Blog - Crediti


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21 luglio 2010


LA POSTA DI DOC HOLLIDAY A META' STRADA


Con le lettere pubblicate ieri siamo arrivati a 32 in tutto. Poichè in 13 anni Film DOC ha dato origine complessivamente a 67 puntate è chiaro che ne manchino ancora 35, che contiamo di pubblicare in due frammenti. Questo per non bloccare il Blog con brani troppo lunghi ed estesi, che potrebbero impazientire l'eventuale lettore non interessato al tema. Penso tuttavia che il riproporre nella sua complessità una rubrica che è autentica e che ormai ha 13 anni di vita, possa costituire non solo un elemento di curiosità ma anche una motivazione di fondo. Un blog è, nella sostanza, al tempo stesso un diario ed una forma in certo senso paralizzata di collaborazione giornalistica. In questa ottica la Posta di DOC Holliday rappresenta fuor di dubbio, pur nella sua modestia, un reperto ed una riprova: tutte le lettere sono autentiche e bisogna ricordare che Film DOC non è in vendita, ma viene distribuito alle casse dei cinema, sempre che le cassiere abbiano voglia di ricordarsene. Esiste una tale forma di indiretta fedeltà che alcuni lettori, se non trovano la rivista al cinema, passano in redazione (AGIS, Via di Santa Zita 1/1 sc. sin., 16129, Genova) a ritirarne una copia. E' una bella manifestazione di continuità, e perciò io devo esserne sempre degno.

(pubblichiamo qui la riproduzione della copertina di un numero recente di Film DOC. Cogliamo l'occasione per ricordare che il fondatore della rivista, Piero Pruzzo, ha ceduto l'incarico ad un altro caro amico Renato Venturelli, firma regolare del "Lavoro" e, fra l'altro, autore di un mirabile libro, "l'Età del Noir", edito da Einaudi, che se non fosse di un autore genovese, ma milanese o romano, verrebbe di continuo pubblicizzato dalla stampa italiana. Piero è il mio migliore amico, e le nostre carriere hanno marciato, secondo i tempi, di pari passo. Con Film DOC, a prezzo di un enorme sacrificio personale, ha dato vita a un piccolo capolavoro, che ha destato in Italia, nei critici di una certa generazione, grande affetto e il profondo rammarico per un tipo di rivista di cinema che non esiste più in natura.)

20 luglio 2010

LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (18)

Per molto tempo ho tenuto nel cassetto una lettera (firmata solo “Simona”; come è noto ormai ci chiamiamo tutti, come i calciatori brasiliani, con il solo nome proprio) che sapevo mi avrebbe obbligato a ricerche approfondite. Pertanto – un po’ per pigrizia conscia ed un po’ per inconscia voglia di rimandare – l’ho lasciata a lungo in attesa. Adesso ho deciso di rispondere, altrimenti finisco veramente fuori tempo massimo. Oppure do la sensazione di esercitare una censura parapolitica, cosa che non amo fare anche se il tema e l’implicito entusiasmo politico della missiva – ho tagliato per brevità la parte finale - mi lasciano perplesso. Riassumo. Simona mi dice di aver visto al Duse “Morte accidentale di un anarchico” con attori bravissimi (Eugenio Allegri nella parte del matto è stato grandioso). Si è anche ricordata del fatto che qualcuno mi parlò di un film sulla storia di Pinelli, interpretato da Gian Maria Volonté. Simona vorrebbe sapere come è intitolato quel film e se è reperibile in videocassetta (perché non penso di essere così fortunata da “incocciarlo” per caso in TV, a tarda notte ovviamente.) Mi chiede anche il nome del regista e (ultimo favore !) la filmografia di Gian Maria Volonté, del quale essa ha visto (“per caso” ovviamente, e a tarda notte!!) “Il caso Mattei”. (E’ proprio il caso di dire che il caso domina la vita di Simona, perfino nei titoli !).


Andiamo per ordine. Il film esiste ma è difficilissimo da individuare perché, mi pare di capire (è anche abbastanza ovvio) non è mai entrato in circuito. Perciò non è registrato nelle solite fonte dei ricercatori (Il Morandini, il Mereghetti, il Moscati, l’Internet Movie Data Base, ecc.) e quindi nelle filmografie varie dell’attore. Nel Web ho accoppiato tenacemente in vario modo i nomi di Pinelli e di Volonté. Ed alla fine sono riuscito a stabilire di che cosa si tratta. E’ un documentario realizzato nel 1970 e in realtà composto da due frammenti, l’uno diretto da Nelo Risi e l’altro da Elio Petri. Il titolo è “Dedicato a Pinelli” o anche “Documenti su Giuseppe Pinelli” (ma viene citato anche un terzo titolo: “Il filo della memoria: Giuseppe Pinelli”). La realizzazione è avvenuta, ovviamente, ad opera dell’”Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico”. Le fornisco anche i dati, così come li ho copiati dal computer: Via F.S. Provieri 14, 00152 Roma.Tel.06/589.66.98 ==589.65.08- fax: 58.33.13.65 –e.mail: aamod@tin.it ==sito: http://www.aamod.it/. Mi pare poco probabile che ne esista una cassetta o un DVD, ma non si può mai sapere. Il materiale riunito da Nelo Risi (è il fratello di Dino Risi; curiosamente entrambi, divenuti poi registi di cinema, inizialmente si sono laureati in medicina) ripercorre, attraverso le testimonianze della moglie Lucia e degli amici, il giorno della morte di Pinelli. Il secondo brano, firmato da Elio Petri ricostruisce le ipotesi formulate dalla polizia sulla morte dello stesso Pinelli. Fra gli attori che mettono in scena la vicenda appare anche Volonté. I due brani sono preceduti da una breve introduzione. La presenza di Nelo Risi è inattesa, poiché questi si è cimentato forse più come poeta che come regista, non ha le caratteristiche del regista militante ed in tutto ha diretto pochi lungometraggi, fra i quali ebbero successo di critica il primo, “Andremo in città” (1966) con Geraldine Chaplin, il secondo, “Diario di una schizofrenica” (1968) e, un po’ meno, il terzo, “Una stagione all’inferno” (1971). Al contrario Petri (nato nel 1929 e morto nel 1982) ha avuto una formazione strettamente comunista, ma, essendo intelligente e dotato di un naturale talento per la narrazione cinematografica, maturando riuscì spesso a fondere la sua passione di parte con una vistosa robustezza narrativa ed un senso grottesco ed avventuroso degli umani accadimenti. Gli ho parlato alcune volte alla Rai nell’ufficio di Paolo di Valmarana (democristiano di ferro che riceveva tutto il cinema italiano di sinistra) e me lo ricordo come un uomo simpatico e intelligente. Abbastanza autocritico per dirmi spontaneamente che quando era “vice” di cinema all’ ”Unità” e recensiva un film di John Ford era tenuto a definirlo “il fascista John Ford”. Forse eccessivamente elogiato all’epoca, ora Petri è ingiustamente dimenticato. Della quindicina di film che ha diretto in meno di trent’anni di carriera diversi titoli vanno ricordati con rispetto. L’esordio con ”L’assassino”(1961), poi “I giorni contati” (1962) con uno straordinario Salvo Randone, “La decima vittima (1965) con Mastroianni, fantascienza e fantapolitica insieme, “A ciascuno il suo” (1967), da Sciascia, uno dei primi film italiani sulla mafia, il notissimo, adorato dalla sinistra, “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (1970), il polemico “La classe operaia va in paradiso” (1972), sino a “Todo Modo” (1976) che all’epoca non mi piacque, sembrandomi eccessivamente caricaturale e rabbiosamente grottesco, ma che forse dovrei rivedere e rivalutare.Alcuni dei suoi film più noti hanno appunto Gian Maria Volontè (Milano, 9/4/33; Florina, Grecia, 6/12/94) come protagonista. Mi accorgo di non avere più lo spazio necessario per riportare la filmografia completa dell’ attore (quasi 60 titoli). Se non riesce a trovarla altrimenti (con il computer consulti il già citato e utilissimo http://www.imdb.com/) me lo faccia sapere e cercherò di darle una mano. Ricordo qui alcuni titoli in certo modo fondamentali in una carriera che fu fortunatissima per quel che riguarda il successo di critica, soprattutto all’estero. Quante volte mi son sentito dire da colleghi francesi “Il y a un acteur italien que j’aime beaucoup: il s’agit de Gian Maria Volonte ” e loro, che francesizzano tutto e che dicevano abitualmente Fellinì, Rossellinì, Viscontì con l’accento finale, facevamo uno sforzo terribile per pronunciarne il nome con l’accento sulla “o”, nonostante io mi affannassi a ricordare che si trattava di una parola francese, che in italiano si traduce letteralmente “volontà”. Attore febbrile, aggressivo, insieme trasognato e quasi allucinato, in me ha fatto sorgere in passato più di un dubbio, ma è sicuro che il suo talento era tempestoso e tanto inquietante quanto strabordante. Oltre che i film western italiani (“Per un pugno di dollari, “Per qualche dollaro in più”, “Quien sabe ?”) va soprattutto ricordato per molti titoli dove la sua recitazione ha avuto modo di espandersi con una sorta di fulminante minacciosità: “Il terrorista” (1963), “Svegliati e uccidi” (1966), “L’armata Brancaleone” (1966), “Banditi a Milano (1968),”I senza nome” (1970), “Sacco e Vanzetti” (1970), “Cristo si è fermato ad Eboli”, (idem) “Ogro” (1979. “Il caso Moro” (1986), oltre che alcuni dei film di Petri già ricordati.
(Film D.O.C., anno 12, n. 59, Set.-Ott. 2004)
LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (17)


A tutti. Mi si consenta una nota strettamente personale (anzi, proprio per restare in tema, “Strettamente confidenziale”). Il signor Folchieri, noto schedatore e raccoglitore di cinema che conosco soltanto al telefono, mi ha fatto pervenire la fotocopia di un frammento della pagina ove Giuseppe Marotta teneva la sua (allora) famosa rubrica di corrispondenza con i lettori. Contraddistinta appunto dal titolo che ho prima citato fra virgolette. La fotocopia è tratta dal numero 33 (anno VI) della (allora) notissima rivista “FILM - “sottotitolo: ”Settimanale di Cinematografo, Teatro e Radio” - del 14 agosto 1943. Nella rubrica Marotta risponde abbastanza a lungo (47 righe di tondo 6) al sottoscritto. Evidentemente gli avevo scritto una lettera in difesa di Giovanni Mosca, che allora i giovani ed in giovanissimi (non avevo ancora 14 anni) adoravano. E Marotta –che pubblicava le risposte ma non le domande, non so se per guadagnare spazio o per pigrizia, io non so se ne sarei capace – scrive che dovrà rassegnarsi o ad essere l’unico lettore di “Strettamente confidenziale” oppure dovrà ammettere che Mosca “ha inventato non soltanto l’umorismo moderno, ma anche la bussola, il grammofono e l’attaccabottoni”. Dopodiché si mette a parlare d’altro e apre una digressione piena di simpatia per Guareschi, godibile ma che non c’entrava niente con Mosca (anche se allora i due nomi, per via del “Bertoldo” andavano di pari passo e così dovevano fare anche nel dopoguerra, con “Candido”). Lo scrivo qui per far comprendere ai lettori di “Filmdoc” che la mia deve essere chiaramente una malattia infantile e che pertanto debbo essere scusato. Il brano fotocopiato mi ha fatto, perché negarlo, impressione Da quell’estate del 1943 sono passati 61 anni –siamo grosso modo a metà dei 45 giorni badogliani, fra il 25 luglio e l’8 settembre, due date decisive nella storia d’Italia recente, che hanno in certo senso cambiato la mia vita ed il mio modo di pensare - e in quel vertiginoso passato vedo aggirarsi un giovinetto quasi quattordicenne che si chiama non “guidogozzano” ma ”claudiogfava” e già allora immaginava di scrivere sui giornali usando l’iniziale del suo secondo nome per foggiarsi una firma da scrittore americano d’epoca. Confesso che della lettera (adesso mi è tornata in mente) mi ero completamente dimenticato. Vedermela di fronte, dopo tanti anni e dopo tutto quel che è successo da allora, mi ha fatto una impressione enorme. Soprattutto pensando alla fragilità dell’occasione. Chi si ricorda ai nostri giorni di Marotta e dello stesso Mosca, pur rilanciato nel dopoguerra per la polemica politica e monarchica senza confini? E fra sessantunanni – dico 61 per simmetria ma ne basteranno dieci – a maggior ragione chi si ricorderà di me? La fatale futilità dell’esistere e del morire, mi salta agli occhi. Meglio passare a qualche lettera non mia ma altrui:

