Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

6 febbraio 2012

RITORNO A DOC HOLLIDAY

Cari amici,
problemi di salute renderanno per qualche tempo più complicata la redazione del Blog. Per ora ho pensato di riprendere l’esperimento che avevo fatto in passato, pubblicando larghi estratti della rubrica di posta “lettere a Doc. Holliday” che alimento da una decina di anni nella rivista Film Doc. Per adesso pubblico qui le ultime cinque puntate del 2011. Non trascrivo ancora l’ultimissima perché è stata appena consegnata e deve ancora essere pubblicata, e mi parrebbe scorretto renderla nota prima che conquisti la sua cittadinanza nella carta stampata.
Ripeto qui quel che avevo avuto occasione di scrivere in passato e cioè che il contatto con le lettere dei lettori, tutte autentiche e senza nessun rifacimento da parte mia, possa costituire un utile termometro delle reazioni del “consumatore medio” di una rivista che ha caratteristiche tutte particolari.
In attesa di riprendere il mio lavoro nel Blog e di portare a termine qualche altra telefonata invio a tutti i miei migliori saluti.

POSTA DOC GENNAIO 2011   
Gent.mo Dr. Fava ,
mi permetto rivolgermi direttamente a Lei perché solo dalla Sua posta del n. 91 di FILMDOC ho appreso degli incontri mensili che si tengono ogni primo lunedì del mese presso Palazzo Ducale del quale ero completamente all’oscuro .
Essendo amante del cinema e quindi desideroso di parteciparvi , potrebbe cortesemente segnalarmi in quale sala essi si tengono , se sono ad invito, se è necessario iscriversi a qualche associazione, insomma tutto ciò che occorre sapere sull’argomento ?
La ringrazio fin d’ora e Le porgo i miei più cordiali saluti.
Marco Giampietro
 

Caro Sig. Giampietro,
gli incontro mensili a cui Lei fa riferimento sono quelli della così detta Stanza del Cinema che si svolge ogni primo lunedì del mese a Palazzo Ducale. Utilizziamo il salone della società di Storia Patria che, se si entra da Piazza De Ferrari, si trova a pochi metri dall’ingresso, sulla sinistra. La manifestazione iniziò 10 anni fa su invito dell’amico Arnaldo Bagnasco, allora presidente di Palazzo Ducale, che si rivolse a me invitandomi ad “inventare” una manifestazione sul cinema, in certo modo analoga a quella da Lui patrocinata riguardante la poesia. Gli dissi che da solo non sarei stato in grado di realizzarla ma che avremmo potuto farlo insieme con i colleghi del Gruppo Ligure Critici Cinematografici. Inventai un meccanismo che è sempre stato rispettato e che ha fatto la fortuna della manifestazione. Da me coordinati due colleghi del gruppo (ovviamente a turno) riferiscono al pubblico sui film interessanti proiettati a Genova nel mese appena trascorso. L’iniziativa ha dato vita ad un gruppo di fedelissimi (anzi, di fedelissime, dato che si tratta in maggioranza di signore) che vengono a Palazzo Ducale con assoluta fedeltà.
L’appuntamento va dalle 17:30 alle 19:00 (ora nella quale dobbiamo restituire la sala alla società di Storia Patria) e la gente arriva con molta puntualità e in anticipo. Quando l’incontro inizia in genere tutti i posti sono occupati. Oltre a questo appuntamento principale(che, ripeto, ha luogo il primo lunedì del mese, in genere da ottobre a giugno) da qualche anno è stato istituito un secondo appuntamento mensile, appunto nel secondo lunedì del mese ove invece di un resoconto delle programmazioni mensili dei cinema cittadini, a turno uno dei colleghi svolge un tema specifico: ad esempio una conferenza su un regista o su uno specifico tema sulla storia del cinema, dove possibile corredato dalla proiezione di un DvD.
Si tratta di una iniziativa che, anche essa, è seguita con fedeltà dal nostro pubblico e ribadisce un legame, animato dai critici genovesi, che non ha eguali in Italia. Al di là di ogni compiacimento localistico, questa è ancora una riprova del fatto che tante iniziative genovesi sono serie e attendibili, anche se la sostanziale indifferenza dei mass media, anche in questo caso, contribuisce a far mancare ampiezza d’informazioni e curiosità di stampa.
E’ un’ iniziativa minima, che tuttavia ha destato e desta interesse in critici di molte città italiane. In nessuna di esse in questi 10 anni c’è stato un gruppo di persone in grado di prendere un’analoga iniziativa.
Mi auguro che queste informazioni possano interessarle e la inducano a venire a Palazzo Ducale per seguire dal vivo, almeno una volta la manifestazione. Spero di avere soddisfatto la sua curiosità e la prego di accogliere i miei migliori saluti.

