Blog - Crediti


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25 gennaio 2008

Ermanno, al passo estremo (l'ultimo film di Olmi)

Una raffinata, nascosta biblioteca d’alta cultura, a cui sovrintende un anziano Monsignore, bibliofilo colto e appassionato, è sconvolta da un accadimento terribile e inesplicabile: un mattino centinaia di antichi libri preziosi vengono rinvenuti confitti al pavimento grazie ad enormi chiodi. Le indagini consentono di chiarire una incredibile verità: il responsabile è un giovane, promettentissimo studioso di filosofia – prediletto dal sacerdote - che sta per pubblicare un trattato molto atteso dagli specialisti. Nel corso del film “Cento chiodi” lo vedremo procedere alla crudele e folle operazione, rifugiarsi in un ancor ridente ma immobilmente fragile piccolo borgo sulle rive del Po. (siamo, credo, nel mantovano, a Bagnolo San Vito, frazione San Giacomo). E poi gettar via i documenti - ma non la carta di credito, grazie alla quale sarà poi identificato - creandosi rapidamente un rifugio in una diroccata casetta lungo il Po ed ancor più nell’animo degli abitanti. Persone anziane (due soli i giovani, rigorosamente italofoni, fra cui una ragazza che chiaramente proverà per lui un quieto slancio amoroso) abituate a parlar ancora in dialetto ed ad aspettare le misteriose decisioni delle autorità, le quali finiranno poi con lo scacciare tutti i rivieraschi abusivi. Individuato dai carabinieri, sottoposto a vaghi arresti domiciliari, il “professorino” – l’israeliano Raz Degan - che con il trasognato, affettuoso dono dell’esistenza si è imposto ai cuori ed alle menti dei rivieraschi, non tornerà più da loro, malgrado tutti l’abbiano atteso accendendo bracieri beneauguranti nel notte. E comparirà nel nulla della leggenda, rimanendo nei loro ricordi come una sorta di Gesù flebilmente e misteriosamente fascinoso.
Film dolorosamente personale, squisito nella vocazione visuale, grazie alla quale riscopriamo –ancora una volta, come accade da qualche tempo, grazie alle immagini del figlio Fabio - l’Olmi documentarista degli inizi (e di tutta una vita, in certo senso)
evocatore insuperabile di mondi minimi e massimi ma in qualche modo sempre collaterali e paralleli: operai in una diga sull’Adamello, aspiranti impiegati nella Milano del “boom”, ancora operai milanesi in Sicilia, la figura privata e pubblica di Papa Giovanni, poi via via, alla rinfusa -i lungometraggi di fiction di Olmi sono quasi 20, non posso riassumerli tutti - la crisi vitale di un pubblicitario, l’analisi psicologica di una famiglia borghese di Milano, la spettacolosa ricreazione di una cascina bergamasca in un universo dialettale trascorso, vicino ma lontanissimo, sino ad arrivare di recente ad una Cina finto-vera e ad un’Italia in armi nel XVI secolo. Mezzo secolo di meravigliosa solitudine creatrice. Ma anche un senso diffuso di amore per il prossimo. Che in “Cento chiodi”si stempera d’improvviso in una sorta di resa, fra il polemico e lo scoraggiato. In un mondo in cui Dio dovrebbe assumersi le sue vere responsabilità, leggere non serve (“Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico”, dice il protagonista) quel che conta è una sorta di misteriosa vocazione umanitaria.
Conosco Olmi da quasi mezzo secolo e dover registrare questa sua enigmatica fuga in avanti o forse all’indietro (“mai più fiction”, sembra abbia dichiarato,“solo documentari”) mi lascia sconcertato e perplesso. Perfino addolorato.

(da "Clandestino in galleria", "Emme - Modena Mondo", n. 12 dell' 11 Aprile 2007)


2 commenti:

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)

Anonimo ha detto...

good start