Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

31 dicembre 2012

L'OSSERVATORE GENOVESE


VISTO CON IL MONOCOLO

Come da abitudine ricopio qui il testo apparso domenica 30 dicembre nella mia settimanale rubrica domenicale sul Corriere Mercantile. Posso preannunciare che anche la prossima puntata (e perchè non la terza?) verterà sul tema: allenatori di calcio. Come noto essi sono fra i protagonisti visuali e morali della tensione dialettica propria del nostro tempo. Ancora mezzo secolo fa contavano relativamente poco e semmai la notorietà riguardava in buona parte quelli che fra di loro avevano incarichi "nazionali" (si pensi alla fama patriottica e quasi risorgimentale di Vittorio Pozzo od a quella, fra il letterario e il dialettale, che Gianni Brera aveva cucito addosso a Nereo Rocco). Adesso essi sono in televisione fra i massimi interpreti e commentatori del nostro tempo, vale a dire quelli a cui ci si rivolge per avere lumi sul presente e sul futuro, al pari dei "gazzettieri" metereologici e dei giornalisti della Rai di Milano incaricati di fornirci l'ammontare dello "spread".
Mi auguro che il tema interessi  qualche lettore.


GLI ALLENATORI SONO STAR DA PALCOSCENICO

In passato mi sono occupato spesso di un quartetto straordinario che ha animato la commedia (e la tragedia) all’italiana: Gasman, Manfredi, Sordi e Tognazzi (sugli ultimi due ci sono anche libri a mia firma). Non mi sembra che abbiano lasciato sostituti all’altezza, in un cinema italiano dominato da vecchi caratteristi di genio e da giovani, vaghi protagonisti. Non nel cinema, dunque, ma nel calcio. Non fra i calciatori ma fra gli allenatori. I quali sono una vecchia istituzione del football ma una recente entità del divismo. Negli ultimi vent’anni sono diventati protagonisti a pieno titolo: si parla di loro come dei grandi direttori d’orchestra, imprestandogli la capacità di modellare a piacimento, in un caso la resa di una partitura e nell’altro quella di una partita (quasi che nel calcio tutto non dipendesse invece dai giocatori: datemi Messi, Iniesta e Cristiano Ronaldo e divento un grande allenatore anch’io). Naturalmente non tutti sono allo stesso livello. Considerata la qualità media delle loro interpretazioni i tre migliori caratteristi sono sicuramente Mazzarri, Conte e Zeman.  Il primo sembra il mattatore di una compagnia teatrale della sua città: si agita, suda, si toglie e si rimette confusamente la giacca, si preme la mano sul cuore come se attendesse un infarto: la mimica e l’accento sono esageratamente livornesi. Conte è in certo senso un suo equivalente ma carico di una tragicità tutta meridionale: sotto la folta capigliatura fortunosamente recuperata il suo volto si contrae quasi a sintetizzare tutte le tristezze di una lontana emigrazione. Per parlare con i giocatori inveisce, grida, si strozza, con una rabbia spropositata rispetto al tema ed al destinatario. Infine, grande caratterista, Zeman incarna in un modo quasi doloroso una cupezza boema che sembra esagerata per i limitati confini intellettuali del gioco del calcio. Invecchiando è diventato ancora più doloroso, più silenzioso e più immobile. Quando parla (di rado) in un italiano sintatticamente impeccabile ricorda fatalmente un “robot”, che non a caso è un invenzione letteraria (si veda R.U.R) di uno scrittore suo connazionale: Karel Čapek.
Degli altri allenatori parlerò la prossima volta.

Claudio G. Fava

28 dicembre 2012

E’USCITO IL “MORANDINI 2013”, DIZIONARIO DEI FILM


Si tratta di un ausilio quasi indispensabile per il professionista, l'appassionato e per lo spettatore che voglia semplicemente controllare un dato o un titolo rapportati alla programmazione televisiva.

