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26 novembre 2012

A DOMANDA RISPONDE

Rispondo qui ai post che mi sono giunti dopo aver messo nel Blog alcuni miei scritti. Lo farò qui di seguito, occupandomi via via di quelli più lontani e successivamente di quelli più vicini. Cominciamo con i quattro commenti che mi sono giunti in occasione della pubblicazione dell' "Osservatore Genovese", ovvero "Visto con il monocolo", in data 07/11/12. Mi hanno scritto Rosellina Mariani (come sempre!), Rita M., Ivana ed Enrico. Ringrazio tutti per la solidarietà. Va detta però una cosa importante. Dopo aver pubblicato sul Corriere Mercantile il breve brano che ho riportato nel Blog, l'ho spedito per Raccomandata 1 al Dottor. Gubitosi, Direttore Generale della Rai. Non avendo ricevuto risposta ma avendo individuato il suo indirizzo  e-mail glielo ho inviato con questo ultimo mezzo. Incredibilmente, nel giro di poche ore, mi è giunta una mail di ritorno in cui lo stesso Gubitosi mi forniva molto gentilmente delle spiegazioni. L'ho ringraziato spiegandogli come si era verificato il caso della "intervista impossibile". Lui mi ha immediatamente risposto autorizzandomi a dare pubblicità all'accaduto. E' quello che farò nella prossima puntata della rubrica del Corriere Mercantile, se non altro per far rilevare una efficiente cortesia, assolutamente stupefacente per chi ha passato 24 anni fra le brusche ed annoiate rudezze burocratiche della Rai. Rimando pertanto i lettori alla breve puntata che al più presto dedicherò all'accaduto nel Blog.
Vengo ora alle due missive ricevute dopo la pubblicazione del "Salvate la Tigre" del 17/11/12. Oltre a Rosellina che evoca Coluche e Cukor, Rita M. mi cita un film del 1956, "Incantesimo" (The Eddy Duchin Story con Tyrone Power e Kim Novak) in cui sarebbero state apportate "intrusioni" correttive nel doppiaggio italiano. Non ne so assolutamente nulla e sicuramente non mi sono mai occupato di questo film. E' curioso che il titolo italiano sia eguale al titolo che ha assunto da noi, "Holiday" con Katharine Hepburn e Caryn Grant, proprio di quel George Cukor prima menzionato. Infine approfitto qui per dar corso ad una richiesta di Rosellina che, a proposito di "Mano pericolosa" (la mia "recensione" era stata pubblicata il 30/10/12) mi aveva scritto che avrebbe voluto leggere tutto il brano di Jacques Lourcelles di cui citavo solo la prima frase. In via eccezionale, considerata l'acutezza dell'analisi del critico francese (personaggio di testa in un famoso gruppo di cinefili parigini chiamati, dal cinematografo di loro elezione, i "Mac Mahoniens") ho provveduto a far "ricopiare" per il computer il testo originale. Non lo farò altre volte, perchè non so quanti lettori del Blog gradiscano leggere in francese, e d'altro lato non ho voluto tradurre il testo in italiano perchè mi sembrava giusto conservare vocaboli e tonalità di quello originale. Approfitto per far presente che quando stabilmente compravo libri francesi (adesso non compro quasi più niente, neppure in italiano, perchè in casa non ho assolutamente più spazio) e poichè non esisteva e non esiste a Genova una libreria specializzata, mentre è molto difficile fare arrivare libri francesi, mi sono sempre servito con piena soddisfazione della "Librerie française" di Firenze ove la gentilissima signora Torricelli (non di Forlì!) cerca di risolvere ogni problema di approvvigionamento. Ricopio qui di seguito l'indirizzo:
 Piazza Ognissanti, 1 rosso 50123 Firenze Tel 055/21.26.59 e-mail: libfranflorence@iol.it

