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27 marzo 2008

La posta di D.O.C. Holliday (7.a. puntata)

- LA POSTA DI D.O.C. HOLLIDAY -
A TUTTI - Senza indugi o inutili introduzioni, eccovi subito le lettere , alcune delle quali aspettano da molto tempo, e non solo meritano ma esigono la pubblicazione e, se possibile, una risposta.

Gentilissimo dottor Fava, mi piacerebbe sapere cosa pensa del film "Train de vie". Ma non le sembra che meritasse ben più di Benigni la candidatura all'Oscar? Invece non ne parla nessuno. Grazie !!- LUIS GUIDONI, GENOVA

Ne penso sostanzialmente bene, pur con alcune riserve, e l' ho scritto (a lungo) nelle pagine di "Letture", mensile ove ho da alcuni anni una rubrica di cinema. Ci sono state perfino delle polemiche sulla paternità dell'opera, polemiche nelle quali non vorrei entrare, non avendo elementi di sorta per emettere giudizi. Mi limito al film. Che è opera di un regista ebreo, d'origine rumena, presumo naturalizzato francese, Radu Mihaileanu, il quale ha inventato ( è anche autore unico del soggetto e della sceneggiatura) una storiella che si regge con furbizia sulle stampelle di un gusto del paradosso molto "yiddish". Non è infatti un caso che l'autore dell'adattamento italiano sia quel Moni Ovadia che è diventato da qualche anno, nonostante la presumibile origine sefardita (lo deduco dal cognome) il volgarizzatore quasi ufficiale della cultura ebraica askenazita e della sua tipica lingua, appunto l' "yiddish". Che, come è noto, è un idioma derivato, sostanzialmente, nel secolo VIII, dal tedesco parlato, all'epoca, nelle regioni renane. Lingua in cui, su un tessuto germanico antico, vivono evidentemente anche infiltrazioni dell'ebraico, dell' aramaico, perfino delle lingue romanze cui gli ebrei si sono imbattuti durante le loro migrazioni in Europa. (Naturalmente io semplifico in modo estremo, da profano, l'immenso cumulo di ricerche e di polemiche condotte dagli specialisti in materia). Resta il fatto che per secoli gli ebrei cosiddetti "askenaziti" usarono come lingua famigliare e veicolare esclusivamente lo "yiddish", riservando all' ebraico la sola funzione di lingua liturgia e sacrale (un po' come fanno ancor oggi in Israele gli ebrei rigorosamente ortodossi, quelli che si rifiutano di riconoscere il "diabolico" Stato d'Israele). Al punto che all'inizio della seconda guerra mondiale si calcola che fossero ben 11 milioni gli ebrei per cui l'"yiddish", era l'idioma fondamentale e insieme la lingua franca, utilizzato a fianco delle singole lingue delle nazioni dove essi così vivevano (Russia, Polonia, Paesi baltici, Romania, eccetera, differenziandosi dai cosiddetti "sefarditi" di Grecia e dei Balcani che usavano lo spagnolo del XV secolo).
Ora tutta la trovata di base del film è proprio la "scommessa" di un gruppo di ebrei - pressappoco la metà degli abitanti di uno "shtetl", il tipico villaggio askenazita - che fingono di essere soldati tedeschi (sono quelli che meglio riescono a parlare l'affine lingua germanica senza far sentire il tipico accento "yiddish") incaricati di condurre in prigionia i loro "prigionieri" ebrei, vale a dire l'altra metà del villaggio. E' evidente che tutto si regge su un paradosso totalmente inverosimile e da lì viene il divertimento nell' assistere allo sdipanarsi della vicenda e della "gags", alcune assai ingegnose che la animano. Sino alla conclusione che è paradossalmente felice e si rivela poi invece tristemente realistica, smentendo tutto quel che il film ha detto di follemente speranzoso.
Ebbene, si, lo confesso. Il film, almeno a momenti, mi è molto piaciuto e vi ho trovato dentro uno spiritello amarognolo, uno zampillare furbesco e ambiguamente grottesco di antichi umori di ironia ebraica che gli conferiscono una patina rara nel cinema europeo contemporaneo. Il problema è che esso poggia su una convenzione linguistica. Vale a dire che noi lo abbiamo ascoltato in italiano ed è stato girato in francese (si vede addirittura il rabbino che scrive, e scrive in francese perché il pubblico possa leggere !) ma che il fondamento di tutto è l'affinità linguistica fra l'"yiddish" e il tedesco, su cui si regge il paradosso della trovata di base. In sostanza avrebbe dovuto essere girato in "yiddish", il che per mille motivi è ormai praticamente impossibile. A quanto pare la gente lo ha accettato anche così, ed in fondo è piaciuto ad una discreta parte di pubblico. Il successo mondiale e americano film di Benigni (su cui non vorrei aprire una polemica) ha dei meriti, ma è anche frutto di una abile campagna di marketing, come del resto tanti Oscar….

Nel 1998 ci hanno lasciato, per raggiungere più verdi praterie, Roy Rogers e Gene Autrey, eroi di un cinema western marginale, quello dei "Singing Cowboys". Quale ricordo ha di loro? Lei ci ha parlato spesso di cinema western ma non ricordo di avere mai raccolto un suo giudizio sulla musica western (e sull'affine musica country).Potrebbe essere questa l'occasione !! Un saluto con simpatia. RICCARDO POGLIETTINI -CHIAVARI

Vorrei che rispondessero prima i lettori. Se nessuno scriverà, tornerò sull'argomento la prossima volta.

Condenso qui una gentilissima lettera di un lettore che risponde alla signora Bollo a proposito del luogo ove è ambientato "Racconto d' autunno" di Rohmer.

"..Ho trascorso le mie vacanze estive 1998 in Provenza e zone attigue, trovandomi anche nei posti dove il film si svolge. Ciò che rammento è questo: 1) Magali ha la sua casa di campagna a Bourg-St-Andeol, nell'estremo sud del dipartimento dell'Ardéche. 2) Isabelle incontra l'uomo che cerca di far conoscere a Magali, nel paese di Montélimar, a sud del dipartimento della Drôme. Non ricordo se Isabelle abbia il suo negozio e/o viva Montélimar, so che viene inquadrato un cartello stradale di Pont-St-Esprit ma non ricordo le circostanze. Entrambi questi dipartimenti sono le estremità meridionali della regione Rhône-Alpes, e mi sembra quindi che il film si svolga nella zona a cavallo fra l'Ardèche, la Drôme, il Gard (Languedoc-Roussillon) e la Vaucluse (Provence-Alpes- Côte d'Azur)…"

Mi scuso di avere tagliato il resto ma non c'era più spazio. Grazie, caro amico.
(Da "La posta di D.O.C. Holliday", "Film D.O.C.", anno 7, n. 32, Mag.-Ago. 1999)

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