VISTO CON IL MONOCOLO
Piero Ottone, vecchia gloria giornalistica nostrana, ha una rubrica settimanale, intitolata appunto “Lettere genovesi”, nell’edizione del sabato de La Repubblica-Il Lavoro. Il 16 febbraio, occupandosi della riedizione di un libro intitolato “Stile piemontese” (centrato sulla giusta celebrazione di Giovanni Giolitti e Luigi Enaudi ad opera di quel grandissimo e convulso giornalista che fu Giovanni Ansaldo) Ottone si lascia quasi sfuggire un’esplicita affermazione a modo suo rivoluzionaria: “…la lettura di questi scritti mi conferma più che mai nella convinzione che l’Italia sarebbe oggi un paese diverso, e meriterebbe ben altro rispetto, se dopo l’unificazione lo stile piemontese avesse dato la sua impronta all’intera penisola, e se la capitale fossa rimasta a Torino.” E’ quello che ho sempre pensato anche io, e non vorrei sembrare immodesto annettendomi una testimonianza ben più a sinistra di quanto non possa essere la mia. Io ho sempre avvertito la ferita di quel forzato trasloco del 1864 della capitale da Torino a Firenze, e poi del balzo definitivo che culminò poi nel breve assalto a Porta Pia del 20 settembre 1870. Son contento di non essere solo, persuaso che con la capitale a Torino la storia dell’Italia unita (e anche quella della Fiat!) sarebbe stata totalmente diversa, e sicuramente più seria e meno cialtronesca. Anche se è una nozione storica controllabilissima, sono convinto che molti italiani non sappiano che proprio l’annuncio del trasferimento da Torino a Firenze indusse alla rivolta la pur disciplinata popolazione torinese d’epoca. L’esercitò sparò sui cittadini al punto che il 21 e il 22 settembre del 1864 vi furono 52 morti e 187 feriti. Non se ne parla mai e si tende a dimenticarlo, anche se ho scoperto che il 4 dicembre 1999 il Comune di Torino ha fatto apporre una lapide ove sono accaduti quei fatti crudeli. Io non ho niente contro Roma (vi ho abitato 25 anni e in molte strade di Prati mi ritroverei a casa mia). Ma sono sicuro che sullo sfondo di Torino, fra le caute tonalità sonore del piemontese così diverse da quelle romanesche, molte delle cose che sono accadute non si sarebbero verificate (compresa, per ovvie ragioni, la Marcia su Roma!).
2 commenti:
Forse si è sempre sottovalutato il "tono", la "voce" , il "suono" nella storia(in questo caso come dici tu "le tonalità sonore del piemontese"), il modo in cui le cose vengono dette e quindi vissute..un'altra angolazione per "leggere" la storia..una storia che sarebbe potuta essere diversa se il tono fosse rimasto più "educato" meno cialtronesco...
Grazie per questo bellissimo articolo.
Ho qualche dubbio a riguardo, nel senso che se già con Roma capitale buona parte del sud ha vissuto lo Stato italiano come una creatura marziana, con Torino l'avversione sarebba stata ancor più netta.
Posta un commento