Come ormai è diventato un'abitudine pubblico qui, come sempre nella speranza di interessare qualche lettore, la più recente puntata, e cioè quella di domenica 9 dicembre, dalla mia rubrichetta sul "Corriere Mercantile". Auguro a tutti buna lettura e, ancor più, richiedo a chi usufruisce abitualmente del Blog di farmi sapere che cosa pensa della rubrica. Voglio dire : se fossero lettori del "Corriere Mercantile" si soffermerebbero su "Visti con il monocolo" o lo salterebbero a pie pari? Non riesco a capire se gli argomenti che, via via, ho scelto fino ad ora (e che, francamente, mi hanno interessato) presentino qualche motivo di curiosità e di attenzione anche per qualche lettore.
Mi auguro di ricevere risposte e invio a tutti i miei saluti.
"Viviamo
nel mistero delle lingue e non ce ne accorgiamo mai"
Ho letto per caso
notizie inattese sul festival musicale “Liet International”, nato dodici anni
fa in Frisia. Presumo nella parte frisona dell’Olanda, visto che in una
provincia il frisone è lingua ufficiale al pari dell’olandese mentre in Germania
è riconosciuto come lingua minoritaria (ha affinità con lo “Scots”, parlato
nelle “Lowland” della Scozia, e con il basso tedesco). Sembrano precisazioni
inutili ma servono a far capire che la vocazione del “Liet International” è
quella di dare sfogo musicale a tutte le lingue minoritarie d’Europa, ancor più
di quelle nazionali schiacciate dall’uso dell’inglese come idioma
internazionale della musica. Il festival cambia sede ogni anno: l’edizione del
2012 ha luogo in una città del golfo di Biscaglia che si chiama Gijòn in
spagnolo e Xixòn in asturiano. Vi sono rappresentati testi e cantanti di tutte
le lingue “secondarie” d’Europa: non solo, suppongo, il basco o il gaelico ma
anche idiomi ancor più sconosciuti come il sami e l’udmurti. Ho controllato in
internet: si tratta di due idiomi
ugro-finnici, il sami parlato da circa 75.000, persone dette anche
Lapponi, divise fra Svezia, Norvegia, Finlandia e Russia; l’udmurti da più di
600.000 persone che vivono nella Udmurtia, repubblica autonoma russa, collocata
ad ovest degli Urali. Nell’edizione di questo anno, come sempre contrassegnata
da una ricerca dell’avanguardia musicale, vi sono anche due esponenti italiani:
due (suppongo friulani) vengono da Udine ed uno rappresenta chi canta nella
lingua catalana parlata (ormai minoritariamente) ad Alghero.
C’è qualcosa di
patetico in questo sforzo, forse disperato ma certo toccante, non solo di
tenere in vita meravigliose lingue locali che vengono via via rosicchiate dall’uso
delle lingue nazionali e, ancor più, da quello ossessivo dell’inglese, ormai
“koiné” musicale diffuso nell’universo mondo. E al tempo stesso c’è la
manifestazione di come viviamo in un universo di lingue soggette, senza che noi
ne siamo consapevoli, ad una continua erosione ed a una continua
trasmigrazione. Ogni qual volta apriamo bocca facciamo mutare qualcosa intorno
a noi.
La Torre di Babele
continua, nei secoli, a conservarsi terribile e affascinante.
Claudio G. Fava
(battute 2.199)
5 commenti:
Non vorrei sembrare monotona nè a te nè ai lettori del tuo blog nel dirti che anche questo articolo mi ha molto interessato. Il fatto è che io non riesco ad essere complimentosa, ma sincera .Anzi a volte fin troppo nel caso contrario ( quando cioè una cosa non è di mio gradimento).
Scusa la divagazione.
L'articolo mi ha interessato perchè ho sempre considerato i dialetti ( la lingua originale)fonte di cultura e un ponte con il passato che si rinnova ogni volta che lo ascoltiamo ( o lo parliamo) .Insomma una specie di cordone ombelicale o meglio un ciclo continuo fra quello che siamo e quello che siamo stati e quello che saremo : per questo secondo me la lingua originale non va mai persa : è fonte di cultura.
Grazie mille
Se ho compreso bene l'articolo allora il finale, con il riferimento alla Torre di Babele, è errato, perché il tentativo (senza speranza?) di mantenere viva una diversità linguistica dovrebbe essere l'esatto opposto di una Torre di Babele.
In ogni caso i suoi articoli sono sempre interessanti (per contenuto e per l'elegante forma).
Sì,l'articolo è decisamente interessante, perché induce a riflettere sulla straordinaria mutevolezza del linguaggio e sulla talvolta accorata resistenza dei parlanti le lingue "minoritarie". E' sempre stato così, ma oggi lo schiacciante ed incontrastato dominio dell'inglese fa presagire scenari ancora più "apocalittici": riusciranno i difensori degli idiomi locali a conservarne nelle generazioni più giovani perfino la memoria? Su scala ridotta, lo stesso problema si pone per i dialetti italiani: quanti adolescenti di oggi sono in grado di comprenderli? Si dirà che i teen agers misconoscono l'italiano standard: anche questo è in parte vero, e fa tristezza pensare che, un tempo, eravamo in condizioni di bilinguismo perfetto, dal momento che una persona istruita padroneggiava l'italiano, ma intendeva senza problemi anche il dialetto della propria zona. Grazie per l'occasione offerta di riflettere su questioni così importanti.
Mi aggiungo a scriverLe anch'io , che non ho mai fatto prima però ho sempre seguito il blog fin dalla sua creazione, e vorrei dire che trovo gli articoli interessantissimi, vari (altrimenti si parlerebbe di solo cinema), scritti in maniera accattivante e acuta. Prosegua nei suoi articoli sul Corriere Mercantile, che io essendo di Roma non posso leggere perchè non trovo il quotidiano nelle edicole, così da poterLa seguire qui sul Suo bellissimo blog.
Inoltre grazie per tutte le informazioni cinematografiche che fornisce sui vari film americani, sono una vera e propria miniera di aneddoti e consigli utili.
Un cordiale saluto e buone festività.
Giorgio
I suoi articoli,ben scritti e mai banali, mi fanno pensare, a volte, agli schizzi di un pittore. Belli in sè, ma preparatori di un'opera più grande destinata ad essere ancora più bella. Ecco, sarebbe simpatico vedere anche questa opera.
Vorrei andare leggermente fuori tema e ricordare un poeta delle mie terre, Andrea Zanzotto, grande sia quando componeva in italiano che quando cantava in italiano, che diceva (inascoltato) che coloro che si ergono a paladini del dialetto e della cultura locale sono spesso anche quelli che distruggono il territorio con cave e urbanizzazione selvaggia.
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