Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

1 agosto 2013

ESISTE L'ANTISIONISMO DEGLI EBREI

Il 15 Luglio scorso nella rubrica di risposta del “Corriere della Sera” curata da Sergio Romano era apparsa la seguente lettera di un signore che si chiama Franco Cohen e che io trascrivo letteralmente.

I MOVIMENTI PACIFISTI NON SONO SEMPRE PACIFICI

Sono indignato dal fatto che i «pacifisti» si agitino quasi esclusivamente quando si tratta di episodi che riguardano Israele. Viceversa, silenzio assoluto quando si tratta di episodi estremamente più efferati in cui Israele non è coinvolta. Trovo inaccettabile che questi signori scendano in piazza e scrivano frasi virulente contro Israele per l'episodio della nave Mavi Marmara che causò purtroppo la morte di 9 attivisti, mentre nessuna manifestazione di sdegno si dispieghi per episodi infinitamente più cruenti: vogliamo parlare degli 80.000 uomini, donne e bambini massacrati in Siria? Così come nessun sdegno di fronte all'assassinio di un prete copto davanti alla sua chiesa in Egitto. E omertà assoluta di fronte al massacro di 42 studenti cristiani in Nigeria. E si potrebbe citare un'infinità di altri tristi casi simili: stragi in Iraq, lapidazioni in Iran, ecc. Agli occhi di qualsiasi osservatore imparziale risulta evidente che Israele è oggetto di una odiosa discriminazione. Mi sembrerebbe lecito che le persone o i «movimenti» venissero definiti dai media con una definizione appropriata: nel caso specifico non ipocritamente «pacifisti», ma semplicemente «anti-israeliani (e di conseguenza antisemiti).
franco.cohen@yahoo.it,

Ed ecco la risposta di Sergio Romano alla lettera di Cohen:

Caro Cohen 
Il pacifismo di massa risale agli anni Trenta del secolo scorso ed è il risultato dell'impatto della Grande guerra sulle generazioni successive. Film come «All'ovest niente di nuovo», dal romanzo di Erich Maria Remarque, «Westfront 1918» di G. W. Pabst e «La Grande illusione» di Jean Renoir contribuirono, soprattutto nelle grandi democrazie, alla nascita di una pubblica opinione che rifiutava la guerra come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali. Uomini come il francese Aristide Briand e il tedesco Gustav Stresemann (entrambi insigniti del Premio Nobel per la pace nel 1926) ebbero il merito di costruire progetti politici che cercavano di realizzare quegli obiettivi. Sin dagli inizi fu chiaro, tuttavia, che nel pacifismo di massa vi era una componente ideologica. Chi manifestava contro la guerra ne attribuiva la responsabilità alla classe dirigente degli Stati borghesi, capitalisti, autoritari o pseudo-democratici. Il fenomeno divenne ancora più evidente all'epoca dell'aggressione italiana contro l'Etiopia e della guerra civile spagnola. Non furono pochi i pacifisti che corsero ad arruolarsi nelle Brigate internazionali per combattere contro i franchisti.Più tardi, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, i pacifisti trovarono una nuova motivazione ideale nella campagna antinucleare. Ma di lì a poco ci accorgemmo che i loro appelli e manifesti erano firmati da intellettuali comunisti o filosovietici e che Mosca stava facendo del suo meglio per favorire le loro agitazioni. Di fatto, quindi, erano semplicemente contrari alla bomba atomica americana in un momento in cui l'Unione Sovietica non era ancora riuscita a dotarsi della stessa arma.Il fenomeno si ripetè in altre forme e circostanze quando l'Urss, verso la fine degli anni Settanta, cominciò a stanziare nuovi missili nucleari nei suoi territori occidentali. La Nato annunciò che avrebbe fatto altrettanto in cinque Paesi dell'Alleanza e il pacifismo europeo scese in piazza per manifestare, anche violentemente. Ma l'obiettivo della sua indignazione erano i missili della Nato, non quelli dell'Urss.Dietro il pacifismo, quindi, vi è molto spesso un pregiudizio politico, un partito preso, una lealtà ideologica. Non è escluso quindi che dietro certe manifestazioni contro la politica israeliana nei territori occupati vi sia una ostilità preconcetta contro lo Stato d'Israele. Ma la tesi secondo cui ogni critica indirizzata a Israele sarebbe una manifestazione di antisemitismo mi sembra, nel dialogo fra punti di vista diversi, un'arma impropria, quasi un tentativo di chiudere la bocca a qualsiasi interlocutore critico. Non dimentichi che anche nel mondo ebraico il sionismo suscitò una forte opposizione e che gli ebrei critici di Israele sono ancora oggi numerosi.