Una volta all'anno mi capita un avvenimento fortunato. Cioè l’apparizione di una nuova edizione del Dizionario Cinematografico di Morando Morandini. Il suo titolo, per l’esattezza, è “Il Morandini”, diventato ormai una equivalente definizione di un dizionario cinematografico. Infatti è uscito proprio adesso- mi è stato fatto pervenire con la consueta efficienza dalla dottoressa Lisci dell’Ufficio stampa della Zanichelli il “Morandini 2013”- come sempre a cura di Laura, Luisa e Morando (Laura è la moglie di Morando e la mamma di Luisa: il dizionario nasce dallo schedario che essa aveva accumulato ai suoi tempi e dopo la sua scomparsa il marito e la figlia la ricordano così, oltre che con un annuale festival cinematografico, appunto il “Laura Film Festival”, che si svolge in estate nel paese di nascita di lei, Levanto). 
Io appartengo ad una generazione di cinefili professionisti che per anni si sono alimentati con i dizionari del cinema di autori tutti stranieri dopo il film Lexicon di Pasinetti: Sadoul, Halliwell, Maltin, Lourcelles, Tulard, eccetera. Ma ormai dal molto tempo il loro posto è stato preso da due italiani: Paolo Mereghetti, ogni due anni, e appunto Morando Morandini ogni anno. Entrambi sono vecchi amici, per cui consultando i loro testi rendo anche concreto ogni volta un rapporto d’affetto. Che coesiste, diciamo la verità, con un riflesso egoistico, vista la qualità delle opere. Guardiamo ai dati: il Morandini di questo anno comprende 25.000 film usciti sul mercato italiano dal 1902 all’estate del 2012. Più esattamente i 25.000 film sono quelli citati nell’ edizioni on-line e in DVD (il DVD è allegato ad ogni volume) mentre l’edizione su carta fornisce la trama di circa 20.000 titoli. Il motivo sostanziale di interesse è rappresentato dal fatto che per ogni film  vengono forniti alcuni dati essenziali, un conciso riassunto della trama, un giudizio di merito non di rado molto elegante, oltre che, attraverso stellette e palline, un riassunto del successo di critica e di pubblico. E naturalmente i dati favorevoli non si esauriscono in queste cifre. Complessivamente si tratta di 2048 pagine, il testo contiene, come sempre, schede monografiche su cicli e serie, elenchi di cortometraggi  segnalati in vari festival, elenchi di serie tv di particolare interesse ed, oltre i soliti elenchi per titoli, attori e registi, ve ne è anche uno, come è tradizione del Morandini, di autori letterari e teatrali dalle cui opere sono tratti dei film (è una utilissima curiosità dell’opera). Come risulta evidente da questi dati si tratta di un lavoro collettivo di grande impegno e di grande risonanza. Naturalmente non è detto che si debba essere d’accordo con tutti i giudizi contenuti nel Dizionario (il quale, come tutte le opere consimili, è frutto dell’apporto di occhi e mani diverse, e quindi di opinioni variamente articolate). Ma, ripeto, si tratta nel complesso di un libro di prezioso e raffinato impegno che, di fatto, ha reso inutile il ricorso a fonti straniere, un tempo quasi inevitabili per lo specialista e l’appassionato.
Vorrei precisare che il prezzo complessivo del libro più Dvd-Rom è di euro 37,60. E’ difficile pensare che acquistarlo non rappresenti un buon investimento.

21 dicembre 2012

SIMENON AL CINEMA


Mi pare giusto avvisare i lettori del Blog che è appena uscito la prima pubblicazione di una collana allestita e distribuita dalla Cineteca di Bologna.
Si intitola appunto “Simenon al cinema”, come è indicato nel titolo, e consta di una duplice “fornitura”. E cioè  del Dvd di un film tratto da un romanzo di Simenon (si tratta di “La verità su Bébé Donge”; il libro è apparso nel 1942, il film, diretto da Henri Decoin e interpretato da Jean Gabin e da Danielle Darrieux, nel 1951) e, all’interno di un unico cofanetto, un ricco libriccino di 55 pagine. Esso contiene un’ampia filmografia e tre scritti: due analisi del film, firmate da Peter von Bagh e Roberto Chiesi, ed una mia illustrazione dei lunghi e complessi rapporti intercorsi fra il cinema e lo scrittore di Liegi durante quasi ottant’anni. Il film (la Cineteca ha utilizzato un titolo italiano che è la traduzione letterale di quello francese, invece del titolo “La follia di Roberta Donge”, con cui l’opera era stata distribuita in Italia) è fornito in duplice versione. Quella doppiata in italiano e quella originale sottotitolata, che è più lunga di otto minuti rispetto alla prima (nella copia italiana i brani mancanti sono stati recuperati dall’originale e inseriti, ovviamente con i sottotitoli). 
L’iniziativa si inserisce in una attività editoriale in senso libresco che da anni la benemerita Cineteca di Bologna affianca a quello che è il suo compito istituzionale. E cioè il salvataggio, la conservazione, il recupero dei film di ieri e di oggi, fatti conoscere ad un ampio pubblico di affezionati, sia attraverso i due locali che la Cineteca tiene aperti a Bologna, sia grazie a numerose iniziative fra cui fa spicco quella detta del “Cinema ritrovato”, sia per mezzo delle proiezioni in stile in Piazza Grande di fronte a un pubblico di migliaia di persone.
Bisognerebbe citare molte delle persone che lavorano alla Cineteca. Mi accontenterò qui di ricordare il nome dell’infaticabile direttore Gian Luca Farinelli e quello della benemerita responsabile delle iniziative editoriali Paola Cristalli. 
Il cofanetto dovrebbe essere il primo di una lunga serie dedicata appunto ad illustrare, in copie quanto più complete possibili, alcuni dei migliori film tratti da romanzi di Simenon. 
A pochi giorni dall’uscita l’iniziativa è già stata salutata da un “Flash back” di Irene Bignardi nella Repubblica e da una recensione di Goffredo Fofi nel “Sole 24Ore” domenicale.
Il cofanetto (Dvd più libriccino) è posto in vendita nelle principali librerie al prezzo di euro 14,90.

