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20 dicembre 2012

A DOMANDA RISPONDE


IL MIO VOLENTEROSO CONTRIBUTO ALLA TORRE DI BABELE

Ho visto che la pubblicazione del testo della mia rubrica sul Corriere Mercantile, dedicato al Festival “Liet International” (e quindi all’esistenza stessa di testi musicali cantati in lingue minoritarie, spesso periferiche) ha destato un vivo interesse in almeno cinque lettori e me ne compiaccio. Rispondo nell’ordine:

1) A Rosellina Mariani. La ringrazio per l’attenzione con cui mi segue sempre. Le faccio osservare che il problema dei rapporti dei dialetti e delle lingue, all’interno delle quali essi sono generati e con le quali irregolarmente si intersecano, è fondamentale nei paesi a variegata connotazione dialettale come l’Italia (in Francia è capitato con una generazione di anticipo). Ed al tempo stesso è eluso nel fondo e nelle apparenze. Ormai milioni di italiani sono stati allevati da genitori, spesso tra loro dialettofoni, nell’uso rispettoso e a volte impacciato della “Lingua” (“non parlate in dialetto ai bambini, se no poi a scuola si confondono”, teoria complessivamente fallace). I bambini una volta divenuti adulti, non soltanto non sanno parlare il dialetto d’origine ma assolutamente non vogliono farlo e molto spesso, consciamente o inconsciamente, si rifiutano persino di capirlo e di ammetterne l’esistenza. E’ un passaggio traumatico, probabilmente inevitabile all’interno di tutte le lingue nazionali e particolarmente accentuato fra quelle neo-latine. Indubbiamente ha portato ad una indubbia generalizzazione della lingua nazionale parlata ma anche ad un sostanziale impoverimento del vocabolario. Infatti (non ci si pensa mai ma credo che sia proprio così) milioni di persone abbandonando il dialetto hanno abbandonato terminologie antiche ed articolate, senza preoccuparsi di “tradurle” in italiano (operazione peraltro difficilissima per mille motivi di lessico). Sicchè, un immenso numero di figli di artigiani, di “colletti blu”, compresi in quella laboriosa classe intermedia collocata fra il proletariato e la piccola borghesia (che forniva gran parte degli “specialisti ad uso familiare”), si sono trovati ad eseguire il mestiere dei padri senza possederne più la terminologia. E’ un fenomeno che mi pare particolarmente avvertibile nell’Italia settentrionale, dove la “diversità” dell’eredità gallo-italica ha conseguenze più profonde e decisive che altrove (con diverse sfumature. Infatti, come è noto, vi sono molte zone del Sud e, nel Nord, il Veneto, ove invece il dialetto, soprattutto a livello proletario e provinciale, continua a conservare una sua assoluta, e spesso determinante, forza colloquiale).

2) Il rilievo di PuroNanoVergine è apparentemente giustificato, ma forse è motivato dal fatto che non mi sono spiegato bene. Volevo dire che l’effetto finale della minuta conservazione delle lingue e dei dialetti (i quali spesso in Italia mutano notevolmente anche a soli 5 chilometri di distanza) finisce con l’affiancare infinite variazioni di lessico e di accento. Con il risultato che è difficile capire e farsi capire. In ogni caso mi pare molto bello riportare qui il testo della Genesi (11, 1-9) che ne ha fatto una realtà universale (Babele, come è noto è sinonimo di Babilonia). Ecco il brano:

« Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro possibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. »

3) Vengo adesso a Rita M. La ringrazio per le sue sagge osservazioni e convengo anche io sul fatto che, dal punto di vista linguistico, un’Italia apparentemente meno colta e più tormentata dalla bipartizione fra lingua e dialetto, era nel parlare e nello scrivere più articolata e sicuramente più rispettosa delle regole della sintassi e delle sollecitazioni della retorica.

4) Ringrazio Giorgio per i suoi complimenti. Ho l’intenzione (l’ho fatto anche adesso) di riportare nel Blog i testi della mia piccola rubrica settimanale sul Corriere Mercantile. Mi fa piacere essere letto a Roma dove ho vissuto 25 anni ed ho lavorato tanto ed a fondo (io facevo parte di quella “frammento” della Rai che non smetteva mai di lavorare).

5) Grazie a Gianni Dello Iacovo per quel che mi scrive a proposito degli “schizzi di un pittore”. Sono decenni che covo in me il desiderio di una grande opera scritta che tramandi giustamente il mio nome. Invece ho scritto migliaia di articoli e ho pubblicato diversi libri (alcuni dei quali anche di discreto successo) ma senza mai giungere a “quel” risultato che potrebbe giustificare un’intera esistenza. Ho  veramente gradito l' evocazione di quel raffinato poeta veneto-italiano che fu Andrea Zanzotto.

Molti saluti e molti auguri a tutti.

1 commento:

Rosellina Mariani ha detto...

Grazie mille per le precisazioni e le notizie, come sempre essenziali
Auguri di Buon Natale e Buon Anno a te e a tutti i lettori del tuo blog.