Claudio G. Fava
(battute 3.444)

FILM DOC MARZO 2011 
Buona sera, sono Rimassa Mauro. Come sta? Spero bene e spero di vederla presto.
Che ne pensa degli Oscar?
Di recente ho visto in tv due film(s) di Clint Eastwood - Changeling e Flags of our fathers - che mi hanno impressionato favorevolmente, specialmente il secondo. A proposito di quest'ultimo volevo chiederle, se lo ha visto, cosa ne pensa e se è  attendibile la ricostruzione di quell'episodio della seconda guerra mondiale.
Cordiali saluti.
Mauro Rimassa

La ringrazio della sua lettera. Le domande sono due. Comincio dalla seconda, che mi sembra la più interessante. Per risponderle ho attinto ampiamente a due fonti: a) Wilkipedia per quel che riguarda la battaglia, evocata nei film “Flags of our fathers” e “Lettere da Iwo Jima”; b) l’ottimo libro su Clint Eastwood del mio amico Alberto Castellano, che lo ha recentemente ampliato e aggiornato arrivando ad esaminare tutti i film sino ad “Hereafter”compreso. Le ricordo che la battaglia di Iwo Jima iniziò il 19 febbraio 1945 e terminò il 26 marzo dello stesso anno (anche se ci vollero altri due mesi per eliminare tutte le sacche di resistenza dei giapponesi). Iwo Jima significa l’“Isola dello Zolfo”, fa parte dell’arcipelago di Ogasawara e si trova a circa 1080 km a sud di Tokyo, a 1130 km a nord di Guam ed a circa mezza strada tra Tokyo e Saipam. L’ostinazione degli americani nel conquistarla era determinata dal fatto che, insieme ad Okinawa era di fondamentale importanza strategica per ospitare i bombardieri pesanti in grado di bombardare il Giappone. Consapevole di ciò i giapponesi vi concentrarono 25.000 uomini (22.000 secondo altre fonti) agli ordini del generale Tadamichi Kuribayashi, nato il 7 luglio 1991 e morto a Iwo Jima il 26 marzo del 1945, data citata in precedenza come termine della resistenza organizzata da parte giapponese (sembra che egli si sia suicidato ma la cosa non è sicura). Complessivamente le forze assalitrici americane, comandate dal famoso ammiraglio Raymond A. Spruance, ammontavano a circa 100.000 uomini, fra cui almeno 70.000 Marines, appoggiati da una imponente forza aereonavale. Il generale Kuribayashi, che sembra fosse persona di valore (era stato vice addetto militare a Washington; per due anni viaggio attraverso gli Stati Uniti portando a termine un’ampia ricerca militare e industriale e fu anche per un breve periodo studente ad Harward) impostò lo scontro come un’ imponente battaglia di logoramento. Allontanata la popolazione civile egli fece scavare un complesso sistema di gallerie. La battaglia durò un mese e mezzo e fu terribilmente sanguinosa: la guarnigione giapponese venne quasi completamente annientata (i prigionieri furono solo 1.083). Dal canto loro gli americani ebbero un alto numero di uomini fuori combattimento, circa 26.000. Sostanzialmente mi sembra che Clint Eastwood abbia cercato di restituire quell’immane tragedia nel modo più attendibile. Si fece tradurre dal giapponese molti libri riguardanti il generale Kuribayashi, trovando anche una raccolta di lettere dello stesso generale. Come è noto globalmente la reazione della critica italiana e straniera è stata ampiamente favorevole a questo film, forse ancor più di quanto non lo sia stata nei confronti del precedente “Flags of our fathers”, che racconta la stessa battaglia dal punto di vista degli americani e di cui “Lettere da Iwo Jima” è la logica e schiacciante conclusione. Mi sono soffermato su questo secondo film proprio per un logico processo d’integrazione. Mi pare che anche “Changeling” meriti la stessa rispettosa attenzione, ma qui non ho più spazio per occuparmene come si dovrebbe.
In un'altra occasione avrò lo spazio per rispondere alla sua domanda sugli Oscar, premio “sindacale” al quale ritengo che in Europa si conceda troppo spazio. Personalmente mi compiaccio del risalto dato a “The King’s Speech”, clamoroso riconoscimento non solo dell’eccellenza del cinema britannico ma anche della convincente autorevolezza della lingua inglese quando è pronunciata da inglesi (o affini).
(battute: 4.000)