20 dicembre 2012

A DOMANDA RISPONDE


IL MIO VOLENTEROSO CONTRIBUTO ALLA TORRE DI BABELE

Ho visto che la pubblicazione del testo della mia rubrica sul Corriere Mercantile, dedicato al Festival “Liet International” (e quindi all’esistenza stessa di testi musicali cantati in lingue minoritarie, spesso periferiche) ha destato un vivo interesse in almeno cinque lettori e me ne compiaccio. Rispondo nell’ordine:

1) A Rosellina Mariani. La ringrazio per l’attenzione con cui mi segue sempre. Le faccio osservare che il problema dei rapporti dei dialetti e delle lingue, all’interno delle quali essi sono generati e con le quali irregolarmente si intersecano, è fondamentale nei paesi a variegata connotazione dialettale come l’Italia (in Francia è capitato con una generazione di anticipo). Ed al tempo stesso è eluso nel fondo e nelle apparenze. Ormai milioni di italiani sono stati allevati da genitori, spesso tra loro dialettofoni, nell’uso rispettoso e a volte impacciato della “Lingua” (“non parlate in dialetto ai bambini, se no poi a scuola si confondono”, teoria complessivamente fallace). I bambini una volta divenuti adulti, non soltanto non sanno parlare il dialetto d’origine ma assolutamente non vogliono farlo e molto spesso, consciamente o inconsciamente, si rifiutano persino di capirlo e di ammetterne l’esistenza. E’ un passaggio traumatico, probabilmente inevitabile all’interno di tutte le lingue nazionali e particolarmente accentuato fra quelle neo-latine. Indubbiamente ha portato ad una indubbia generalizzazione della lingua nazionale parlata ma anche ad un sostanziale impoverimento del vocabolario. Infatti (non ci si pensa mai ma credo che sia proprio così) milioni di persone abbandonando il dialetto hanno abbandonato terminologie antiche ed articolate, senza preoccuparsi di “tradurle” in italiano (operazione peraltro difficilissima per mille motivi di lessico). Sicchè, un immenso numero di figli di artigiani, di “colletti blu”, compresi in quella laboriosa classe intermedia collocata fra il proletariato e la piccola borghesia (che forniva gran parte degli “specialisti ad uso familiare”), si sono trovati ad eseguire il mestiere dei padri senza possederne più la terminologia. E’ un fenomeno che mi pare particolarmente avvertibile nell’Italia settentrionale, dove la “diversità” dell’eredità gallo-italica ha conseguenze più profonde e decisive che altrove (con diverse sfumature. Infatti, come è noto, vi sono molte zone del Sud e, nel Nord, il Veneto, ove invece il dialetto, soprattutto a livello proletario e provinciale, continua a conservare una sua assoluta, e spesso determinante, forza colloquiale).

2) Il rilievo di PuroNanoVergine è apparentemente giustificato, ma forse è motivato dal fatto che non mi sono spiegato bene. Volevo dire che l’effetto finale della minuta conservazione delle lingue e dei dialetti (i quali spesso in Italia mutano notevolmente anche a soli 5 chilometri di distanza) finisce con l’affiancare infinite variazioni di lessico e di accento. Con il risultato che è difficile capire e farsi capire. In ogni caso mi pare molto bello riportare qui il testo della Genesi (11, 1-9) che ne ha fatto una realtà universale (Babele, come è noto è sinonimo di Babilonia). Ecco il brano:

« Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro possibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. »

3) Vengo adesso a Rita M. La ringrazio per le sue sagge osservazioni e convengo anche io sul fatto che, dal punto di vista linguistico, un’Italia apparentemente meno colta e più tormentata dalla bipartizione fra lingua e dialetto, era nel parlare e nello scrivere più articolata e sicuramente più rispettosa delle regole della sintassi e delle sollecitazioni della retorica.

4) Ringrazio Giorgio per i suoi complimenti. Ho l’intenzione (l’ho fatto anche adesso) di riportare nel Blog i testi della mia piccola rubrica settimanale sul Corriere Mercantile. Mi fa piacere essere letto a Roma dove ho vissuto 25 anni ed ho lavorato tanto ed a fondo (io facevo parte di quella “frammento” della Rai che non smetteva mai di lavorare).

5) Grazie a Gianni Dello Iacovo per quel che mi scrive a proposito degli “schizzi di un pittore”. Sono decenni che covo in me il desiderio di una grande opera scritta che tramandi giustamente il mio nome. Invece ho scritto migliaia di articoli e ho pubblicato diversi libri (alcuni dei quali anche di discreto successo) ma senza mai giungere a “quel” risultato che potrebbe giustificare un’intera esistenza. Ho  veramente gradito l' evocazione di quel raffinato poeta veneto-italiano che fu Andrea Zanzotto.

Molti saluti e molti auguri a tutti.

SALVATE LA TIGRE

DUE NUOVI SALVATAGGI DELLA TIGRE

Ricopio qui le due ultime puntate di "Salvate la Tigre" rispettivamente pubblicate su Film Tv nel n. 42, (in corso dal 21 al 28 Ottobre), e nel n.47, (in corso dal 25 Novembre al 1 Dicembre 2012). Via via che i ricordi vengono evocati forzatamente essi si riducono. Sicchè, fra qualche tempo, sarò costretto a chiudere la rubrica per forzato esaurimento della memoria, salvo che, man mano, non mi vengano in mente nuovi episodi di "salvataggi"...