Sono stata all’anteprima del film di Castellitto (“Non ti muovere”) e vorrei chiederle che cosa pensa delle scene di sesso che in codesto ma anche in altri film sembrano diventare obbligatorie e sempre più materialistiche tanto che si può chiedere dove intenda arrivare il cinema, a farsi scuola di pratiche sessuali o semplicemente di manuali per le giovani generazioni visto che i film ormai sono visibili a tutti. Io non rimpiango i tempi in cui i miei mi vietavano “Scandalo al sole” ma insomma c’è un limite a tutto. E i giornali che presentano film come questi in anteprima dovrebbero almeno avvisare i lettori, non le pare ?
Con molta stima, Iolanda BENSI


Quello che lei solleva è un problema grave, un problema, come si dice, di fondo. In effetti riguarda non solo il cinema ma tutte le manifestazioni pubbliche della nostra esistenza che hanno subìto cambiamenti impensabili, appunto 40/50 anni fa (“Scandalo al sole” è del 1959: è assolutamente impossibile restituire, ad uso delle generazioni più giovani di oggi , l’emozione che il film di Delmer Daves suscitò allora; nella stessa misura in cui solo i cinefili ricordano i nomi di molti interpreti: da Richard Egan a Sandra Dee, dall’eccellente Dorothy McGuire a Troy Donahue, da Arthur Kennedy a Constance Ford).
In effetti basta pensare alle sfilate di moda che trovano clamorosi spazi televisivi e che spesso sembrano esibire modelli di “Intimo”, mentre si tratta di abiti “esterni” e per tutti i giorni, per rendersi conto del totale cambiamento di comportamento e di convenzioni che reggono la vita di oggi rispetto a quella non dico di “Strettamente confidenziale” ma di quella di “Scandalo al sole” (lo cito ancora una volta perché lo ha citato lei). Per quel che riguarda le scene d’amore di cui moltissimi film contengono oggi esemplificazioni puntuali e (quasi) minuziose, va detto che il film di Castellitto – sulle tracce di un romanzo scritto, come lei sa, da sua moglie Margaret Mazzantini – le usa almeno con una certa logica narrativa. All’interno del dramma che il protagonista rivive quasi scongelando un momento maniacale della sua esistenza precedente. E comunque con logica narrativa maggiore di quanto non accade in molti film contemporanei ove la ginnastica amorosa – presa a prestito dal film porno senza tuttavia giungere alla conclusioni definitive – è spesso ancor più sfacciata ed immotivata in omaggio ad un rituale d’epoca. Che è ribadito dalla volgarità orripilante del linguaggio medio, che si ormai insinuato a testa alta nel cinema, in quello nostrano ed in quello doppiato, con la stessa aggressiva improntitudine plebea.Potrei continuare - eventualmente riprenderemo il discorso – ma non ho più spazio. Rimando al prossimo numero l’inattesa lettera “anarchica” di una lettrice che si firma, mi pare di capire, “Simona”. Ed un’altra lettera che contiene una commossa testimonianza di fedeltà ai grandi caratteristi italiani del passato (c’è molto di “retro” nella puntata di oggi...).
(Film D.O.C., anno 12, n. 58, Mag.-Ago. 2004)
LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (16)

Per il Mister Doc Holliday presso Film DOC. Lo conosce questo stadio, eh ! (il messaggio è scritto su una cartolina che mostra il Ferraris – n.d.r.). Mi dica allora, per piacere: ci sono dei film dove parla del Genoa ?
Grazie dal genoano Guido Rovetta!


Caro collega di ventura e di sventura, ho interrogato la mia memoria, ho fatto una ricerca (dopo aver interpellato, naturalmente, Piero Pruzzo, anch’egli rossoblù dalla nascita, e Marcello Zago, uno dei più grandi schedaristi di cinema d’Italia) ed ho poi controllato la “Film Guide 2004” della rivista “Time Out”, che una utilissima rubrica intitolata “General Subjects”. Francamente sul Genoa non ho trovato nulla, a parte il film “Figurine” di Giovanni Robbiano (su una sceneggiatura, di Robbiano, Luigi Cuciniello e Riccardo Ferrante, che nel 1997 aveva vinto un Premio Solinas). Il film, scritto da un gruppetto rossoblu - Robbiano una volta ha dichiarato: ”Nel corso della mia vita ho assistito a due crolli storici: quello del comunismo e quello del Genoa” – è ambientato a Genova nel 1969, anche se di fatto venne poi girato a Roma, ed evoca un tema che deve essere stato importante per chi era bambino negli anni ’70, e cioè quello delle figurine Panini. I piccoli protagonisti sono mossi dal disperato desiderio di trovare una figurina introvabile (un po’ come quella del Feroce Saladino di quando ero bambino io) ovvero quella del calciatore Reginaldo Bertazzoli, indispensabile per terminare la raccolta di un intero album. Naturalmente intorno ai bimbi si muovono anche figure e vicende di adulti, ma il calcio, ed in certo senso la città, sono sempre presenti nelle allusioni che un genovese coglie assai bene. Quando i piccoli, che abitano ad Albaro, vanno a cercare i santino dell’inafferrabile Bertazzoli in un posto per loro lontanissimo, e cioè Sampierdarena, in un giardino vengono addirittura assaliti e posti in fuga da un gruppo di ragazzi, il cui caporione ha in testa un berretto con i colori sampdoriani......
Abbastanza ricco è invece il catalogo dei film in cui il calcio entra, come elemento di base o come elemento di contorno (purtroppo del Genoa non si parla). Eccole qualche titolo, in un primo elenco in ordine alfabetico: “L’allenatore nel pallone” di Sergio Martino (1984); “Appuntamento a Liverpool” di Marco Tullio Giordana (1988; “L’arbitro” di Luigi Filippo D’Amico, (1974); il significativo “5 a zero”, con Angelo Musco, primo film sonoro italiano sul calcio, diretto nel 1932 da Mario Bonnard , ex-divo del cinema muto e poi, divenuto antiquario, grande amico di Sordi. Il Morandini ricorda che è anche il primo film di Osvaldo Valenti, nelle vesti di un centravanti, e che, ispirato alla vittoria non molto durevole della Roma sulla Juventus del 15 marzo 1931, allinea molti giocatori all’epoca famosi (Masetti, Ferraris IV, Bernardini, Volk, eccetera). Altri titoli:”La domenica della buona gente” di Anton Giulio Majano (1953); “2 maghi del pallone” di Mariano Laurenti (1970, con Franco & Ciccio); “Gli eroi della domenica di Mario Camerini (1953) con molti giocatori del Milan e con Raf Vallone protagonista, lui che era stato veramente un calciatore di serie A nel Torino, mezz’ala prima della coppia famosa Loich e Mazzola; “Fratelli d’Italia” di Neri Parenti (1989), tre episodi in uno dei quali il milanista Boldi è costretto a fingersi tifoso della Roma; l’inverosimile “Fuga per la vittoria“ di John Huston (1981) ove il grande regista si svela per un incompetente calcistico di prima forza pur riuscendo lo stesso ad utilizzare al meglio Pelè e Bobby Moore, Ardiles e Deyna senza contare Stallone, Max von Sydow e Michael Caine. Ancora: “Gambe d’oro” di Turi Vasile (1958), con Totò presidente e Mario Carotenuto allenatore del Cerignola; “Italia –Germania 4 a 3 di Andrea Barzini (1990), ove la celebre partita del 1970 in Messico diventa pretesto ma anche motivo di fondo per un’autoanalisi di generazione fra ex- sessantottini; “Il Presidente del Borgorosso Football Club” di Luigi Filippo D’Amico (1970), proprio con Sordi che ingaggia anche Sivori; “Prima del calcio di rigore” di Wim Wenders (1971), ove un portiere in crisi esistenziale diventa assassino; “7 volte 7” di Michele Lupo (1969), scorrevole film pseudo inglese dove un “rififi” ai danni della Zecca di Stato avviene quando tutti sono distratti da una partita di calcio; “Il tifoso, l’arbitro e il calciatore” di Pier Francesco Pingitore (1982); “L’ultimo minuto” di Pupi Avati (1987) con Ugo Tognazzi malinconico manager di una squadra di provincia; “Ultrà” di Ricky Tognazzi, ove il figlio di Ugo cerca di cogliere lucidamente, dall’interno, uno dei più spaventosi e incomprensibili corollari del calcio moderno;”11 uomini e un pallone” di Giorgio C. Simonelli (1948), da ricordare per il solo fatto che vi appaiono Campatelli, Parola, Amadei, Puricelli, Biavati, Costagliola e Remondini, nomi e volti che dicono molto ai vecchi appassionati di calcio; “L’inafferrabile 12” di Mario Mattoli (1950) con un doppio Walter Chiari scatenato, insieme ai giocatori juventini d’epoca, in una grande esibizione da portiere scimmiesco; “Grazie, amore mio” di Mario Camus (1968), ancora con Raf Vallone allenatore del Santander in Spagna. E poi, per finire “ a brettio”, come si dice in genovese, il documentario di Vincenzo Marra (2002) “Estranei alla massa”, “Sognando Beckham” di Gurinder Chada (2002). “Le ballon d’or”del guineano Cjeik Doukourè (1993), “Il sostituto” di Jean-Jacques Annaud(1978), “La coppa” dell’oriundo tibetano Khientse Norbu (1999); “Febbre da gioco” di David Evans (1996); “Fimpen il goleador” di Bo Widerberg (1973), l‘inedito in Italia “A mort l’arbitre” di Jean-Pierre Mocky (1984) ed almeno una quindicina di altri titoli, fra cui uno dei primi film di Abbas Kiarostami, “Mossafer” (1974), centrato su un ragazzino iraniano che vuole, disperatamente, andare a Teheran per vedere una partita di calcio(gli andrà male, poverino).
Come si vede i film non sono pochi. Eppure nessuno di loro, o quasi, riesce a cogliere la complicata magia collettiva ed individuale del gioco del calcio. Che non è fatto per il cinema, contrariamente ad altri sport, fra cui primeggia la boxe, che è servita al cinema e di cui il cinema si è servito per sequenze famose e film memorabili.
Speriamo che il primo film su calcio di cui ci ricorderemo sia dedicato al Genoa (non oso pensare che cosa potranno pensarne i lettori sampdoriani, d’altra fede, come dicono i giornalisti sportivi, o assolutamente indifferenti al calcio, e sono numerosissimi, Va detto che un “serial” tempestoso come quello genoano è raro, se non unico)......
(pubblicato il 28.1.2004)
LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (15)

Gentilissimo “Doc Holliday”, mi può spiegare cos’è il “Cheat”? Mi dicono che riguardi gli attori sul “set”, ma non ne sono sicuro. Mi può aiutare? Grazie.
Suo BARILE Adolfo


