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12 aprile 2012

BOSSI E BIRIBISSI

Ecco un mio modesto tentativo di riflettere sul complesso( o forse semplicissimo) mistero politico rappresentato dalla Lega Nord e sulle esplosive ma quasi goffe caratteristiche del suo fondatore.

In questi giorni (siamo all’8 di aprile mentre inizio a scrivere e al 12 mentre termino) è praticamente impossibile ignorare lo scandalo della Lega. Apre quotidianamente quasi tutti i telegiornali e ha reso famigliare a milioni di persone (è spesso la prima inquadratura di ogni servizio) il nome di Carlo Bellerio. Credo sia stato un cardiologo, ma in internet non ne ho trovato traccia; è comunque la persona a cui è stata intitolata la strada ove è situata la sede centrale della Lega, a Milano. Ormai abbiamo imparato a memoria a riconoscere la targa marmorea della via, tipicamente italiana anche nelle minuscole tracce di sporcizia casuale.
Torniamo alla Lega. Quel che abbiamo appreso in Televisione e che in Televisione abbiamo visto accadere sotto i nostri occhi è, come suol dirsi, al di là del bene e del male. Le apparizioni insieme disinvolte e esterrefatte di Renzo Bossi, suo padre che piange davanti alla folla mentre  impugna il microfono e dice che i suoi figli doveva mandarli a studiare all’estero come ha fatto Berlusconi, l’incredibile volto meteco di Francesco Belsito il quale passa per genovese (mi sento in certo modo legato a quest’uomo da quando ho scoperto che abita via Domenico Fiasella, una strada che fa angolo con il palazzo numero 8 di via XX Settembre dove sono cresciuto ed ho abitato quasi  vent’anni). E poi tutto ciò che si vede e si sente: cose al tempo stesso piccole e banali, volgari ma incerte fra il comico e il tragico, con Maroni che insiste nel dire che deve essere espulsa Rosi Mauro e quest’ultima, fra l’altro vice presidente del Senato, la quale a sua volta insiste nel ribattere che non avendo fatto nulla di male non vede perché dovrebbe dimettersi. E poi tutto il resto: militanti feriti ma in un certo modo desiderosi di poter credere ancora, lotte di Regioni (nella sostanza Lombardia e Veneto) e di Province e di Sezioni, un turbinio di grandi e piccole operazioni finanziarie, pur per somme relativamente non eccelse in cui rientrano anche i costi del dentista per un figlio di Bossi, eccetera eccetera. Un guazzabuglio di minime ma qualche volta anche enormi sciocchezze, tutte articolate all’ interno di un fenomeno che può sembrare buffo, goffo e perfino pericoloso, ma che resta tuttavia uno dei più grandi fenomeni politici italiani dell’ ultimo ventennio. Tutto ci riporta a quel vago malessere che contraddistingueva, senza riuscire né a individuarlo né ad enunciarlo, gli italiani del Nord dal dopoguerra agli anni’80. All’ interno di una unità d’Italia, frettolosamente portata a termine e poi sempre retoricamente celebrata (i festeggiamenti per il 150° anniversario ne sono un esempio tipico) il Nord e il Sud del Paese hanno continuato a baloccarsi con decine di rispettive frustrazioni e di asti reciproci. 
Quelli meridionali si articolavano in una generica irritazione di fronte alla maggior ricchezza, al maggior sviluppo, ed alla maggiore efficienza delle Regioni settentrionali. Una infondata ma determinante forma di compensazione è stata rappresentata per generazioni dalla sistematica ricerca di impieghi statali, para-statali e locali che ha assorbito le migliori energie della gioventù meridionale. Tutti frammenti di una deprecazione per cosi dire ancora minuta e sbiadita fino a che non ha trovato uno sfogo articolato e sistematico nelle aggressive polemiche dei cosiddetti “neo-borbonici”. Basta controllare in internet uno dei loro siti per vedere sino a che punto essi spingono la polemica contro il “criminale” Garibaldi, contro la “spoliazione” delle industrie meridionali da parte degli avidi piemontesi, in difesa dei cosiddetti briganti (si pensi appunto a “Il brigante di Tacca del Lupo” di Bacchelli ed al conseguente film di Pietro Germi) che erano invece onesti e fedeli contadini insorti in difesa della loro terra e della loro autonomia quando non prodi gentiluomini carlisti accorsi dalla Spagna a difendere, come si diceva, “il trono e l’altare”.