10) ANGOSCIA
Nel 2003 al Festival Voci nell’Ombra ebbi il piacere di premiare Gabriella Genta, miglior voce caratterista per il doppiaggio di Joan Plowright in “Callas Forever”. E mi ricordai di un debito di riconoscenza. Nel 1980 preparavo a Rai Uno un ciclo, su Ingrid Bergman, per cui mi serviva assolutamente il film con Charles Boyer, “Angoscia” (Gaslight, 1944) di George Cukor, veicolo per mattatori. Lo feci acquistare, il materiale entrò e io “lo misi in Radiocorriere” (allora era impensabile cambiare un titolo annunciato ufficialmente). Una decina di giorni prima di andare in onda il venditore mi comunicò brutalmente che si era sbagliato e non trovava più il doppiaggio italiano. Altre volte accettai il ricatto, questa volta mi rifiutai e chiesi aiuto all’ottimo Servizio Edizioni dell’azienda. Avevamo pochissimi giorni a disposizione e venne trovata una Ditta che accettò di ridoppiare il film e Gabriella Genta di dirigere il doppiaggio a patto di essere lei stessa ad effettuare il cosiddetto “adattamento” (la delicatissima operazione di traduzione del testo originale adattato riga per riga alle esigenze della pronuncia italiana). Si stabilì una sorta di catena di montaggio: entro le otto del mattino arrivava a casa mia (Roma, via dei Gracchi) un fattorino con una parte del testo italiano e di quello originale. Io li leggevo in fretta  e furia, li confrontavo, li firmavo e li restituivo. Il manoscritto andava a Gabriella Genta che iniziava immediatamente il doppiaggio. Entro domenica, terminati doppiaggio e missaggio, la copia fu consegnata ai magazzini Rai e lunedì sera andammo in onda regolarmente. Nessuno si accorse di niente. Si badi: la Bergman era stata la Simoneschi e Charles Boyer Emilio Cigoli! Qui furono Ludovica Modugno e Antonio Colonello. A tutti la mia riconoscenza.

11) JEAN-PIERRE MELVILLE: UN’ ANTICA FEDELTA’
Nel mese di agosto evocai in questa rubrica un mio ciclo del 1980 su Rai Uno (l’anno dopo passai a Rai Due), dal titolo “Una pistola e un bacio – L’America spavalda di James Cagney”, in occasione del quale potei recuperare due film inediti in Italia: “The Lady Killer” (1933) e, soprattutto, “I ruggenti anni’20” di Raoul Walsh (1939). A partire dalla presente puntata cercherò di affrontare, nei limiti di quel che mi è rimasto in mente, appunto il ricordo dei cicli dedicati a registi, attori e temi, grazie ai quali, per quasi un quarto di secolo, potei anche recuperare molti film fino a quel momento ignorati dal mercato italiano. Fra tanti, forse il ciclo a cui tengo di più riguarda un regista francese che ho sempre amato molto ed a cui nel 1979 riuscii a dedicare una personale, ovviamente intitolata “Jean – Pierre Melville: un americano a Parigi”, data la sua programmatica simpatia per il cinema hollywoodiano. In quell’occasione, pur costretto dal mercato a rinunciare al suo film di maggiore successo, “I senza nome” del 1970, riuscii in una operazione di cui a più di 30 anni di distanza sono ancora orgoglioso. Importai e feci doppiare (ho già detto di non aver mai avuto la possibilità di usare sottotitoli) il primo, il secondo e il quarto film da lui diretto. E cioè “Il silenzio del mare” (1948), “I ragazzi terribili” (1950) e “Bob il giocatore” (1956). Contribuendo, mi auguro in modo decisivo, a facilitare la comprensione del cammino difficile e solitario di un autore che diresse in tutto 13 film (ma uno, “Labbra proibite”, di fatto lo rinnegò) e che fino a quel momento era quasi sconosciuto al grande pubblico italiano. In particolare “Il silenzio del mare” e “Bob il giocatore” sono due piccoli gioielli su due diversi versanti del cammino di Melville: la Resistenza e il “nero”.

L'OSSERVATORE GENOVESE

VISTO CON IL MONOCOLO

Come al solito riporto qui il testo della mia rubrica sul Corriere Mercantile, ed esattamente della puntata apparsa domenica 16 dicembre. Mi auguro che il tema inusuale, e forse (involontariamente) paradossale, possa incuriosire i lettori di sempre, che hanno preso ormai l'abitudine di ritrovare qui il mio ebdomadario breve brano giornalistico.

REBUS "SIKH" STANTIBUS...


