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4 novembre 2013

L'OSSERVATORE GENOVESE

Solito apporto del lunedì mattina: ecco il testo della mia rubrica domenicale sul "Corriere Mercantile". E' un periodo in cui mi occupo del Blog con forzata lentezza, ma in cui mi sto comunque cercando di creare per voi qualche cosa di più corposo della rubrica.
Cordiali saluti a tutti.

VISTO CON IL MONOCOLO

LA ROMA AUTENTICA DI LUIGI MAGNI
Ormai da parecchie settimane ho varcato il confine del primo anno di durata di “Visto con il Monocolo”: rarissimamente, se non in modo quasi occasionale, mi sono concesso citazioni e notazioni cinematografiche (è una specializzazione, chiamiamola così, che ho coltivato per tutta la vita, e non ho perciò voluto invadere i confini della rubrica). Ma oggi voglio fare un’eccezione commemorando un uomo che è morto pochi giorni fa (esattamente il 27 di Ottobre) e che per tutta la sua esistenza è stato appunto un uomo di cinema. Si tratta di Luigi Magni (era nato il 21 Marzo 1928): regista, sceneggiatore e occasionalmente anche autore teatrale e televisivo. In un cinema stabilmente radicato a Roma a partire dagli anni ’30, l’uso del romanesco come “koiné” popolar-furbesca, e la collocazione romana degli sfondi dei personaggi, sono diventati ormai da decenni uno stanco luogo comune del nostro cinema. È una cosa che mi ha sempre profondamente infastidito, anche se credo di aver sempre giudicato il “fenomeno Roma” nel cinema con una certa equità (non per nulla ho scritto un libro, diverse volte ristampato, su Alberto Sordi). Tuttavia ho sempre pensato che in mezzo a tanta Roma e a tanto romanesco d’accatto e di convenzione vi fosse solo un regista (oltre che diversi attori) in cui l’uso del vernacolo e la scelta degli sfondi capitolini apparissero totalmente giustificati. Si tratta appunto di Magni che, nonostante un cognome prevalentemente lombardo, era e si sentiva romano dalla testa ai piedi e pensava in romanesco (anche se poi parlava un italiano molto corretto) ha diretto le cose migliori evocando e rievocando una Roma puntigliosamente anti-papalina, immersa in un uso totale del romanesco. Dal suo primo lungometraggio, “Faustina” (1968) a l’ultimo, “La Carbonara” (2000), passando attraverso “Nell’anno del Signore” (1969); “Scipione detto anche l’Africano” (1971); “In nome del Papa Re” (1977); “Arrivano i Bersaglieri” (1980); “State buoni se potete” (1984); “In nome del popolo sovrano” (1990), eccetera, l’intera sua opera è immersa in questo esplicito gusto rievocativo. Nella sua parola (egli fu sempre con me gentilissimo) Roma era sempre, ma non fastidiosamente, presente.

1 commento:

Rosellina Mariani ha detto...

"Nella sua parola... Roma era sempre, ma non fastidiosamente, presente" Trovo giustissimo questo finale del bel ricordo di Gigi Magni che hai disegnato nel tuo articolo : era proprio così ! L'ho conosciuto quando condusse 6 puntate di "Movie movie" un programma sul cinema minore in Italia di cui ero autrice (insieme a due colleghe) intorno alla metà degli anni 80'(anni indimenticabiliper la televisione e per il mondo!).
Lui , grandissimo regista, accettò quasi per scherzo la proposta di tre ragazze, piene di entusiasmo che amavano il cinema! La sua ironia e , devo dire, la sua bravura resero quel periodo, nonostante la fatica del lavoro, molto piacevole.... !Era romano...e gran SIGNORE!
Grazie per l'articolo.