In attesa di riuscire a realizzare nuove telefonate, che mi sembra interessino abbastanza i lettori, mi sono lasciato trascinare dai miei stessi istinti a buttar giù queste righe che rispondono veramente a due interrogativi che mi sono posti molto spesso. Vedrete quali sono e come ho cercato di rispondere, a modo mio e con ridotta autorevolezza.
Se qualcuno mi darà una mano gliene sarò molto grato.
Ci son due cose che mi ronzano in testa da molto tempo, e per le quali non dispongo di soluzioni accettabili. L’uno è il problema della Libia, l’altro è il problema, non meno misterioso, dei tatuaggi. Vediamoli entrambi da vicino, in ordine inverso rispetto a quello enunciato nel titolo.
Problema della Libia. Debbo dire che sin dall’inizio questa guerra frettolosa, dichiarata dalla NATO ma, di fatto, mi sembra di capire, voluta e combattuta dalla Francia e dalla Gran Bretagna, ha destato in me molte perplessità. Da un lato la decisione insolitamente fermissima di Sarkozy e di Cameron di procedere a una rigida guerra aerea grazie alle basi italiane è venuta dopo anni di forse inevitabile ma certo deplorevole soggezione di fronte a Gheddafi. Non dico che tutti siano arrivati a baciargli la mano come ha fatto, seppur scherzosamente, Berlusconi ma è certo che, in passato, i governi francesi e inglesi sono stati estremamente tolleranti e collaborativi nei confronti del colonnello libico per svoltare poi, con inaspettata fermezza, in una micidiale guerra aerea. E’ proprio il carattere di questo conflitto che desta le maggiori perplessità. Sino a pochi giorni fa abbiamo avuto, sia in televisione che nella stampa, pochissimi dati sia sui reparti cosiddetti “lealisti” (cioè quelli rimasti, non si sa se per disperazione o per devozione tribale fedeli a Gheddafi) che su quelli che tutte le fonti d’informazione occidentali continuano a definire “i ribelli”. Mi ricordo che all’inizio della Repubblica Sociale i primi partigiani, che nebulosamente si formavano nei monti e nelle campagne, vennero subito definiti dalla gente “i patrioti”, con un inconscio ritorno ad una terminologia nobilmente risorgimentale, mentre tutte le fonti neofasciste le chiamavano sprezzantemente, se non peggio, “i ribelli”. Né la Rai né la Mediaset hanno ancora compiuto questo passo decisivo, conservando una neutralità formale smentita dal tono generale delle informazioni. Dei “ribelli” si è visto sino ad ora poco e male: in genere giovanotti barbuti e “smandrappati” che s’aggirano con infradito e mutandoni sparando continuamente per l’aria armi automatiche le cui munizioni essi farebbero meglio a conservare per il nemico. Non si capisce se qualcuno e come li comandi e li organizzi. Non si capisce se tutte le armi automatiche di cui dispongono siano state catturate al nemico o provengano da altre fonti, presumibilmente occidentali e in qualche modo legate alla Nato. Non si capisce quali rapporti di forza e di eventuale disciplina tengano in qualche modo uniti le forze ribelli, mentre ogni tanto, abbastanza raramente, appaiono gruppi ristretti di ufficiali superiori in divise smaglianti ma non si sa bene di quale esercito, se non quello del “nemico”. Così come non si capisce bene come abbiano potuto organizzarsi così rapidamente e con esiti apparentemente vittoriosi all’interno di uno stato dittatoriale ferreamente dominato da Gheddafi da oltre quarant’anni. Egualmente è difficile stabilire, in base alle rade notizie filtrate dai nostri telegiornali ed anche dalla stampa scritta, come e in che modo si sia formata la pur incompleta architettura statale centrata sul “Governo” provvisorio che in qualche modo coordina o riassume i “ribelli”. Sembra impossibile che risultati militarmente abbastanza incoraggianti di questo genere siano stati raggiunti dai “ribelli” soltanto, senza la fattiva e decisiva presenza di specialisti inglesi e francesi dei rispettivi eserciti . Se c’è una guerra destinata all’intervento assoluto dei selezionatissimi componenti lo ”Special Air Service”, (il famoso SAS britannico da cui derivano quasi tutte le “teste di cuoio” dei paesi occidentali) è sicuramente questa. Così come mi stupirei se i francesi non avessero utilizzato qualcuno dei reparti che concorrono a formare il cosiddetto COS, “Commandement des opérations speciales”. Ad esempio i paracadutisti del primo reggimento della fanteria di marina (1er RPIMa), i dragoni paracadutisti del 13° RDP, i diversi “Commandos” della Marina Nazionale, eccetera. Dato l’impegno formale a non impiegare truppe di terra, dato che la decisione delle Nazioni Unite sembra autorizzare soltanto l’uso dell’arma aerea per tutelare le popolazioni civili, ci si chiede come l’intervento si sia articolato nelle inevitabili scadenze costituite appunto dall’organizzazione di reparti, per quanto rudimentali, di fanteria ed artiglieria.