La corrispondenza da Londra di Fabio Cavalera nel Corriere della Sera del 13 Dicembre è stata giudicata così importante da motivare un richiamo fotografico in prima pagina. Quale la notizia? Che un venticinquenne inglese di religione sikh, soldato nelle Scots Guards, sfila in divisa davanti a Buckingham Palace, ostentando, invece del famoso colbacco di pelo, un turbante annodato secondo le sue regole religiose (che proibiscono di tagliarsi i capelli e la barba). Il Corriere ne ricava un interessante articolo sulla mutazione razziale in corso in Gran Bretagna, dove gli “inglesi bianchi” sarebbero ormai in minoranza, ma mi sembra trascuri un elemento minore ma significativo. E cioè che l’”alieno”in divisa sia un sikh. Vale a dire il riflesso di un fenomeno indiano molto curioso, cioè l’esistenza di una religione (appunto lo “sikkismo”, nato nel Punjab nel XV°secolo) che ha finito col dar vita ad una sorta di involontario fenomeno etnico. I Sikh (una trentina di milioni nel mondo, molti anche in Italia) sono diventati una sorta di “stirpe” a parte, con una forte caratteristica militare e militaristica: nell'India “inglese” i reggimenti sikh erano fondamentali, almeno quanto i famosi gurkha arruolati nel Nepal. Se mai c’è da stupirsi che ce ne siano così pochi nell'esercito inglese, a ribadire una sorta di secolare fedeltà alla divisa della Regina…Che poi uno di essi abbia avuto l’autorizzazione a conservare il turbante invece del colbacco, non fa che riallacciarsi alle tradizioni secolari dell’esercito indiano. Le “Guardie scozzesi” sono uno dei cinque reggimenti (in realtà battaglioni) che compongono, insieme ai granatieri, al Coldstream ed alle Guardie inglesi e gallesi, le famose “Foot Guards” predilette a Londra dai turisti quando sfilano davanti ai palazzi reali. Ma poiché sono nate nel 1642 e il colbacco lo portano solo dal 1815 (cioè da quando, dopo Waterloo, come gli altri reggimenti, indossano i copricapi tipici della Vecchia Guardia di Napoleone, che gli inglesi avevano sconfitto) un eccezione per il fedele turbante dei sikh è più che giustificata. Giusto per ribadire il tenue sapore kiplinghiano che sopravvive, a volte, perfino nella Gran Bretagna di oggi…

18 dicembre 2012

IMPERVERSO SU "CLASS TV"

Come forse i lettori ricorderanno tempo fa ho registrato una serie di 10 presentazioni di film per la rete "Class TV" (canale 27 del digitale terrestre). Apprendo adesso che la rete ha messo in cantiere una replica , sempre al venerdì sera poco dopo le ore 21:00, del ciclo già trasmesso. La sera del 14/12/12 è andata in onda "Quando torna l'inverno" di Henri Verneuil. Gli altri titoli per ora previsti sono i seguenti, in ordine di data:


21/12/2012
Tempesta su Washington

28/12/2012
Friday Night Lights

11/01/2013
Revolution

18/01/2013
Le ceneri di Angela

25/01/2013
Frontiera

01/02/2013
The Cotton Club

Per quello che riguarda gli ultima 4 film, fornirò i dati in futuro non appena ne sarò in possesso. Chiedo scusa di questo subitaneo attacco di impudicizia auto promozionale.


13 dicembre 2012

L'OSSERVATORE GENOVESE

VISTO CON IL MONOCOLO


Come ormai è diventato un'abitudine pubblico qui, come sempre nella speranza di interessare qualche lettore, la più recente puntata, e cioè quella di domenica 9 dicembre, dalla mia rubrichetta sul "Corriere Mercantile".  Auguro a tutti buna lettura e, ancor più, richiedo a chi usufruisce abitualmente del Blog di farmi sapere che cosa pensa della rubrica. Voglio dire : se fossero lettori del "Corriere Mercantile" si soffermerebbero su "Visti con il monocolo" o lo salterebbero a pie pari? Non riesco a capire se gli argomenti che, via via, ho scelto fino ad ora  (e che, francamente, mi hanno interessato) presentino qualche motivo di curiosità e di attenzione anche per qualche lettore.
Mi auguro di ricevere risposte e invio a tutti i miei saluti.

"Viviamo nel mistero delle lingue e non ce ne accorgiamo mai"

Ho letto per caso notizie inattese sul festival musicale “Liet International”, nato dodici anni fa in Frisia. Presumo nella parte frisona dell’Olanda, visto che in una provincia il frisone è lingua ufficiale al pari dell’olandese mentre in Germania è riconosciuto come lingua minoritaria (ha affinità con lo “Scots”, parlato nelle “Lowland” della Scozia, e con il basso tedesco). Sembrano precisazioni inutili ma servono a far capire che la vocazione del “Liet International” è quella di dare sfogo musicale a tutte le lingue minoritarie d’Europa, ancor più di quelle nazionali schiacciate dall’uso dell’inglese come idioma internazionale della musica. Il festival cambia sede ogni anno: l’edizione del 2012 ha luogo in una città del golfo di Biscaglia che si chiama Gijòn in spagnolo e Xixòn in asturiano. Vi sono rappresentati testi e cantanti di tutte le lingue “secondarie” d’Europa: non solo, suppongo, il basco o il gaelico ma anche idiomi ancor più sconosciuti come il sami e l’udmurti. Ho controllato in internet: si tratta di due idiomi  ugro-finnici, il sami parlato da circa 75.000, persone dette anche Lapponi, divise fra Svezia, Norvegia, Finlandia e Russia; l’udmurti da più di 600.000 persone che vivono nella Udmurtia, repubblica autonoma russa, collocata ad ovest degli Urali. Nell’edizione di questo anno, come sempre contrassegnata da una ricerca dell’avanguardia musicale, vi sono anche due esponenti italiani: due (suppongo friulani) vengono da Udine ed uno rappresenta chi canta nella lingua catalana parlata (ormai minoritariamente) ad Alghero.
C’è qualcosa di patetico in questo sforzo, forse disperato ma certo toccante, non solo di tenere in vita meravigliose lingue locali che vengono via via rosicchiate dall’uso delle lingue nazionali e, ancor più, da quello ossessivo dell’inglese, ormai “koiné” musicale diffuso nell’universo mondo. E al tempo stesso c’è la manifestazione di come viviamo in un universo di lingue soggette, senza che noi ne siamo consapevoli, ad una continua erosione ed a una continua trasmigrazione. Ogni qual volta apriamo bocca facciamo mutare qualcosa intorno a noi.
La Torre di Babele continua, nei secoli, a conservarsi terribile e affascinante.