Amico benedetto, ma dove è andato a trovare la parola “cheat” ? Francamente non l’avevo mai né letta né ascoltata, e si che mi piace frugare con lo sguardo nei titoli di testa originali, sia al cinema e in TV – dove spesso vengono spenti anzitempo - sia in quelli che si trovano ormai, parola per parole, riportati da molte riviste specializzate. Dalla nostra più modesta ma benemerita “Film” (in italiano) alla fatidica testata inglese “Sight and Sound” (ovviamente in inglese), tanto per citarne solo due fra tante.
Confesso che avevo un tempo un ottimo dizionario tecnico cinematografico in più lingue, ma nella confusione febbrile della mia libreria non sono più riuscito a trovarlo. E come spessissimo mi accade ho fatto ricorso a quegli che è sempre stato, e ancor più lo è, da quando, e da diversi anni, sono tornato ad abitare a Genova, il mio personale mezzo di salvamento. E cioè Piero Pruzzo, che anche questa volta mi ha tirato dall’imbarazzo. Consultando il “Dizionario dei termini cinematografici” di Francesco Vedovati, edito nel 1994 dall’ ”Ente dello Spettacolo”. Il testo dice letteralmente: “CHEAT: cambiamento di posizione di un attore rispetto alla inquadratura precedente, per favorire il punto di vista della mdp (macchina da presa – n.d.r.) per la nuova inquadratura.” Va precisato che in inglese come verbo “cheat” significa: “Imbrogliare, ingannare, barare” e come sostantivo. “Imbroglione, baro, sfruttatore” . Pertanto il significato gergale è chiaro. Si tratta di un “imbroglietto” visuale per soddisfare le esigenze del direttore di fotografia e del cameraman, determinate da chissà quali motivi. Ad esempio la necessità di cogliere meglio il profilo “buono” dell’attore (moltissimi attori sono persuasi di un avere una parte “brutta” del volto ed un parte “bella” e spesso vogliono essere ripresi di profilo solo dalla parte bella). Oppure un problema di ombre, che si è verificato ed a cui si vuol portare correzione con una inquadratura modificata che magari diventerà decisiva al montaggio. Oppure, ancora, qualche altra possibilità che su due piedi non so immaginare ma che riguarda le infinite sottigliezze visuali, gli “accrocchi”, come si dice a Roma (noi diremmo, forse, i “tappulli”, anche se vi è differenza fra le due cose) indispensabili per girare un film. Necessità tiranniche che rendono, appunto, l’arte di realizzare un film un insieme apparentemente incoerente di astuzie manuali e di noie mentali, di vuoti silenziosi e di pieni urlati e urlanti, di interrogativi minuti ed angosciosi e di decisioni generali e fondamentali, che determinano poi, bizzarramente, la storia del cinema e gli umori degli spettatori. Basterà ricordare due classici del genere ( “8 e mezzo” di Fellini ed “Effetto notte” di Truffaut) per far mente locale sulla minuta e stravagante qualità dei problemi che pesano su una “troupe”: dalla scelta di un gatto abbastanza obbediente per andare a leccare il latte avanzato da una prima colazione galeotta a quella, decisiva, di che cosa mettere nella inquadratura vuota e di cosa far dire veramente ad un attore e di come far finire un film (una bella galoppata musicale collettiva...) quando non si sa nemmeno come farlo incominciare......
Torniamo a noi ed alle riflessioni stimolate dalla inattesa ma utile domanda del Signor Barile (eviterò giochi di parole annosi, tipo: “Per rispondere ho grattato il fondo del barile”, eccetera) per richiamare ancora una volta il problema dei gerghi tecnici del cinema (perché qui ci occupiamo di cinema, ma il discorso è valido per tutti i gerghi professionali). E cioè la sfumata valenza di certe parole. Ad esempio in francese “Regisseur” significa “Amministratore, intendente” ( ad esempio di una proprietà) ma al cinema, e solo al cinema, significa “Segretario di produzione”. Oppure “Ensemblier”, che viene da “ensemble”, cioè “insieme” (e quindi, letteralmente, “insiemista”) ma che, soprattutto al cinema, significa “arredatore” o ancor meglio “ambientatore”. E via variando.
Mi rendo conto che potrei continuare all’infinito, ma temo che diventerebbe un vizzo esercizio elzeviristico. Pertanto saluto tutti e vi raccomando di pormi sempre quesiti complicati come questo. Così sono obbligato a fare ricerche ed a studiare seriamente. Come è noto una studiosa gioventù prepara ad una saggia vecchiaia.
Speriamo bene.

(Pubblicato sul n° 56 Gennaio-Febbraio 2004 p. 19)
LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (14)

Gentile Claudio Fava,
ho seguito con piacere alla Televisione i suoi interventi. Qualche giorno fa ho avuto la sventura di vedere al cinema “Il ritorno di Cagliostro” e vorrei per questo chiedere come mai la critica italiana straveda per Ciprì e Maresco il cui film mi è parso francamente insostenibile.

Sara STELLA –Genova

Confesso che Ciprì e Maresco mi incutono una certa paura e che non sono andato a vedere il “Cagliostro” per molti motivi di varia natura. Di fronte alla loro opere precedenti si è tentati di dire a se stesso “allora non capisco proprio niente” (ammonimento che ognuno di noi, critico o non critico, si rivolge mille volte nel corso dell’esistenza, e non solo a proposito del cinema ma di tante cose, dalla letteratura alla politica alle decisioni dell’assemblea del condominio). Più largamente la domanda investe un problema di fondo (tagli, motivazione, attendibilità, giustificazione e vocazione della critica cinematografica) di cui avevo fatto cenno nella puntata scorsa e sul quale vorrei tornare il più presto possibile, con l’aiuto dei validi colleghi del Gruppo Ligure Critici Cinematografici.
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Sono un suo ammiratore e mi rivolgo a lei per sapere se Anouk Aimé è ancora viva e se si, come spero, perché non fa più film. Ringraziamenti e ossequi.
Suo Rodolfo BALESTRA –Genova Quinto
Confesso che sono sempre imbarazzato quando le lettere iniziano con delle lodi alla mia persona. Le devo cancellare? (chi si loda s’imbroda, eccetera). Se non le cancello che cosa penseranno gli altri lettori, di uno che tiene una rubrica di posta e la usa per pubblicare lodi a proprio favore. Ma se le cancello lo scrivente mi giudicherà ipocrita e si sentirà frustrato ? E via variando. Alla fine, siccome sono vanitoso, non cancello niente, soprattutto se le lettere sono brevi, ma mi sento anche fortemente in colpa, e così sono a posto con la coscienza.Passiamo ad Anouk Aimée. Per fortuna non è morta (almeno era viva sino a pochi mesi fa) e lotta insieme a noi. Occupiamoci seriamente di questa attrice eccellente ed estremamente personale (il suo volto svela un incomparabile tocco di passione e insieme di raffinato scetticismo) che ha avuto una carriera tanto lunga e ricca di titoli quanto diseguale. Ha ormai superato la settantina – è nata con il vero nome di Nicole Françoise Dreyfus, il 27 aprile del 1932 a Parigi, non so che cosa facesse suo padre, sua madre, Geneviève Sorya, era un’attrice – e, nel 1949, a soli 17 anni ed al suo secondo film era già una “vedette” grazie alla sua interpretazione ne “Gli amanti di Verona” di André Cayatte da una sceneggiatura di Jacques Prévert. Da quel momento, e per tutti gli anni ’50, una serie di film – Astruc, Becker, Franju, per citare solo qualcun dei suoi registi - la impongono come una immagine quasi trasfigurata, capace di amori fragili e tenaci. Nel 1960 con ”La dolce vita” Fellini ne ribadisce le qualità di recitazione nervosa, sensibile, aggressivamente frustrata, per recuperarla poi sottilmente nel 1963 in “Otto e mezzo”, dopo che Anouk era stata per sempre consacrata da Jacques Demy, ancora nel 1960, con “Lola, donna di vita” nella parte di una cantante di un piccolo locale di Nantes, occasionalmente anche prostituta, che essa disegna da pari sua (“indimenticabile“ la definisce il Morandini). Lavora molto in Italia con diseguali risultati: ricordiamo almeno “Il terrorista” di Gianfranco De Bosio (1963), “La fuga” di Paolo Spinola (1964), “Le stagioni del nostro amore” di Valerio Zurlini (1966). Proprio in quell’anno Claude Lelouch la riporta in Francia, la colloca a fianco di Jean-Louis Trintignant e la impone di nuovo al mondo in “Un uomo e una donna (”Oscar” per il miglior film in lingua straniera, Palma d’Oro a Cannes) con immagini amorose da altissimo fumetto che arrivano ovunque sulle ali di un azzeccato e ossessivo tema musicale di Francis Lai. Diva internazionale per la seconda (o terza) volta, Anouk non si muta ancora (e mai) in una vera diva internazionale ma continua una sua carriera diseguale, spesso di gran classe ma a volte distratta e quasi incerta. In più la scadenza dell’età, così feroce con le attrici e così indulgente con gli attori, la rende via via meno protagonista. Sino ad oggi ha lavorato complessivamente in più di 70 opere, fra cinematografiche e televisive, spesso, anche dopo “Un uomo, una donna” in produzioni di rilievo e con noti registi, fra cui André Delvaux, Bellocchio, Bertolucci, spesso Lelouch (compreso il seguito del suo film più famoso, e cioè “Un uomo, una donna oggi” ove ritrova, vent’anni dopo, lo stesso personaggio, Anne Gauhier), Robert Altman, George Cukor, Sidney Lumet ma altrettanto spesso in opere di minor risalto. Attivissima ancor oggi – già due film nel 2003, fra cui “La petite prairie aux bouleaux”, che non mi pare sia venuto in Italia - l’attrice può riguardare in fondo con orgoglio la sua carriera. Con orgoglio ma anche con rimpianto perché a noi ha comunicato la sensazione di aver valorizzato solo in parte la sua recitazione nervosa ed il suo volto nato per il cinema. La sua vita privata deve essere stata anch’essa tortuosa come la carriera. Secondo alcune fonti ha avuto ben cinque mariti, a testimonianza del fatto che la vita imita l’arte e che certi suoi personaggi affondano la radici in un convulso e intensi modo di vivere.
(sul n° 55 Novembre-Dicembre 2003 p. 19)
LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (13)

Innanzitutto una precisazione. Credo di aver commesso qualche pasticcio con le lettere. Se esiste qualcuno (o qualcuna) che ho menzionato in passato, promettendo risposte che non ho poi dato, sia gentile, mi scriva ripetendo il quesito. Altrimenti trascinerò sempre più avanti la mia colpa senza fondo. Veniamo rapidamente a due missive in sospeso, l’una più recente, l’altra meno. La prima, che abbrevio, eccola qui :

“...sono d’accordo con la signora che scrive di capire sempre meno nei film che si vedono oggigiorno. Io non so se lo facciano apposta ma a parte che tanti dialoghi non sono proprio chiari, anche proprio nella pronuncia, non capisco perché c’è bisogno di far scervellare tanto gli spettatori imbrogliando le carte (...) Ma i critici capiscono proprio tutto ? Dicano come fanno, dicano dove dobbiamo andare a imparare noi, poveri tapini. In attesa di risposta saluto rispettosamente “
SILVIA PALADINO, GENOVA

