Nel testo che accompagna le immagini e la “recensione” de “L’ultima minaccia” (vedi giorno 03/07/12) ho ricordato che il titolo originale contiene la parla “deadline”, la quale in inglese ha diversi significati, tuttavia in qualche modo affini: "termine non prorogabile" oppure "linea insuperabile" e anche "ora di scadenza”. Quasi per caso, ricercando altri temi, ho trovato una spiegazione più calzante, e più strettamente cinematografica, nel libro di Jacqueline Nacache “Il cinema classico hollywoodiano” edito nel 1996 da “Le Mani” (che per combinazione è lo stesso editore del mio libriccino “Guerra in 100 film”). All’interno di un capitolo intitolato “Hitchcock e il racconto in sospeso” l’autrice, fra l’altro, dedica un ampio frammento proprio all’argomento, scrivendo appunto della “regola della deadline” che definisce, sulla scorta di quanto affermato da D.Bordwell, “una sindrome”, precisando che “è uno dei marchi di fabbrica della drammaturgia hollywoodiana. Ricorda che: “(…) innumerevoli sono i film di tutti i generi nei quali l’intreccio è dinamizzato da un’ ora data/limite, si che si tratti di una rapina a mano armata, vedi Rapina a mano armata, dell’edizione di un giornale, vedi L’Ultima Minaccia, del ritorno di tre marinai in licenza, vedi Un Giorno a New York, di una partenza che si tratta di ritardare o di annullare, vedi Incontriamoci a St. Louis. La “Deadline” può esistere nonostante la sua scarsa visibilità: si consideri ad esempio il momento del ritorno al presente nel caso di un film raccontato sottoforma di flashback. La Nacache ricorda ancora che altri tipi di cinema (e soprattutto il cinema moderno) sempre secondo Bordwell, sono caratterizzati proprio dal rifiuto di imporre un limite alla durata della storia: si veda il trattamento del tempo in Ejzenštein, Ozu, Tati, Fellini, Bergman, Antonioni. La Nacache, dal canto suo, aggiungerebbe i film americani di Murnau, Sternberg, Stroheim…e più tardi i film americani di Lang. “Generalmente” essa precisa “i cineasti europei di Hollywood rivelano spesso la loro originalità nel modo in cui trattano il tempo del racconto”. Infine, conclude l’autrice francese, “nei film di suspense il procedimento della deadline è accentuato sotto tutte le forme: è volentieri ripetuto in diverse sequenze che instaurano deadlines secondarie; i termini di tempo sono più brevi, il tempo viene suggerito nel suo ineluttabile scorrere “il dettaglio del quadrante di un orologio o di un pendolo è di per sé una micro-figura della suspense.”
Mi auguro che queste righe consentano di individuare meglio il sapore, al tempo stesso complesso e perentorio, implicito nel titolo originale in cui alla parola “deadline” si salda la parola “U.S.A.”, così da far capire che il termine ultimo riguarda non solo i personaggi ma addirittura gli interi Stati Uniti, giusto per ricordare che il problema della stampa quotidiana (ed eventualmente della sua crisi) non è un problema singolo, o solamente di questo o quel quotidiano, ma di tutta la stampa americana in generale.
Forse questa precisazione è eccessivamente pignola. Ma, ovviamente, nello scriverla sono stato mosso da una preoccupazione di chiarezza che si lega alla stima, e vorrei dire all’affetto, sempre nutrito, fin da giovane, per il film di Richard Brooks.
1 commento:
Ed ora so, meglio di prima, cosa è la deadline!
Grazie
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