Nell’ Italia settentrionale, invece, la scontentezza verso il Meridione si traduceva in una generica irrisione ai modi “eccessivi” del vivere meridionale, alla diffidenza verso il medio burocrate statale quasi sempre del Sud, al fastidio di fronte ad un diverso modo di considerare la “res pubblica” in Piemonte ma ancor più nelle province lombarde, venete e trentine a lungo amministrate (in qualche caso sino alla prima guerra mondiale) dalla silenziosa efficienza della “Duplice Monarchia”.
Tutto questo restava nel vago ma al tempo stesso nel concreto degli uni e degli altri. Fino a quando, per rivendicare la voglia di essere ascoltati e di decidere in proprio, non è nata la Lega Nord. Il paradosso è che rivendicazioni e animosità, che potevano sembrare eccessive o addirittura razziste ma che esistevano in larghissima misura sono state interpretate e tramutate in concreti strumenti di lotta politica ad opera di una persona come Bossi. Contro il quale si appuntavano insistite cronache giornalistiche le quali richiamavano il fatto che egli, studente fuori corso, avrebbe festeggiato due o tre volte una laurea mai ottenuta (io non ho elementi sicuri per affermarlo ma l’ho letto molte volte e non ho mai trovato una smentita formale). Altrettanto dicasi delle sconcertanti celebrazioni con l’acqua del Po e le sistematiche offese a Venezia di una signora che esponeva tenacemente la bandiera tricolore. Non voglio qui concedermi un facile patriottismo ma è fuor di dubbio che, a torto o a ragione, all’ombra di quella bandiera erano caduti decine e decine di migliaia di “padani” ante litteram. Basti pensare a quegli alpini, reclutati in senso orario dalle colline liguri sino alle montagne veneto-friuliane, che si sono lasciati sacrificare con tenacia paesana in una guerra terribile, e che piacquero tanto a Rudyard Kipling nelle sue cronache del conflitto nelle nostre montagne.
Insomma tutta la ritualità e tutta la liturgia “celtica” delle manifestazioni della Lega rivelavano la stessa fantasiosa approssimazione contenuta nella cultura storiografica di Bossi. In uno dei suoi recenti interventi al convegno di Pontida trasmesso in televisione l’ho sentito dire che dalla Destra Storica si passava alle fucilate di Bava Beccaris. Quando come è noto quel che si definisce  Destra Storica va dal Primo Ministero Cavour (1849) a Marco Minghetti (1876) mentre le repressioni organizzate da Bava Beccaris ebbero luogo a Milano nel 1898. Praticamente Bossi ha completamente annullato Rattazzi, Depretis e Crispi, spalmando il bianco su un lungo e tormentoso momento della storia politica italiana.
Sul personaggio e su molti dei suoi sodali si potrebbe insistere a lungo, ricordando le intemperanze di vocabolario e la voluta volgarità paesana di tante manifestazioni, per non parlare dell’ imbarazzante coinvolgimento familiare della moglie e dei figli. Eppure è indubbio che, dopo lo storico impallidirsi delle due grandi correnti di lotta post bellica riassunte nel Partito Comunista Italiano e nella Democrazia Cristiana, probabilmente nessun altro movimento popolare ha raggiunto l’adesione sincera e totale dei militanti rivelatasi nella Lega Nord. Basta ancora oggi vedere in televisione di volti sinceri e smarriti  di così numerosi militanti per rendersene conto. In un modo più complesso e sottile va detto che una potenziale partecipazione all’orgoglio settentrionale c’è stato in tanti abitanti del Nord che pure per la Lega non hanno mai votato. Io stesso che sono prevalentemente ligure con qualche ascendenza basso –piemontese, ho sempre avuto sin da bambino la consapevolezza di essere “un italiano del Nord” o, come si dice ancora a Roma, dell’”Alta Italia”. Pur sentendomi totalmente estraneo alla curiosa mitologia della Padania. Paese come è noto prevalentemente intinto nel burro, fatta eccezione per la raffinata cultura olearia del Garda, mentre io sono cresciuto all’ombra dell’ olio e dell’ ulivo, consapevolezza che semmai ribadisce una naturale affinità con la Provenza e l’ immanenza dell’ Occitania.
Ci vorranno anni e generazioni per spiegarci quello che è veramente successo nell’Italia di Bossi. E quale misterioso processo o di fanatismo o di autentica riscoperta della propria etnologia si è verificata ad opera di un uomo che si tenderebbe a definire ignorante ma che è  stato allevato all’ indipendentismo da quel Bruno Salvadori che, pur non essendo per niente di famiglia francofona fu decisivo nel definire l’ attuale ideologia dell’Union Valdôtaine.
Bossi non lo capirò mai bene ma un giorno o l’altro vorrei riuscirci.