Spesso mi sono sentito fare domande eguali o simili. Che, tutte, hanno poi una stretta connessione con alcuni interrogativi fondamentali. A che cosa serve la critica ? Ha un senso la critica in generale e quella cinematografica in particolare? Forse più di altre forme d’ arte (la critica d’arte, la critica letteraria con tutte le sue innumerevoli articolazioni e specializzazioni, la critica musicale, eccetera) é quella che è (o forse era, o forse sembra soltanto essere) la forma di critica che ha più implicazioni popolari. Che quindi più di altre implica la necessità di farsi capire dai più e con la massima possibile chiarezza (francamente chi si si pone mai un problema di divulgata intelligibilità popolare per la critica d’ arte, che spesso è volutamente e minuziosamente incomprensibile e proprio da tale sua incomprensibilità trae fascino e autorità?). Alcune mie ideuzze che l’ho anch’io, ma prima di esporle, per quel poco che valgono, vorrei mutare questa domanda della signora Paladino in una domanda collettiva rivolta a tutti i collaboratori della rivista. Dal direttore Piero Pruzzo - al quale si deve se Film D.O.C non è un generico bollettino informativo sui programmi dei cinematografi, ma una vera, e autentica, rivista di cinema - ad Aldo Viganò, a tutti gli altri amici e colleghi del Gruppo Critici (da Mauro Manciotti a Massimo Marchelli, da Renato Venturelli a Natalino Bruzzone, via via invitandoli poi uno per uno) e più largamente ai collaboratori, ed ancor più alle collaboratrici della pubblicazione, che sono combattive e competenti. Perché esercitarla? E in che modo esercitarla ? Molti spettatori hanno spesso la sensazione di non capire il perché di certi giudizi (positivi o negativi, poco importa). E’ oscurità nostra o pigrizia altrui? O qualche altra cosa? E’ da molti anni prima di Ricciotto Canudo (“Le Barisien”) che si agita il problema. Vi prego, colleghe e colleghi (“Cheres confreres”, “Cari confratelli”, come si dice in francese) rispondetemi, e risponderete così anche alla signora Paladino.
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Caro D.O.C. Holliday, a me piace sempre andare a cinema, però.. però.. mi trovo un po’ a disagio nello scegliere in mezzo a tutti questi titoli di film in inglese. Mi creda non sono il solo, noto anche fra i giovani che al momento di prendere il biglietto e la cassiera chiede che film vogliono vedere loro sono incerti sul titolo da dire, perché ovviamente è in originale e non lo ricordano, e se la cavano dicendo: “è quello con..”. e dicono il nome del protagonista. Questa scena si ripete un po’ in tutti i cinema. Secondo lei perché i Distributori non traducono più i titoli dei film in italiano ? Una volta, molti anni fa, dal titolo del film in italiano si capiva subito il genere a cui apparteneva: Avventuroso, Bellico, Biografico, Brillante, Cappa e Spada, Comico, Commedia, Commedia sofisticata, Documentario, Drammatico, Fantascienza., Giallo, Melodramma, Musicale, Neorealista, Noir, Operistico, Operettistico, Romantico, Spionaggio, Sportivo, Storico, Western. Da notare nel corso degli anni quanti generi di film non troviamo più sugli schermi. Al giorno d’oggi, in certi film c’è anche una commistione di vari generi in prevalenza Drammatico–Fanta - Horrror- Violenza. Noi anziani abbiamo ragione o no di essere disorientati ?
Grazie per la risposta.
MARIO DI NERVI
Giustamente Mario di Nervi mi ringrazia per la risposta, sapendo che essa, fuori di dubbio, ci sarà. In effetti una puntata de “La posta di Doc Holliday” senza una domanda del nostro caro interlocutore nerviese, mi sembrerebbe incompleta e non conclusa. E questa domanda, in particolare, mi pare giustissima e motivatissima. Perché i titoli in inglese ? Credo che ciò sia dovuto ad un insieme di motivi, tutti sbagliati ma tutti, a modo loro, persuasivi. La goffa e ingenua persuasione che l’inglese, lingua dominante, debba essere comunque usata nelle manifestazioni riguardanti le masse o comunque in buona parte di esse. La tendenza al monolinguismo unificante tipica della pubblicità e di tante manifestazioni parlate e scritte della vita collettiva in Italia come in altre nazioni (pensi all’uso indiscriminato dell’inglese nei nomi delle società, degli uffici, dei servizi, spesso ad opera di persone che l’inglese lo conoscono poco ma che ritengono di buon gusto far credere di conoscerlo bene, come accadeva con il francese nella Russia degli Zar). La fretta semplificatrice e il gusto della moda (pensi alla pubblicità “No Martini, no party”). La debolezza culturale di una materia che da sempre è competenza dei direttori commerciali della società di distribuzione, i quali son tutto fuorché dei filologi; e ancora molti altri motivi., Tuttavia non credo che si possa tessere un elogio indiscriminato dei titoli di un tempo, per fascinosi che essi risuonino nella nostra memoria Pensi per un attimo ad un titolo come “I 400 colpi” (in francese fare “I 400 colpi” vuol dire “farne di cotte e di crude” ma in italiano ?).E’ un argomento divertente, credo che ci tornerò sopra alla prossima puntata. Molti cari saluti a tutti.
(Pubblicato su n° 54 Settembre Ottobre 2003 p. 21)
LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (12)

Come va ? Prima di rispondere alle lettere ancora inevase (come si diceva quando le fughe dalle carceri erano più rare) vorrei dire rapidamente due cose.
Innanzitutto un grazie caloroso alle amiche ed agli amici che ogni primo lunedì del mese vengono a rinserrarsi nella stanzetta della Società di Storia Patria, al pianterreno del Palazzo Ducale (gentilmente concessa del professor Puncuh) per assistere alla discussione dei film del mese organizzata dalla Stanza del Cinema. Quando tre anni fa Arnaldo Bagnasco mi offerse di aprire, così come esisteva la Stanza della Poesia, una Stanza del Cinema, io girai l’offerta ai colleghi del Gruppo Ligure Critici Cinematografici e tutti insieme decidemmo di affrontare l’avventura. Sicuramente non sapevamo se la cosa avrebbe interessato qualcuno e se avrebbe avuto fortuna. In certo senso ci bastò la prima puntata – con la gente in piedi che affollava la saletta – per capire che avevamo puntato su una carta vincente e che tutto dipendeva da un interrogativo: saremmo riusciti a mantenere l’impegno? Stiamo arrivando alla conclusione del terzo anno, vediamo che la gente non ci ha abbandonato e che dal canto nostro noi riusciamo, grazie al sacrificio di molti di noi, a tener fede al compito. Forse dovremo rinnovarci, forse dovremo cambiare qualche cosa ma comunque val la pena di dire (sottovoce, per amor di Dio) che in questa città dove è così difficile inventare qualcosa di nuovo che rischi anche di essere duraturo, abbiamo portato una piccolissima tessera ad un disegno comune spesso oscuro e non di rado lacerato e dimenticato.
La seconda cosa è che il Genova Film Festival intende, nell’edizione di quest’anno (30 giugno-6 luglio), dedicarmi un omaggio quotidiano. A scrivermelo così da solo sembro matto (forse lo sono ?) ma mi auguro che la cosa non mi faccia perdere la testa e mi consenta invece di ritrovare tanti amici e di ripercorrere tanti passi di un cammino ormai lungo, troppo lungo……
Ed ora ecco le missive “inevase”:


La prima è vecchissima e lo dico consapevole delle mie colpe:
Siano suoi estimatori. Che cosa ne pensa dell’ultimo “Guerre stellari”? Grazie. Silvia Jomini (?) e amici. Genova.

Potreste farmi osservare che se aspettavo ancora un po’ avremmo potuto parlare della quinta o della sesta puntata della saga. Vorrei solo osservare che mi sento a disagio ad occuparmi di George Lucas. Lo abbiamo visto esordire, giovinetto o poco più, e adesso è un 59enne barbuto che sembra quasi un vecchietto come noi e che continua, (dall’alto dei miliardi, è vero) ad inseguire i suoi sogni d’adolescente, fra fumetti spaziali e non spaziali. A questo punto non ho più voglia di stare al gioco.
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La signora Assunta Boido (ho letto giusto ??) mi aveva inviato un ritaglio del “Corriere della Sera” nel quale un lettore romano, Mario De’Scalzi Da Pozzo, si lamentava dalla capricciosità dei critici.
“ E’ possibile – diceva il lettore romano –che quello che i critici giudicano positivamente sia immancabilmente un mattone ? Una volta la sigla segnalato dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici era una sorta di marchio di garanzia. Ora è diventato un simbolo di bufala sicura. Non sarà il momento di una sana autocritica?” E dal canto suo la signora Assunta aggiunge: “..io sono abbastanza d’accordo. Ho visto “Femme fatale” e non ci ho capito niente: o sono diventata scema o i registi non fanno che prenderci in giro.. Ma anche i critici, perché mi hanno detto che all’incontro del lunedì (la signora accenna ad una ormai lontana “Stanza del Cinema” in cui mi ricordo benissimo si parlò del film ed un collega lo elogiò) ne è stato detto benissimo. E lei cosa dice ?”

Io dico che troppo tempo è passato per ritornare sui singoli film. Quel che invece mi pare importante è l’interrogativo generale sulla validità della critica (in genere, non solo per quel che riguarda il cinema) che le due lettere pongono, ed anche sul rapporto non di rado difficile che il cinema stabilisce con i suoi spettatori. Il discorso dovrebbe essere preso molto alla lontana, al di là della disponibilità di spazio della rubrica. Credo tuttavia che qualche cosa vada ricordata. Una certa disparità di reazioni fra la critica ed il pubblico c’è sempre stata. Fatalmente chi vede film per passione divenuta mestiere (o per mestiere divenuto passione, vai a sapere) consciamente o inconsciamente cerca di disegnarsi con occhi e interessi diversi rispetto allo spettatore medio che il critico trova intorno al se. Il critico vede molti più film, ed è quindi portato ad un complicato gioco di raffronti, mentre i suoi interlocutori spesso tendono a costruire alcune reazioni base (giustissime, badi: mi piace, non mi piace, che poi è quel che conta) e su queste a regolarsi. Infine non sottovaluti lo snobismo, implicito o esplicito: la mia funzione è quella di giudicare, quindi di essere al di sopra delle passioni del volgo, io penso all’eternità, o comunque ad un vasto periodo, il mio respiro è ampio come l’ansito dell’Oceano mentre quello dello spettatore medio è corto e breve, come quello del Mediterraneo, sono uno specialista e quindi conosco tante cose (tecniche, storiche, psicologiche, culturali, eccetera) che forzatamente sfuggono allo spettatore medio…solo i miei pari mi possono giudicare, e neppure tutti (non parliamo di Tizio, Caio e Sempronio, che sono asini calzati e vestiti, e in più son anche antipatici…..). E’ un dibattito vecchio come il mondo, mai risolto nella storia, prendiamone atto. Ed alla prossima volta la lettera della signora Pozza, che, anch’essa, si lamenta della difficoltà di capire il cinema di oggi…
(Pubblicato sul n° 53 Maggio-Agosto 2003 p. 19)
LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (11)

Ho ricevuto a casa ( e non via Agis) una lettera stranissima che trascrivo nella sua interezza ed a cui rispondo senza aver capito bene se è stata scritta per scherzo o seriamente ma soprattutto perché è stata scritta :

Sono un ex studente di cinema e televisione (studiavo alla S.C.T.N.).Ero presente al Festival di Vicenza. La leggo sull”Illustrato” della Regione Liguria che riceve un mio collega di Levanto. Mi è stato riferito di un’ aggressione da Lei subita nottetempo a Vicenza, insieme al signor Folco Quilici e ad un alto dirigente RAI, da parte di un energumeno che voleva colpire il signor Quilici come responsabile dei pessimi film selezionati per il Festival e il dirigente RAI per i pessimi programmi di RAI SAT.
E Lei, l’aggressore di quale peccato l’accusava? Le sarei grato se potesse farmi avere delucidazioni sulla Rivista dove Lei scrive, ed è professionalmente obbligato a non mentire. Grazie e cordialità, il suo da sempre lettore e spettatore.
ADRIANO RENZETTI, Località Vigne Nuove, Furbara, Roma.


Lì per lì ho pensato appunto ad uno scherzo (per più di un motivo, a cominciar dal nome Furbara, che invece esiste veramente ed indica un paesino vicino a Cerveteri). Non so cosa sia “L’illustrato” della Regione Liguria - forse “Film D.O.C.”, che però ha un nome facilmente individuabile - ignoro cosa significhino le sigle S.C.T.N., cerco professionalmente, senza essere obbligato, di non mentire scrivendo. Quel che posso fare è confermare che una sera a Vicenza, dopo mezzanotte (ero membro della Giuria di Videopolis) ritornando in albergo insieme ad un altro giurato, Franco Scaglia, vicepresidente di Raisat, a sua madre ed a Quilici, che della Giuria era presidente, venimmo avvicinati in modo minaccioso da un omone totalmente ebbro che diceva di essere appena uscito di prigione e di esigeva 10 euro per una pizza (non so se il prezzo fosse equo, ma sembra proprio che con l’arrivo dell’euro tutto sia rincarato). La cosa rimase famosa tra noi perché Scaglia che stava parlando al cellulare (parlava sempre al cellulare) si limitò a respingere l’ubriaco con la mano sinistra continuando con l’altra ad impugnare il telefonino. La cosa durò alcuni minuti, io tenevo che finisse male (l’individuo era sempre più arrabbiato) mentre invece ad un certo punto, scoraggiato dalla aperta indifferenza di Scaglia – che deve essere coraggioso e distratto in eguale misura – si è accanito su di me, ed io, perché avevo vicino la signora Scaglia ma anche perché un po’ di paura la provavo veramente, ho finito col dargli i dieci euro, mentre Scaglia proseguiva il suo monologo telefonico e Folco, abituato ai pericoli dei 7 mari , mi camminava a fianco tranquillissimo e divertito dal coraggio distratto di Scaglia. Tutto qui, nessun attacco per motivi professionali (il Presidente della Giuria in ogni caso non sceglie lui i film concorrenti e onestamente credo che molti dei programmi di Raisat – film “classici” sottotitolati, fiction e varietà d’acquisto siano fra quelli più interessanti trasmessi dalla Rai nel suo complesso. E basta con Vicenza, spero.
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Da tempo ho preannunciato una risposta alla signora GIUSEPPINA MANCUSO che mi ha inviato in lettura (in CD Rom) un suo romanzo di avventure fantascientifiche intitolato “Intrighi stellari”. Diciamo che la signora dimostra una certa inventiva all’interno di un complicatissimo meccanismo che, fra viaggi spaziali, ribellioni di lontane colonie galattiche e germi mortali coltivati dalle Forze Armate, riecheggia molti degli stilemi della “Science Fiction” anni ’50. Quella che, appunto mezzo secolo fa, fummo in tanti a seguire e ad amare grazie alle puntate periodiche di “Urania”, ricche di classici d’epoca. Diciamo che mezzo secolo è trascorso e che forse un minimo di cambiamenti sarebbe necessario.

