Cari amici,
ecco l'inevitabile brano domenicale della mia rubrica sul "Corriere Mercantile", uscito appunto ieri 26 gennaio. Si tratta di una curiosa esperienza "radiofonica" che ho attraversato in gioventù ed a cui, dopo decenni di oblio, ho ripensato in piena vecchiaia. Non so se nella forzata brevità del testo sono riuscito a recuperare tutti gli stimoli politici e culturali che il tema implica ed evoca.
Mi farebbe piacere ricevere qualche parere dai soliti fedeli lettori.
VISTO CON IL MONOCOLO
QUELLE "LEZIONI" SERALI DELLA RADIO SPAGNOLA
Da giovane vissi per una decina di anni in un posto bello di Genova, il Capo di Santa Chiara: a sinistra Sturla, a destra la squisita baia di Boccadasse. Disponevo di una di quelle radioline d’epoca di notevoli dimensioni, che intercettavano, dal mare aperto, comunicazioni di ogni genere. Una di queste era quella serale della Radio spagnola. Non so perché presi l’abitudine di ascoltarla: l’ultima trasmissione della sera si concludeva sempre con le stesse parole che non ho più dimenticato: “Aquì Radio Nacional de España. Fin de la trasmission. Gloriosos caidos por dios y por la patria, presente! Que viva Franco! Arriba España!” Seguiva l’inno falangista “Cara al sol”: come è noto Franco si era impadronito furtivamente dell’eredità di tutte le svariate destre spagnole (l’erede di Primo de Rivera alla guida della Falange, Manuel Hedillia, inizialmente l’aveva condannato a morte, perché era troppo di sinistra!). Capii anni dopo che ascoltando “quella” radio spagnola avevo vissuto in una duplice dimensione temporale, un po’ come i protagonisti dei romanzi di fantascienza della collezione Urania: allora mi piacevano tanto. Di giorno vivevo negli anni ‘50 italiani, dove i Presidenti del Consiglio andavano da De Gasperi a Segni, sino a Tambroni, e l’Italia viveva una democrazia rinnovata e faticata, ma sostanzialmente libera. Di sera tornavo bruscamente al 1 Aprile 1939, quando ufficialmente terminò la guerra di Spagna con una grande sfilata militare a Madrid, in onore di Franco. Di colpo parole, accenni, concetti, sostantivi e aggettivi mi portavano indietro nel tempo di almeno 15 anni. Mi serviva per imparare lo spagnolo (sotto le dittature la dizione degli annunciatori è sempre nitida e autoritaria) ma soprattutto per collocarmi in una dimensione storica ormai lontanissima dal presente. Mi son reso conto adesso che quell’iniezione serale di retorica post-falangista mi ha fatto capire più cose della Spagna di ieri (e in certo senso di oggi) di quanto potessi sospettare allora. Senza muovere un passo vissi per anni tutte le sere in una Spagna reale ma al tempo stesso immaginaria, come e meglio del corrispondente fisso di un giornale. È un’esperienza minima eppur curiosa…
3 commenti:
"Sotto le dittature la dizione degli annunciatori è sempre nitida e autoritaria": sono anche osservazioni apparentemente incidentali come questa (fulminante nella sua incisività) a rendere particolarmente piacevole la lettura dei suoi pezzi. La seguo da almeno 40 anni, sempre con grande ammirazione.
Della Spagna trovo sconvolgente la voglia di cambiamento negli ultimi decenni. Ancora negli anni Cinquanta viveva immersa, a paragone dell'Italia e del resto dell'Occidente, "in una dimensione storica ormai lontanissima dal presente". Eppure, negli ultimissimi anni, ha cambiato radicalmente la sua fisionomia conservatrice, arrivando per esempio, prima di altri paesi, compreso il nostro, a legalizzare il matrimonio per le coppie omosessuali. Per trovare esempi simili possiamo forse pensare solo alla Gran Bretagna del secondo dopoguerra, ugualmente coinvolta in un processo di incredibile svecchiamento. Grazie per la testimonianza!
Grazie per questo bell'articolo che rende episodi come questo, che possono sembrare "piccoli" e marginali, vivi ed esplicativi di anni che hai la capacità di valutare senza retorica e deformazioni ideologiche e quindi dai al lettore le giuste informazioni.
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