Il giorno stesso  ho scritto a Sergio Romano la seguente e-mail (ho fatto male ad inviargliela perché tanto lui non mi risponde mai: lo fece solo una volta, privatamente sulla mia e-mail, mandandomi una riga di ringraziamento. Non lo farò più). Come si vedrà dal mio testo, rimasto appunto senza risposta, avevo formulato qualche osservazione e qualche dubbio. Ve lo lascio leggere:

Egregio ambasciatore,

duplice risposta alla lettera di Franco Cohen riguardante pacifisti, anti-israeliani e anti-semiti. Prima osservazione cinefilica: lei cita i film “All’Ovest niente di nuovo” di Lewis Milestone (1930, da Remarque), “Westfront 1918” di G. W. Pabst (1930, da Johannsen) e “La grande illusione” di Jean Renoir (1937, scritto da Spaak e Renoir). I primi due sono belli e chiaramente pacifisti, il terzo è un capolavoro-in assoluto il film che io amo di più- ma dire che è “solo”pacifista significa limitarlo: l’invito alla pace alla fine del film è esplicito. Ma al tempo stesso  Gabin, Dalio, Fresnay e Stroheim hanno combattuto e vogliono continuare a combattere, incarnazione perfetta della rassegnata testardaggine di milioni di soldati della prima guerra mondiale. Seconda osservazione Franco Cohen sostiene che essere anti-israeliani significa di conseguenza essere anti-semiti. Proprio in questi giorni mi sono imbattuto in uno scrittore, Jacob Cohen, tutto dedito alla propaganda anti-israeliana e, credo, ad attaccare i potenziali collaboratori ebrei del Mossad nei vari paesi della diaspora (per entrambi il cognome Cohen, “Sacerdote”, mi sembra tipicamente, e gloriosamente, ebraico). Ma questo secondo Cohen non è solo. Mi limito a ricordare il movimento religioso fondato nel 1938 a Gerusalemme, da ebrei di origine ungherese e lituana, chiamato “Neturei Karta”, (in aramaico “Guardiani delle città”). Sembra conti diverse migliaia di famiglie, inalbera volentieri la bandiera palestinese e si oppone al sionismo, e quindi all’esistenza stessa dello stato di Israele, considerato, nella sostanza una deviazione provocatoria perché, secondo il Talmud, non è possibile creare uno stato ebraico fino a che non venga il Messia della casa di Davide. La diaspora avrebbe infatti le caratteristiche di una punizione divina per i peccati commessi. Anche il secondo Cohen, anche i Neturei Karta, sono anti-semiti? Mi sembrerebbe una conclusione paradossale. 
Claudio G. Fava


immagine di peter
Forse ho sbagliato esordendo con osservazione di carattere cinematografico, (dipende dal mio troppo amore per Jean Renoir) che esulava dal tema fondamentale della lettera di Cohen (Franco), e forse ha distratto l’attenzione di Sergio Romano, il quale riconosce appunto che “gli ebrei critici di Israele sono ancora oggi numerosi”. Ma il problema sostanziale rimane. Forse sembrerò incoerente. Ma esistono, come dicevo nella mia lettera, in Israele ed anche a New York, diversi rabbini estremamente ortodossi nel culto e nel modo di vestirsi e di pettinarsi, che sono rabbiosamente ostili ad Israele e totalmente favorevoli alla causa degli arabi. Sono appunto quei “Neturei Karta” (di cui ho fatto cenno nel mio intervento) i quali lamentano (non so assolutamente se è vero) di subire da parte dei sionisti, e pertanto, credo, dallo Stato israeliano, pressioni di ogni tipo, e addirittura violenze, imprigionamenti e torture. Essi rifiutano di essere definiti “estremisti” e ultra-ortodossi. Sostengono infatti che la proibizione di stabilire uno Stato ebraico (ne parlavo appunto nella lettera a Sergio Romano) è contenuta nel Talmud ove si afferma anche che debbono essere cittadini leali delle nazioni in cui vivono. L’esilio, infatti, avrebbe il carattere di una punizione divina per i peccati commessi e pertanto “non può essere aggirato da politiche di uomini ma solo da preghiera, buona volontà e spirito di penitenza.” In sostanza, secondo i “Neturei Karta”, la terra attualmente occupata dallo Stato di Israele “appartiene a coloro che vi avevano sempre abitato” e cioè i palestinesi, gli ebrei e gli arabi in genere, visto che in quella parte del mondo tutti convivevano pacificamente da secoli. Essi accusano anche lo Stato di Israele di essersi, come dire, drappeggiato addosso un mantello religioso, usando nomi che appartengono al culto per indicare i partiti politici e presentando dei rabbini nelle strutture dei partiti stessi. Pertanto evitano di partecipare alle attività civili israeliane, per cui rifiutano elezioni, assistenza sociale, supporto finanziario, eccetera. Arrivano al punto di rifiutarsi di toccare banconote o monete ove vengono raffigurate immagini di sionisti famosi come Theodor Herzl e Chaim Weizmann, mentre non rifiutano banconote o monete che raffigurano persone da loro considerate più accettabili, come Albert Einstein e Moses Haim Montefiore, famoso banchiere britannico di origine livornese. Un loro esponente, il rabbino Morsche Hirsch, è stato addirittura ministro di Yasser Arafat, appunto per rappresentare gli ebrei anti-sionisti.
Confesso che fino a qualche tempo fa ignoravo praticamente l’esistenza stessa del problema. L’ho appresa quasi per caso, facendo le ricerche sullo spionaggio israeliano,  ed ecco perché la lettera del Cohen italiano mi ha molto incuriosito. Visto che né Romano né Cohen (a quest’ultimo avevo inviato per conoscenza il mio intervento) mi hanno dato retta, mi auguro che qualche lettore del Blog, ancor meglio se ebreo, possa intervenire fornendomi pareri e valutazioni. Il problema di fondo rimane, e rimane quindi da chiarire quale sia il peso reale dei militanti di “Neturei Karta”, sia in Israele che nel resto del mondo. Comunque il fatto stesso che essi esistano dimostra che l’equazione della equivalenza assoluta fra anti-sionismo e anti-semitismo non può essere accettata per ragioni di logica e di buon senso.

