sul piano delle realizzazioni e delle riforme, del consenso popolare e del prestigio mondiale, dell'integrazione nazionale e sociale delle masse, dell'ordine e dell'efficacia di governo, dell'onestà pubblica e della dedizione allo Stato e all'amor patrio. Chi lo nega è disonesto, nega la realtà e la verità. È invece onesto dire che tutto questo non basta a compensare la perdita della libertà, l'imposizione e la violenza, la finzione retorica, la sciagurata alleanza col nazismo e la complicità nel razzismo e infine la passione fatale della guerra. Non si bilanciano beni e mali imparagonabili tra loro.
Chi fu fascista a babbo morto, quando era già sepolto e proibito, credette in buona fede che fosse essenziale il primo lato e accidentale il secondo; ne elogiò a suo rischio le grandi imprese e reputò i disastri frutto di errori e circostanze, cattivi alleati e pessimi nemici. Non fu così, autentici furono ambo i versanti; da qui l'interpretazione tragica del fascismo. In un necrologio onesto il fascismo grandeggia nella storia in ambedue. Mussolini resta il più grande politico italiano nella storia del '900; ma più grande non vuol dire il migliore. Grandi furono pure Stalin e Mao, tiranni sanguinari (altro che il duce). Non riusciremo a digerire il fascismo finché non diremo tutta la verità, anziché solo la metà.”

Questo è il testo di Veneziani ed ecco la mia breve e-mail di garbata contestazione:

Lettera a Marcello Veneziani (29/10/2011)
" Vorrei fare alcune osservazioni a proposito del “Cucù” di ieri intitolato “ Necrologio onesto del fascismo”. Credo di avere un minimo di ricordo storico del fascismo, poiché sono nato il 17 ottobre del 1929 e il 25 luglio del 1943 avevo quasi quattordici anni. Frequentazione infantile e giovanile rinfocolata da quasi settanta anni di letture. Ammetto volentieri che, seppure in parte, il fascismo abbia raggiunto notevoli risultati “sul piano delle realizzazioni e delle riforme, del consenso popolare e dal prestigio mondiale” con un punto di svolta, per quanto riguarda il consenso e il prestigio, che può collocarsi già prima del 1939. Però, nell’ esaminare le realizzazioni del fascismo si tende generalmente a dimenticare è che gli strumenti burocratici di cui quest’ ultimo si serviva avevano fondamenta nettamente riconducibili al periodo prefascista. Per fare un esempio banale un Direttore Generale di Ministero, in carica nel 1930, a partire dal 1900 sarebbe cresciuto sotto una sfilata di Presidenti del Consiglio che allineavano, prima di tutto ed in larga misura Giolitti e, prima o dopo, Pelloux(!), Saracco, Zanardelli, Tittoni, Fortis, Sonnino, Luzzati, Salandra, Boselli, Orlando, Nitti, Bonomi e, per fare bon peso, Facta. E’ chiaro che un funzionario del genere, presumibilmente di esplicita origine meridionale ma modellato da un’ Italia centralizzata e programmaticamente patriottica, avrebbe avuto, nel realizzare lavori pubblici e pubblici impegni, una dedizione automaticamente professionale che di fatto fu assente nella generazione successiva, modellata dai GUF. Ci fu, proprio negli anni ’30, un subitaneo scarto di presa di coscienza e di senso del dovere che, ad esempio, colpì tutti i combattenti della Prima Guerra Mondiale quando furono costretti a partecipare alla Seconda ( mi viene in mente mio padre, ligure di commercio ma anche di buone letture, da aspirante a tenente degli alpini ferito sull’Ortigara, che, pur riluttante, dovette subire un incongruo richiamo alle armi nel 1940 e rimase sbalordito dall’ atteggiamento cinico dei giovani ufficiali venti/trentenni: “noi non eravamo così” mi disse una volta, amareggiato, durante una licenza. Ma io, bambino, non capii). Non si lasci trarre in inganno da quel minuscolo gruppetto ( veda Berto Ricci o Guido Pallotta) di “ mistici” fascisti che giunsero, da volontari, alla morte in guerra.
Secondo osservazione, molto breve per non annoiare. Sono d’ accordo sul fatto che Mussolini non fu il “migliore dei politici italiani”. Ma non fu neppure il più grande. Non parlo solo dei suoi grandi errori decisivi (la politica antisemita, la guerra ad ogni costo contro il parere di tutti, la spasmodica alleanza con Hitler, eccetera) ma del suo modo furbesco di condurre gli affari di Stato. Che peggiorò di anno in anno, via via che l’ antica furbizia romagnola del maestro elementare socialista si stemperò nella tronfia soddisfazione del Fondatore dell’ Impero ( è sufficiente rileggersi il diario di Ciano, pur complice entusiasta, per rendersene conto).
Ci sarebbero evidentemente molte altre cose da dire, ma non vorrei esagerare ….”
Ed ecco la risposta di Veneziani alle mie osservazioni:

