Blog - Crediti


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30 ottobre 2012

11 - Alcuni film americani che conviene avere visto - Mano pericolosa

UNDICESIMA PUNTATA DELLA RUBRICA IN CUI SI "RECENSISCONO" OPERE CINEMATOGRAFICHE DEL PASSATO PROSSIMO
Mano pericolosa (Pickup on South Street) di Samuel Fuller (1912–1997)

“Mano pericolosa” (Pickup on South Street, 1953) è il sesto lungometraggio diretto da Samuel Fuller (1911-1997) nella parte iniziale di una carriera ricca di risultati ma anche di delusioni, che doveva poi portarlo a rifugiarsi in Europa, ove molti critici l’amavano. Molto precoce, a 13 anni è fattorino in un giornale, a 17 diventa un giovanissimo reporter di cronaca nera lavorando al “San Diego Sun”, poi scrive diversi romanzi e nel 1936 vende la sua prima sceneggiatura. Negli anni successivi, mentre sta entrando nel mondo del cinema viene chiamato alle armi ed è arruolato nel III° Battaglione, 16a Compagnia, I° Plotone di un reggimento della famosa prima divisione di fanteria il cui stemma è un grande 1 rosso (da cui il suo film) nelle cui file combatte in Africa del Nord, in Sicilia, in Normandia su su fino alla Germania ed alla Cecoslovacchia (si deve al caporale Fuller, occasionalmente in possesso di una macchina da presa, una serie di straordinarie immagini su un “lager” nazista casualmente scoperto dai soldati americani). Nel cinema il suo cammino fu abbastanza intenso e fortunato negli anni ’50 e ’60, per spegnersi poi fra l’indifferenza dei produttori e un certo disamoramento dello spettatore medio nei decenni successivi, forse con l’eccezione dell’anno 1980 quando diresse un film decisivo per la sua e la nostra memoria di guerra, e cioè “Il grande Uno rosso” prima menzionato. Cito qui alcuni dei suoi titoli più toccanti che complessivamente si dividono in tre filoni: il film di guerra, il western e il thriller- noir . Fra i primi “Corea in fiamme”, 1951, nello stesso anno “I figli della gloria”, “L’urlo della battaglia”, 1962, e, appunto, “Il grande Uno rosso”, del 1980. Fra i western ecco il suo film d’esordio, “Ho ucciso Jesse il Bandito” del 1949, e poi “40 pistole” e “La tortura della freccia” entrambi 1957.  Infine i thriller – noir,  con variazioni di diversa tonalità, come questo “Mano pericolosa” e poi “Operazione mistero” (1954), “La casa di bambù” (1955), “La porta della Cina”(1957), “Il kimono scarlatto” e “Verbotten, Forbidden, proibito” (entrambi del 1959), “La vendetta del gangster” (1961), “Il corridoio della paura” (1963), “Cane bianco” (1982) e, nel 1989, il suo ultimo film “Strada senza ritorno” (non cito la filmografia completa ma credo di aver allineato titoli, nel bene e nel male, significativi). Possiedo diversi libri su Fuller ma forse la pubblicazione più preziosa è il Quaderno n.1 di “Circuito Cinema”, edito nel marzo 1981, dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Venezia, a cura del compianto Piero Tortolina. Fra il prezioso materiale in esso contenuto pesco due frammenti, uno del mio vecchio amico Morando Morandini e l’altro tratto da una auto-intervista intitolata “Fuller by Fuller”. Fra le tante cose dice Morando: “… Fuller è uno dei registi americani maggiormente preoccupati dall’identità e dal carattere dell’America. In ciò egli si avvicina a Ford o a Kazan piuttosto che a Hawks o Boetticher. In modo curioso egli ricorda Norman Mailer. Ambedue sono ossessionati dall’America e si ritengono aggressivamente americani …(…) Sia Fuller che Mailer sono affascinati dall'altra faccia dell’America - polizia, ladri, prostitute - e odiano l’America dei sobborghi e delle cittadine di provincia”. Tutto il pezzo di Morando è molto interessante ma mi limito a questa breve citazione. Come faccio con "Fuller by Fuller” che è tutto di notevole interesse. Mi limito qui a riportare una sua appassionata difesa del piano-sequenza, vale a dire di quella tecnica elegante che consente di dar vita ad un frammento di film, anche lungo, tutto all’ interno di un unico movimento di macchina e di un'unica ripresa. Cioè di un'unica inquadratura, tutta in movimento. E cita orgogliosamente, “Mano pericolosa”. Egli dice: “c’è un inquadratura di 10 minuti. 10 minuti! E’ quando Thelma Ritter rientra e il poliziotto le chiede di aiutarlo a trovare Richard Widmark. Lei ha delle cravatte e cerca di vendergliene una! C’erano trentadue movimenti di macchina; senza dubbio non li avete notati, o vi pare che vi fossero degli stacchi. No: trentadue movimenti di macchina. E il mio macchinista, quando spinge la dolly (è un braccio meccanico che si muove agilmente nel vuoto-in genere si usa il maschile: “il dolly”-n.d.t) non alza mai la testa. Non fa che guardare a terra, e io sto dietro di lui e quando gli tocco la spalla va alla posizione numero due, lo tocco ancora e va al tre, poi va al quattro. Se lo tocco due volte, salta un numero e va al sei. Poi lo riporto al cinque. Mi seguite? Conosce il suo mestiere! E gli attori si spostano, io mi avvicino, salgo, scendo, rallento. Ho ripetuto questa scena per tutta la giornata e l’ho girata verso le quattro del pomeriggio. Tre giorni guadagnati sul piano di lavorazione.”