Autore Himasaram |
Come mai i “ribelli” dispongono di tante, e tutte nuovissime, bandiere libiche pre-Gheddafi? Si tende a non dirlo ma quel vessillo a tre colori orizzontali, con una mezza luna e delle stelle al centro, che si vede così spesso sventolare sulle automobili degli insorti, è quello della Libia di Re Idris, il quale Re Idris fu scelto dagli inglesi e dai francesi per reggere appunto il cosiddetto Regno di Libia. Il Regno, unendo Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, doveva garantire il controllo su quelle terre da parte degli occidentali ed al tempo stesso togliere ogni possibilità di ritorno agli italiani. I quali avevano, si, perso la guerra, ma avrebbero potuto ripresentarsi con imprese industriali varie. Re Idris governò dal 24 Dicembre 1951 sino al 1 Settembre 1969, quando un ambizioso ufficiale indigeno, il futuro colonnello Gheddafi (allora credo fosse solo capitano) rovesciò il Re e la monarchia per istituire un regime dittatoriale e più apertamente arabizzante, che sta crollando solo adesso. Il nome completo del re era Sidi Muhammad Idris al-Mahdi al-Senussi, era nato a Giarabub (oasi resa famosa nella seconda guerra mondiale per la resistenza di un piccolo presidio italiano, consacrata da un film e da una canzone notissima) il 12 marzo 1890 e morì al Cairo il 25 maggio del 1983. Suo nipote Sayyid Hasan I° di Libia Regnò solo per un giorno e fu appunto detronizzato da Gheddafi. Idris era stato scelto perché era il nipote di Sayyid Muhammad bin’ Ali al-Senussi (o Sanusi), appunto il fondatore della confraternita detta dei Senussi o “Senussiyya”. Essa sosteneva che i mussulmani non dovevano seguire ciecamente le quattro classiche scuole giuridiche sunnite ma dovevano applicare la legge islamica vivendo attraverso il lavoro e cercando di recuperare l’antica “via mediana” dei primi mussulmani. Le tribù beduine trovarono di loro gradimento l’austerità implicita nel messaggio della Senussiyya. La quale combatté decisamente l’espansione francese nel Sahara algerino e l’occupazione italiana della Libia. Forse in un secondo tempo la sua opposizione agli italiani si indebolì ma è certo che contribuirono a questo le nostre dure repressioni della rivolta dei “ribelli” libici (certo non peggiori di quelle esercitate nelle loro colonie dai francesi e dagli inglesi). In ogni caso il regno di Re Idris, accusato da più parti di corruzione e di indulgenza verso i corrotti, credo nella sostanza sia stato fondamentalmente bonario e rispettoso delle persone dei beni dei sudditi e degli italiani che erano rimasti abbastanza numerosi a vivere in una ex colonia su cui avevano versato molto sangue “ribelle” ma nel quale avevano finito col costruire case e quartieri credo ancora oggi palesemente rintracciabili. Re Idris, apertamente appoggiato dai francesi e dagli inglesi che lo avevano posto sul trono, era ovviamente visto come un potenziale o reale traditore delle aspirazioni e della moralità di molti mussulmani. Credo sia stato questo l’argomento fondamentale per giustificare l’insurrezione di Gheddafi che prendeva esempio da quello che era successo a suo tempo, sempre ad opera di militari, nell’Egitto di Re Faruk diventato quindi l’Egitto di Nasser.
