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10 marzo 2008

Il buon pastore e la verità

Confesso che ho aspettato con impazienza questo film –ambientato in un momento cruciale della storia della C.I.A. e diretto da Robert De Niro alla sua seconda prestazione come regista dopo “Bronx” del 1993 - un po’ come accadeva da ragazzi quando il cinema era uno sconfinato appetito perenne, difficilmente saziabile (la vecchiaia toglie poi l’appetito, in tutti i sensi). Mediocre titolo italiano: “L’ombra del potere”. Parallelo titolo originale: “The Good Sheperd” (letteralmente “Il buon pastore”). Molto più giustificato perché tratto dal Vangelo di Giovanni (10, 11.14-16) che, riassunto, dice “Io sono il buon pastore (…) conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me (…) e offro la vita per le pecore. Ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge con un solo pastore”. Il film rievoca - un appassionato di spy-stories vi ritrova mille filamenti di verità- tanti anni dello spionaggio americano. Dove la vocazione evangelico – protestante della citazione del Vangelo ribadisce la radice culturale da cui la C.I.A. prende le mosse: ovvero le grandi, antiche università della cosiddetta Ivy League (Brown, Columbia, Cornell, Darmouth, Harvard, Pennsylvania, Princeton e Yale), ora rigorosamente non confessionali ma fondate fra il XVII e il XVIII secolo proprio in funzione di confessioni protestanti varie. In esse, nel corso delle generazioni, si sono consolidate tradizioni quasi massoniche nella loro formulazione “segreta”. Particolarmente a Yale, nella snobbissima e macabra Associazione “Skull and Bones” , (letteralmente “Teschio e ossa”). Esiste ancora e ne hanno fatto parte moltissimi membri della classe dirigente “Wasp”, fra cui i due presidenti Bush (George e il figlio George W.) nonché il contendente di quest’ultimo, John Kerry (che però, contrariamente alle tradizioni dell’ambiente Yale, è un cattolico, si dice di lontana origine ebrea). Dunque, a Yale fra le gelide file protettrici dei “Bonsmen” inizia il suo cauto e spietato cammino nel mondo dei segreti il giovane Edward Wilson. Che rapidamente viene avviato nel primo spionaggio americano dopo le opportune segnalazioni nel giro che conta (adocchiato da un ambiguo professore inglese, che ritroverà come ancor più ambiguo insegnante di materie spionistiche) grazie a “Wild Bill” Donovan- qui uno splendido cameo di De Niro col nome di generale Sullivan- personaggio romanzesco ma in realtà veramente esistito. Fu l’uomo di Roosevelt nel mondo dei segreti, a capo dell’OSS (Office of Strategic Service) fondato ancor prima di Pearl Harbour l’11 luglio 1941 (dice Sullivan:“Niente negri, niente ebrei, pochi cattolici, giusto perché io sono cattolico”). Da cui, dopo un iniziale pausa postbellica, nacque, il 26 luglio 1947, la Central Intelligence Agency, la CIA (conosciuta nel mondo dei Servizi, come “The Agency”, “The Company”, “The Corporation”). Il cui motto è, ancora una volta, tratto dal Vangelo di Giovanni (8.32: “e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi”). Wilson è un autentico patriota anglosassone americano, che rinuncia alle amatissime lettere per meglio difendere la patria e impara i rudimenti dello spionaggio dagli inglesi durante la guerra (fra gli insegnanti c’è anche un personaggio ispirato a “Kim” Philby, il futuro supertraditore). E poi, spegnendo via via ogni scrupolo, sempre più lontano da casa, nella CIA prosegue il cammino sino a vivere in persona i tragici errori dello sbarco nella Baia dei Porci a Cuba. Che il film rievoca grazie a uno dei molti flash-back ove si snoda una complicatissima trama personale e collettiva destinata ad aumentare l’ossessione personale del protagonista (che riassume due personaggi veri della storia dell’Agency, James Jesus Angleton e Richard M.Bissell. tormentati da insuccessi e da passioni professionali fumose e ossessive).Splendidamente diretto,sceneggiato da Eric Roth con dedizione ma forse anche con un eccesso di variazioni narrative, il film è magnificamente interpretato (per brevità cito solo il convincente Wilson, di Matt Damon cupo, solitario, via via sempre più maniacale) ed è la dimostrazione che il talento di De Niro regista, eguaglia quello dell’attore, da più di trent’anni al centro di innumerevoli opere.
(da "Clandestino in Galleria", "Emme - Modena Mondo", n. 15 del 2 Maggio 2007)

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