FILM DOC LUGLIO 2011
Nell’ultimo numero avevo risposto ad una lettera di Mauro Rimassa. Per motivi di spazio non ho risposto alla sua richiesta di fornire un parere sui premi Oscar. In particolare egli si riferiva alle ultime statuette assegnate nel 2011, ma mi limiterò a specificare quel che penso sull’argomento.
Nella prima edizione vennero assegnati due Oscar distinti, uno per il miglior film ed uno per la miglior produzione artistica. Dal 1929 si designò solo il miglior film con un'unica statuetta. Con l’andar del tempo venne completato l’elenco dei premi. Oltre a quelli per il miglior attore, la migliore attrice e il miglior regista, che esistevano sin dall’inizio,  dal 1936 sino quasi ai giorni nostri vennero aggiunti molti altri premi specifici, compreso quello per il miglior film straniero che in realtà è il miglior film in lingua non inglese.
Per quanto ne so io il regolamento degli “Accademy Award” prevede due turni di votazione. Il meccanismo funziona così: i circa 6000 membri attivi ricevono schede di votazione e promemoria riguardante i film ammissibili al concorso per data di uscita. Dato che ogni socio è iscritto in una delle numerose specializzazione di appartenenza (regia, sceneggiatura, direzione della fotografia, scenografia, musica, montaggio, disegni animati, sonoro e montaggio del sonoro, eccetera) in una prima tornata egli vota per il migliore della sua categoria, con alcune eccezioni. Ad esempio nella categoria del miglior film tutti i membri hanno subito diritto di voto per scegliere i candidati alla vittoria. In una seconda votazione egli può esprimersi nell’ambito di quasi  tutte le categorie. Si formano così le cosiddette “nominations”, che sono da tre a cinque, fra le quali sono scelti i vincitori, svelati soltanto la sera delle premiazioni. Come si vede è un regolamento di un tipo quasi “parlamentare” che riesce a consacrare i pareri della maggioranza, secondo un criterio rigidamente democratico. E’ ovvio che l’alto numero degli aventi diritto al voto e il carattere specialistico delle diverse categorie non garantiscono che tutti i soci riescano a vedere tutto, anche se credo che ultimamente ad essi vengano forniti DvD in tempo utile. E’ ovvio che il voto di categoria forma una iniziale base di schede in cui giocano in modo decisivo le diverse specializzazioni mentre un sapore più collettivo si riflette nei voti per il miglior film. Come si vede è un tipo di premio quasi sindacale, che sempre riflette le opinioni più diffuse nell’ambiente del cinema hollywodiano, ma che manca di quel carattere specificamente astratto pur essendo meno professionale, tipico delle giurie formate da critici. Non è un caso che un premio di categoria (ad esempio quello dei giornalisti specializzati di  New York, Los Angeles e Boston) generalmente assegnato poco prima della consegna degli Oscar, finisca spesso con l’assumere un carattere ammonitorio ed indicativo.
E’ evidente che in presenza di un meccanismo così complesso e con un numero così alto di votanti, si comprendano le motivazioni di molti premi e in diversi casi l’assenza di film che con l’andare del tempo si riveleranno importanti ed a volte decisivi. Il che rende in certo modo fragili gli stessi Oscar ma, forse proprio per questa ragione e perché gli “Accademy Award” sono attribuiti nella patria stessa del Grande Sogno Cinematografico americano, essi sono divenuti un simbolo determinante nel mondo del cinema e dell’esercizio cinematografico. I premi in genere influiscono in modo notevole sugli incassi. Ad esempio in Italia, ma credo anche negli Stati Uniti, è un fenomeno corrente vedere che un film, ormai già distribuito nei locali e poco compensato dal pubblico, inaspettatamente vince  un Oscar importante e viene immediatamente riproposto in uno o più locali con forte pubblicità specifica. Ecco perché, pur col massimo rispetto per i votanti che rappresentano in un certo senso la crema professionale del cinema americano, io tendo a non dar troppa importanza a questo premio. Che è più il frutto di una specifica tendenza collettiva di un mondo di professionisti più che quello  di un meditato giudizio. Non è un caso che l’anno dopo l’assegnazione (accade anche con Cannes e Venezia) quasi nessuno ricordi più i titoli dei film premiati…
(Battute 4.255)