Claudio G. Fava

(battute 2.199)

5 dicembre 2012

A DOMANDA RISPONDE


Rispondo qui ai 5 Post giunti il 3 Dicembre 2012, dopo la pubblicazione del brano riguardante la telefonata di Petacco ed il rifiuto di Bertoldi, e il 4 Dicembre dopo la riproduzione della mia rubrica domenicale sul “Corriere Mercantile”,  in quella occasione dedicata a Gianni Brera.
In questo ultimo caso la rievocazione che il lettore fa de “Il calcio azzurro ai mondiali” evoca un esempio di quell’intelligente giornalismo sportivo di cui appunto Brera fu un interprete senza uguali. Mi ha incuriosito la citazione di un grande calciatore del passato, Matthias Sindelar detto “carta velina”, di cui ho sempre sentito parlare e di cui ho letto, senza averlo mai visto. Quando ero bambino la tradizione calcistica si alimentava di eredità verbali tramandate di generazione in generazione. Per esempio a Genova fu tipicamente il caso di un centravanti argentino che i genoani hanno adorato: Guillermo Stabile detto “El filtrador”. C’era una frase tipica che mi son sentito ripetere tante volte in dialetto dai vecchietti verbosi che si lasciavano andare ai commenti durante le partite di calcio: “O l’è arrivou au zoeggia, au sabbo o l’a zugou e o l’a feto dui goal!” (E’ arrivato al giovedì, al sabato ha giocato e ha fatto due goal). In particolare il mito di Sindelar fu fortissimo anche in Italia, dove gli anziani favoleggiavano di questo strepitoso ed elegantissimo attaccante austriaco, che perforava le difese e controllava splendidamente il pallone. Ho trovato su di lui, in internet un articolo di Antonio Giusto nel Blog del Guerin Sportivo. Ed a quell’articolo rimando per quel che riguarda la nascita ceca di Sindelar (era di Kozlov, suo padre emigrò a Vienna come tanti cittadini dell’impero Austro Ungarico e, morì in guerra, dalle nostre parti, sull’Isonzo nel 1917), la sua clamorosa carriera di attaccante e la sua morte in qualche modo misteriosa. Il soprannome “Der Papierene” è stato da noi tradotto con “Carta Velina”.
Per venire ai post del 3 Dicembre l’ottimo documentarista Claudio Costa, della Ronin Film Production, mi suggerisce l’idea di fare un intervista a Callisto Cosulich, un vecchio amico che è forse un decano della critica cinematografica italiana. Callisto, che ha rilasciato a Costa una lunga intervista in cui rievocava i suoi anni di “Naja” in Marina (quando, dopo l’8 settembre, assistette alla distruzione della corazzata Roma) è uno straordinario testimone di sessant’anni di vita del cinema italiano. Ci penserò.
Rosellina vorrebbe una telefonata con Carlo Verdone. Io praticamente non lo conosco, anche se sono in ottimi rapporti con suo fratello Luca. In quanto alla “recensione” di “Fronte del Porto” penso che si tratti di un film amplissimamente analizzato e soppesato, per cui non so se riuscirei a dire qualche cosa di nuovo e di particolarmente attendibile. Un altro “aficionado”, PuroNanoVergine, mi chiede un Petacco-bis (forse il materiale c’è, vedremo più in la se Arrigo ne ha voglia) e addirittura una Emmanuelle Beart, attrice di vaglia (basta pensare a “Nelly e Monsieur Arnaud” di Claude Sautet) ma che raggiungerei difficilmente.
Le richieste di Anonimo (Fofi, Martini, De Antoni, Medioli) potrebbero dare origine, con relativa facilità, ad interviste telefoniche. Ci penserò ma, soprattutto, resto in attesa per vedere se mi arriveranno altre richieste. Esse sono e saranno fondamentali per orientarmi. 
Nel frattempo molti cordiali saluti a tutti.

4 dicembre 2012

L'OSSERVATORE GENOVESE

VISTO CON IL MONOCOLO


Continuo qui la periodica pubblicazione delle puntate settimanali della mia piccola rubrica domenicale sul Corriere Mercantile. Ecco qui di seguito le tre puntate apparse rispettivamente 18 e il 25 Novembre 2012 e il 2 Dicembre 2012.

