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9 aprile 2013

L' OSSERVATORE GENOVESE


Come ogni settimana pubblico qui il testo della mia rubrica domenicale "Visto con il monocolo". Tuttavia,  invece che sul Corriere Mercantile di domenica 7 aprile, è stato pubblicato, per problemi di impaginazione e di spazio, il lunedì successivo 8 aprile,  nell'edizione che porta tradizionalmente il titolo di Gazzetta del Lunedì.

VISTO CON IL MONOCOLO 

QUEL MILANESE “INTERNAZIONALE”.

In un panorama sinistrato di viventi si direbbe che l’anima segreta dell’Italia si riveli in presenza solo di alcuni grandi funerali. Penso a quello di Roma per Alberto Sordi (rinnovato adesso per Califano), di Torino per Gianni Agnelli e quello, del 2 Aprile, di Milano per Jannacci. Malgrado la mia quasi totale ignoranza musicale posso scrivere qualcosa di Jannacci, che è stato il cantautore da me più amato, evidentemente dopo quello che mi è sempre stato nel cuore, e cioè Georges Brassens. Jannacci (aveva 6 anni meno di me, c’è una logica nei miei ricordi) l’ho visto crescere ed imporsi come interprete di una Milano proletaria e piccolo borghese, ed al tempo stesso crocevia di mode determinanti per tutta un’Italia, che non esiste più. Non solo nei riferimenti di case e strade presumibilmente mutate o scomparse, ma anche in quelli che prendevano le mosse da un’umanità stralunata e divertita. Fitta di personaggi divertenti e divertiti che andavano da Cochi e Renato sino ai grandi jazzisti, stile Livio Cerri, ai fantasisti musicali, tipo i quattro “Gufi” ed ai grandi protagonisti solitari come Giorgio Gaber. Fra tutti forse il più geniale e il più intensamente milanese era proprio Jannacci, nipote di un immigrato pugliese, che riuscì sia a diplomarsi al Conservatorio che a diventare cardiologo (sembra fosse molto bravo). E che soprattutto alimentava in sé un vigoroso empito poetico, capace di attingere splendidamente all’ultima generazione di milanesi che parlava ancora in dialetto. Confesso che quello fu lo Jannacci che preferii istintivamente. Di alcune sue canzoni, raffinate e falsamente semplici, ricordo ancora, io genovese, minutamente le parole milanesi. Ce ne è una che è un piccolo capolavoro e che comincia così: “Quel che sunt drè a cuntav l'è ona storia vera/de vün che l'era mai stà bon de dì de no./E s'eren conussü visin alla Breda/le l'era de Rogored e lü el su no. Un dì lu l'aver portada a vedè la fera/la gh'aveva un vestidin color de tra-sü/disse vorrei un kraffen oh... non ho moneta/Pronti, el g'haa dà des chili e l'ha vista pü.”
Poi Jannacci ha continuato a scrivere canzoni sempre più in italiano, ed io l’ho abbandonato. Ma era un piccolo genio.(Titolo originale:"Il milanese internazionale di Enzo Jannacci").

4 commenti:

Rosellina Mariani ha detto...

Chissà perchè si pensa sempre ( o almeno lo penso io) che le persone geniali siano immortali! E Jannacci un genio lo era sicuramente e con le sue canzoni ha accompagnato la mia vita e le accompagnerà ancora...allora non ho tutti i torti... un pò immortale lo è!!!

Enrico ha detto...

"Ellittico,da buon telegrafista
tagliando fiori
preposizioni
per accorciar parole
per essere più breve
nella necessità
nella necessità.
Conobbe Alba
un'Alba poco alba
neppure mattiniera,anzi mulatta
che un giorno fuggì
l'unico giorno in cui fu mattutina
per andare abitare città grande
piena luci gioielli"
(Enzo Jannacci-Giovanni telegrafista)

Rita M. ha detto...

Davvero una grave perdita per l'Italia, che resta sempre più povera...La sua geniale tristezza, comunque,lo ha già posto nell'Olimpo dei Grandi, fra i quali verrà sempre ricordato!

PuroNanoVergine ha detto...

Ho un ricordo personale di Jannacci cardiologo.
Avevo 7 anni.
Ricovero di 15 gg al Sacco di Milano per una appendicite.
Un giorno, vagavo nei corridoi dell'ospedale, un medico si avvicinò e mi disse di seguirlo.
Mi portò nella cameretta di una bimba che avevo conosciuto, si chiamava Esther, e, con mia sorpresa, mi prestò il suo stetoscopio per auscultare il cuore della piccola.
Quel medico era Enzo Jannacci.