La ringrazio, gentile dott. Claudio G.Fava, dell'attenzione dedicata al mio breve scritto. L'ho sempre apprezzata come autorevole critico cinematografico. Vengo al mio scritto. Una rubrica di 1500battute non può che offrire un puro assaggio, e in questo caso un piccolo necrologio, di un più vasto percorso di studi sul fascismo che ho fatto nel corso di alcuni decenni, lasciando anche qualche saggio in merito. Pur nella brevità del testo, ho condensato quel che penso del fascismo e dunque non concordo con la sua interpretazione. Io ritengo davvero che le opere realizzate durante il fascismo, l'integrazione sociale e nazionale delle masse, la ricerca di una via ulteriore al capitalismo e al collettivismo, e il resto che citavo nel testo fossero esiti oggettivamente importanti e innegabili. Che non cancellano, compensano o oscurano i danni e i misfatti che ci vengono del resto ripetuti continuamente da 66 anni. cordialmente mv”
Trascrivo qui la mia risposta con la proposta di porre il nostro breve incontro nel Blog e la manifestazione dell’assenso, forse un po’ stupito di Veneziani:

“Caro Veneziani,
la ringrazio per la sua pronta risposta.
Mi è venuta voglia di creare una piccola variazione ma sempre che lei sia d'accordo. Da diversi anni alimento un Blog (in google: clandestino in galleria; i dati completi sono comunque in questo stesso e-mail dopo la firma)che ha qualche estimatore. Oltre alle cose che io scrivo vi sono contenute anche delle telefonate, amichevoli e professionali insieme, persone di mia vecchia conoscenza. Ad esempio le ultime sono con Aldo Grasso, Steve Della Casa, Alessandro Gasman, Pupi Avati, Giulio Anselmi, Folco Quilici, Carla Signoris, eccetera. Le dico questo perché vorrei inserire la nostra breve corrispondenza nel Blog, sempre che lei sia d'accordo (avendone voglia la cosa migliore da fare è di vederlo e di ascoltarlo per poterne giudicare il livello). In ogni caso vorrei pubblicare il suo "taglio" basso sul Giornale, la mia missiva, la sua risposta e vorrei a mia volta inviarle una risposta da allegare al tutto. Naturalmente nulla vieta che lei risponda a sua volta, anche se non voglio obbligarla ad un ping-pong così serrato. In ogni caso ho pescato da internet una sua bibliografia, che mi sembra abbastanza completa, e che vorrei comunque allegare alla "pratica", giusto per illustrare quel "più vasto percorso di studi sul fascismo (...) fatto nel corso di alcuni decenni, lasciando anche qualche saggio in merito" di cui lei fa menzione nella sua risposta.
Se fosse d'accordo le sarei grato se volesse farmelo sapere, in modo che io possa tempestivamente preparare la "risposta alla sua risposta". Se lo ritenesse necessario potrei inviarle il mio testo per e-mail prima di pubblicarlo sul Blog in modo che lei non abbia sorprese. Mi auguro di riuscire a far "scannerizzare" (è un verbo che ho appreso da poco tempo) il brano del "Giornale".
La prego di accettare i miei migliori saluti.”

Veneziani:

“se crede, lo faccia senza problemi. Naturalmente io ho scritto e risposto in modo ultrasintetico, ma va bene lo stesso. Per il pezzo del giornale può far attingere dal sito del medesimo giornale. cordialmente mv”

Approfitto della autorizzazione concessa dal Veneziani per trascrivere nel Blog la corrispondenza e per collocare qui una mia ulteriore osservazione. Che, evidentemente, non intende chiudere l’argomento ma soltanto trascrivere i confini esigui di un conflitto ideologico immenso.
Mi rendo perfettamente conto che, prima di tutto e soprattutto, si tratta di un conflitto di generazioni. Veneziani, nato a Bisceglie nel 1955, si avvicina oramai quietamente, e con ampio scarto, ai sessant’anni. Ma tuttavia rimane confinato in quell’immenso periodo che è il dopoguerra. Vale a dire che non porta nei frammenti della memoria i ricordi di quella che fu l’Italia di prima della guerra. Mi sono accorto da qualche tempo che esserci vissuto e cresciuto mi ha posto in una dimensione per molti versi molto più vicina all’Ottocento che al Novecento. Sono stato ancora oggetto di una forma di educazione (all’interno di una nazione “d’altri tempi” ancora profondamente dialettofona nelle classi popolari) che è quasi impossibile riprodurre ai giorni nostri. Alcune date (il 10 giugno 1940, il 25 luglio e l’8 settembre 1943, il 25 aprile 1945) hanno scavato un solco profondissimo, al tempo stesso determinante ma non riproducibile. In sostanza, seppure da bambino o da adolescente, porto in me le stigmate di una terribile esperienza di cui si può comunicare solo una conoscenza teorica. Ecco perché la mia reazione di fronte al ventennio fascista è forzatamente diversa da quella di Veneziani, più per una reazione puramente fisiologica che per una scelta ideologica. Il che naturalmente non significa che io non capisca, in tutta la sua dolorosa ferocia, quel che è stato,  per milioni d’italiani che costituiscono ormai la maggioranza della nazione, il tentativo di capire le scorie ma anche i meriti di un passato non conosciuto o divulgato soltanto in termini polemici.
Finisco qui, dove in realtà si dovrebbe incominciare. Ma mi tengo a disposizione, ovviamente non solo di Veneziani ma di quanti volessero apportare il loro contributo ad un dibattito. Che è stato minimo, per ragioni di spazio, in quel che abbiamo scritto ma che è evidentemente immenso se si ripercorre il peso della storia italiana da almeno un secolo a questa parte.