11) L'INCREDIBILE CASO DEL GENERALE PETRAEUS

Qualche giorno fa mi ero messo al computer a fare una ricerca sul generale Petraeus, che, nell’ aprile del 2011, ormai borghese, era stato preposto alla direzione della CIA. Ero incuriosito sia della fama di trionfatore della guerra in Afganistan, sia dai comandi che aveva ricoperto (praticamente i più importanti dell’esercito americano) sia dal numero spropositato di nastrini che gli invadevano la divisa (successivamente ho fatto il conto: egli ha complessivamente 86 decorazioni, di cui ben 15 straniere). Il giorno dopo che avevo iniziato le mie ricerche scoppiò in tutti i giornali e le televisioni del mondo il “Petraeus Affair”. Da allora non faccio che ricavare materiale e ho messo insieme un dossier considerevole. Mi limito ad osservare che si tratta di uno dei più straordinari casi di (improbabile) spionaggio emersi da molti decenni da questa parte. Come vecchio lettore di “Spy Stories” sono sbalordito. Non dico il grande Forsyth ma anche un medio sceneggiatore hollywoodiano si sarebbe rifiutato di utilizzare risorse di questo tipo: una specialista di anti terrorismo, Paula Broadwell, già allieva di West Point, che scrive un libro sul generale e ne diventa anche l’amante; il generale che via e-mail le invia dati (forse) segreti e messaggi sessuali. La stessa donna che per gelosia ne minaccia un’altra, Jill Kelley (romanzescamente di origine libanese). E’la regina delle feste di Tampa Bay – ove ha sede un immensa base aerea e il CentCom, il super comando delle guerre di Iraq e Afganistan – la moglie di un famoso chirurgo e anche l’amante del generale John Allen, il quale ha preso il posto che era di Petraeus ed è anche egli cultore (sembra) dell’erotismo elettronico. E poi i sospetti sulla morte dell’ambasciatore americano in Libia e l’ambigua presenza di  Frederick Humphries, agente dello FBI e amico della Kelley, che ha iniziato le indagini (si pensa ad un libro di Mark Riebling, “The Secret War Between the FBI and CIA”) a testimonianza del fatto che tutto questo incredibile caso, inizialmente basato su un tradimento coniugale, sembra una mescolanza di idiozia palese e di follia segreta, di cui vorremmo tanto conoscere la vera natura e le vere motivazioni.

12) QUEL GRAN GENIO DI GIANNI BRERA
Gianni Brera, o più esattamente Giovanni Luigi Brera, nacque a San Zenone al Po nel 1919, in una data fatidica per tutta la sua generazione, e cioè l’otto settembre, e morì il 19/12/1992 in un incidente automobilistico sulla strada che collega Codogno a Casal Pusterlengo. Fra qualche settimana ricorrerà il ventesimo anniversario della sua morte e molti giornali italiani si sono ricordati di rievocare il suo straordinario talento giornalistico ed il suo gusto compiaciuto per le acutezze e i complessi risvolti filologici della nostra lingua. Ci vorrebbe una pagina intera per rievocare quel che ha rappresentato Brera nel giornalismo italiano, e non solo in quello sportivo. Straordinario inventore di neologismi e di soprannomi calcistici ne coniò a decine l’uno più clamoroso dell’altro: Bonimba per Boninsegna, Puliciclone per Pulici, Stradivialli per Vialli (cremonese), Baron Tricchetracche per Causio, Rombo di Tuono (o, per evocare la pronuncia sarda, Giggirriva) per Riva, Accaccone e Accacchino per Helenio ed Heriberto Herrera (come dire: due grandi H e due piccoli H) e via citando. Praticamente innovò in toto (ma era inimitabile) il lessico dei giornalisti sportivi, fermo a quello imperativo e burocratico del ventennio. Si pensi a “contropiede” (ora si preferisce dire, in stile ferroviario, “ripartenza”), “uccellare”, “incornare”, “goleador”, “rifinitura”, “libero”(ormai usato nelle principali lingue europee), via via sino alla Dea Eupalla, sorta di Decima Musa protettrice del bel gioco. Brera piombò nel giornalismo sportivo come un fulmine lombardo a ciel sereno, lasciando tramortiti centinaia di professionisti che da allora spesso cercano vanamente di eguagliarlo, in preda alla goffaggine quando cercano di attingere al suo vocabolario. Non era infallibile: la sua avversione verso gli “abatini” (Rivera, Mazzola Sandro, Bulgarelli, forse la parte più elegante del nostro calcio) rimane incomprensibile così come è difficile accettare la sua fissazione che per motivi fisico-etnici gli italiani potessero giocare solo in contropiede. Ma è certo che per tanti lettori come me egli è stato un perenne motivo di fascinazione, come forse nessun altro scrittore italiano.

