Blog - Crediti


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28 aprile 2010

Risposta parziale (per il resto non so cosa dire) al Principe Myskin. Non mi sembrava di avere menzionato nel Blog il mio incontro "notturno" con il signore che era stato ufficiale d'ordinanza di Umberto II. Ma il fatto è vero. Mi capito nel vagone ristorante di un treno Roma-Torino di cui mi avvalsi per andare a Genova. Il mio interlocutore era un anziano distintissimo con cui parlai a lungo, di fatto senza vederlo, perché la luce elettrica stava progressivamente scomparendo nel vagone. Fra l'altro mi disse, appunto, di essere stato testimone del fallito tentativo di quello che allora si chiamava il Principe di Piemonte, di salire su un piccolo aereo per essere paracadutato frai partigiani del Nord Italia. Arrivarono degli ufficiali americani, lo costrinsero a scendere dalla carlinga e il Principe, passandogli vicino, disse: "Questa è la fine di Casa Savoia". Ripeto, il ricordo è esatto ma il testo da me scritto non mi risulta sia stato mai pubblicato sul Blog. Ma lei dove lo ha letto? (in ogni caso si trattava di un ex ufficiale non dei Corazzieri ma dei Granatieri, cioè i Granatieri di Sardegna, che esistono tutt'ora e che richiedono come limite minimo di statura un metro e ottanta). I Corazzieri sono un reparto specializzato dei Carabinieri che costituiscono la Guardia del Presidente della Repubblica (un tempo del re), ed hanno come limite minimo di statura un metro e novanta centimetri.
Claudio G. FAVA

Chi non legge in compagnia o è un ladro o è una spia



Vorrei precisare che questo libro me lo sono comprato (costa per l’esattezza € 16,90 ed è edito da Vallardi, nome antico del mondo dei libri stampati, ora assorbito dal gruppo Mauri Spagnol). Mi par giusto precisarlo perché in genere i libri che si recensiscono si ricevono omaggio. Pertanto qui non c’è nessun legame “obbligato”. L’ho fatto perché il tema delle spie mi interessa fin da bambino, e anche perché da anni conosco l’autore, Andrea Carlo Cappi; l’ho incontrato diverse volte al “Noir in Festival” di Courmayeur, ed è un cultore professionale di giallo e di nero sin dall’adolescenza. Il suo libro intende porsi come una sorta di grande riassunto ad uso di un lettore interessato ma non specializzato. Ci si imbatte in una breve introduzione intitolata “Le spie non sono dei gentiluomini”, che è un rinvio alla famosa battuta di Henry L. Stimson, Segretario di Stato dal 1929 al 1933: “Un gentiluomo non legge le lettere altrui”. Come è noto la conseguenza di questa frase ingenua ed idiota fu tragica: venne abolito il servizio specializzato che cercava, fra l’altro, di decrittare il codice segreto giapponese, operazione rivelatasi drammatica al tempo di Pearl Harbour.
Il libro si articola, dopo una breve digressione storica, in una puntuale serie di capitoli a loro volta composti da capitoletti minori, spesso intesi a evocare singoli episodi o singoli personaggi. Si comincia con “Occhio dell’Aurora”, centrato sulla mitica Mata Hari, via via si esaurisce il tema della Prima Guerra Mondiale e, dopo le digressioni su Mademoiselle Docteur e su Lawrence d’Arabia, si passa a trattare il tema dello spionaggio tra le due guerre con molti temi diversi, fra cui un personaggio di cui non sapevo nulla, l’italiano, nato all’Aquila, Amleto Vespa, naturalizzato cinese e divenuto una spia famosa col nome di Comandante Feng. In questo stesso capitolo, ovviamente, si ricostruisce il caso estremamente complesso dei “Cinque di Cambridge” (Philby, Burgess, MacLean, Blunt e Cairncross) che nascosti nel cuore distratto e snob dello spionaggio inglese resero per anni servizi preziosi all’intelligence sovietica. Naturalmente Cappi fa anche a tempo a rievocare la figura romanzesca di Sidney Reilly, spia inglese annidata nelle pieghe più segrete della Ghepeu.
Abbrevio, per non annoiare il lettore e per non esagerare con le citazioni. Via via Cappi ricostruisce l’immenso capitolo degli avvenimenti spionistici durante la Seconda Guerra Mondiale: si và da “Enigma”, la famosa macchina tedesca per cifrare i messaggi, all’“Orchestra Rossa”, ad un’altra celebre spia sovietica, il tedesco Richard Sorge, all’“affare Cicero”, che sembra totalmente inverosimile ed invece è tutto costellato di fatti autentici, alle prime esperienze dal vero dell’aspirante spia Ian Fleming, ad un’altra figura romanzesca, quella del capo dell’Abwehr, Ammiraglio Canaris. In un’enorme riserva di fatti veri che comprendono ogni possibile variazione storica. Ad esempio, ovviamente per motivi di spazio, non mi pare di avere trovato tracce (salvo una saltuaria citazione del B.C.R.A.) di quella straordinaria costruzione che fu lo spionaggio gollista dal 1940 alla fine della guerra, inizialmente tutto centrato su una sola persona, il Capitano André Dewavrin, detto “Il Colonnello Passy”, perché, ad un certo momento, tutti gli esponenti della resistenza gollista francese presero il nome di una fermata della metropolitana parigina…
Dopodiché si passa ai due capitoli finali, “La Guerra Fredda” e “Dopo la Guerra Fredda”, vale a dire quasi sessant’anni di una intricatissima serie di accadimenti che vanno dal “Progetto Manhattan” alla nascita della C.I.A., dalla cattura di Eichmann all’immenso deposito di vicende che ruotano intorno a decenni di guerra segreta nell’Europa e nel mondo. Dalle strutture “Stay Behind”, alle incursioni del Mossad, alla figura del capo dello spionaggio della Germania Est, “Misha” Wolf, trasfigurato con il nome di “Karl” nei romanzi di John Le Carré, per giungere poi fino ai giorni nostri…
Questo non è che un frettolosa ricapitolazione di tutto l’immenso materiale evocato e descritto da Cappi. Il quale naturalmente ha scelto quel che gli è parso più importante nell’immenso “magazzino” di clamorose e straordinarie vicende che costituiscono l’alternativa segreta ma palese alla storia ufficiale dell’Europa e del mondo. Certamente l’opera ha i suoi pregi e i suoi difetti come ogni ricostruzione del genere, ma rappresenta un utilissimo compendio di tutto ciò che l’appassionato conosce e che può interessare al lettore generico. La pubblicistica italiana, in genere, o è confinata nella spocchia universitaria dei testi e degli specialisti, o svapora nell’approssimata e superficiale varietà del disordinato giornalismo all’italiana. Ben vengano, quindi, libri come questo, in cui la consapevolezza dello specialista non schiaccia il desiderio di informazioni di un lettore “normale”.
Claudio G. FAVA

