Le recenti elezioni delle primarie del PD e la vittoria del figlio di Giorgio Doria, apparentemente non ipotizzata dall'autorità centrali del partito, sono stat ee sono all'origine di molti tentativi di descrivere la connotazione politica della mia città.
Vorrei tornare rapidamente su un argomento di attualità (cerco sempre di tener fuori dal Blog riferimenti del genere, ma ogni tanto diventa quasi indispensabile). Ne hanno larghissimamente scritto tutti i quotidiani d’Italia: vale a dire la clamorosa notizia della vittoria di Marco Doria (45.99%) alle primarie del partito democratico contro il 27.50% del sindaco in carica Marta Vincenzi e il 23.60% dell’altra candidata Roberta Pinotti. La disfatta della signora sindaco secondo gli specialisti pone in gioco competenze e abilità della stessa gestione Bersani, che qui esce clamorosamente sconfitta. Quel che mi preme di notare come genovese, è che il vincitore Marco Doria è il figlio di quel Giorgio Doria che abbandonò la sua posizione di “delfino” della nobiltà genovese per iscriversi al Partito Comunista italiano (PCI). I comunisti genovesi lo spinsero sino alla carica di vice sindaco (se ricordo bene con Cerofolini sindaco) consentendogli successivamente di coltivare una decorosa carriera universitaria come specialista di economia. Tutti i genovesi della mia generazione si ricordano bene di Giorgio Doria, che portava la sua presenza ufficiale e ovviamente ostentata di comunista in tutte le cerimonie pubbliche in cui appariva con una impeccabile eleganza di portamento. Avevamo molti amici comuni ma in senso stretto non l’ho mai conosciuto personalmente. Quando mi incontrava aveva l’abitudine di salutarmi con un lieve cenno del capo, un po’ come un principe ereditario. Del resto i suoi amici lo erano stati prima e dopo che diventasse comunista, e spesso si abbandonavano ad affettuose battute proprio su queste clamorose caratteristiche della sua biografia (uno di essi aveva l’abitudine di dire: “Se Giorgio non fosse stato marchese non sarebbe mai diventato vice sindaco comunista”). Ora apprendiamo che questo suo figlio, di cui mi vergogno a dire che ignoravo perfino l’esistenza, segua le sue orme in una decorosa carriera universitaria ed anche nel cammino politico: Giorgio era stato contrario alla famosa dichiarazione della Bolognina e per protestare contro lo scioglimento del PCI si era iscritto al movimento di Rifondazione Comunista (credo che il figlio lo abbia seguito su questa strada). La sua candidatura è stata appoggiata a Genova dal movimento che fa capo a Vendola e in particolare da quello che si riconosce in Don Andrea Gallo, curioso personaggio di sacerdote “da strada”, accanito propugnatore di tesi di estrema sinistra e nello stesso tempo cattolicamente devoto alla sua disciplina di prete.
Tutti questi movimenti possono spiegare, ma non totalmente, il successo del professor Doria. C’è un motivo molto più complesso che condiziona e regge la città. La quale è tradizionalmente una città di sinistra, molto di più di altre clamorosamente collocate in quella destinazione (da Bologna a Milano). Vorrei ricordare che Genova è la città dove, nel giro di un pomeriggio, è caduto il governo Tambroni, ed è sempre quella dove il proletariato organizzato scese clamorosamente per strada alla notizia dell’attentato a Palmiro Togliatti il 14 Luglio 1948. Di fatto (io l’ho visto dalle finestre di casa mia in via XXSettembre) si verificò a Genova l’unico caso di esplicita insurrezione contro le forze dell’ordine dello Stato che abbia avuto luogo in una grande città italiana, in un primo tempo scagliandosi addirittura contro le posizioni attendiste dell’autorità comuniste locali.
Lo dico per ricordare le caratteristiche segrete di quella che è stata una grande città industriale. Fortemente ancorata a sinistra (salvo che in alcuni quartieri borghesi o nelle appendici di Levante come Quarto, Quinto, Nervi eccetera) Genova è sempre stata persuasa di essere una città social-democratica senza sapere di covare in realtà un’anima bolscevica. La quale ogni tanto torna tumultuosamente alla superficie. Mi pare che in questo senso deve scriversi in modo esplicito l'inattesa vittoria del professor Doria, che esce da un lungo limbo di dimenticanza per ricordarci la presenza e la singolare personalità del padre.
Fra le migliaia di parole che sono state scritte in occasione delle primarie genovesi vorrei ricordare almeno una cosa e cioè l’articolo di Aldo Cazzullo, del Corriere della Sera inviato in città per una disamina accurata nelle intenzioni. Il pezzo incominciava in prima pagina lunedì 13 Febbraio 2012 con questa intestazione di rubrica (una città, un Paese e sotto il titolino “Si vive meglio ma conta meno”) il brano iniziava così: “Genova è risorta. Si è ripresa il mare, ha restaurato il palazzi. Non si è mai vissuto così bene, non è mai stata così bella. Peccato che non conti quasi più nulla”, ed il pezzo “girava” poi per due pagine, cercando di illuminare un concetto di base. E cioè che la città usciva di fatto sconfitta dal suo lungo conflitto con Milano. Leggendolo si aveva la sensazione che Ferruccio De Bortoli avesse mandato Cazzullo a Genova un po’ con gli stessi criteri con cui gli Albertini avevano spedito Barzini alla battaglia di Mukden. Rimando al testo per chiarire i concetti di base di una valutazione sostanzialmente accettabile (mi è capitato spesso di dire che Genova è “una ex-città”) in cui si sommano alcuni difetti fondamentali dei genovesi ed altri che sono invece propri della sinistra cittadina, con la sua ossessione di pianificare e di disporre. Resta il fatto che nel giro degli ultimi decenni la città ha perso alcune centinaia di migliaia di residenti e che quella che negli anni ’50 era ancora un’alternativa attendibile al resto del centro-nord (penso alla Confindustria ed alle aziende armatoriali presiedute da Angelo Costa, alla vivacità di un tessuto industriale che andava dal fondamentale scooter della Piaggio alla estrema articolazione di un industria di costruzioni navali elencate a tutti i livelli, eccetera).