Tutti questi antecedenti sono impliciti od espliciti nella attuale rivolta libica? I “ribelli”, si battono per gli eredi di Re Idris (ne esistono e credo siano anche articolati in almeno due rami) oppure issano genericamente la bandiera del regno per sventolare qualche cosa che sia esplicitamente ostile ai simboli del potere del colonnello? Fra l’altro sarebbe interessante stabilire se l’esplicita polemica di Gheddafi contro le repressioni esercitate sui libici dall’esercito italiano (si ricorderà che egli venne a Roma portando sulla tunica la fotografia di un capo libico fucilato dalle nostre truppe) sia stata veramente condivisa dalla maggioranza dei sudditi del colonnello. I quali, durante i circa trent’anni dell’occupazione italiana, avevano finito, almeno all’apparenza, con l’accettare vagamente la nostra occupazione e a collaborare con le nostre forze armate fornendo “zaptié”, meharisti, i primi paracadutisti del Regio Esercito e, almeno agli inizi della guerra, truppe di fanteria. Come è noto fu solo con l’avvento di Gheddafi che i bonari “pieds noir” italiani furono totalmente espulsi.
Sono questi alcuni interrogativi riguardanti questa guerra della Nato, a cui abbiamo fornito una partecipazione al tempo stesso ampiamente articolata ma anche vagamente riluttante, che sembra sempre finita ma che ogni tanto (anche mentre detto queste righe) riprende con rabbiosa determinazione. Fino a che punto giunge la fornitura di armi (quelle di tutti i tipi che si vedono brandite dai “ribelli” non possono essere tutte frutto di materiale catturato al nemico) ? Come si esplica l’opera, assolutamente non esplicita ma largamente prevedibile in termini ragionevoli, dei “consiglieri” anglo-francesi e forse anche italiani? Come si articola il comando delle truppe degli insorti, che apparentemente sembrano in preda ad una grande confusione e ad una totale indisciplina?
Arrivo all’altro argomento di questo breve pezzo, che ho introdotto con il titolo “A fior di pelle”. Proprio di pelle umana intendo parlare, cercando di capire quel che succede con la fulminea diffusione dei tatuaggi. Chi segue in televisione i vari campionati di calcio avrà rilevato che in molti paesi (e segnatamente in Italia) si è amplissimamente diffusa la moda dei tatuaggi per i calciatori. Almeno un terzo di essi, se non addirittura la metà, sfoggia braccia e spesso torsi completamente istoriati da tatuaggi di ogni tipo. Alcuni meramente ornamentali, altri fitti di scritti e di numeri, altri ancora esplicitamente figurativi, con visi umani e simboli disseminati ed a volte colorati.
Che cosa è successo? Credo che la generazione dei Rivera, dei Riva, dei Boninsegna ed anche molti calciatori delle generazioni successive ignorassero persino l’esistenza stessa dei tatuaggi. I quali per molti anni sono stati confinati nelle tradizioni simbologiche delle popolazioni europee (o dei discendenti di europidi nelle varie colonie ed ex-colonie di cui il globo era costellato) al mondo relativamente ristretto della delinquenza organizzata. E particolarmente di quella romanzesca collocazione riservata ai protagonisti più duri ed intransigenti nel mondo del crimine. Penso ai “fort-à-bras”, protagonisti delle più terribili avventure collocate nel mondo della malavita francese. Ovvero all’epica della inane ma fortissima rivolta dei condannati in stile “Papillon”, confinati nelle spietate prigioni e nella severa libertà della Guayana che, dal 1852 al 1951, ospitò la famigerata “Isola del Diavolo”.