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NICOLA MONTALDO di Genova_Sestri mi inviò gli auguri (grazie con ritardo) e mi chiese chi fosse il doppiatore di Richard Gere. Rispondo dopo aver consultato Tiziana Boarino di “Voci nell’ombra” che ha appena scritto un articolo sull’argomento. E in internet i web dei due attori. Diciamo che due voci hanno doppiato buon a parte dei film di Gere da un po’ di anni a questa parte. E cioè il mio amico Michele Gammino nel film forse più noto di tutti, “Pretty Woman” (1990) e poi in “Analisi finale” (1992),”Mr. Jones” (1993), “Il primo cavaliere” (1995), eccetera. E infine l’altra voce in cui riconosciamo Gere, ovvero un altro ottimo doppiatore, Mario Cordova che lo ha doppiato in “Affari sporchi” (1990) e poi nei film più recenti: “Sommersby” (1993), “Schegge di paura” (1996), “The Jackal” (1997), “L’angolo rosso” (1998), “Autumn in New York” (2000), il recentissimo “Amore infedele –Unfaithful”.
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Anche MARIO di NERVI, ormai un vecchio amico di questa rubrica, mi ha mandato gli auguri (che ricambio di cuore, anche se con apparente ritardo, ma non siamo un quotidiano !) e m io chiede due cose. Da un larto se io abbia “mai pensato di pubblicare in volume le recensioni cinematografiche apparse nel CORRIERE MERCANTILE negli anni ’60 e ’70 (…) sarebbe una occasione per far conoscere ai cinefili di adesso tale ghiotto materiale coin i voti che corredavano ogni film”. D’altro canto Mario ha rilevato che “CIAK”, “FILM TV” e “SEGNO CINEMA” pubblicano tabelline con i voti dati dai singoli critici e non si spiega l’estremo divario che a volte si verifica (Uno dà al film il punteggio massimo e l’altro il punteggio minimo). Infine Mario ci fa i complimenti che io giro a tutti i membri del Gruppo Ligure Critici Cinematografici, per la tabelline che ogni primo lunedì del mese la “Gazzetta del lunedì” pubblica con grande risalto tipografico in occasione dell’ ormai abituale appuntamento della “Stanza del Cinema” a Palazzo Ducale.
Rispondo brevemente: per quel che riguarda le recensioni da ripubblicare ci sto pensando seriamente da qualche tempo, ormai in preda a sconfinata vanità senile. Chiossà se ci riuscirò ? Va detto che più di vent’anni fa il mio caro amico Manlio Fantini fece uscire a Genova un libro intitolato “Le camere di Lafayette” in cui pubblicai materiale. Riguardante soprattutto il cinema francese e quello americano, apparso sopprautto su riviste. Vedrò quel che posso fare.
Per quel che riguarda le diparità di opinione fra critici, va detto che esse rispecchiano le profonde disparità, spesso gli insormontabili punti di vista contrastanti, che esisno fra di loro così come fra tanti esseri umani in fatti di mille argometi diversi, dallo sport alla politica.
Guai se non ci fossero.

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Mi accorgo che, come al solito, ho bruciato tutto lo spazio e non ho risposto a tutti (adesso le lettere arrivano !!). Rimando alla prossima puntata ASSUNTA BOIDO, che tira in ballo le differenze di opinioni dei critici e ricorda che di “Femme fatale” è stato parlato bene alla Stanza del Cinema, LUCIANA POZZO che si lamenta della scarsa comprensibilità di molti film odierni e SILVIO JOMIERI (???) che, poverino, è quello che aspetta da più tempo (colpa mia) e chiede una opinione su “Guerre stellari”. Calma e gesso, l’ora si avvicina.
(Pubblicato sul n° 52 Marzo-Aprile 2003 p. 18)
LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (10)

Gentile Doc, beato lei che ha fatto “Beautiful” a Portofino? Ha visto anche Ridge ? Può dirmi qualcosa ? E il film “Signs” lo ha visto? Cosa ne pensa ? Grazie.
Sua ammiratrice ROSANNA SECCHI –GENOVA

Guardi, le cose sono andate così. Le fornisco qualche precisazione perché ho l’impressione che molti dei lettori abituali di “Film DOC” non seguano particolarmente il mondo delle soap. Qualche tempo fa il collega Mauro Boccaccio, in previsione della progettata (e poi effettuata) spedizione dell’équipe di “Beautiful” a Portofino, mi ha fatto un’intervista per “La Stampa” richiedendomi le inevitabili precisazioni sull’acquisto del programma ad opera di Raidue. Precisazioni che sono ormai abituato a fornire (a richiesta, badi, io cerco di parlarne il meno possibile) da almeno una dozzina d’anni. Nella mia qualità di capostruttura della Rete avevo, fra l’altro, la responsabilità non solo della programmazione –e quindi dell’acquisto - dei film, ma anche quella dei telefilm, TVFilm, sceneggiati non di produzione, e via svariando. Per colmare il “buco” delle ore 14 (circa) su Raidue che contava poche centinaia di migliaia di spettatori, con l’allora direttore di Rete, Pio De Berti Gambini (un amico, morto oramai da anni) decidemmo di provare a tastare il polso al mercato americano delle “soap-operas” che negli Stati Uniti vantavano milioni di spettatori (in prevalenza di condizione sociale e di cultura modesta, spesso immigranti “latinos”). Facemmo acquistare l’unica “soap” ancora negoziabile, “Capitol”, che alla Rai funzionò benissimo. Creandosi in poco tempo un pubblico di milioni di spettatori, probabilmente intrigati anche dalla collocazione “politica” della vicenda, assolutamente inusuale in un programma del genere (fu, immagino, una delle ragioni che causarono la fine di “Capitol” negli Stati Uniti, perché il programma era disceso al di sotto dei “ratings”, come impone di dire il gergo televisivo, i quali garantiscono un minimo redditizio di pubblicità). Il successo fu tale che io comprai, al buio, una seconda soap ancor prima che la producessero (si chiamava “Loving”, noi la battezzammo “Quando si ama”) sicché quando venne la notizia che “Capitol“ era stata abolita alla fonte e che di lì a poco avrebbero chiuso baracca e burattini - non è un modo di dire, il produttore, John Cowboy, licenziò tutto il suo personale e non so che cosa di mise a fare lui stesso - il pubblico rimase malissimo come se la colpa fosse la nostra. Quel che è sicuro è che gli sceneggiatori per vendicarsi, allestirono una puntata finale assolutamente incomprensibile, cosicché io fui costretto a girare un programma per spiegare quel che era successo, e dovetti anche replicarlo: la gente non ci credette lo stesso, persuasa, che fossero state la pigrizia e la malavoglia della RAI a fare saltare “Capitol” (24 anni d’azienda mi hanno insegnato che, si operi bene o male, lì per lì la colpa è sempre della RAI; poi, col passare del tempo, il pubblico ragiona). Insomma l’urgenza di sostituire “Capitol” aumentava ogni giorno (nel palinsesto si sarebbe spalancato un buco quotidiano di più di 40 minuti in una zona di primo pomeriggio che con le soap aveva almeno decuplicato il numero degli spettatori). Sicché al primo MIP di Cannes - è forse il più importante mercato cinetelevisivo d’Europa, ed ha luogo, nel palazzo del Festival, poche settimane prima del Festival stesso – quando mi venne sottoposto un “pilota” appena uscito che si svolgeva, prevalentemente nel mondo della moda e dove imperava la mascella volitiva di Ridge, non ebbi esitazioni. Telefonai a Roma – allora, se ricordo bene il direttore di Raidue era Gigi Locatelli, e quel che mandava avanti la baracca era il vicedirettore Agostino Saccà, oggi, mentre scrivo, direttore generale della Rai (alla prese ogni giorno con diecimila terribili problemi: non lo invidio) – e chiesi un impegno immediato d’acquisto, cosa non facile alla Rai, che nel fondo è un ministero, ma non impossibile quando c’è la buona volontà. Così bloccai al volo il programma, lo feci doppiare con calma e lo lanciai d’estate quando non si lanciano i nuovi programmi che in genere vengono tenuti per l’autunno. Nella collocazione di “Capitol” funzionò in modo clamoroso sin dalle prime puntate e finì per stabilizzarsi sui 5 milioni di spettatori. Cifra fisiologica. La Rai lo perdette, me lo ha confermato di recente al Festival di Torino Giampaolo Sodano succeduto a Locatelli come direttore di Raidue, quando Mediaset si rivolse direttamente ai produttori, la famiglia Bell, offrendo il triplo di quel che pagavamo noi ai distributori ormai “scaduti”. La Rai, essendo appunto un ministero, non ebbe probabilmente la capacità di reagire subito, in presenza di una normale trattativa d’affari, e di rilanciare come a poker, e perse così un programma che ora sfiora i 6 milioni di spettatori. Cifra enorme, se rapportata all’ora di ascolto. Che poi, in senso assoluto, sia un bene o un male, dipende da quel che si chiede ad una Televisione pubblica come la Rai. A noi veniva chiesto soltanto ed unicamente di agire in base all’Auditel. I risultati, alla lunga si vedono.
Veniamo, finalmente, a Portofino. In seguito alla intervista di Boccaccio sono stato invitato da Teresa Piu ad assistere a Portofino alle riprese in esterno di un episodio di “Beautiful” ed accettai. Una macchina venne a prendermi alle 7,15 a casa. Rimasi sino alle 11 nella hall dell’Hotel Splendid di Portofino a leggere i giornali, per esser poi fatto salire su un barcone dove aveva preso posto una fittizia Giuria incaricata di giudicare una sfilata di moda. A questo punto le cose hanno preso il ritmo di tanti interminabili esterni del cinema (qui, abituati come sono i realizzatori di “Beautiful” agli interni tipici delle “soap”, probabilmente i tempi si sono ancora più allungati). Salvo una interruzione per un pranzo goliardico al “Pitosforo” –ove salutai di persona un membro della famiglia Bell, da lontano Ridge che non credo mi abbia riconosciuto al contrario di un altro attore, Eric, il quale si ricordava di me a Venezia ed a Los Angeles –sono sempre stato al fianco di Silvana Jacobini direttore di “Chi” ed anch’essa membro della Giuria fittizia, sino a quando alle 17, col freddo che cominciava a farsi sentire sul barcone, ho tagliato la corda proprio quando giravano i primi piani. Dovevo essere a Genova, alla FNAC, alle 18 e ci arrivai giusto in tempo grazie ad un eccellente autista argentino con due lauree in ingegneria (come si vede la “soap” è dappertutto).
Non so quando andranno in onda (fra un anno? Prima? Dopo?) gli episodi ambientati a Portofino. Se non verranno tagliati, la signora che scrive potrà vedere, lontanissimo, un giurato in barca – quando hanno girato i primi piani me ne ero già andato - che prima suda e poi batte i denti. Quello sono io.

