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27 marzo 2009

Lettera (semi) aperta a Paolo Garimberti


(Nella foto qui sopra: Paolo Garimberti, nuovo Presidente della RAI)

Caro Paolo,
pochi giorni fa il "Secolo XIX" ha pubblicato un pezzo, esattamente articolato e comprensivo di quelle che mi sembrano essere le informazioni fondamentali su di te, però redatto e spedito da Roma. Il che ha implicato (evidentemente il redattore non lo sapeva) l’omissione di ogni riferimento al "Corriere Mercantile", dove tu ed io, seppure in epoche diverse, siamo "passati professionisti", come si usava dire una volta nei giornali.
Allora ho deciso di mandarti queste due righe, ed ho atteso fino a quando le notizie sulla tua nomina a Presidente della RAI si sono concretate, al di là della naturale nebulosità tipica della neurotica classe politica italiana, specializzata in una serie complicatissima di movimenti in avanti, all’indietro, laterali, prima di arrivare ad una accettabile definizione. Finalmente la cosa è fatta e quindi questa mia breve lettera spero possa acquistare un sapore attendibile, senza dare l’impressione che io voglia salire sul carro del vincitore. Tenuto conto del fatto che entro Ottobre compirò 80 anni, qualsiasi movimento in questa direzione risulterebbe ridicolo, salvo che – per fortuna si esclude qualsiasi riferimento a te ed al tuo cammino – non si trattasse di un carro funebre.
Perché ti scrivo? Perché penso sia doveroso, e forse la cosa non ti dispiace, riportarci al vecchio "Mercantile" di Via De Amicis, che qualcosa ha contato nella storia del giornalismo genovese. Ai tempi del vecchio Ernesto Fassio, e di Angelo Magliano direttore, il quotidiano, che affonda le sue radici nel passato sino a risalire al 1824, avvertì un improvviso soprassalto di vitalità e di giovinezza, lanciando alcuni nomi che in parte contano ancora oggi. Vorrei prima di tutto ricordare l’ormai dimenticato Franco De Salvo, che all’inizio degli anni ’60 operò una fondamentale rivoluzione nel giornale. Quindi Luciano Garibaldi, che ha una meritata fama di divulgatore di storia. Poi Giuseppe Mayda, che la stampa genovese ignorò per anni e che venne invece apprezzato a "La Stampa". Successivamente tu stesso - quasi vent’anni a "La Stampa", compreso l’incarico di corrispondente fisso a Mosca e la redazione di Roma – hai fatto l’esperimento de "La Repubblica", poi del TG3 e del TG2, per tornare a "La Repubblica" con molteplici incarichi. Un altro felicemente approdato a "La Stampa" è Alessandro Casazza, che cominciò al "Mercantile" come mio "vice" di cinema, divenne titolare della rubrica nel quotidiano di Torino, passò poi con un importante compito all’ufficio stampa della Fiat (di lui si serviva sistematicamente Gianni Agnelli) ed ora è ricomparso nel mondo della settima arte, con la lusinghiera carica di Presidente del Museo del Cinema di Torino (istituzione che se si trovasse a Roma e non nella città piemontese verrebbe esaltata alla RAI un giorno sì e un giorno no). Infine un terzo "visitatore" de "La Stampa" è proprio Giulio Anselmi, che iniziò anch’egli al "Mercantile", continuò una felice carriera sia al "Secolo XIX", che a "Stampa sera", poi a "La Stampa" ed a "Il Corriere della Sera", con responsabilità sempre più prestigiose, per riapprodare infine, come direttore, proprio a "La Stampa", facendone forse il più bel quotidiano italiano.
Come si vede, per una piccola squadra di provincia un allevamento non trascurabile. Approfitto per ricordarlo qui, non perché penso tu l’abbia dimenticato ma perché mi è utile per ribadire la laboriosa coerenza del tuo cammino e per permettermi quindi di inviarti dall’alto della mia petulante senilità alcuni minimi ammonimenti.
  1. Ricordati che la gente non sa bene quali sono le competenze di un Presidente della RAI e tenderà stoltamente a rinfacciarti i difetti o le pecche di molti programmi.
  2. Non è facile orizzontarsi nelle varie riforme che hanno di fatto sconquassato l’Azienda. Io ho passato sei anni nella RAI di Bernabei e almeno lì si sapeva con chi prendersela, fra lui e i suoi luogotenenti. Adesso i centri decisionali del potere sono molteplici e spesso paralleli e in conflitto fra di loro. La stessa decisiva istituzione delle Reti (introdotte nel 1976 in funzione di un gioco partitico fra le formazioni maggiori ma sempre all’interno di un monopolio statale) ha ormai consolidato più di trent’anni di complicate alternanze e di infiltrazioni politiche dalle tonalità spesso oscure. E altrettanto dicasi, seppure in misura minore, per i TG, che tu hai imparato a conoscere per un tempo relativamente breve ma penso in modo illuminante.
  3. Un uso spietato ma incongruo dell’immagine da un lato ha favorito le belle ragazze stridule ed i potenziali "tronisti" imprestati alla politica. Mentre dall’altro le regole misteriose ma ferree della lottizzazione hanno sospinto sulle poltrone degli "anchor men" individui misteriosi, dalle voci sconquassate e dalla sintassi barcollante. È un andazzo così forte e articolato che credo non si possa far nulla per contrastarlo. Ma penso che nelle riunioni che contano potrai ogni tanto far presente le apparizioni più provocatorie e fastidiose.
  4. Penso che sia necessario definire una volta per tutte in modo non ambiguo il concetto stesso di "servizio pubblico", in certo senso legato alla esistenza dell’Auditel. Se si forniscono degli strumenti - concepiti per le grandi cifre della televisione commerciale – in grado di misurare l’affluenza del pubblico, e quindi il gradimento concretato nell’affollamento dei televisori casalinghi, di fatto si rinuncia a ciò che nella vecchia RAI, influenzata dalla BBC, si chiamava "Indice di gradimento". E d’altronde proprio per individuare il concetto di "servizio pubblico" la varietà delle possibili sfumature è talmente grande da rendere quasi impossibile una ragionevole pianificazione. Nella RAI in cui sono entrato, nel 1970, tutto era molto semplice: quel che veniva mostrato in televisione era "La Televisione", senza possibilità di dubbio. Al punto che la gente usava questa espressione, per attestare la veridicità di una nozione. Ti ricordi la frase: Lo ha detto la Televisione", che ricorreva in modo determinante nel linguaggio comune?
  5. Ultima osservazione. In base a ventiquattro anni di esperienza, so che alla RAI (o almeno a Viale Mazzini, ma forse a Saxa Rubra non è tanto differente) il merito sosta nei piani bassi. Ci sono molti dirigenti palesemente incapaci, ma ci sono centinaia di impiegate e di impiegati che tirano avanti minuziosamente il lavoro di ogni giorno, portando a termine incarichi spesso complicati in funzione della fisiologica complessità del lavoro radio-televisivo. Cerca di non dimenticare mai questa gente umile, che spesso paga di persona per colmare i vuoti di potere e di lavoro provocati da una cattiva e complessa organizzazione generale.
Caro Paolo, avrei ancora molte cose da scriverti ma non voglio scocciare né te né gli eventuali lettori del Blog.
Ci sarà un’occasione per riparlarne in futuro? Me lo auguro.
Un abbraccio in nome di un lontano e comune passato.
Claudio G. FAVA

3 commenti:

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny

Anonimo ha detto...

imparato molto