Varrebbe la pena di copiare altri brani dal testo ma non voglio farla troppo lunga. Mi limito a ricordare che il piano-sequenza a cui fa riferimento Fuller è anche uno straordinario pezzo di bravura di Thelma Ritter. Una grande caratterista (nata il 14 febbraio del 1902 e morta il 5 febbraio del 1969) che dal 1947 al 1968 ha lavorato in almeno 36 film, fornendo sempre prestazioni impeccabili. Ve ne sono alcuni film in cui è impossibile non notarla, come “Eva contro Eva” del 1950 o “L’uomo di Alcatraz” del 1962. Ma quello che tutti ricordano è sicuramente “La finestra sul cortile” di Alfred Hitchock (1954) ove compone un indimenticabile trio insieme a Grace Kelly e James Stewart. Anche la sequenza di “Mano pericolosa” rivendicata da Fuller le consente un grande momento di recitazione. Che nel film la pone alla stessa altezza dell’eccellente Richard Widmark, grande attore apprezzato all'epoca  ma anche sottovalutato in un periodo più recente, attivo dai tardi anni ‘40 ai primi anni ’90, e sempre, ad ogni livello, impeccabile. L’ultima notazione da fare su “Mano pericolosa” è quella che riguarda la pretesa censura operata in Italia dal doppiaggio, per attutire il testo originale che parlava di spie (ovviamente comuniste) che sarebbero state sostituite nel dialogo italiano da generici gangster. In realtà anche nella copia fornita dal DVD si parla di spie, in armonia con l’impronta originale del testo. Non so a che periodo risalga il doppiaggio italiano ma un controllo eseguito su Wikipedia (sperando che sia attendibile) dà i seguenti risultati: Skip McCoy, cioè Richard Widmark, è doppiato da Paolo Stoppa; Moe, cioè Thelma Ritter, da Rina Morelli; Candy cioè Jean Peters, da Lydia Simoneschi; Joey cioè Richard Kiley da Pino Locchi; il Capitano Dan Tiger, cioè Murvyn Vye, da Nino Pavese. Come si vede son tutti nomi gloriosi del doppiaggio post bellico che hanno l’aria di essere coevi al film. E non frutto di un secondo doppiaggio operato in epoca recente per nascondere le alterazioni inizialmente apportate al testo italiano. Probabilmente tutte le voci non precisate, o allo stato attuale delle cose non controllabili, circa il mutamento del testo originale per motivi politici, nascono dal fatto che all’origine, il soggetto di Dwight Taylor da cui Fuller ha tratto la sceneggiatura del film, era veramente centrato non su delle spie ma su dei trafficanti di droga.  E’stato lo stesso Fuller ad aver mutato i “cattivi” in spie comuniste. E’ almeno quello che asserisce Phil Hardy a pagina 26 del suo libro su Samuel Fuller pubblicato nel 1970 dalla Praeger Publishers di New York. Il che non stupisce molto visto che il regista non ha mai fatto mistero delle sue convenzioni politiche, così come, da ex – combattente non ha mai fatto mistero della sua totale avversione alla guerra (da lui descritta in maniera straordinaria in alcuni film). Per esaurire il problema delle “spie/trafficanti di droga” ecco quel che è successo in Francia: dove il film venne battezzato addirittura “Le port de la drogue” e dove il doppiaggio sembra appunto che parli inevitabilmente di traffico di droga. Non ho visto la versione francese (pertanto paradossalmente più vicina al  soggetto originale che il film vero e proprio!). Lo affermo in base a due diverse testimonianze: la “Guide des films” di Jean Tulard  (un testo che tutti disprezzano ma che io trovo molto utile) formula un giudizio che più stringato non si può: "excellente serie B anti-rouge”, e precisa che la versione del doppiaggio francese parla di droga e trafficanti. Dal canto suo nella stessa collana, i “Bouquins” di Robert Laffont, il raffinatissimo, sprezzante e informatissimo Jacques Lourcelles, apostolo dei cosiddetti “Mac-Mahoniens” e grande estimatore di Fuller, dopo, come è sua abitudine, una descrizione minuta della trama, si abbandona ad una lunga analisi entusiastica. Che comincia così: "Admirable leçon de cinéma, dont chaque plan est marqué par la sensibilité à vif de Fuller" (continua così per una pagina. Se a qualche lettore del Blog interessa posso provare  a ricopiarla). Ma soprattutto dà un ulteriore precisazione sull’argomento. Lourcelles specifica che sono stati i dirigenti della Fox francese a far trasformare nel doppiaggio le spie in trafficanti di droga. E mi pare che così il problema sia chiuso.
Sempre per quel che riguarda “Mano pericolosa” faccio presente che il DVD su cui abbiamo lavorato è stato acquistato su internet, sul sito e-bay, al prezzo di 9.90 euro, compresa spedizione e imballaggio.