FILM DOC SETTEMBRE 2011
Gentile Dr. Fava,
mi permetto disturbarla per poter beneficiare, ove Lei sia consenziente, della Sua vasta cultura cinematografica.
Io sono un vecchio appassionato di cinema, e negli anni ho accumulato nei ricordi centinaia di pellicole Ora, passata la soglia dei 70, mi capita di perdere i riferimenti di scene e sequenze di film, ancorchè vecchi....
Il mio attuale cruccio riguarda una piccola sequenza di un film americano.
In realtà ero convinto che facesse parte de "Il cacciatore" di M.Cimino, ma rivedendolo recentemente sono andato in crisi: quella scena non c'è!!!
Da qui la mia ricerca del titolo del giusto film a cui si riferisce, che finora, fra amici e conoscenti, è risultata vana!
Le descrivo la sequenza:
Un gruppo di amici (4 o 5) esce dal lavoro (o da un pub) e si infila in una auto americana con capote. Il tempo atmosferico è pessimo: neve e gelo dappertutto.
Tuttavia il conducente della vettura, sembra il più buontempone di tutti, apre inopinatamente la capote esponendo gli amici al gelo esterno. Naturalmente fra le energiche proteste dei medesimi!!!
Qui finisce il ricordo. Le sarei oltremodo grato se potesse darmi lumi.......
La saluto cordialmente
Alberto De Santis