4 commenti:

Rosellina Mariani ha detto...

Come descrivi bene il "guazzabuglio" di Bossi!
Tutta questa situazione , secondo me, è un ulteriore schiaffo all'intelligenza , all'onestà , a chi ama la vita con tutte le sue difficoltà e asprezze e che continua ad amarla lottando con coraggio e ostinandosi a voler essere persone perbene.
Grazie ancora per questo bell'articolo che nutrisce anche la mia anima storica.

Anonimo ha detto...

Dottor Fava,Bossi non si è capito mai neanche lui, come molti politici ha scelto un ruolo interpretandolo alla meglio. Il copione non era certo dei migliori ma l'alternativa era rimanere nell'ombra delle comparse. Senza alcun dubbio la forza della Lega nasce dalla rabbia e/o dall'ignoranza di molti. Se non hai lavoro, se senti di non aver futuro, è molto più facile dare la colpa a chi ti è estraneo (in passato il "terrone" oggi è l'"extracomunitario") e fare parte di un qualcosa. Gli slogan, gli stendardi, le fantasie mitologiche, ci rendono più sicuri delle nostre verità. Una domanda Biribissi cosa vuol dire?
grazie.
Teresa

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Claudio G. Fava ha detto...

Gentile Dr. Fava,

ho letto il suo articolo sul Blog, quello su Bossi e Biribissi.
Sono interessanti, per me, le sue osservazioni e correzioni sulla e all'incerta lettura storica del Bossi e federati (Destra Storica et al). E le sue riflessioni (mi hanno colpito) circa il fatto che anche per me la Padania non è meno comprensibile della Sicilia, a me che sono nata e cresciuta tra le colline del Monferrato.
Ma, forse, questo si può dire di ogni altra cultura e tribù che non ci sia prossima per nascita.

Quanto a me, che mi occupo da anni di tecnologie della comunicazione e di robotica, a me, dico, è incomprensibile che in un mondo così collegato ci si debba riunire in gruppi locali per ritrovare un'identità umana che ho imparato a considerare universale (un peccato della mia inclinazione all'Illuminismo? :-). E di questo ringrazio Internet, l'apprendimento di lingue straniere, le tecnologie digitali, rimanendo un'innamorata del Monferrato dove probabilmente mi ritirerò, in eremitica gioia, tra qualche anno.

La leggo e ascolto (Hollywood Party) sempre con gioia e grande stima.

Cordialmente.

Fiorella Operto