24 ottobre 2012

UN PRESTON STURGES D’ANNATA CHE MI FA TORNARE INDIETRO NEL TEMPO.



Quando avevamo inserito nel Blog la “recensione” de “I dimenticati” di Preston Sturges avevo poi promesso ai lettori che sarei tornato sull’argomento. Purtroppo ho trovato un’accurata edizione di “Infedelmente tua” solo negli Stati Uniti e con la copia originale in inglese. Il che per ora lascia perplessi.
In attesa di risolvere in qualche modo il problema ho usufruito di una curiosa coincidenza. Cercando di porre ordine nelle mie immense collaborazioni a giornali e riviste che risalgono ai decenni trascorsi, ho messo le mani su un mio articolo apparso nel 1976 nel n. 6 (mese di giugno) de “La Rivista del Cinematografo”. Ho pensato di riproporvelo qui, a ben 36 anni di distanza, se non altro come manifestazione di un’antica fedeltà. A parte ogni altra considerazione, chi avrà la pazienza di leggerlo si imbatterà ad un certo punto in una sommessa citazione del ciclo televisivo dedicato al regista, che avevo fatto trasmettere e presentato in video. Citazione da cui si può dedurre che ho immesso nel circuito italiano uno o due film di Preston Sturges fino a quel punto inediti.
Vi lascio giudicare il testo dell’articolo d’epoca, rilevando che le righe finali mi sembrano un po’ brusche e non molto chiare. Ma questo è il testo che ho nelle mani. Giudicatene voi.


P.S.
Mi rendo conto che così come vi viene presentato il testo non è di facile lettura, ma a quanto sembra non è possibile fare meglio. Ovviamente è stato "scannerizzato" attingendo alle pagine della rivista (in fotocopia) e questo è il risultato. Per vedere un po' meglio conviene cliccare sull'immagine riprodotta e "zummare". Nel mio computer è utile tenere premuto il tasto "Ctrl" ma non è detto che ciò avvenga con tutti i computer. In ogni caso buona lettura.










22 ottobre 2012

L’ OSSERVATORE GENOVESE


VISTO CON IL MONOCOLO

Pubblico qui il testo della mia rubrica sul “Corriere Mercantile” apparsa domenica 21 ottobre. Premetto che per antica abitudine mi rimetto sempre alla consuetudine giornalistica per cui il redattore che “passa” e impagina un brano è il solo abilitato ad inventare un titolo (chi ha uno sguardo globale su una pagina e sa come modellarla deve decidere su come presentarla al lettore). Per cui riporto qui il titolo che avevo apposto al brano (“SCOMPARIRA’ IL PROFONDO PIACERE DI APRIRE E SFOGLIARE UN GIORNALE?” Oppure “SCRIPTA VOLANT, VERBA MANENT”) e quello realmente apparso “IN DISCUSSIONE IL FUTURO DEL GIORNALE DI CARTA”. Secondo me è più semplice e va meglio.


Qualche giorno fa, in occasione del mio compleanno (83!) il mio amico Lorenzo Doretti mi ha regalato una pubblicazione di Feltrinelli “real cinema” (libretto + DVD) intitolato “Page One- dentro il New York Times”, documentario appena arrivato in Italia. E’ centrato sulla notizia che il più importante quotidiano d’America potrebbe, fra non molti anni,  cessare le pubblicazioni: calo della pubblicità, calo delle vendite, deficit sicuro. Unica apertura la conversione totale alla versione on-line. Sta già succedendo nei quotidiani americani di provincia. E’ di oggi la notizia che, dopo quasi 80 anni di vita, il 31 dicembre cesserà la sua vita cartacea il “Newsweek” diffuso in tutto il mondo. Il documentario è girato all’interno della immensa redazione del New York Times, con il concorso dei suoi più importanti (e preoccupati) redattori. Ne vien fuori una singolare testimonianza sul giornalismo americano: essi considerano tranquillamente il loro giornale il migliore d’America, e quindi del mondo, ma al di là dei pregi e dei difetti (regia di Andrew Rossi, laurea a Yale, i genitori avevano un ristorante italiano) ne emerge in modo schiacciante il fatto che siamo di fronte ad una rivoluzione totale delle nostre conoscenze collettive: cambieremo modi di vivere e pensieri. Non solo dal 1884, quando Mergenthaler inventò la rivoluzionaria Linothype, ma forse addirittura dai tempi di Gutenberg l’umanità non aveva conosciuto nulla di simile. La sparizione della carta come strumento di lettura (potenzialmente non solo dei giornali ma anche, grazie agli e-book, dei libri) traccerà un solco decisivo fra come siamo vissuti negli ultimi secoli, e come vivremo (e penseremo) fra poche decine di anni, e forse meno. E terribile scrivere questo proprio su un giornale, ed un giornale nella cui tipografia, una quarantina di anni fa, passai migliaia di ore a sorvegliare un tipografo che sotto i miei occhi allineava, con mani prensili righe e righe di piombo, di spazi e di “filetti”, per costruire una pagina. Quello creato dalle Linothypes è un mondo non solo totalmente scomparso ma incomprensibile per i giornalisti più giovani.
Sarà così anche per i giornali stampati? Non oso pensarci.


NOTA ULTERIORE PER IL BLOG

Per motivi di spazio (con la redazione del “Corriere Mercantile” abbiamo convenuto che la mia rubrica misuri 2200 battute) e forse anche per mia colpevole distrazione, nel testo  ho tralasciato una importante precisazione. E cioè che la vera debolezza del New York Times – ed è quella che terrorizza i giornalisti - è rappresentata dal fatto che i vari siti web utilizzano, ovviamente senza pagare, le notizie che i redattori del quotidiano si sono procurate faticosamente in cambio di un salario. Nel documentario se ne dà una prova visibile mostrando un fac-simile di pagina tutto colmo, in un dato giorno, di notizie ad una colonna con il loro titolino, e ritagliando tutte le notizie successivamente apparse nei web: la pagina era completamente costellata di fori. Ne vien fuori un immagine di giornalismo tutto centrato sulla notizia in sé (di cronaca interna, di cronaca politica, di spettacoli, di notiziario internazionale e bellico, eccetera) il che dà un’ idea inesatta delle varie possibilità concesse ad un grande quotidiano. Ed in particolare di quelle che si articolano in un numero del New York Times, costituito di fatto da quinterni ognuno dedicato ad un singolo argomento, dalla cronaca nera a quella teatrale e cinematografica, e, naturalmente, ad un numero molto alto di recensioni di spettacoli e di libri, oltre che di rubriche singole e personalizzate, spesso famose nella grande tradizione del giornalismo anglosassone giunta ormai anche  in Italia (chi è stato a New York sa che la domenica il quotidiano era talmente corposo e constava di un tal numero di pagine che all’edicola veniva consegnato avvolto con il fil di ferro: almeno è quello che succedeva ai miei tempi).