Ho perso il conto dello spazio ed ho esagerato. Tutti gli altri quesiti, “Signs” compreso, alla prossima puntata. Chiedo veramente scusa per aver infranto la promessa alla signora Mancuso. Mi rifarò.
(Pubblicato sul n° 51 Gennaio-Febbraio 2003 p. 18)
LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (9)

Caro D.O.C Holliday,
La ringrazio sentitamente per lo spazio e l’attenzione ai quesiti posti in una mia precedente lettera, ai quali ha fornito una risposta più che esauriente; anche se è doloroso apprendere come la RAI si sia progressivamente privata delle molte figure di gran livello che, fino a non molto tempo fa annoverava ancora fra le sue fila, ma anche questo è un segno di tempi, evidentemente.
In secondo luogo le fornisco le precisazioni che mi ha chiesto su Truffaut. Premetto che il grande cineasta francese occupa un posto di primo piano fra le mie preferenze cinematografiche, non esclusivamente per il valore delle sue pellicole ma anche per la qualità umana che contraddistingue ogni suo film; così , come omaggio, ho chiuso la lettera alla sua maniera: infatti, dalla lettura dell’interessantissimo volume che raccoglie la sua nutrita corrispondenza, edito in Italia con il titolo Autoritratto (Einaudi, Torino, 1993), ho preso in prestito la frase “sinceramente suo” che il regista adotta ogni qualvolta scriva ad una personalità di rilievo e della quale nutra una grande stima: Abel Gance, Henri-Georges Clouzot, Nestor Almendros, Henry Langlois……la lista potrebbe continuare.
Infine mi conceda una nuova domanda: non molto tempo fa ho registrato per puro caso, una pellicola neozelandese uscita nel 1996, dal titolo Forgotten Silver, per la regia di Peter Jackson (che ritengo sia il regista del recente Il signore degli anelli); nel film, realizzato con la tecnica del documentario, si narra l’incredibile scoperta di una grande quantità di bobine girate da un “pioniere del cinema neozelandese”, Colin McKenzie. Il film di Jackson è estremamente interessante, ma ancor più straordinaria sembrerebbe la figura di quest’uomo, aurore di un solo film, Salomé, (realizzato tra difficoltà enormi, nella giungla, assillato dai creditori), che vede morire la propria moglie sul set e che, infine, lascia tutto per rifugiarsi in Spagna dove, durante la guerra civile, filma la propria morte. La biografia di questo personaggio appare davvero incredibile, ma la confezione del film, con tanto di interviste (compare anche l’attore Sam Neill) con le immagini in bianco e nero della pellicola ritrovata e restaurata, con la prima in grande stile di “Salomé” conferisce una certa credibilità alla vicenda. Volevo chiederle, appunto, Le risulta che sia esistito davvero questo “pioniere” – e che quindi la storia del cinema sia da rivedere alla luce di questa scoperta, come viene segnalato nel film – o dobbiamo dare atto al regista neozelandese di possedere una straordinaria fantasia cinefila ? Confidando, anche in questo caso in una sua sempre puntuale risposta, La ringrazio e La saluto.
Sinceramente suo, ETTORE ARTIRIO


Andiamo in ordine, cominciando dal fondo. I dubbi che lei si prospetta riguardo a ”Forgotten Silver”, dimostrano quanto siano stati bravi Peter Jackson (è proprio quello della saga “Il signore degli anelli”) ed il coregista e cosceneggiatore Costa Botes ad inventare un falso personaggio ed una falsa e complicatissima storia a carattere cinematografico, dando vita ad un passato clamorosamente impossibile ma, a quanto capisco e leggo, squisitamente ricreato. E’ un esempi tipico di quel che gli anglofoni chiamano “mockcumentary” – o anche, per semplificare, “mocdoc” – parola nata dall’unione di due parole. Della radice “mock”, che, come aggettivo, significa, innanzitutto “finto, simulato” e poi anche “burlesco, ironico, scherzoso”, mentre come verbo significa, fra l’altro, “deridere, canzonare, schernire”. E poi della parola “documentary”, che ovviamente significa “documentario”. C’è un illustre precedente radiofonico, “La guerra dei mondi” di Orson Welles. Da allora, nel cinema, i “mocdoc” anglosassoni sono parecchi. A cominciare da uno che gli americani sembrano considerare il più interessante di tutti e che io non ho mai visto, e cioè (fa rima !) l’ inchiesta “mock” su un complesso rock, “This Is Spinal Tap” (1984), film di esordio come regista di quel versatile personaggio che è Bob Reiner, il quale ad oggi ha diretto già 13 film, fra cui il divertente “Harry ti presento Sally”, oltre ad interpretarne una cinquantina ed a produrne una quindicina. Del resto, si badi. Quando “Forgotten Silver” fu trasmesso in tv in Nuova Zelanda, la maggioranza del pubblico lo prese per vero e credette alla nascita di un nuovo eroe nazionale. Il che ampiamente giustifica i dubbi del signor Artirio. Fra l’altro figurano nel film non solo Sam Neill ma anche Leonard Maltin, autore del più famoso vocabolario cinematografico del mondo, Harvey Weinstein , celebre produttore della Miramax, e gli stessi Jackson e Botes. Del resto se il signor Artirio riflette un attimo a un ormai lontano film di Woody Allen,”Zelig” (1983) o al giovanilistico e troppo fortunato “The Blair Witch Project” (1999), i rinvii sono numerosi e provano quanto il genere sia consacrato nel mondo dei filmakers anglofoni.
Ancora due parole, a ritroso: l’espressione “Sincèrement vôtre” non è che sia più segreta e affettuosa del nostro “Cordialmente vostro” anche se in francese la frase ha forse un sapore di maggior finezza e partecipazione. Truffaut l’ho incontrato tre volte, abbastanza a lungo, e un giorno che avrò spazio lo racconterò. Il cambio di generazioni Rai è una cosa, come si dice ora, epocale, e non è solo responsabilità di questo o quel dirigente. Grazie dei ringraziamenti. Infine, saluti alla signora Mancuso. Ho stampato il suo dischetto e le risponderò, veramente, la prossima volta. Parola !


(Pubblicato sul n° 50 Novembre-Dicembre 2002 p. 16)
LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (8)

Con grande sorpresa ed immenso piacere ho scoperto la sua rubrica su Film DOC di novembre regalatomi da una mia amica che lavora all'Arco Film …(omissis)… . Nel corso della mia vita essendo figlia di un operatore cinematografico ho avuto modo di vedere almeno 10.000 film e le assicuro che è stata una delle più belle esperienze di tutta la mia vita. Conoscere anche ciò che riguarda i personaggi del "set", grazie a lei, mi ha permesso di apprezzare maggiormente il tutto. Come microscopico segno di ringraziamento, anche se virtuale, le invio un floppy di un libro di fantascienza da me scritto, che riguarda in parte anche la trama di un film. Mi auguro che le faccia piacere. Spero di vederla presto in televisione.
Giuseppina MANCUSO, via Pozzuolo del Friuli, 2/14, 16145 Genova.


Grazie mille anche delle infinite parole di elogio (ben 504 battute!!) che ho tagliato dalla lettera per non apparire stucchevolmente autoelogiativo. Grazie anche del floppy - disc, su cui cercherò di darle un parere, tempo permettendo.
Caro Doc Holliday,
Le scrivo soltanto adesso in seguito alla lettura dell'intervista rilasciata al Secolo XIX del 4/02/02. Premetto che ho sempre nutrito grande stima nei suoi confronti, stima che peraltro l'intervista in questione conferma in tutto; se potessi sottoscriverei in pieno quanto da lei affermato. Credo di avere sempre ritenuto alcuni cineasti italiani di oggi dei modesti autori - almeno se paragonati alla generazione dei De Sica, Rossellini e Fellini, ma anche nei confronti dei Monicelli, Risi e Scola - ma il mio giudizio di semplice appassionato poteva essere facilmente contestato. Ecco perché sentire definire da lei Benigni "noioso", Moretti "un enigma" ( e stendiamo un velo pietoso sugli altri "toscani") mi ha reso felice; c'è sempre più bisogno di persone che abbiano il coraggio di sostenere le proprie idee e convinzioni, anche se queste si scontrano inevitabilmente con quelle delle maggioranza. Mi ha invece sorpreso la sua valutazione positiva di Salvatores, autore che ho molto apprezzato - a suo tempo - per i primi film ("Marrakech Express" e "Turné") ma che a mio giudizio ha subito una repentina involuzione a partire dal confuso "Puerto Escondido" e dal pretenzioso "Sud". Mi piacerebbe sapere se il suo giudizio si limitava alle opere degli esordi o comprendeva anche gli ultimi film che personalmente non ho visto. Volevo invece segnalarle una pellicola che mi è piaciuta molto: si tratta di "Auguri professore" (1997), un film diretto da Riccardo Milani e interpretato da Silvio Orlando, in qualche modo da collegare all'altrettanto riuscito "La scuola" di Lucchetti.
Vorrei ancora ancora sapere se vedremo sul piccolo schermo alcune di quelle meravigliose retrospettive da lei curate (ne ricordo una su Melville), dedicate ai cineasti francesi - penso a Renoir, Clair, Clouzot, Ophüls e Becker - e se avrò la fortuna di vedere i capolavori di Akira Kurosawa ("L'angelo ubriaco", "Cane randagio", "Vivere", "I sette samurai", nell'edizione integrale" di tre ore, e "I cattivi dormono in pace") che se non sbaglio passarono in programmazione sulla Rai circa quindici anni orsono, ovviamente ad orari impossibili, e mai più riproposti in seguito.
Sinceramente suo -Truffaut non me ne vorrà-
Ettore ARTIRIO, Via G. Da Verrazzano,260 -16165 Genova -



Rispondo, nell'ordine: mi ero quasi dimenticato dell'intervista. Non vorrei dar qui un esempio del tipico modo italiano di confessarsi ("qui lo dico e qui lo nego!, ma tant'è.. ") Magari "noioso" è troppo per Benigni - e così "enigmatico" per il minuzioso e didattico Moretti - ma nella sostanza ribadisco le mie perplessità e le mie insoddisfazioni. Nessun film italiano di oggi mi dà i brividi che mi comunica un piccolo thriller americano in bianco e nero degli anni '40 (ma probabilmente è tutta questione di età). Il discorso di base è che mancano i geniali sceneggiatori di un tempo, perché la società italiani di oggi non è favorevole agli scrittori popolari ma solo agli scrittori elitari, o supposti tali. Il Salvatores a cui mi riferivo è proprio quello iniziale a cui si riferisce lei, con una eccezione più recente per l'inconcluso ma bizzarro e psichedelico "Nirvana", raro caso di cinema di fantascienza paradossale e avveniristica tentato da un autore di casa nostra. In quanto al premiatissimo e lodatissimo ovunque "Mediterraneo", è forse una delle sue opere peggiori (peccato per un manipolo di buoni attori: Cederna, Bisio, Gigio Alberti, lo stesso Abatantuono).
Per quel che riguarda la TV non so che cosa dire. Io sono stato collocato in pensione nel 1994 e da allora i miei rapporti con la Rai sono da esterno e non certo da programmatore. Rivedere i cicli che lei rievoca, mi sembra assai difficile. Sia per motivi di diritti (è sempre più complesso acquisirli per la programmazione) sia per mancanza di interesse specifico. La Rai di oggi, sia di destra che di sinistra, è la struttura meno cinefilica che si possa immaginare, salvo a nozze avanzata, sui satelliti e quando deve ostentare entusiasmo patriottico - e spesso insincero- per qualche film italiano premiato (o non premiato) all'estero.
Non mi sembra di aver curato tutti i cicli che lei rievoca, ma forse mi sbaglio a mio danno. Mi chiarisce il riferimento a Truffaut?
Mi accorgo di aver rosicchiato tutto lo spazio a disposizione. Restano in attesa di risposta: Roberto Cozzolino, Sandro Corsi e Orlando Botti (2° lettera). Molti cari saluti a tutti.
(Pubblicato sul n° 48 Maggio-Agosto 2002 p. 18)
LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (7)