 
Caro De Santis,
mi arrendo. Ammesso e non concesso che io sia titolare di una vasta cultura cinematografica (lo dice lei) non son proprio riuscito a capire di che film possa trattarsi. Ho girato la sua e- mail a Renato Venturelli che, per doveri professionali e per maggiore baldanza di età, vede molti più film di quanti non ne veda io, ed anche lui si è arreso immediatamente. In sostanza il vero, o supposto, frammento di film a cui lei fa riferimento è al tempo stesso minimo e fugace: neve e gelo, auto americana con capote, quattro o cinque amici che si infilano all’auto, il conducente buontempone che apre la capote fra le proteste degli altri…Il suo desiderio di identificare il film è moralmente comprensibile ma tecnicamente arduo e forse impossibile a soddisfarsi. Non riesce a farsi venire in mente qualche piccolo particolare collaterale? Non so, ad esempio da che tipo di casa escono gli amici: se è in pub ci sono insegne luminose? Se è una casa, è piccola e monofamiliare, come lo sono spesso i “villini” in cui risiedono milioni di americani, quali sono le sue caratteristiche? Un giardino grande o piccolo? Giocattoli infantili abbandonati nell’erba, appunto come si vedono spesso nei film d’oltre oceano? (è vero che per abbandonare i giocattoli sotto la neve ci vuole una famiglia particolarmente disordinata, il che potrebbe essere un indizio narrativo). Se lei non riesce a fornire dati più circostanziati, credo che dovremmo arrenderci. Francamente, al di là della piacevole follia contenuta nella sua domanda, l’unica mia speranza consiste adesso proprio nella pubblicazione su “Film Doc”.
Spero che qualche lettore dotato di memoria ferrea possa venirci in soccorso e che altrettanto possano fare i colleghi del gruppo critici di Genova e, più largamente, i frequentatore della mensile “Stanza del cinema”, che io normalmente dirigo a Palazzo Ducale ed a cui girerò la sua, mi conceda, bizzarra e simpatica richiesta. Si tratta di un nucleo, consolidato ormai da una decina di anni, fra cui sono numerosi i frequentatori abbastanza regolari di cinematografi. C’è solo un problema, al tempo stesso favorevole o sfavorevole… Anche loro, molto spesso hanno passato, come lei, la soglia dei settant’anni (si figuri io!), per cui la loro memoria dovrebbe esercitarsi su un tempo e una programmazione molto ampi, con gli impliciti vantaggi e svantaggi, che la cosa implica.
La sua domanda fa nascere un interrogativo di fondo sull’esattezza, della memoria cinematografica. Credo che tutti noi abbiamo sperimentato, nel corso del tempo, la labile consistenza delle immagini di film che ci restano in mente. Ad esempio, a volte ne aboliamo letteralmente alcune fondamentali, altre volte invece ne inventiamo altre della cui esistenza siamo persuasi e che invece non sono mai state girate.
A presto…

Claudio G. Fava
(Battute 4.000)

FILM DOC DICEMBRE 2011
Egregio dott. Claudio G. Fava,
in questi ultimi tempi sta crescendo sempre più quello che chiamano "culto" di Audrey Hepburn. "Colazione da Tiffany" è diventato un capolavoro,  la Hepburn è diventata quasi il simbolo della femminilità al cinema, addirittura scavalcando - dicono sui giornali - Marilyn Monroe.  Che ne pensa?  Le sembra giusto?  Era una grande attrice o una donna molto elegante?  Io appartengo ancora alla generazione per cui la grande Hepburn era l'altra, Katharine, che invece ormai non ricorda quasi più nessuno.
La ringrazio molto se vorrà rispondermi e le porgo i miei migliori saluti.  
Amalia Ricci – Genova