A DOMANDA RISPONDE

Faccio qui riferimento ai post giunti dopo le pubblicazioni nel Blog di due testi in data 15/10/12.
Ringrazio prima di tutto Rosellina Mariani la quale scrive con una tale continuità che ne fa una sorta di coautrice onoraria di "Clandestino in Galleria". In particolare vorrei che lei spiegasse a me, ed anche agli altri lettori, come faccia Bebe Vio, ragazza 15 enne campionessa di scherma che Rosellina ha intervistato per "Uno Mattina", ad esercitare appunto il suo sport, visto che, a causa di una malattia di cui ha sofferto a partire dai cinque anni, è rimasta priva di gambe e di braccia. E' una domanda che può apparire crudele, ma che mi sembra inevitabile.
Ringrazio in blocco, non solo, e ancora, Rosellina per gli auguri di compleanno ma anche Giulio Fedeli, Rita M. e PuroNanoVergine, per motivi vari. In particolare quest'ultimo ha scoperto che sono coetaneo di sua madre (non ha idea di quante persone, invecchiando, si scopre di essere coetanei: siamo più numerosi di quanto sembri) e mi ha messo anche al corrente di un suo scontro finito in parità con un gatto.
Per quel che riguarda le mie presentazioni per Class Tv ho scoperto che sono state viste da un numero insospettabilmente alto di persone. Fra l'altro una vecchia lezione che avevo imparato ai miei tempi alla Rai è che le apparizioni televisive sono colte da persone diversissime tra loro e, spesso, assolutamente insospettabili. Voglio dire che non di rado lo spettatore non rientra per nulla nell'idea base che uno si fa su una certa audience. Faccio per dire: una puntata sulla confezione dei salami è ricordata da molti professori universitari di greco. In compenso una trasmissione su Tucidide colpisce molti garagisti. C'è qualcosa di misterioso nel meccanismo televisivo che l'attuale ricchezza di reti e programmi rende ancor più misterioso di prima. Il giovane regista di Class Tv che ha curato le riprese mi ha spiegato che, secondo lui, considerata l'attuale varietà di scelte possibili e la diffusa frenesia dello "zapping", è sconsigliabile nelle presentazioni durare  più di tre minuti (ai miei tempi sapevo di poter arrivare tranquillamente ai cinque o sei minuti) ed è utile variare di continuo inquadrature e campo per impedire che il mitico spettatore medio preso di mira possa annoiarsi e cambiare fulmineamente canale. A questo proposito sono curioso di conoscere l'opinione dei lettori.

15 ottobre 2012

L'OSSERVATORE GENOVESE

VISTO CON IL MONOCOLO

Dal 9 settembre ho iniziato una mia rubrica settimanale nel numero domenicale del "Corriere Mercantile". Il "Corriere Mercantile" è uno dei più antichi quotidiani d'Italia, fondato nel 1824, ed io vi lavorai per più di venti anni. E' li che sono diventato professionista e che ho acceso un legame con i compagni di lavoro e con i lettori che non si è mai interrotto, nonostante le vicissitudini del giornale e le mie. Poichè questa antica testata, che da diversi anni è diventata un quotidiano del mattino e che è valorosamente tenuta in piedi da una valorosa redazione decisa a resistere al massimo alla crisi che ha compiuto tutto i giornali di carta a beneficio della crescente stampa solo o anche in internet, mi è parso giusto, da vecchio redattore, dare una mano ai colleghi nel limite del possibile. Ho quindi proposto e ottenuto l'idea di un piccolo "Carnet" di osservazioni varie, che diverta me e (spero) non dia troppo fastidio ai lettori. Il "Mercantile" non credo arrivi in tutta la Liguria. A Genova è distribuito insieme a "La Stampa", facendo quel che in gergo si chiama il "il panino". Ma in molte parti della Liguria, dove ovviamente "La Stampa" arriva il "Mercantile" forse non giunge. Per soddisfare parecchie richieste che ho avuto, ed in particolare quella del mio amico Giorgio Baudone di Castelnuovo Magra, ho deciso di pubblicare nel Blog tutte le puntate settimanali sino ad ora uscite. Via via che le prossime saranno pubblicate le recupererò ad uso dei lettori del Blog. Le pubblico qui di seguito e mi auguro che possano interessare a qualcuno. Mi farà piacere ricevere eventuali complimenti e stroncature. Ma soprattutto i primi.

9/09/12
PARALIMPIADI AFFETTO O CINISMO
Confesso di dettare queste righe con una certa agitazione, se non addirittura con una sorta di commozione. Riprendere a scrivere con una certa regolarità in quello che è stato per 20 anni il mio giornale e nel quale ho pubblicato centinaia, se non forse migliaia, di articoli significa fare un immenso balzo all’indietro verso gli anni trascorsi nella vecchia redazione di Via De Amicis e tanti amici e colleghi in gran parte ormai scomparsi. Mi auguro che le parole che allineerò qui d’ora in avanti siano degne di quel passato e non indegne della mia commozione.

