Il periodo di Roma fu quello in cui da un lato si consolidava il rapporto fra la Sarfatti e Mussolini, che pure la tradiva quotidianamente e apertamente, e dall’altro si ribadiva l’importanza che aveva assunto la donna nel campo delle arti figurative e della pubblicistica specializzata. Al tempo stesso, si mettevano le basi per un progressivo distacco fra i due, concretatosi poi nella fascinazione esercitata su Mussolini dal Nazismo e nella subitanea accettazione delle teorie naziste da parte del Fascismo. Via via che le cose progredivano ne risentiva anche la relazione fra i due, finché nel 1938 essa non riparò in Uruguay, a Montevideo. Qui, grazie all’aiuto di Raffaele Mattioli, notissimo banchiere che alla testa della Comit era diventato in Italia una vera autorità intessendo rapporti d’ogni colore politico, era già riuscito a sistemarsi il figlio di Margherita, Amedeo. La Sarfatti continuò ad occuparsi intensamente di critica d’arte e rientrò a Roma nel 1947. Ma la società italiana preferì di fatto ignorarla, poiché la sua presenza era imbarazzante. Se da un lato essa riproponeva buona parte della storia figurativa e perfino uniformologica del Fascismo (si diceva che fosse stata lei ad ispirare fregi e orpelli tipici delle divise del Regime), dall’altro era difficile dimenticare che molti dei movimenti che avevano ispirato la pittura italiana durante il Ventennio risalivano a lei. Essa morì nel 1981 in una villa, comprata prima della prima guerra mondiale, chiamata “Il Soldo”, a Cavallasca in provincia di Como, dove si era rifugiata da tempo.
In realtà la Sarfatti rimane un enigma. Così come sua presenza di creatrice e divulgatrice culturale resta fondamentale, così egualmente la sua conversione al Cattolicesimo non fu un modo per sfuggire alle persecuzioni antiebraiche (anche se il realtà non sarebbe servito a nulla), ma risale ai primi rapporti avuti da bambina a Venezia con una istitutrice cattolica incaricata di insegnarle il tedesco. Contribuì molto, sino a metà degli anni ‘30, al “lancio” del Fascismo nel mondo e probabilmente portò dentro di sé questa dolorosa consapevolezza, insieme all’imbarazzo che forse provò sempre confrontando la sua eleganza intellettuale con la furbesca astuzia e l’improntitudine contadinesca che furono essenziali, in Italia ma non solo in Italia, nella formazione del mito mussoliniano.
Fra le testimonianze indirette ma significative sul personaggio-Sarfatti vi sono il romanzo “La notte italiana” di Nicole Fabre, in cui la giovane protagonista, Giulia, diverrà l’amante di Italo Balbo, presentato alla ragazza da Margherita Sarfatti, direttrice di un giornale in cui essa ha trovato lavoro. Altra inattesa testimonianza è quella contenuta nel film “Il prezzo della libertà” (“Cradle Will Rock”, 1999) diretto da Tim Robbins, ambientato nell’Estate del 1937 a New York. In esso, oltre a una miriade di personaggi storici, si ritrova anche, impersonata da Susan Sarandon, la “contessa” Margherita Sarfatti, che vende quadri di contrabbando per finanziare Mussolini…
Nessun commento:
Posta un commento