Autore kgberger |
Tutto questo mondo pittoresco e spietato, feroce e circoscritto, di colpo si è installato intorno a noi. A che cosa si deve nel mondo occidentale l’aumento senza riserve delle botteghe di tatuaggio un tempo confinate nei “quartieri riservati” delle colonie semi-dimenticate di un tempo? Perché quegli stessi calciatori, che entrando in campo si fanno il segno della croce dopo aver bizzarramente toccato l’erba del prato, scoprono poi decine di centimetri quadrati di pelle che sembrano prelevati dai libri di etnologia di un tempo riservati alle popolazioni “selvagge”?
Me lo sono chiesto moltissime volte, guardando le partite di calcio in televisione, ma l’ho chiesto anche in giro ed a persona di varia conoscenza e non ho mai ricevuto una attendibile risposta.
Mi farebbe piacere, ma forse esigo troppo, che me la fornisse qualcuno dei miei gentili corrispondenti.
10 commenti:
Caro Fava, non c'entra assolutamente nulla con l'argomento di questo suo post, in ogni caso volevo chiderle se è normale secondo lei che io capisca poco o nulla di quello che dice Enrico Ghezzi (so che lei lo conosce da parecchio tempo) quando presenta i film?
Grazie.
Buongiorno, Claudio.
Proverò a indossare per qualche minuto la veste inusitata di critico etologo e di mettere insieme le informazioni che ho trovato -- Wikipedia in primis, "The Illustrated Man" di Ray Bradbury, 1951 (In Italia "L'Uomo Illustrato" tradotto e stampato da vari,) e qualche informazione da rotocalco.
Allora, secondo Wiki, la parola "tatuaggio" deriva dal Polinesiano "Tatau."
"Tau" significa "arrivare alla conclusione", "finire" (qualcosa?) "Tatau" significa sia "giustezza" che "equilibrio." Mentre "Tata" significa "spremere liquido" (da uno straccio o da una pelle intrisa) -- come l'inchiostro che cola dalla pelle durante la procedura del "Pe'a" un tipo di tatuaggio maschile molto doloroso: "Tata" significa anche battere ripetutamente. Originariamente, il tatuaggio veniva trasferito battendo affilati pettini di conchiglia nella carne. In queste minuscole ferite l'inchiostro poi colava, lasciando i pigmenti sepolti sotto la nuova pelle.
I maschi Samoani non ancora tatuati sono chiamati "nudi." Coloro che hanno completato il doloroso processo sono riveriti e rispettati. Mentre coloro che non hanno completato il processo sia a causa del dolore o perché non sono riusciti a pagare il tatuatore, vengono additati con vergogna.
Esistono vari tipi di tatuaggi. Il tipo di cui sopra è legato all'iniziazione, quindi a un passaggio all'età adulta. Ma i tatuaggi hanno una storia davvero antichissima: Se i Romani spesso marchiavano gli schiavi col nome del loro padrone, Oetzi, la nostra mummia del Similaun di cinquemila e rotti anni fa -- pure lui -- aveva dei tatuaggi. Di tipo diverso, naturalmente: punti e linee, per lo più -- che delimitavano la zona lombare, l'anca destra e il ginocchio sinistro. I pigmenti, in questo caso, erano semplice carbone. Che ragione aveva costui di tenersi dei tatuaggi nelle mutande? Vi chiederete. Si pensa che quel tipo di tatuaggio più che un tatuaggio di "coraggio" o un tatuaggio "decorativo," fosse un tatuaggio "terapeutico" ossia "medicinale:" Circondando la zona dolente con formule o simboli, la magia "di guarigione" acquisiva potere contro l'acciacco specifico e diventava così efficace.
I tatuaggi sono vietati in alcune religioni. Probabilmente dovuti al fatto che essi hanno un origine pagana.
Ma veniamo al tatuaggio estetico: Dal neo di vezzo ai maestosi draghi serpeggianti incisi sulle schiene massicce degli Jacuza giapponesi, il tatuaggio diventa forma d'arte che può arrivare a coprire il corpo intero. Ovviamente, nel caso dello Jacuza, è pure simbolo preciso di appartenenza a questo o a quel clan.