In questi ultimi giorni, vampirizzato come molti dalla televisione, è stato per me difficile liberarmi dalla fascinazione, ora generosa ora cinica, che emanava dai 5 canali di Sky dedicati alle Paraolimpiadi. Ho visto cose e persone di cui non sospettavo l’esistenza praticare sport in qualche modo noti (non tutti) ma spesso sottilmente modificati da un rosso filo di sofferenza. Nuotatori atletici che filavano velocissimi in piscina e che poi scoprivamo essere privi di un braccio e magari di entrambe le gambe. Nuotatori ciechi che si tuffavano con folle coraggio nell’acqua. Donne e uomini combattivi in carrozzella che si affrontavano secondo le regole del basket, senza tuttavia potere innalzare il tronco per potere imprimere forza e direzione al pallone. Altre ancora che giocavano al volley ma da seduti, trascinandosi sul terreno con una disperata decisione. Per non parlare di quelli che, anch’ essi privi della vista, con gli occhi coperti da una sorta di celata bianca, si disputavano con i piedi, nel silenzio più totale, un pallone di cui essi potevano udire il trillo. E via via tanti altri esempi di decine di sport diversi praticati con una devozione totale da persone che palesemente ritrovavano in essi una ragione non solo di speranza ma anche di vita. E tutto questo di fronte ad un’immensa platea britannica: plaudendo essa gremiva gli stati e i luoghi deputati  con la stessa rispettosa devozione con cui pochi giorni prima aveva assistito alle Olimpiadi vere.
Mentre cercavo di capire le regole diverse ma uguali, continuavo a chiedermi: lo stiamo vedendo con affetto reale o con cinismo nascosto? Siamo veramente partecipi o, al tempo stesso, non alimentiamo in noi anche una sorta di inevitabile compiacimento fatto in misura eguale di pietà e di istinto “voyeuristico”?
Non so se qualcuno ha una risposta. Io no.

16/09/12
HO FATTO UN PATTO CON IL GATTO
Ammetto di aver fatto una scoperta. Ho scoperto un gatto. Un gatto di nobile famiglia perché appartiene ad una razza raffinata. Si chiama infatti “Gatto sacro di Birmania” ed è stato, a quanto ho capito, “progettato” per tenere compagnia ai monaci buddisti, all’interno di una civiltà che dei monaci faceva i figli prediletti dell’umanità e dei loro superiori i padri dei figli prediletti. Il gatto si chiama Tiff e lo abbiamo ospitato per conto di amici in viaggio. In questi giorni Tiff mi ha insegnato che cosa significa una razza animale costruita per convivere alla pari con l’essere umano. Vuole sempre essere in compagnia di uno di noi e ci guarda ostentatamente in volto con due occhi estremamente azzurri. Non solo perché è ancora cucciolo e vuole sempre giocare, ma, ancor più e soprattutto perché vuole condividere la nostra esistenza. Su un piano di totale eguaglianza. Vuole annusare tutto e, possibilmente, decidere su tutto. Se ci si alza di notte, Tiff, che spesso veglia al buio per felina eredità, balza subito sul tavolo più vicino perché vuole essere accarezzato. Del resto, quando non si occupa di faccende personali, si lava minuziosamente il fluido pelo bianco oppure dorme nelle posizioni più incredibili (sembra non temere il vuoto sicché spesso la testa gli pende come se gli avessero sparato) l’idea che egli si fa dell’esistenza ci riguarda in modo totale. 
Tiff mi ha fatto completamente cambiare le idee a proposito dei gatti. Se starà ancora molto fra noi comincerò a miagolare.

23/09/12
LEGGIAMO UN SOLO LIBRO CHE SI CHIAMA COMPUTER
Su “Sette” ho letto una lunga intervista di Edoardo Vigna con Ken Follett. Confesso di non amare molto Follett a cui ho sempre preferito il suo concorrente Frederick Forsyth, che seguo fedelmente sin dai tempi del geniale “Il giorno dello sciacallo” del 1971. Francamente non mi sembra che fra i due si possano fare paragoni anche se Follett è ormai un collaudato autore di “Best Sellers” con più di 100 milioni di copie vendute. L’intervista è anche una lezione pratica di come si pianifica, si amministra e si reinveste il successo librario. Vi si apprende anche che Follett è di fatto a capo di una piccola ditta con 12 dipendenti incaricati di amministrare i suoi interessi. Ma nell’intervista non è quel che mi ha colpito. Se mai un piccolo brano in cui Follett svela alcuni segreti di scrittura: “In ognuna delle mie case- dice - c’è una stanza-biblioteca. E’ li che scrivo. Amo essere circondato dai libri. Ovviamente c’è l’Encyclopædia Britannica: la consultavo sempre per i miei libri, almeno una volta al giorno oggi quasi non l’apro più. E’ così semplice “googlare!”. Come si scrive Kruscev? Vado su internet, lo scopro e via…Ma adoro la sensazione di stare in un luogo pieno di libri. Mi metto una felpa e scrivo.” Quella di Follett mi sembra una confessione rivelatrice della terribile mutazione che è accaduta in tutti noi da quando abbiamo imparato ad usare il computer. Senza essere uno scrittore famoso mi accorgo che le mie reazioni sono esattamente le stesse. Anch’io, ad esempio, consultavo regolarmente l’Encyclopædia Britannica e il Dizionario Enciclopedico Utet, oltre a moltissimi libri e riviste. Adesso non mi alzo neppure, passo su Google e batto la domanda. Dopo pochi secondi ottengo infinite risposte, non so quanto vere e spesso non so da parte di chi. Ma ad esse mi attengo, protagonista e vittima di una rivoluzione senza pari da quando è apparsa la scrittura a stampa. Inventato da militari il computer ha completamente mutato la vita dei civili. Sopravviveremo?