1) Stimatissimo dottor Fava, rispondo alla sua nota ove minaccia "gravi" ripercussioni per chi la legge. Voglio scongiurare detta affermazione anche perché ritengo importante la sua parola forbita pronunciata sempre con una sagacia e una amabilità fuori della norma corrente che privilegia la villania e la imbecillità imperante. Per godere di una sua risposta le propongo un gioco che spesso si fa a malincuore perché troppo ristretto e sempre costretto a far fuori altre delizie personali. Vorrei da lei elencato quanto segue: 1) I cinque film da portarsi in un'isola deserta con schermo. 2) I cinque libri di letteratura al seguito. 3) I cinque libri sul cinema da possedere assolutamente. 4) Le cinque colonne sonore a lei più care. 5) Le cinque canzoni sue predilette. 6) I cinque registi a cui è più affezionato. 7) I cinque attori preferiti. 8) Le cinque attrici preferite. 9) I film della sua vita. 10) L'aforisma che preferisce in assoluto. Le ho fatto lo sconto perché di solito si fa la "Top Ten" per cui più arduo sarà il non facile conto. Da parte mia amo visceralmente. Orson Welles, François Truffaut (l'anno scorso sono andato ad omaggiare la sua tomba a Parigi con un semplice fiore), Alfred Hitchcock, Fritz Lang, Carl Dreyer, ecc. ecc. Sperando che receda dal suo atto minaccioso continuerò a seguirlo su codesta interessante pubblicazione e su Raisat Cinema. A buon arrivederci !!!
Suo aff.mo BOTTI Orlando, via delle Ginestre 22, Imperia.
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2) Gentile signor Fava, non è la prima volta che la disturbo per pareri e consulenze varie….La prima volta fu circa 30 anni fa, quando, durante una cena tra ragazzi a casa mia, sorse una discussione sul nome di un certo regista di un certo film. Per sbloccare la situazione di stallo qualcuno di noi disse: "Qui ci vorrebbe Claudio G. Fava" (si, lo ammetto, tutti noi, nominandola, abbiamo detto sempre per esteso il suo nome, soprattutto proprio la "G", quasi un vezzo, più nostro che suo !) Io risposi che non c'erano problemi: "Gli telefono" dissi suscitando divertita perplessità. Mi andò bene. Cercai sull'elenco telefonico e trovai nome e indirizzo (mi sbaglio, o abitava nella zona di Circonvallazione a Monte?), composi il numero, mi rispose lei personalmente, risolse immediatamente il quesito con la (consueta) competenza, cortesia e ironia - non ce n'è mai abbastanza! - facendomi quindi fare un figurone. Da allora ne è passata di pellicola, ma ogni volta che me la sono trovata davanti (al cinema, alla TV o sorseggiando un Negroni) ho sempre potuto apprezzare queste sue doti. Sì, ma dove voglio arrivare con questa sviolinata? E' semplice: non voglio privarmi dell'egoistico piacere che Claudio -GI - Fava , pronto a snocciolare nomi e date e soprattutto pareri e commenti sul cinema e il mondo che lo popola. E quindi le do subito da lavorare con due o tre domande (serie o meno ) su "La caduta degli Dei" di Visconti che abbiamo rivisto al Lumière di Genova. All'uscita i pareri erano discordi ; chi parlava di capolavoro, chi di polpettone indigeribile. Lei che ne pensa ? Due le domande "frivole": in una sequenza la Thulin fuma una sigaretta identica a quelle di oggi, corta, bianca, con il classico filtro marroncino. Era, secondo lei, una sigaretta disponibile nei primi anni '30? Ne abbiamo dubitato, pur conoscendo il maniacale perfezionismo di Visconti. Infine nei titoli di coda non sono apparsi i doppiatori: la mia impressione è che Berger e Bogarde fossero doppiati da un giovane Giancarlo Giannini e dal drammaticamente scomparso Vannucchi. Mi può ragguagliare ? Grazie. Ed ora spero di poter stare tranquillo ancora -almeno- per qualche altro numero di Film DOC. Con affetto. Aldo BEZANTE, via Borgoratti 22/13, 16132 Genova

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3) Caro dentista di Tombstone (eh eh), non sono rimasto insensibile al suo grido di dolore e come me penso molti spettatori/lettori: spero in un massiccio invio di lettere in modo che le sue risposte ci riservino ancora per molto le usuali delizie e "chicche". Approfitto quindi del suo...richiamo per chiederle cosa ne pensa della sparizione dei vecchi film dai circuiti.
Già ai tempi del glorioso "Filmstory" (via Caffaro) era impossibile riuscire a rivedere una serie di vecchie e amate pellicole. Ne elenco alcune: "Harakiri" di Kobayashi, "Lo spettro" di Riccardo Freda-Robert Hampton, "Sangue caldo" di Wilson con il grande Mitchum. Non dimentico il piccolo schermo: il memorabile film TV di Fassbinder "Il mondo sul filo" vale mille volte le insulsaggini che ci vengono propinate a ripetizione: ebbene, è scomparso.
Per finire, ricordo all'inizio degli anni 70 di aver rivisto, mi pare al vecchio "Italia" di Tommaseo, "I tre banditi" di Boetticher: scomparso anche lui. E "I sette assassini", presentato dopo restauro giusto un anno fa in occasione del Torino Film Festival, quando lo vedremo, magari anche solo in cassetta?
Grazie per la risposta, le auguro ancora un mucchio di lavoro su FILM D.O.C.
Piero SIEBALDI. Genova.

Il povero Piero Pruzzo, "tiraillé" fra i legami dell'amicizia e i doveri di direttore, ha dovuto darmi una intera pagina, (circa 8700 battute, secondo gli abituali criteri giornalistici di misurazione) per consentirmi di rispondere, per la seconda e penso ultima volta, alle numeroso lettere di lettori che mi hanno scritto per indurmi a non sospendere le lettere a D.O.C. Holliday. Dire che son rimasto commosso da una sorta di plebiscito affettuoso oltre ogni dire, è poco. Del resto credo di averlo già scritto la volta scorsa e non voglio dar l'impressione di esagerare. Mi sono anche chiesto se qui dovevo tagliare le lettere e togliere tutti gli elogi e i complimenti che in esse mi vengono rivolti. Poi, forse anche colto fa un soprassalto di irrefrenabile vanità, ho deciso di lasciar tutto Si tratta di una manifestazione così sincera e toccante di affetto reale, che in fondo non ho il diritto di nasconderla, anche perché è il massimo che un giornalista possa augurarsi, soprattutto verso la fine della sua carriera. E cioè la prova provata, come si dice, che nel corso degli anni e dei decenni, riuscito a stabilire con il suo pubblico un rapporto di reciproca fiducia.
In compenso mi resta poco spazio per rispondere a tutti. Cercherò di farlo nel modo più conciso e contratto, rimandando alla prossima volta una lettera e qualche ulteriore precisazione. Ho numerato 3 lettere e così posso numerare le risposte:


1. Cinque film: "Otto e mezzo", "Ombre rosse", "La grande illusione, "Paisà", "L'armata degli eroi". Cinque libri: "Guerra e pace", "Kim", "Il mulino del Po", "42° parallelo", "I tre moschettieri". Cinque libri sul cinema: i dizionari di Morandini, Mereghetti, Maltin, Halliwell, Di Giammatteo oppure di Katz oppure il "Dictionnaire du Cinéma Larousse". Salto le colonne sonore. Le cinque canzoni: "Ma l'amore no", "Douce France", "Polvere di stelle", una a scelta di Brassens, "Ma mi". I cinque registi: Melville, Billy Wilder, Fellini, John Ford, Truffaut. Cinque attori: Philippe Noiret, Humphrey Bogart, Robert Redford, Louis Jouvet, Jean Gabin (e tanti altri). Cinque attrici: Alida Valli, Katharine Hepburn, Audrey Hepburn, Michéle Morgan, Jodie Foster (e tante altre, moltissime, da Simone Signoret a Glenda Jackson). I film della mia vita: troppi per elencarli qui. Tornerò sull' argomento in una delle prossime puntata insieme al problema di scegliere un solo aforisma. Grazie du tutto e mi saluti Imperia. Via delle Ginestre è a Porto o a Oneglia ? (mia padre era di Porto, ecco il perché della domanda).


2. Grazie mille del lontano ricordo e della telefonata a casa mia (per l'esattezza abitavo in via Assarotti, al 18). Ho telefonato per conferma all'impareggiabile Enrico Lancia, schedatore principe ed espertissimo nella storia del nostro doppiaggio, che mi ha confermato quel che lei pensava: in "La caduta degli Dei" Giannini doppiava Berger e Vannucchi Dirk Bogarde. E poi Anna Miserocchi la Thulin, Amelia Martello la Rampling, Sergio Graziani Helmut Griem, eccetera. Il ricordo che ho del film è sostanzialmente positivo, come tanto cinema della parte finale della carriera di Visconti, restituito finalmente agli amori melodrammatici ed alla illustrazione di casta, che erano le cose che sapeva fare meglio. Il problema della sigaretta mi ha messo in crisi; cercherò di informarmi.


3. I film scompaiono e vengono distrutti a ritmo accelerato (una delle tre fabbriche si trova anche in Liguria, credo.) Per gli altri non so. Per Boetticher chiederò a Steve Della Casa, Direttore del Festival di Torino, che si é addirittura laureato con una tesi sul regista - torero.


Rimando al prossimo numero la cara lettera della signora Mancuso.
Ho esaurito lo spazio. Scrivete e , mi raccomando, siate severissimi.


(Pubblicato sul n° 47 – Marzo-Aprile 2002 p. 16)

LA POSTA DI DOC HOLLYDAY (6)


Apprendo che Film Doc sarà senza posta ? Mai ! Al signor Doc Holliday tanti auguri perché continui.
ELIANA E LE ALTRE del Lumière

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Leggo la sua posta nel numero 45 della rivista. Caro Doc Holliday ci mancherebbe altro che smettesse la rubrica. Anzi, già che ci siamo mi risponda un po'. Quale è il primo film che ha fatto Johnny Depp ? E lei lo giudica un buon attore o no ? Lei è sempre più forte. Continui. Tanti cari saluti cinefili.
MARIO DI NERVI