Veniamo a Ray Bradbury, che sia ne "L'Uomo Illustrato" che nel "Popolo Dell' Autunno" parla di questo scuro individuo coperto di tatuaggi, che ha la capacità di farli vivere sulla sua pelle, mentre le singole storie da essi raccontati si dipanano di fronte agli occhi dell'ascoltatore / spettatore.
[... continua sotto ...]
[... continua da sopra ...]
Credo che nell'epoca odierna sia avvenuto un recupero della forma estetica del tatuaggio, insieme a un uso più moderno (più personale) della tecnica.
Infatti, sempre più, a fianco dei semplici tatuaggi col nome del proprio cantante preferito, troviamo tatuaggi spiccatamente e creativamente individuali.
A questo proposito non c'è che da sbizzarircisi sopra:
Per esempio, Angelina Jolie sulla spalla ha scolpito le coordinate geografiche dei luoghi di nascita dei suoi figli.
David Beckham ha sulla schiena un angelo protettore con indicati i nomi dei suoi figli.
Megan Fox aveva sul braccio il tatuaggio di Marilyn Monroe, che l'ha ispirata.
Aveva, perché ora se l'è fatto togliere.
Precisamente. Esistono oggi tecniche pressoché indolori e di sicura efficacia per rimuovere i tatuaggi dalla pelle.
In poche sedute, se il pigmento è buono e il tatuatore decente, il tatuaggio viene rimosso completamente.
Rimedio momentaneo all'uniformazione a cui siamo sottoposti -- in cui apparire è spesso essenza -- non c'è dunque più alcun motivo o timore per non sceglierne o inventarsene uno secondo la propria personalità e farselo incidere sotto pelle.
Presto, però, prima anche questo singulto d'individualismo diventi noiosa conformità.
Devotamente suo.
M.
Segnalo un sito interessante -- in inglese -- con numerosi riferimenti a film europei e statunitensi, di successo, sperimentali e della prima epoca cinematografica.
http://oldhollywood.tumblr.com/
M.
Ad altro livello, il godibile riferimento ai tatuaggi mi ha fatto tornare in mente quel personaggio di Infinite Jest di David Foster Wallace: un avvocato ossessionato dai tatuaggi al punto da classificarli, che rilevava il singolare meccanismo del tatuaggio: una eccitazione di fare una cosa irrimediabile, che fa dimenticare il fatto che il tatuaggio è irrimediabile.
Scusate, oggi sono inarrestabile:
Naturalmente ho visto questo bellissimo film quand'ero più giovane:
L'ORCA ASSASSINA, 1977.
Nonostante su IMDB e ROTTENTOMATOES abbia un basso voto, ritengo sia immeritato. Troppo pochi sono i giovani che lo hanno potuto vedere. Ma molti che lo hanno visto, ne sono rimasti affascinati.
http://www.youtube.com/watch?v=OvGYSthroFQ
http://www.youtube.com/watch?v=c_icVqP1ADA
Nella mia infinita ignoranza, ho scoperto solo oggi che la colonna sonora è di Ennio Morricone:
E' facile infatti intuire i temi, seppure più lenti, de "L'Estasi dell'Oro" da "Il Buono Il Brutto, Il Cattivo." Il risultato è una melodia struggente, nostalgica eppure grandiosa nello stesso tempo.
Prodotto da Dino De Laurentiis e Luciano Vincenzoni, su sceneggiatura di Luciano Vincenzoni. Girato a Terranova, credo, e gran parte delle scene artiche invece in una grande piscina, con l'orca, a Malta, sotto il torrido sole.
In "Pane e Cinema" di Luciano Vincenzoni, Gremese Editore, 2005, introduzione di Claudio G. Fava, Vincenzoni stesso riporta alcuni significativi aneddoti riguardo sia la genesi del film che la produzione.