30/09/12
IL PRINCIPE ENIGMATICO E L'ESPRESSO PER PECHINO
Mi sono imposto di vedere una puntata di “Pechino Express” in onda su Rai Due il giovedì alle 21:05. Il mio amico Aldo Grasso con mio stupore ne ha scritto favorevolmente nella sua rubrica sul “Corriere della Sera” del 22 settembre. Si tratta di “un format utilizzato con successo in diversi paesi del mondo; Magnolia gli ha costruito intorno una produzione di eccellenza: dieci coppie di concorrenti, vip e persone comuni abbinate secondo diverse logiche, devono compiere un tragitto di 10.000 Km da Haridwar in India fino alla capitale cinese potendo contare esclusivamente su un budget di 2 euro al giorno”. In realtà i venti protagonisti rompono sistematicamente le scatole alle pazienti popolazioni indiane, chiedendo informazioni e ospitalità gratuita in quella sorta di faticosissimo “pidgin english” che ormai è la lingua straniera degli italiani. Ma quel che mi interessava capire era il motivo della presenza in qualità di “conduttore” di Emanuele Filiberto “ci devant” di Savoia. Come Aldo Grasso anch’io non l’ho capito. Ma ancora una volta ho provato una profonda tristezza. Che cosa l’ha spinto barattare un vago ma rispettabile compito di pretendente al trono con una serie di faticosissime esibizioni parlate e canore in televisione? Che specie di educazione e di cultura ha ricevuto nella sua infanzia, nella sua adolescenza e nella sua giovinezza ginevrine? Ormai ha quasi 40 anni, due figlie e, se non sono male informato, è guarito da un tumore al naso, ma la sua funzione nel piccolo schermo più si moltiplica più resta misteriosa. Pensare che sua nonna era la forse frivola ma certo intelligente Maria Josè e, soprattutto, che suo bisnonno era Vittorio Emanuele III, personaggio di ruvido carattere e per molti versi discutibile (anno per anno lasciò che il fascismo rosicchiasse quello Statuto che era la massima eredità del bisnonno Carlo Alberto e firmò poi una dichiarazione di guerra a cui era assolutamente contrario). Era forse poco simpatico ma certo dotato di una cultura storica e politica non comune e di una gelida lucidità di giudizio, anche se smentita dal suo comportamento. Perché il suo pronipote è così ovvio, banale, immotivato? Nessun “reality” me lo spiegherà mai.

07/10/12
SALVATE IL SOLDATO ZDENEK ZEMAN
Non so perché ho sempre finito col seguire il cammino di quell’ essere fondamentalmente misterioso che si chiama Zdenĕk Zeman.  Nipote di un calciatore cecoslovacco (Juventus e Palermo, dove si fermò a vivere) Cestmir Vycpàlek, detto “Cesto”, venuto in Italia nel 1946 insieme ad un altro ceco, Korostelev. Zeman (nato a Praga il 12 Maggio 1947, figlio di un primario ospedaliero) nel 1968 venne a trovare lo zio. Proprio allora esplose in Cecoslovacchia la sfortunata “Primavera di Praga”. Si fermò a Palermo, si laureò all’ISEF con una tesa sulla medicina dello sport, sposò una siciliana e ne ebbe due figli. Cominciò a fare l’allenatore in squadre dilettantistiche, poi via via  salì sino alla A, iniziando un vorticoso cammino quasi sempre nell’Italia del Sud. Allenò a Foggia (due volte; la seconda dal 1989 al 1994 lo rese famoso), Parma, Messina, Roma (con Lazio e Roma), Istanbul, Lecce, Brescia, Belgrado eccetera. Predicando ovunque un calcio offensivo e ossessivo, retto da una furiosa preparazione fisica e da una maniacale conquista degli spazi. Si mutò in una sorta di cupo profeta divoratore di sigarette, che spesso contestava struttura e squadra di calcio e rispondeva, in un Italiano lessicalmente e sintatticamente impeccabile ma dal cupo accento, con frasi brevi e taglienti a chi gli poneva lunghe domande. Alternando successi clamorosi a insuccessi evidenti si è mutato in una sorta di paradossale contraltare di quella bizzarra notazione romanzesca che è stata nella letteratura boema il buon soldato Sc’vèik (inventato nel 1912 da Jaroslav Hašek) che, sempre sorridente, dichiarandosi “un idiota notorio”, finì, a guerra iniziata nel 1914, con lo sferrare un colpo rabbioso contro l’Impero Austro Ungarico e le sue istituzioni. Anche Zeman, a modo suo, è sempre in guerra. Contro le istituzioni e contro una sorta di bicipite monarchia incarnata dalla Juventus, alternando i disastri in cui Sc’vèik eccelleva a improvvise resurrezioni subito smentite (splendido campionato con promozione a Pescara, e, ancora una volta, subitanee cadute come la sua Roma attuale).
Sono sempre più curioso di sapere come andrà a finire la personale prima guerra mondiale del cattivo soldato Zeman.