Resto in attesa di eventuali illuminazioni o, se del caso, di correzioni.

6 commenti:

SG ha detto...

Eccellentissimo Claudio G. Fava,
non entro nel merito delle questioni da lei sollevate su "La Grande illusione" e il paradosso dell'anti-semitismo ebraico, ma una cosa che trovo piuttosto fastidiosa mi preme dirla. Riguarda il costume tutto italiano dei titoli a vita.
Il signor Romano, a quanto leggo su Wikipedia, ha ricoperto l'incarico di ambasciatore presso la NATO per un periodo di tempo piuttosto limitato, circa tre anni, eppure tutti (lei compreso) continuano a chiamarlo ambasciatore quasi trent'anni dopo.
Per non parlare della quantità industriale di presidenti a vita di qualcosa, dalla bocciofila di quartiere fino alla presidenza della Repubblica.
Non mi risulta, per fare un esempio, che negli Stati Uniti ci si rivolga a Bill Clinton chiamandolo presidente. Sbaglio?

SG

P.S. "Eccellentissimo" è un appellativo onorifico che le spetta di diritto, a mio insindacabile giudizio.

Enrico ha detto...

Ho letto con estremo interesse tutto il lungo e articolato scritto che ci ha proposto.Ignoravo che nello stato di Israele vi fossero tanti e tali contrasti interni.Il "caso Palestina" è intricatissimo e chissà mai se arriverà a una soluzione che accontenti tutti.Istintivamente quello che mi colpisce in occasione di conflitti ed attentati è la letale efficienza dell'esercito israeliano e dei suoi servizi segreti.Un assaggio lo abbiamo nel film "Munich" con Eric Bana.

Unknown ha detto...

Scrissi una volta anche io a S.Romano, che stimo molto e ho avuto il piacere di ascoltare a Milano in una conferenza, riguardo alla Nouvelle Droite di de Benoist, e anche io non ebbi risposta.
E'vero che la complessità del film di Renoir nel testo di Romano non emerge. E forse va detto che il tema del passaggio al "nuovo mondo" (onore di appartenenza alla casta etc.) non è forse inferiore a quello pacifista.
Tuttavia continuo a considerare La Regola del gioco il più geniale dei film di Renoir che ho visto, ma porto sempre nel cuore French Cancan, freschissimo, gaio e un po' malinconico capolavoro sempre troppo poco citato del maestro.

Rosellina Mariani ha detto...

Rimango sorpresa ancora una volta della tua grande cultura! E grazie per questo interessante lungo articolo e per le informazioni che trasmetti. La complessa storia dello Stato di Israele , il legame dei "Neturei Karta" alla loro terra rendono questo argomento particolarmente affascinante.
"La grande illusione" di Renoir rimane per me un film grandioso.
Grazie ancora

bollicine ha detto...

La ringrazio per la notizia...debbo ammettere che la mia ignoranza è enorme...non sapevo assolutamente che potessero esistere degli Ebrei anti-sionisti. Per quanto concerne i giornali...non ho mai provato a chiamarne nemmeno uno, ma facendo una piccola ricerca ho scoperto con meraviglia che, a parte i numeri di telefono per gli abbonamenti e indirizzi mail aziendali (che spesso per esperienza non funzionano) al singolo cittadino non è proprio facile parlare con un giornalista. Una Casta a se? manie di grandezza? Ma...che peccato. Pensavo che colui che sceglie come lavoro l'arte della comunicazione intendesse farlo bilateralmente. Ma ripeto, la mia è un opinione pregna di ignoranza (nel senso che ignoro la realtà dei fatti). Grazie

Anonimo ha detto...

FRANCO COHEN JUDEO zsido KIKEs
$ capitalista sheeple sheigetz shiksa goy