13) FARE RAI E...NON AVER PAURA
Nella puntata di “Visto con il Monocolo” del 3 Novembre scorso, intitolata “Rai non fare, paura non avere”, avevo narrato di un fatto stranissimo che mi era accaduto. Un funzionario di una rubrica domenicale di Rai Uno, “MixerItalia”, mi aveva telefonato per invitarmi ad essere intervistato dalla Rai di Genova a proposito dello uso del cinema in televisione. Poiché è un tema di cui mi sono occupato per 24 anni a Viale Mazzini avevo accettato volentieri. Pochi giorni dopo lo stesso gentile funzionario, imbarazzatissimo, mi ha telefonato per comunicarmi una sconcertante scoperta: gli ex-dipendenti della Rai non potevano essere intervistati, neppure a titolo gratuito. La cosa mi parve tanto assurda che ne ho fatto oggetto di una puntata della rubrica, ne ho inviato per raccomandata una fotocopia al Direttore Generale Gubitosi e, successivamente, avendo ottenuto il suo indirizzo e-mail ad uso personale, gli ho reso noto il mio testo. Era un gesto formale, che con ovvio scetticismo italiano pensavo fosse del tutto inutile. E qui nasce la mia sorpresa. Nel giro di poche ore egli mi ha risposto con un messaggio molto gentile in cui mi spiegava che non aveva ricevuto la raccomandata e che la proibizione era stata emanata per rendere impossibile l’uso sistematico degli ex dipendenti utilizzati nelle rubriche come ospiti continuativi. Il che non dovrebbe riguardare interventi occasionali. E, ha aggiunto, gli dispiaceva se la cosa mi aveva creato un problema, concludendo “se mi dà qualche dettaglio in più me ne occupo.” Stupefatto l’ho ringraziato, spiegandogli come erano andate le cose e dicendogli che intendevo menzionare l’accaduto nella rubrica. Mi ha risposto di nuovo, a stretto “giro di computer”, autorizzandomi a menzionare quel che ritenevo opportuno e di fargli sapere se poteva essermi utile in qualche cosa. 

Quel che è accaduto mi sembra non solo lodevolissimo ma, considerato il tono generale della burocrazia “pubblica” (statale e parastatale) in Italia, anche felicemente fuori dalla norma. Non so come si rivelerà Gubitosi in qualità di Direttore Generale ma certamente l’efficiente cortesia che lui ha manifestato qui ci induce a nutrire le più rosee speranze.



3 dicembre 2012

A DOMANDA RISPONDE



 Quesiti per Petacco (e per Silvio Bertoldi)

Rispondo in una sola tornata alla fedelissima Rosellina Mariani ed a chi si nasconde -ma credo di conoscerlo…..- dietro il nome di una piccola società di produzione dalle vocazioni giapponesi (i 47 Ronin, i fedelissimi che vendicano il loro signore, danno vita, come è noto, ad uno di grandi miti della tradizione samurai). Mi fa molto piacere che ad entrambi i corrispondenti sia piaciuta l’intervista con Petacco, al punto che mi chiedono un  seguito! Non se se Arrigo ne abbia voglia ma, comunque, prima di muovermi in questo  senso voglio ricevere altre richieste affini, e numerose quel tanto che mi permetta di capire se veramente esiste un nucleo abbastanza  grande di persone interessate.
Confesso che stavo anche meditando di effettuare una intervista similare con un giornalista che è stato forse uno dei primi divulgatori di storia, sulla stessa linea di Petacco e di quei numerosi colleghi che hanno rievocato fatti recenti e recentissimi  di casa nostra (e son molti e validi,  da  Luciano Garibaldi, a Gian Carlo Venè, a Giuseppe Mayda e via citando). Si tratta di Silvio Bertoldi, nato a Verona il 18 luglio 1920 ed autore di decine di libri ( a partire  sicuramente  del 1964, se non prima)  in buona parte centrati sull’Italia del fascismo,  della guerra e del dopoguerra (con diverse divagazioni oscillanti fra il XIX secolo e i giorni nostri). Io ho contato più di quaranta titoli, e forse sono di più. Per farla breve, grazie alla cortesia del collega Dino Messina del “Corriere della Sera” ho ottenuto  il cellulare di Bertoldi e l’ho chiamato al telefono. Mi ha risposto lui stesso, con una voce molto  giovanile, non, secondo la convenzione, da novantaduenne (anche a me, per telefono, dicono che non ho una voce da ottantatreenne; poi mi vedono di persona, e c’è il crollo). La cosa che mi ha stupito è che, appunto con sicurezza e piglio giovanili, mi ha risposto che non intendeva assolutamente rilasciare interviste, che con cose del genere aveva finito e che non voleva tornare sull’argomento. E’stato formalmente gentile ma fermissimo nella sostanza e, naturalmente, ho dovuto accettare la sua decisione.
Approfitto per chiedere ai lettori ed hai complici abituali del Blog, se vi è qualche persona che desiderano far intervistare da me. Posso raggiungere più facilmente, anche se non li conosco, gente del cinema e giornalisti professionisti, i quali ultimi sono in genere sensibili alla colleganza professionale. Ma accetto richiesta di ogni tipo, riservandomi il diritto di riuscire ad organizzare la telefonata, ipotesi non sempre sicura.
Resto in attesa di eventuali comunicazioni e invio i migliori saluti a tutti.