Tutto questo mondo è sparito ed è stato faticosamente sostituito da un grande archivio di pensionati e di badanti. Può darsi che la sinistra ne sia orgogliosa.
Tutti questi movimenti possono spiegare, ma non totalmente, il successo del professor Doria. C’è un motivo molto più complesso che condiziona e regge la città. La quale è tradizionalmente una città di sinistra, molto di più di altre clamorosamente collocate in quella destinazione (da Bologna a Milano). Vorrei ricordare che Genova è la città dove, nel giro di un pomeriggio, è caduto il governo Tambroni, ed è sempre quella dove il proletariato organizzato scese clamorosamente per strada alla notizia dell’attentato a Palmiro Togliatti il 14 Luglio 1948. Di fatto (io l’ho visto dalle finestre di casa mia in via XXSettembre) si verificò a Genova l’unico caso di esplicita insurrezione contro le forze dell’ordine dello Stato che abbia avuto luogo in una grande città italiana, in un primo tempo scagliandosi addirittura contro le posizioni attendiste dell’autorità comuniste locali.
Lo dico per ricordare le caratteristiche segrete di quella che è stata una grande città industriale. Fortemente ancorata a sinistra (salvo che in alcuni quartieri borghesi o nelle appendici di Levante come Quarto, Quinto, Nervi eccetera) Genova è sempre stata persuasa di essere una città social-democratica senza sapere di covare in realtà un’anima bolscevica. La quale ogni tanto torna tumultuosamente alla superficie. Mi pare che in questo senso deve scriversi in modo esplicito l'inattesa vittoria del professor Doria, che esce da un lungo limbo di dimenticanza per ricordarci la presenza e la singolare personalità del padre.
Fra le migliaia di parole che sono state scritte in occasione delle primarie genovesi vorrei ricordare almeno una cosa e cioè l’articolo di Aldo Cazzullo, del Corriere della Sera inviato in città per una disamina accurata nelle intenzioni. Il pezzo incominciava in prima pagina lunedì 13 Febbraio 2012 con questa intestazione di rubrica (una città, un Paese e sotto il titolino “Si vive meglio ma conta meno”) il brano iniziava così: “Genova è risorta. Si è ripresa il mare, ha restaurato il palazzi. Non si è mai vissuto così bene, non è mai stata così bella. Peccato che non conti quasi più nulla”, ed il pezzo “girava” poi per due pagine, cercando di illuminare un concetto di base. E cioè che la città usciva di fatto sconfitta dal suo lungo conflitto con Milano. Leggendolo si aveva la sensazione che Ferruccio De Bortoli avesse mandato Cazzullo a Genova un po’ con gli stessi criteri con cui gli Albertini avevano spedito Barzini alla battaglia di Mukden. Rimando al testo per chiarire i concetti di base di una valutazione sostanzialmente accettabile (mi è capitato spesso di dire che Genova è “una ex-città”) in cui si sommano alcuni difetti fondamentali dei genovesi ed altri che sono invece propri della sinistra cittadina, con la sua ossessione di pianificare e di disporre. Resta il fatto che nel giro degli ultimi decenni la città ha perso alcune centinaia di migliaia di residenti e che quella che negli anni ’50 era ancora un’alternativa attendibile al resto del centro-nord (penso alla Confindustria ed alle aziende armatoriali presiedute da Angelo Costa, alla vivacità di un tessuto industriale che andava dal fondamentale scooter della Piaggio alla estrema articolazione di un industria di costruzioni navali elencate a tutti i livelli, eccetera).
Tutto questo mondo è sparito ed è stato faticosamente sostituito da un grande archivio di pensionati e di badanti. Può darsi che la sinistra ne sia orgogliosa.
5 commenti:
Penso sempre, con ingenuità infantile, che chi nasce o vive nelle città di mare non può essere cattivo e neanche indolente perchè il mare ti stimola e ti pacifica: la realtà smentisce quasi sempre questa mia teoria. Ma Marco Doria ( visto anche gli antenati)forse il mare lo ha dentro di se e lo aiuterà a rendere Genova vitale e gloriosa Repubblica marinara e non " archivio di pensionati e badanti" .
Grazie sempre per i tuoi articoli
che fanno pensare e grazie per la loro ricchezza di particolari ed eleganza.
Il padre Giorgio è stato il mio relatore all'esame di laurea. Grande personaggio che ha valorizzato in maniera eccezionale il mio lavoro, lasciato in me un bellissimo ed imperituro ricordo. Fumatore accanito di "Galuoises".
Posso sbagliarmi (nonostante sia tendenzialmente infallibile :-)), ma il destino di Genova non è così dissimile da quello di altre città, Milano inclusa, dove agli anziani italiani fanno compagnia giovsni (badanti e non solo) provenienti dal resto del mondo.
Più che il PCI (e discendenti) è una tendenza demografica.
Fedele, credo, interprete del tipico presumìn genovese, mi permetto una piccola emenda alla notazione di PuroNanoVergine, per dire che Genova nitidamente si distingue nel panorama nazionale: in effetti è l'unica città nella quale sono gli anziani italiani ad acconsentire a far compagnia a giovani provenienti dal resto del mondo, altrimenti privi di guida e prospettive.
Prendo atto della precisazione del Principe Myskin :-)
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