14/10/12
TUTTI I NOBILI SONO EGUALI MA ALCUNI SONO PIU’ EGUALI DEGLI ALTRI
Una volta Renzo Arbore insistette per farmi visitare la sua grande casa romana. Mi colpirono molto le migliaia e migliaia di oggetti strampalati, spesso replicati in serie amplissime. Oggettini assurdi e sovente incongrui. Invento, tanto per spiegarmi: piccolissimi violoncelli in celluloide e decine di altri soggetti del genere, scrupolosamente collocati, magari in due o trecento esemplari, in giro per l’ampio appartamento. “Ma che cosa sono?” chiesi a Renzo. “Str…ate. Io le colleziono e le compro in tutti i paesi del mondo”.
Mi sono detto. Se lui le colleziona sistematicamente, una potrò scriverla anche io ogni tanto. Perché Cordero di Montezemolo è indicato a volte con il nome intero, a volte con il solo predicato (che è appunto Montezemolo, come lo era Cavour per la famiglia Benso) mentre l’attuale Ministro degli Esteri Terzi è indicato solo con il cognome, appunto Terzi, omettendo sempre il predicato, che è Sant’Agata? Per quel che riguarda appunto i cognomi nobiliari bisogna tener presente l’articolo  XIV delle disposizioni finali e transitorie della Costituzione italiana. Esso recita: “ I titoli nobiliari non sono riconosciuti. I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome. (…omissis). La legge regola la soppressione della Consulta araldica.” Ora mi risulta che Terzi possiede i titoli (teorici) di Marchese, Conte, Barone, Cavaliere del Sacro Romano Impero e Signore di Sant’Agata (quest’ultimo è un titolo feudale riservato solo al primogenito). Vedo che sui giornali, così come alla Rai ed a Mediaset, egli, sia per iscritto che a voce, figura sempre solo come Terzi e mai come Sant’Agata. Perché? In base alla costituzione il predicato (di Sant’Agata) vale dunque come parte del nome, e non può essere abolito od omesso. Salvo che i nostri organi di informazione si siano attribuiti illegalmente i compiti che un tempo spettavano alla Consulta Araldica ed abbiano accertato che egli non è il primogenito, non v’è dubbio che egli debba essere citato come “Terzi di Sant’Agata” o “Sant’Agata”. E’ una decisione tecnicamente misteriosa che penso non sarà mai chiarita, anche quando sarà stata dimenticata (forse) la presidenza Monti.





A DOMANDA RISPONDE

Rispondo qui ai Post inviati dopo il precedente "A DOMANDA RISPONDE":

1) Rassicuro Rosellina: mi occuperò ancora di Sturges ma fra qualche tempo e compatibilmente con i DVD disponibili.

2) Ringrazio PuroNanoVergine per i suoi riferimenti al ciclo di film da me presentati a Class TV. I primi due sono già andati in onda. Degli altri otto fornisco qui di seguito il calendario, precisando che la presentazione sarà ogni venerdì entro e forse anche un po' prima le ore 21. Class TV è rintracciabile al canale numero 27 del digitale terrestre. Ecco l'elenco, meno i primi due già trasmessi (preciso che si tratta del testo inviato dall'ufficio stampa di Class TV)

Tempesta su Washington 19/10
DrammaticoDi O. Preminger. Con Henry Fonda, Walter Pidgeon. 1962.
Quando il presidente degli Stati Uniti sceglie un Segretario di Stato impopolare, si scatena nel Senato un'accesa lotta politica senza esclusione di colpi. 

Friday night lights 26/10
DrammaticoDi Peter Berg. Con Billy Bob Thornton, Lucas Black. 2004. Un coraggioso gruppo di amici, i Permian High Panthers, riescono a diventare la squadra di football americano di maggior successo nella storia del Texas. 

Le Ceneri di Angela 02/11
DrammaticoDi Alan Parker. Con Emily Watson, Robert Carlyle. 1999. La storia di una famiglia narrata da uno dei protagonisti, un viaggio attraverso l'Irlanda degli anni '30. La miseria e la povertà visti con lo spirito di un bimbo, senza ipocrisie o false verità. 

Ti ricordi di Dolly Bell?  09/11
CommediaDi E. Kusturica. Con Ljliana Blagojevic, Mira Banjac, Slavko Stimac, Zoran Simjanovic. 1981.
 Ambientato a Sarajevo nei primi anni '60, e' la storia dell'educazione sentimentale del sedicenne Ziolja e del suo rapporto con il padre che, morendo, lascia in eredita' la sua ingenua fede nel marxismo. 

The border – Frontiera  16/11
DrammaticoDi Tony Richardson. Con Jack Nicholson, Harvey Keitel. 1982. Confine tra USA e Messico, teatro di emigrazione clandestina. Un poliziotto prende a cuore il caso di una giovane con bambino. 

Cotton club   23/11
DrammaticoDi Francis Ford Coppola. Con Gregory Hines, Richard Gere, Diane Lane, Nicolas Cage. 1984. Saga sull'America gangsteristica attraverso la storia di un famoso cabaret di Harlem tra il 1928 e il 1935. 

Esther Kahn 30/11
DrammaticoDi Arnaud Desplechin. Con Summer Phoenix, Ian Holm, Fabrice Desplechin. 2000. Esther e' una ragazza ebrea che i genitori vogliono indirizzare, come il resto della famiglia, ad una vita nel mondo degli affari. Ma il suo destino la spinge verso il teatro. 

Colpo di spugna  07/12
DrammaticoDi Bertrand Tavernier. Con Isabelle Huppert, Philippe Noiret. 1981.Lucien Cordier e' un isolato poliziotto, responsabile dell'ordine pubblico a Bourkassa Ourbangui, uno sperduto borgo ai margini di una Colonia francese dell'Africa Orientale, alla vigilia del secondo conflitto mondiale. Indolente e vigliacco, non reagisce alle gratuite soperchierie di chi infesta il borgo.
3) Rosellina Mariani: grazie ancora, conto sulla sua fedeltà!