Cara Signora anche per me la “vera” Hepburn è Katharine. Posso dire di aver acquistato un merito particolare dedicandole alla Rai un ciclo specifico, che a suo tempo ebbe molto successo, e per il quale posso anche vantarmi di avere scoperto un piccolo gioiello inedito: “Amore tra le rovine” (1975), interpretato dalla stessa Katharine e dall’eccellente Laurence Olivier e diretto nientemeno da George Cukor! Il titolo era stato sistematicamente trascurato dagli importatori perché all’origine era un TVFilm. Ciò detto riconosco volentieri non solo l’inattesa fama attuale di Audrey Hepburn fra le ragazze ventenni (si pensi, per cogliere il divario di generazioni, che essa era nata a Bruxelles il 4/05/1929 e morì in Svizzera, a Tolochenaz, il 20/01/1993) ma anche i suoi notevoli meriti. Nata in Belgio, da padre inglese e da madre olandese di origine aristocratiche cresciuta nei Paesi Bassi, si trasferì da ballerina a Londra nel 1948, cominciò a fare del cinema, si mise in luce in teatro, reggendo per sei mesi a New York le repliche di “Gigi”, tratto da un romanzo di Colette. Aveva ventitre anni, e almeno sette presenze cinematografiche,  quando si sottopose ad un provino per “Vacanze romane”, che William Wyler doveva girare a Roma. Il grande regista la scelse a preferenza di Elizabeth Taylor, e il film fu, a fianco di Gregory Peck, un successo mondiale, imponendo la presenza decisiva di Audrey nel cinema di maggior richiamo. Non a caso l’anno dopo Audrey fu la protagonista di un altro film di enorme esito (a fianco di Humphrey Bogart e William Holden ) e cioè “Sabrina”(nome proprio che divenne un successo mondiale!) diretto dal grande Billy Wilder. Fu la sua definitiva consacrazione a diva internazionale, imponendo con questi due film un personaggio di ragazza, sia altolocata che di modeste condizioni, destinata a diventare un modello femminile per generazioni e che, come la stessa lettrice rileva, esercita anche oggi un grande fascino su ragazze di un'altra epoca. “Colazione da Tiffany” (1961) non sarà un capolavoro ma certamente l’attrice è pienamente all’altezza dell’elegante regia di Blake Edwards. Del resto in quasi tutti i film in cui ha lavorato Audrey ha dimostrato duttile eleganza di recitazione e autentico talento ora comico ora drammatico. Penso a molti titoli tipici della parte centrale della sua non lunga carriera. Ad esempio “Guerra e Pace” (1955) di King Vidor, “Arianna” (1957) ancora di Billy Wilder, il drammaticissimo “La storia di una monaca” (1959) di Fred Zinnemann, il western “Gli inesorabili” (1960) di John Huston, “Quelle due” (1961), ancora di William  Wyler, “Sciarada” (1963) di Stanley Donen. “My Fair Lady” (1964), di nuovo di George Cukor, “Due per la strada” (1967) ancora di Stanley Donen, “Gli occhi della notte” (1967) di Terence Young, eccetera. Si sposò due volte, una volta con Mel Ferrer e l’altra con il medico italiano Andrea Dotti, ebbe due figli, uno per matrimonio. Via via che rallentava l’attività cinematografica aumentava quella di ambasciatrice straordinaria dell’Unicef. Morì di un cancro al colon e fu sempre una gran signora. Quando abitava a Roma io inclusi “Vacanze romane” in un ciclo e la invitai a partecipare alla presentazione. Rifiutò ma dopo la proiezione mi mandò un gentilissimo telegramma di ringraziamento. Cosa rara in un ambiente facilmente incline al cinismo.

Claudio G. Fava
(battute 3.997)

2 commenti:

Davide Barranca ha detto...

Carissimo Fava,
spero che i suoi problemi di salute si risolvano quanto prima, le faccio i miei migliori auguri!

I suoi interventi sono tutti una meraviglia di eleganza, come peraltro commentava qualcuno poco tempo fa.

Grazie di tutto e speriamo di riaverla qui presto!
Davide Barranca

Rosellina Mariani ha detto...

Caro Claudio,
riprenditi presto perchè i tuoi articoli sul blog sono per me( e per molti ormai)un atteso appuntamento!
Grazie per aver parlato di Audrey Hepburn : amo molto i suoi film . Forse , come dici tu, "Colazione da Tiffany" non è un capolavoro, ma io non mi stanco di rivederlo per l'eleganza e la capacità di trasmettere eleganza,spontaneità e sincerità della Hepburn. In " Vacanze romane" Audrey è veramente indimenticabile!
Il fatto poi che la Hepburn stia diventando un "cult" fra le ventenni mi fa ben sperare per il futuro! Forse l'eleganza, la semplicità, il sorriso, la spontaneità non sono valori destinati a scomparire in un mondo così violento e arrogante!
Grazie sempre.