Mi domando:
E' possibile che per realizzare un'opera cinematografica di rilievo, come credo questa sia, ci sia bisogno di persone che sappiano guardare "oltre," di "visionari?"
Quanto spesso è accaduto che uno sceneggiatore visionario, un produttore visionario e un compositore visionario abbiano lavorato alla stessa opera?
Esiste ancora, oggi, la capacità di "vedere oltre?" E se esiste, quante sono le possibilità che si concretizzi nello stesso tempo nei principali creatori dell'opera cinematografica?
Aspettando il giorno in cui, forse, potrò leggere la sceneggiatura originale di questo bellissimo film, il mio sincero ringraziamento:
Luciano. Dino. Ennio. (E Claudio.)
Grazie.
M.
Un ringraziamento va anche a Michael Anderson, naturalmente -- il regista.
M.
Ho dimenticato il pezzo più importante:
Dall' album "Orca," 1977 -- "Dialogue of the Memories" cantato da Edda Dell'Orso, composto da Ennio Morricone.
http://www.youtube.com/watch?v=gwGGiQ8OZhY
M.
Oltre ad essere estremamente interessante,la parte del suo scritto inerente alle vicende libiche ha evocato qualche ricordo cinematografico..."Mahdi" mi ha riportato al kolossal "Khartoum" e al titanico confronto fra Heston/Gordon Pascià e Olivier/El Mahdi ("Fra i miei denti spazio!"),Giarabub...ecco Gassmann/Santenocito nelle "allucinazioni postpartita"(un'immaginaria Italia-Inghilterra all'Olimpico) di Tognazzi,vestito da parà e fieramente a braccetto dei commilitoni che canta a gola spiegata "La fine dell'Inghilterra incomincia da Giarabub".Le foto sulla divisa di Gheddafi...il fiero,indomito Anthony Quinn in "Omar Muktar-Il leone del deserto".E poi lui,Re Faruk,in una foto al tavolino di un lussuoso albergo romano,assieme a Claudio Vlla,elegantissimo ed alla bella e giovanissima Irma Capece Minutolo (malignamente ribattezzata,mi pare da Lucherini,"Capace di tuttolo").Re Faruk che sentenziava,fra un'abbuffata di polli arrosto e una partita a chemin de fer "Rimarranno cinque re : quello d'Inghilterra e i re dele carte da gioco"
Il grottesco,ridicolo "carezzo l'erba e mi faccio il segno della croce" lo inaugurò in Italia non ricordo se Falcao ("L'ottavo re di Roma") o Toninho Cerezo ("Er tappetano") e via tutti gi altri a copiarlo.
Credo che i tatuaggi,lontano dalle popolazioni che ne fanno un rito, abbiano senso in chi ha fatto vita dura o ha l'aspetto giusto : Sean Connery,Amedeo di Savoia,i marinai,i malfattori,i rugbisti degli All Blacks.Mentre l'efebico David Beckham,i nostri pedatori della domenica...per carità.E mi immagino chessò Asia Argento decrepita, fra qualche lustro,che ostenta prima di un'appendicetomia l' angelo sul pube all'esterrefatto chirurgo.
Codiali saluti
Leggendo i diversi post, le diverse interpretazioni che si danno ai Tatoos...Credo che esso faccia parte della nostra cultura in generale. Vero è che principalmente veniva usato nelle antiche tribù (alcune di esse oggi ancora presenti nei continenti) vero è che il suo uso si è tramandato e come tutte le cose che passano di generazione in generazione si è modificato. Oggi il "Tatuaggio" paradossalmente è forse più che mai il simbolo di appartenenza ad una tribù che, nell'età contemporanea, è più facilmente identificabile con l'appartenenza ad una classe sociale ben specifica. Il calciatore, la pop star, l'attore, la teeneger, non possono esimersi dal tatuarsi la pelle. Il gesto in se esprime l' appartenenza ad uno Status (in questo caso alla moda, giovane, spavaldo, forte).
E' interessante vedere come un simbolo nato ai primordi delle nostre relazioni sociali sia mutato nel tempo, ma come del resto è...indelebile.
LmS
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