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Gentile Claudio G. Fava, io scrivo raramente alle rubriche di posta perché le immagino sempre sommerse di corrispondenza abbondante e svariatissima, perciò mi affretto a scriverle dopo aver letto sul numero 45 che ultimamente c'è stata penuria di lettere. Non sarà colpa della pausa estiva che, secondo me, i cineclub della nostra città si concedono troppo lunga? E perché, telefonando a un cineclub genovese a settembre inoltrato per avere notizie circa la riapertura, si sentono ancora registrati nella segreteria gli auguri di buone vacanze, anziché le informazioni sull'inizio della nuova stagione? Secondo me gli spettatori dei cineclub dovrebbero essere un po' più coccolati.
Potrei avere un suo parere sul film "La ville est tranquille"? A me è sembrato bellissimo. In questo genere di film apprezzo molto la capacità di inserire vicende private in un contesto sociale di idee, di passioni o di crisi delle ideologie, senza appesantire (operazione che riesce difficilmente, mi pare). Altra domanda: potrebbe suggerire dieci film "irrinunciabili" in un percorso di formazione per studenti di scuola media superiore? Personalmente, riuscirei a indicare libri "irrinunciabili", ma con i film mi riesce più difficile. Ultima domanda: perché non la vediamo da qualche tempo in TV, in qualche bella trasmissione superintelligente come, per esempio, "La principessa sul pisello", insieme ai bravissimi De Antoni e De Fornari? Grazie e buon lavoro!
Qualunque sia la sua futura rubrica, la leggerò sempre volentieri.
P. CANEPA - Genova
Confesso che ero incredulo quando ho letto la posta. Mi son quasi commosso. "Vuol dire" (come facilmente si usa a Genova, ricalcando il "voeu dì" del dialetto) che qualche cosa su Film D.O.C. abbiamo seminato tutti insieme, e che io, in particolare, in tanti anni di attività (il mio primo articolo firmato destinato ad un quotidiano apparve nella "Gazzetta del Lunedì" nel 1949: era in realtà un settimanale ma i genovesi conoscono la differenza) ho stabilito preziosi, forse inestimabili legami con i lettori.Grazie a tutti, di cuore.Grazie ad "Eliana e le altre" del Lumière, firma che mi fa pensare irresistibilmente ad un film di Jean Renoir, appunto "Eliana e gli uomini". Nell' originale si chiamava semplicemente "Ėléna et les hommes"; nella versione italiana è diventato appunto "Eliana", sicuramente più elegante.Grazie al fedele Mario di Nervi, a cui rispondo subito. Johnny Depp è certo un buon attore ma non pare che abbia risolto completamente gli interrogativi che ci ha posto sin dalla giovinezza. Si avvicina ormai alla quarantina (è nato a Owensboro, Kentucky, il 9 giugno 1963) e il suo esordio risale al 1984 in "A Nightmare on Elm Street" ("Nightmare - Dal profondo della notte) di Wes Craven. Da allora più di trenta film, in cui quasi sempre si concede a personaggi, come scrive Jean Tulard, "lunaires, fragiles et décalés" (lunari, fragili e sfasati). Nel 1995 scriveva a.(driano) p.(iccardi) nella nota dedicata all'attore, contenuta nel Dizionario dell'eccellente "Annuario del Cinema- Stagione 1994/1995", pubblicata a cura di Gualtiero De Marinis nelle edizioni di "Cineforum": "…….E' un bel po' che Johnny Depp sta nel giro. Dopo tutto ha 32 anni (adesso ne ha 38- n.d.r.). nonostante la sua aria di eterno adolescente, appena (ma proprio appena) un po' tenebroso (…) ora Giovannino vanta un carnet ricco di ottime referenze, da Waters a Kusturiça, da Burton (alter ego?) a Jarmusch. Garantito che ci darà ancora da parlare di lui". In effetti è proprio quello che stiamo facendo qui, parliamo di lui, e non mi pare che le sue interpretazioni di questi ultimi anni (pur numerosissime dal 1996 ad oggi, grosso modo una quindicina di film) abbiano spostato di molto le possibilità di giudizio, su un attore dotato e volutamente nevrastenico. Per scrupolo ho controllato in internet. Ci sono a lui dedicati numerosissimi siti, alcuni dei quali allestiti da ammiratrici che giurano essere egli l'uomo più bello del mondo. Poiché questo tipo di entusiasmo si ripete anche in siti dedicati ad altri, sono affermazioni significative ma da prendere sempre con le molle (come dice Bruno Pizzul parlando di una semisconosciuta squadra dell'Est).Infine grazie alla signora Canepa, a cui, e me ne dispiace, ho forse tolto qualche illusione sulle rubriche di posta con i lettori. Non condivido completamente il suo entusiasmo su Guédiguian, di cui peraltro in Italia sono stati importati pochi film, direi fra gli ultimi (sicuramente "Marius e Jeannette" (1997), "Al posto del cuore" (1998), "A l'attaque!" e appunto "La ville est tranquille" del 2000). Il lato militante del regista francese dal nome armeno - che lo avvicina in questo a Ken Loach, però più trotzkista e meno cosmopolita - va di pari passo con la riscoperta recente di Marsiglia come città "orientale", tipica anche nel romanzo giallo-nero di questi ultimi anni, si veda Izzo. Io sono sempre un po' perplesso di fronte alle tranches de vie zola-militanti ma non è detto che non si possa riprendere il discorso. Così come sugli altri temi: Cine club, 10 film fondamentali e rubriche con Gloria e Oreste...Risponderò anche al signor Piero Siebaldi giunto, ahimé, fuori tempo massimo. Il dentista di Tombstone lo saluta.
(Pubblicato sul n° 46 Gennaio-Febbraio 2002 p. 16)
LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (5)

Da quando ho iniziato questa rubrica mi trovo per la prima volta con la pagina bianca e nessuna lettera a cui rispondere (bianca, si fa per dire, perché non è il bianco ingenuo ed aggressivo che nasce dal foglio di carta in attesa ma quello anonimo e minaccioso che squilla nella "scrivania" del computer). In genere una lettera arrivava sempre. A volte, dopo l'uscita di un numero di Film D.O.C. me ne sono giunte insieme anche tre o quattro, sufficienti per ricaricare per mesi la cartucciera di Doc Holliday. Questa volta, no. E' quasi un ammonimento. Significa forse che la rubrica ha esaurito il suo "elan vitale ?" Non posso escluderlo… Ho tenuto in vita mia troppe rubriche di posta con i lettori per non sapere che anch'esse, come tutte le umane istituzioni e creazioni e iniziative, sono soggette ad una sorta di fisiologia animale: nascono, crescono, hanno un periodo di fiorimento e di splendore, poi cominciano ad invecchiare e ad incanutire, esattamente come accade con i nostri corpi, con i partiti politici, con le aziende e le città e le nazioni (e le squadre di calcio, potrei aggiungere, andando all'infinito nell'elencazione). La prima che ebbi, a metà degli anni '50, si chiamava "Missive al Conte Mosca" ed appariva nelle pagine ormai dimenticatissime della rivista "Nomadi", organo della Federazione Italiana degli Alberghi della Gioventù. La dirigeva il mio amico Franco De Salvo che poi mi fece entrare al "Mercantile" e infine andò a Roma, dove risiede tuttora, per seguire Angelo Magliano, il quale, a sua volta, lasciò il "Mercantile" per diventare direttore del "Giornale d'Italia", testata allora importante nel giornalismo capitolino (su Magliano, ormai scomparso da tempo, ligure di Porto Maurizio, durante la Resistenza membro giovanissimo della "Franchi" di Edgardo Sogno, poi direttore del "Corriere Lombardo" e vincitore di un premio Viareggio, varrebbe la pena di intrattenersi più a lungo).
Il conte Mosca era un personaggio essenziale, comprotagonista de "La Certosa di Parma" di Stendhal: lo pseudonimo mi concedeva la possibilità di essere schifiltoso ed ironico così come mi piaceva di credere io fossi veramente (prima di compiere i trent'anni si hanno tante pazze idee per la testa). Mi arrivavano molte lettere di giovani ed ebbi la possibilità di divertirmi abbastanza scrivendo. Così come mi capitò anni dopo (è ancora di scena il "Mercantile") con una rubrica di corrispondenza che battezzai "Le mani in posta". Con un gioco di parole che allora mi parve spiritoso (a pensarci adesso, forse non lo era). Può darsi che qualche lettore, ora con i capelli bianchi, se ne ricordi ancora quando la situazione del giornalismo cittadino era diversa da ora, in un contesto che cominciava appena ad avvertire i prodromi della crisi ma che era ancora sospinto dal subitaneo entusiasmo del '45, quando il felice "shock" della pace aveva attivato mille nuove energie, si tirarono su in fretta i palazzi distrutti (mezza Genova era "in tocchi", come disse il Re a Mussolini parlando dell'Italia) e, in un'epoca ancora ottocentescamente "pre-container", il porto ritornava ad essere la linfa vitale e decisiva di una città che o è portuale o non esiste.
In sostanza conosco la musica. E resto in attesa. Se a qualche lettore la rubrica interessa veramente, mi scriva due righe, risponderò e saprò regolarmi. Se non riceverò nulla sarò il primo a rivolgermi a mia volta a Piero Pruzzo ed a Riccardo Speciale (l'uno è il direttore e l'animatore insostituibile di Film DOC, l'altro l'editore, nella sua qualità di Segretario Regionale dell'AGIS) ed a proporre un cambio, che peraltro era già stato ipotizzato. Mi farò concedere una rubrica solipsistica e delirante, in cui parlerò soltanto di me e porterò i lettori alla ribellione.
Naturalmente scherzo. Mi piacerebbe poter indulgere ai ricordi di un (vecchio) spettatore ed a considerazioni sui film che vedo e sui libri che leggo.
Dipende da voi. Fatemi sapere.

(Pubblicato sul n° 45 – Novembre-Dicembre 2001 p. 16)
LA POSTA DI DOC HOLLIDAY IV

Caro Doc Holliday, ho due domande per lei.
Cosa pensa dell'attività recente dei nostri beneamati cineclub genovesi? Non le pare che stiano perdendo di coraggio, puntando sempre di più su scelte commerciali ?
Cambiando argomento : ricordo che anni or sono Lei condusse uno splendido ciclo sul cinema muto tedesco per la RAI. Ne seguirono altri, altrettanto importanti, su Ferreri, Bunuel…. Ora più nulla. Perché?
Cordiali saluti.
MELA di Sampierdarena


Cercherò di rispondere nell'ordine.
1) Problema Cineclub. E' un problema difficile da risolvere. Ed anche da analizzare. Chi ha conosciuto l'Italia dell'immediato dopoguerra si ricorderà quali fossero l'avventurosa frequentazione, l'entusiasmo commosso e lievemente snobistico ed il gusto carbonaro con cui vennero animati e diretti i cineclub d'epoca (molto spesso eredi, è giusto ricordarlo, dei Cineguf propri delle organizzazioni degli Universitari fascisti, palestra iniziale di tanti giovani che poi cessarono di essere fascisti o si dimenticarono di esserlo stati, e non di rado si ritrovarono nelle sfere dirigenti dei principali partiti italiani, ancor più al centro e a sinistra che a destra). Vi si alimentò una sorta di mistica concettuale e verbale che fu tipica, in certo momenti, nelle scelte di film e di registi: quanto cinema muto, quanto cinema sovietico…un clima che Paolo Villaggio, frequentatore del Cineforum dell'Arecco, riassunse nella famosa frase: "La corazzata Potemkin: una boiata pazzesca!." Ma anche quanta intelligente passione, quale amore di divulgazione, di ricerca, di polemica e quale desiderio di diventare a propria volta protagonisti di cinema in un modo o nell'altro: non a caso dal primo Film Club genovese, quello che aveva la sede in Salita Santa Caterina e organizzava le proiezioni al Postelegrafonico, vennero fuori personaggi disparati ma di indubbio valore: Duccio Tessari, Renzo Marignano, Enrico Rossetti, Giulio Cesare Castello, Tullio Cicciarelli…..per non citarne che alcuni. Da allora ad adesso molti decenni sono trascorsi, mille cose son cambiate, soprattutto la composizione, sia sociale che numerica, delle masse dei telespettatori e la consistenza del mercato. Vale a dire il numero e la qualità delle copie disponibili, senza la quali, anche Catalano sarebbe d'accordo, non si proietta nulla e, soprattutto, non si fanno programmi né buoni né cattivi. Ho cercato di chiarire le situazione attuale in una lunga conversazione telefonica con Giancarlo Giraud, (per tradizione famigliare il nome va pronunciato all'italiana e non alla francese) noto animatore del Film Club "Amici del Cinema". Il quale mi ha detto che la situazione degli approvvigionamenti di film ad uso dei Cineclub è sempre più difficile: i film restano "in vita" sempre meno e sempre più rapidamente vengono avviati alla distruzione (esistono alcuni stabilimenti specializzati nella "macellazione" delle copie) per cui l'alternativa è sempre più quella di mutarsi in una sorta di seconda visione all'antica, cogliendo i film di un certo interesse subito dopo l'uscita e riproponendoli ai soci per una sorta di giudizio d'appello.. Naturalmente in molti casi si cerca di continuare con le rassegne, i cicli, le retrospettive: ad esempio, ricordava Giraud, agli Amici del Cinema sono andate bene due rassegne dedicate a Buñuel (16 film) ed a Bertrand Tavernier (addirittura 19 film, che dovrebbero praticamente costituire, forse con una o due eccezioni documentarie, l'opera omnia del regista di Lione). Mentre al Lumière, forse il più noto dei Cineclub genovesi, ha funzionato bene una retrospettiva di Herzog. Il reperimento delle copie, continua Giraud è diventato cosi difficile che ormai potrebbe costituire un problema anche una "personale" di autori relativamente recenti, come Amelio, Mazzacurati e lo stesso, notissimo, Moretti. Perfino il problema dei costi ci mette lo zampino. La Cineteca Nazionale pone come condizione l'assoluta gratuità della proiezione, ma almeno le 100.000 lire per volta, a titolo di "usura copia", sono di fatto inevitabili.

2) Problema TV. Credo, per semplificare estremamente una situazione molto complessa, che, rispetto ai miei tempi, si saldino due motivi. Da un lato l'obbiettiva difficoltà di reperire titoli acconci, poiché ormai le trattative sono fondamentalmente condotte per "pacchetti", sicché è più difficile pianificare richieste ed acquisizioni mirate in funzione di un uso monografico o monotematico. D'altro lato è tramontata la generazione di programmatori televisivi a cui io ho appartenuto in modo molto visibile per più di vent'anni. E non è stata sostituita se non da una generazione con obbiettivi e gusti ben diversi. Ma è un argomento su cui vorrei ritornare (anche per chiarire, innanzitutto a me stesso, il problema dei cicli da me firmati, un po' diversi, se interrogo la memoria, da quelli citati dal mio amabile corrispondente).


(Pubblicato sul n° 44 Settembre-Ottobre 2001 p. 18)