21 aprile 2010


Come specificato nel test qui riprodotto, il brano autobiografico di Carlo Fruttero pubblicato su "La Stampa" del 16 Aprile mi ha letteralmente entusiasmato. La rievocazione dello sconquasso morale creato nel Novembre del 1956 fra la maggioranza dei redattori della casa editrice di Giulio Einaudi, a causa dell'irruzione delle truppe sovietiche in Ungheria, è un pezzo da Antologia. Lo raccomando a tutti ed a giustificazione del mio entusiasmo riporto qui l'email che ho inviato a Fruttero, grazie alla cortesia della segreteria di redazione de "La Stampa". Non ho letto tutto quello che hanno pubblicato Fruttero e Lucentini, ma sono sempre stato un ammiratore di questa coppia curiosa, l'uno piemontese d.o.c., l'altro romano filtrato da una lunga esperienza parigina. Me li ricordo, ad esempio, quando diressero per molti anni "Urania", la collana di fantascienza di Mondadori che, come "Segretissimo" e più ampiamente ancora "I Gialli Mondadori", segnò un momento importante nella divulgazione editoriale dell'Italia del boom e del dopo-boom. Riporto qui il mio email. Fruttero, che non conosco di persona, non mi ha ovviamente risposto, ma la mia ammirazione rimane intatta.


