In questi giorni si è molto parlato e scritto della copia restaurata (credo da Tatti Sanguineti) della parte allestita da Pasolini per il film "La rabbia", in cui questo frammento veniva proiettato a fianco di un brano omonimo scritto e inventato da Giovannino Guareschi. Com'è noto, il film di Pasolini è stato rimpolpato da brani recuperati e proiettato alla Mostra di Venezia "senza" il pezzo di Guareschi. Nei giorni scorsi mi è capitato, su invito del Prof. Dino Cofrancesco di dirigere una tavola rotonda (presenti i Professori Monti Bragadin e Cipolloni) a conclusione di un congresso sulla satira politica. La manifestazione era organizzata come appuntamento annuale di studi italiani ad uso di universitari stranieri, indetta nella bellissima Villa Durazzo di S. Margherita Ligure e curata dallo stesso Cofrancesco. A conclusione della serata è stato proiettato il brano allestito e commentato da Guareschi, cioè quello che Giuseppe Bertolucci, Presidente della Cineteca Comunale di Bologna, aveva tolto dalla copia presentata al Lido, causando le proteste di Alberto e Carlotta Guareschi (Bertolucci, che è una persona molto perbene, riconoscendone le motivazioni, ha addirittura abbandonato il compito che si era assunto per Venezia). Dopo quarantacinque anni ho pertanto rivisto a S. Margherita il frammento de "La rabbia", curato dal papà di Peppone e Don Camillo, presentato come tipico esempio di satira politica. Passato quasi mezzo secolo, lo confesso, non mi ricordavo assolutamente nulla ma mi è venuta voglia di rileggere quello che avevo scritto a suo tempo, quando ero il critico cinematografico de "Il Corriere Mercantile" di Genova. Ho trovato il ritaglio, Chiara ha avuto la gentilezza di batterlo al computer, è breve e lo trascrivo qui, augurandomi che possa interessare qualche lettore anche se il pezzo, riletto adesso, mi sembra resti nel vago.
CINEMA LUX
LA RABBIA – Italia – Bianco e nero- antologia di montaggio – 1 a. parte a cura di: Pier Paolo Pasolini – Voci: Giorgio Bassani, Renato Guttuso – 2 a. parte a cura di: Giovannino Guareschi con Giacinto Solito – Voci: Carlo Romano, Gigi Artuso – Montaggio: Nino Baragli – Produzione: Opus Film – Galatea - Distribuzione: Warner Bros.
Ecco una curiosa trovata, anche in un’epoca sempre più favorevole ai film di montaggio ed alle antologie filmate di costume e d’attualità. Affidare, cioè, a due personalità totalmente diverse, opposte, antitetiche, che più clamorosamente disarmoniche fra loro non si potrebbero immaginare come Pasolini e Guareschi un compito eguale: rispondere, attraverso un montaggio di immagini di avvenimenti di questo dopoguerra, ad una stessa, complessa, dolorosa domanda: “quali sono le ragioni della nostra stanchezza, della nostra angoscia, della nostra paura, della paura della guerra e della guerra stessa, di cui tutti soffriamo o abbiamo sofferto?”. Ognuno ovviamente, ha risposto a modo suo, Pasolini, da marxista militante, aggrappandosi alle immagini di povertà e di ricchezza, alla pompa fastosa della Chiesa e al messaggio di pace del Concilio Ecumenico (ma i brani che riguardano il Papa sono, solo all’apparenza beffardi. In realtà celano una ambivalenza affettuosa e tormentata, tipica dell’autore). Celebrando la Russia e i russi, e Fidel Castro e gli algerini, pur con dolorose e incomplete punte di critica e di autocritica. Guareschi, da anticomunista convinto, ricordando la scomunica del 1949, l’orrore delle fosse di Katyn o del muro di Berlino. Il commento di Pasolini (particolarmente uggiosa la cupa voce salmodiante di uno dei due “lettori”, il pittore Renato Guttuso) raggiunge qualche alto momento di tensione poetica; ma altrettanto spesso, invece, si impiglia in una tenera e complice oscurità di frasi e di concetti (tipico, a questo riguardo, è l’inizio, con il commento ai fatti di Budapest). Il commento di Guareschi, evidentemente più semplice di struttura e più discorsivo, suonerà famigliare ai suoi antichi lettori di “Candido”. Come si diceva, il film è una “trouvaille” che si esaurirà in se stessa. Troppo diversa è la personalità dei due autori (hanno in comune solo tre cose: sono entrambi cittadini italiani, entrambi sono settentrionali ed entrambi hanno frequentato il Liceo classico; per il resto due monadi, distinte e incomunicabili), [la recensione è stata pubblicata omettendo una parte del testo] rende impossibile una polemica, anche a distanza e senza contraddittorio.
La mancanza di uno sviluppo dialettico qualsiasi confina il film nei limiti sconsolanti d’una testimonianza, significativa anche se parziale, della barriere mentali che dividono gli uomini di oggi gli uni dagli altri, ognuno col suo bagaglio di fedi, pregiudizi, incomprensioni, odii nascosti.
c.g. f. (Claudio G. Fava ,"Corriere Mercantile", 16/04/1963)
1 commento:
Basta leggere quello che scrisse Pasolini a Guareschi per rendersi conto della persecuzione che hanno subito gli scrittori anticomunisti. Allo stile pungente dell'autore di don Camillo, il più acclamato avversario risponde con insulti gratuiti e retorica sovietica.
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