Ed ecco adesso il brano di Lourcelles, che nelle ultime righe rimanda ad una trasmissione televisiva di Antenne 2 del 1982, in cui Fuller spiega come ha ricostruito in studio a Los Angeles la sequenza iniziale del film ambientata nella metropolitana di New York:
 Admirable leçon de cinéma dont chaque plan est marqué par la sensibilité à vif de Fuller, Pickup on South Street est à la fois le plus impersonnel et le plus personnel des films. Il s’inscrit dans la veine documentaire du film noir, c‘est— à-dire qu‘il comprend beaucoup d’extérieurs et décrit une enquête qui pourrait donner lieu à un excellent  un excellent article de journal. Quand il était journaliste, Fuller avait d’ailleurs fréquenté les milieux de la petite pègre représentée ici. Les mérites de Pickup sont ceux d’un bon film d’action, parcouru de surcroît par le frémissement électrique que Fuller impose à tous ses récits : caractérisation aiguë des protagonistes secondaires et même des silhouettes (cf. l’homme s’empiffrant de riz qui vend des renseignements à Jean Peters et saisit avec ses baguettes les billets froissés qu’elle pose sur la table); tempo vif et parfois haletant; utilisation savante de la profondeur de champ et des longs mouvements d‘appareil pour donner à l’action sa juste dose de piment et de réalisme. (Par ailleurs, le baroquisme fullérien privilégie les plans très serrés ou très larges au détriment des plans moyens.) N’oublions pas l’humour, un certain humour sardonique et désabusé qui n’est pas spécifique à Fuller (cf. les films de Don Siegel) et qui a un double effet contradictoire, très fréquent dans le cinéma hollywoodien d’après-guerre : il distancie le spectateur d’un premier degré qui déjà ne fonctionnait plus à 1’époque mais accroche ainsi plus efficacement ce spectateur à 1 l’action en sollicitant sa complicité. Fuller laisse d’ailleurs tomber cet humour quand il juge bon, c’est—à—dire ici au milieu du récit. On jugera de son talent, de sa virtuosité et de son contrôle sur la matière du film au fait que la séquence la plus drôle de l’intrigue et la séquence la plus tragique ont pour protagoniste le même personnage, la vieille Moe (interprétée par la parfaite Thelma Ritter dont les compositions ont été souvent inoubliables cf. Letter to Three Wives‘, The Mating Season de Mitchell Leisen, l951, Rear Window‘: etc.). Dans la première de ces séquences, elle vende Widmark à la police selon tarif habituel. Dans la second séquence, elle se laisse assassiner, veille femme fatiguée, courageuse et intègre à sa façon, appelant la mort comme une délivrance. Passons à l’aspect le plus strictement fullérien du film. Toute l’action est vue du côté de deux rebuts de la société, deux personnages qui ne valent rien selon les valeurs bourgeoises de cette société, et donc traîtres l’un et l’autre à ces valeurs. La ressemblance profonde  qui existe entre Jean Peters l'aventurière et Widmark le pickpocket (passeé trouble, dynamisme et vitalité puissante, situation précaire de survie dans la jungle des villes) rend crédible le coup de foudre qu’ils ressentent l’un pour l’autre entre deux tabassages (ils n'arrêteront pas de se cogner dessus tout au long du film). Le point de vue de Fuller est de montrer une certaine solidarité une certaine intégrité chez ces personnages marginaux, assumant plus ou moins bien leur condition et adeptes à demi conscients d‘une morale qui pourrait en remontrer aux piliers de la société. Personnages décalés, déphasés constamment en déséquilibre entre l’univers des bons et celui des méchants et n’appartenant pas plus à l’un qu’à l’autre, ils permettent à l’auteur d’ exprimer, au sein de son pessimisme: explosif, une vision morale et non conventionnelle du monde. L‘anticommunisme sujet sert de critère pour juger de la relative pourriture des personnages. Ceux qu’affectionne particulièrement Fuller, tel le pickpocket joué par Widmark, se tiennent à la bordure du mal absolu, mais ne franchissent jamais la frontière. Quand ils sont tentés de le faire, leur bon ange les en empêche (scène où J. Peters assomme Widmark). Peut-être parce qu’ils sont les plus exposés, sont-ils aussi — dramatiquement et moralement — les plus attachants. N.B. Selon le désir des dirigeants de la Fox française, les agents communistes furent transformés, dans la version française du film, en trafiquants de drogue. D’où le titre: Le port de la drogue. Remake: The Cape Town Affair, 1967, de Robert D. Webb. Dans une séquence de l'émission de télévision << Cinéma Cinéma >> (du 1-12-1982 sur Antenne 2), Fuller commente à la moviola les premiers plans de son film et indique notamment sont, contre toute attente, des décors construit en studio.

Brano tratto da: "Dictionnaire du Cinéma" di Jacques Lourcelles, Editions Robert Laffont, Collection "Bouquins" dirigée par Guy Schoeller, Parigi 1992.

1 commento:

Rosellina Mariani ha detto...

Bellissima notizia la pronta risposta del Direttore Gubitosi!
Molti di noi che lavoriamo in Rai guardiamo a lui come a una persona perbene, che sta lavorando per una Rai migliore, che sta cercando di risolvere i mille problemi della Rai con il rispetto di chi ci lavora, e l'immediata risposta a te dimostra che non ci sbagliamo( oltre a dimostrare di essere una persona ben educata!)

Grazie per aver pubblicatol'articolo di Jacques Lourcelles: sono molto lontana dal conoscere il francese con la competenza e lo straordinario accento che hai tu , ma siccome quando ero piccola la nonna mi parlava in francese mi è rimasta qualche riminescenza...!