Caro Fruttero,
non so se il brano pubblicato su “La Stampa” del 16 Aprile faccia parte di “Mutandine di chiffon” di cui lei parlava nella Rubrica di Fazio (purtroppo ho perso la parte iniziale). In ogni caso, volevo disturbarla per dirle quanto mi sia piaciuto e come mi sia divertito a leggerla l’elencazione dei suoi ricordi sulla casa Einaudi sinistrata dall’invasione sovietica dell’Ungheria. Ho tre anni meno di lei (sono del 1929) e quindi credo di comprendere gli umori e i soprassalti d’epoca. Se non lo scrivesse lei non riuscirei a credere alla reazione incredula, addolorata e scandalizzata dei suoi colleghi più ortodossi di fronte ad un avvenimento che, nonostante tutto, era implicito nel patrimonio genetico di un uomo che non molti anni prima aveva freddamente e cinicamente negoziato l’accordo Molotov-Ribbentrop, avendo d'altronde suo egoistico punto di vista molti e fondati motivi per farlo. Tutto il pezzo è irresistibile, sino alla conclusione con lei issato sulle mani da Bollati per raggiungere la finestra di Einaudi. L’evocazione del sinistro, in tutti i sensi, gergo d’epoca (“ferma presa di posizione”, “fiduciosa speranza”, “valori democratici”, “sangue innocente”, eccetera) da volgere in una lingua riottosa alla retorica italiana come è l’inglese, penso faccia parte di una ideale antologia delle retoriche del passato.
Mi auguro che la sua esistenza sia meno cupamente bergmaniana di quanto faccia supporre la fotografia scattata sulla spiaggia di Castiglione della Pescaia. Che in realtà sembra una piccola località vicina alle isole Fǽr Ǿer, somiglianza ribadita da quel nodoso bastone nordico che mi pare sia lo stesso che lei teneva sulle ginocchia durante la trasmissione televisiva. In ogni caso mi felicito e mi complimento. E la ringrazio per la lezione di lucidità e di ironia che ci impartisce a 83 anni. Ci arriverò nel 2012 e spero che la sua lezione mi valga da stimolo e da ammonimento.
Sono sempre stato immerso in un humus (tiepidamente) liberale. Il suo pezzo sull’Einaudi mi fa capire di non aver sbagliato tutto nella vita.
Mi creda suo con rispetto e, se mi consente, con affetto sincero.
Claudio G. FAVA
P.S.: La canzoncina “era nata a Novi, ma non era una novizia perché sotto ai Giovi aveva perso la malizia” mi era stata insegnata da mio padre. Poiché egli era figlio di un novese e parlava perfettamente l’ispido dialetto ligure-piemontese della cittadina, l’evocazione dei Giovi (ci passavamo in treno d’Estate per andare a Novi) rappresentava per me un profondo richiamo d’infanzia.

Promesse per il futuro

Ringrazio il mio corrispondente per la precisazione riguardante "The Hurt Locker". In effetti ero persuaso di avere inserito il pezzo corretto, dove averlo spedito a LE MANI, anche nel Blog.
Adesso Chiara provvede a inserirlo al posto di quello errato, ristabilendo così la mia famosa infallibilità.
Dico questo perché continuo a ricevere post che, se da me creduti, dovrebbero gettarmi in uno stato di folle arroganza. Cerco in ogni modo di riprendermi e di tornare a dimensioni umane.
Per quello che riguarda le richieste che mi sono rivolte prometto che farò nuove telefonate (avevo un accordo di massima con Minoli e poi non mi sono più fatto vivo io) e avevo pensato anche a Paolo Garimberti, attuale Presidente della RAI (io l'ho visto diventare giornalista professionista al "Corriere Mercantile") ma poi non l'ho più cercato. E avevo pensato anche a due coniugi facilmente raggiungibili, e cioè Carla Signoris e Maurizio Crozza. Sappiatemi dire quali sono le persone che vi sembrerebbero interessanti e vedremo se riuscirò a raggiungerle.
Per adesso null'altro di nuovo.
Saluti e benedizioni a tutti.
Claudio G. FAVA

7 aprile 2010

Risposte a tre corrispondenti

Colpevolmente tendo a trascurare il mio blog, un po’per naturale tendenza al disordine un po’ per una sorta di pigrizia intellettuale che mi induce a non insistere una volta affrontato un tema (appunto una volta sola). Ma d’ora in avanti prometto che me ne occuperò fruttuosamente. Prima di tutto risponderò ai commenti che mi giungono. Sono così pochi che mi fanno scappare la voglia, ma Lorenzo Doretti sostiene che quel che scrivo io è a un tale livello che la gente rimane imbarazzata: vorrei capire se mi prende in giro o no. Poi, prometto che farò altre telefonate, come richiesto, e organizzerò delle apparizioni in video. Intanto per qual che riguarda la posta che è giunta fino adesso (appunto tre contributi in tutto) informo l’anonimo che mi ha scritto contestando l’esattezza della mia traduzione dell’espressione americana “The Hurt Locker” che lo ringrazio. Ho controllato meglio il significato del modo di dire (ho trovato un testo che parla di “vernacular” militare, cioè di gergo delle forze armate) e sono riuscito a correggere in tempo sia il testo pubblicato nel Blog che, soprattutto, quello destinato al libro di imminente pubblicazione, ad opera de “Le Mani”. Infine, le affettuosissime parole di Katerina B. mi hanno quasi commosso e la ringrazio “from the bottom of my heart”. Accetterei volentieri un incarico all’UNESCO, perché potrei unire un buon stipendio alla mia pensione. Ma non mi sembra un’ipotesi realizzabile. Se possibile, sempre con la decisiva collaborazione di Doretti, vorrei fornire in video le risposte alle vostre missive. Ma è indispensabile che le missive arrivino!