4) Che io sappia non esistono registrazioni, a parte quelle via via trasmesse da Class TV. Mi 
raccomando in Claudio Fava metta la G. Altrimenti sarò confuso con il "porta-parola" di Vendola.

5) Risposta a Gianni Dello Iacovo. Mi ricordo di aver scritto di recente qualcosa su Coluche, di cui a suo tempo alla Rai l'unico suo film drammatico, rimasto inedito in Italia, e che io, dall'originale "Tchao  Pantin", battezzai "Ciao Amico". C'era in Coluche (nome d'arte di Colucci, oriundo italiano) un aggressivo intento dissacrante che lo rese per anni un idolo di milioni di spettatori francesi. Il primo Grillo-quello del cabaret e poi della televisione; l'apporto al cinema fu secondario- rivelava più un intento di festose ed ironica divagazione. Il più recente Grillo "politico" si è caricato di una parte della stessa rabbiosa ironia deprecatoria che fu di Coluche. La differenza fra i due è che l'uno è parigino e l'altro è genovese, con scansioni beffarde a volte simili ma mai uguali. 
 

3 ottobre 2012

A DOMANDA RISPONDE


Alcune precisazioni riguardo ai post legati a  “I Dimenticati”.

A Rear Window, che possiede già i Dvd “Lady Eva” ed i “Dimenticati” consiglierei di ricercare i Dvd (mi auguro che esistano) degli altri film di Preston Sturges che vanno dal 1940 almeno sino al 1947 (“Un colpo di fortuna”, “Il grande McGinty”, “Ritrovarsi”, “Evviva il nostro eroe”, “Il miracolo del villaggio” e, nonostante le contraddittorie caratteristiche, anche “Meglio un mercoledì da leoni”). E’ assolutamente raccomandabile anche “Infedelmente tua” del 1948 ma sono riuscito a trovare un Dvd solo in inglese, facendolo arrivare dall’ America.
A Rita M., che ringrazio per il suo intervento, confermo che ho intenzione di fare ancora qualcosa su Preston Sturges. Il suo suggerimento di occuparmi di “Ho sposato una strega” mi ha anche fatto venir voglia di occuparmi dei film girati in America da famosi registi francesi durante il periodo di Vichy.
Anche a Rosellina Mariani, che ringrazio come sempre, confermo che ho intenzione di parlare almeno ancora una volta di Preston Sturges.
Al Principe Myskin i miei ringraziamenti, ovviamente nobiliari.

1 ottobre 2012

PRECISAZIONI SUI "LETTORI FISSI" DEL BLOG, E IN CODA, UN ELENCO DI DOPPIATORI CHE RIGUARDA "I DIMENTICATI"

1) Lorenzo Doretti mi ha inviato una e-mail che risponde alle curiosità dei fedeli del Blog che sono (o non sono) classificati come lettori fissi. Ecco qui di seguito il testo integrale di Doretti:


"Le spiego brevemente come mai alcuni lettori del nostro blog sono classificati in automatico come "lettori fissi".
 Si tratta di persone che avendo un proprio blog o un sito web hanno deciso di aggiungere il blog "Clandestinoingalleria" al  proprio  "Elenco di Letture"; questo viene fatto operando dal proprio Blog. Gli utenti che hanno effettuato tale scelta vengono classificati e riconosciuti dal nostro blog come "lettori fissi". 
 Chi non possiede Blogs o siti web seppur visitando il Blog con assiduità come Rosellina non viene riconosciuta dal Blog come lettore abituale.
 Tuttavia inserendo nel nostro Blog, cosa che ho fatto venerdì scorso, un pulsante "Unisciti a questo sito" è possibile diventare comunque lettori fissi. 
Per fare ciò bisogna avere un account  (o crearne uno nuovo)  di Google, di Twitter oppure di Yahoo. In questo modo per divenire lettori fissi non serve possedere un Blog o un sito web.
 Il vantaggio del lettore fisso consiste nell'essere automaticamente "informato" quando viene inserito un nuovo post e chi possiede un blog o è iscritto ad esempio a Twitter vedrà pubblicato il post in automatico sulla propria "bacheca". L'elenco dei lettori fissi, visibile a tutti (ora che ho inserito il pulsante), crea una sorta di comunità virtuale tra i lettori che potranno eventualmente entrare in contatto tra di loro.
Molti utenti tuttavia non amano essere visibili né tantomeno creare nuovi "account"  o diventare parte di comunità varie.
Spero di essere stato abbastanza chiaro.. sono ovviamente a disposizione per ulteriori informazioni.
Lorenzo"

2) Debbo alla cortesia di Enrico Lancia una ulteriore precisazione su "I Dimenticati" di Preston Sturges. Egli mi invia l'elenco dei doppiatori (fra cui alcuni grandi nomi d'epoca) che sono:

 Joel McCrea – Giulio Panicali / Veronica Lake – Rosetta Calavetta / Robert Warwick - Giorgio Capecchi / Porter Hall - Amilcare Pettinelli  /  William Demarest - Corrado Racca / Margaret Hayes – Adriana De Roberto / Eric Blore – Stefano Sibaldi / Robert Grieg – Olinto Cristina / Esther Howard – Tina Lattanzi / Jan Nuckingham – Dhia Cristiani / Al Bridge – Mario Ferrari / Frank Moran – Cesare Polacco / Byron Foulger – Vinicio Sofia / Franklin Pangborn – Carlo Romano / Arthur Hoyl – Mario Besesti