Molti i commenti giunti dal 26 Settembre ad oggi. Ho cercato di rispondere a tutti. Nella lunga parte finale del mio testo troverete un mio sfogo, forse un po' ridicolo, a proposito dei miei "meriti" Rai su cui alcuni degli scriventi si soffermano affettuosamente ma che, a suo tempo, trovò nell'azienda una indifferenza totale, fra lo sprezzante e il crudele
Sono contento di vedere
che è piaciuto il ricordo di Vincenzoni. Ringrazio Simone Storace per la
segnalazione del link su cui vedere un’intervista con il nostro amico Luciano:
Ringrazio anche S.G, per
l’indicazione del sito su cui ascoltare due puntate di Hollywood Party:
Passiamo ai commenti
pervenuti il 27 Settembre. Sia Rosellina che Enrico hanno apprezzato la lettera
di Pier (Luigi Ronchetti). L’idea che “la classe operaia va in Paradisino
avrebbe strappato un sorriso anche a Volonté” mi sembra divertente, tenuto
conto della programmatica cupezza del volto dell’attore. Un particolare su di
lui mi ha sempre colpito. Egli è stato giustamente (forse a volte anche per
motivi politici) molto popolare in Francia. Tante volte mi sono sentito dire:
“un acteur italien que j’aime beacoup c’est Djan Maria Volònte”. Sempre il mio
interlocutore faceva un terribile sforzo per non accentare l’ultima sillaba
dell’ultima parola, pronunciandola appunto come se fosse stata scritta
“Volònte” con l’accento sulla “o”. Non so perché ma questo errore, in gente che
normalmente pronuncia tutti i cognomi italiani con l’accento sull’ultima
sillaba (Mussolinì, Rossellinì, Paolorossì,), veniva compiuta sempre da tutti.
Io mi affannavo a ripetere: “Il faut le prononcer Volonté, exactement comme le mot français” ma nessuno mi dava mai
retta.
Passiamo adesso ai commenti
del 4 ottobre. Vedo che tutti gli intervenuti (il Principe Myskin, Rosellina,
Giorgio, Enrico e Luigi Luca Borrelli) hanno apprezzato l’omaggio a Giuliano
Gemma. Faccio osservare al Principe che il grado di Gemma nel “Deserto dei
Tartari” era probabilmente quello di “maggiore” e non quello di “maresciallo”,
che è il grado più ambiguo di tutta la carriera militare. Perché può indicare
sia il più elevato dei sottufficiali che il più elevato degli ufficiali.
Talmente elevato che in molti eserciti non esiste neppure. Ad esempio da noi
non c’è più il grado di “maresciallo d’Italia”, che fu tipico di Badoglio,
Graziani, Messe, eccetera. Questo duplice significato giustifica un’arguzia che
mi raccontava sempre mio padre. Quando, nella sua cittadina natale di Finale
Ligure, il maresciallo Caviglia (forse il miglior generale italiano in
assoluto) si recava alla stazione per prendere un treno, il locale maresciallo
dei carabinieri vi si precipitava a sua volta per rendergli omaggio. E Caviglia
lo salutava dicendo: “Buon giorno collega”. Fine dell’aneddoto militare.
Per quel che riguarda
il 7 di ottobre ringrazio Rosellina, che è sempre troppo affettuosa e Giorgio.
Per quel che riguarda il 9 di ottobre vedo che tutti (Rosellina, Eugenia
Tarchini, Giorgio, Rita M. e Enrico) hanno gradito l’omaggio a Lizzani. Enrico
ha rievocato la terrazza del Lido di Venezia. Presumo sia quella
dell’Excelsior, dove ho passato tante ore e dove ho partecipato a diverse
trasmissioni. Sono frammenti di un’esistenza, personale e professionale, che,
per darmi in qualche modo una giustificazione, mi sforzo di ritenere che non
sia stata completamente inutile.
Venendo ai commenti del
9 di ottobre ringrazio alcuni dei fedelissimi (Rosellina, Enrico e Rita M.) che
hanno gradito l’omaggio a Marchesi. In particolare per quel che riguarda
Marchesi e quel che Rita M. ha scritto a proposito di Oreste del Buono vorrei
ricordare che fra tanti meriti di quest’ultimo non c’è solo quello del sostegno
a Raymond Chandler ma più largamente a tanti nomi, momenti e frammenti delle
narrative “basse” o intimamente “alte”, che da Oreste hanno ricevuto apporti critici
ed editoriali definitivi per quel che riguarda il panorama italiano. Su di lui
ci sarebbe da scrivere un romanzo. Basterebbe ricostruire il numero ed i nomi
delle Case Editrici e delle Riviste dove
ha lavorato per avere un panorama quasi completo di tutto ciò che riguarda
parecchi decenni dell’Italia libraria e giornalistica. “Io” si vantava spesso
“sono l’uomo più licenziato d’Italia”. In realtà credo fosse spesso lui ad
andarsene perché aveva un carattere giustamente puntiglioso. Mi ricordo i
lunghi anni in cui ho avuto occasione di frequentarlo abbastanza spesso quando
partecipavo, fra gli “esperti”, a quell’importante manifestazione sul poliziesco
cinematografico e libresco che si chiamava “Mystfest” (significa “Mystery
Festival”) di Cattolica. Aveva raccolto l’eredità del “Gran Giallo” inventato
da Enzo Tortora e raggiunse una notorietà internazionale sotto la direzione
prima di Felice Laudadio, poi di Irene Bignardi e infine di Giorgio Gosetti. Il
quale Giorgio dirige ormai da molti anni, insieme a Marina Fabbri, il “Noir in
Festival” di Courmayeur che, dopo una sosta a Viareggio, si è definitivamente
stabilito in Val d’Aosta, proseguendo
appunto l’esperienza iniziata in Romagna e continuata poi in Toscana. È tutto
un mondo del cinema e del giornalismo legati al Giallo e al Nero in cui sono
vissuto per anni e che mi piacerebbe rievocare. Qualche anno fa mi sono
imbattuto per caso in un cantautore che avevo conosciuto quando era un
diligente liceale, che frequentava il cinema “Ariston” di Cattolica perché sua
mamma era l’Assessore alla Cultura del comune. Si chiama Samuele Bersani. Forse
tornerò sul tema che riguarda Del Buono e la ventura di quel genere che Alberto
Tedeschi introdusse nel panorama librario d’Italia e che, dal colore delle
copertine delle collane della Mondadori, venne chiamato “Giallo”.
Fra i vari commenti del
14 di Ottobre sono contento di vedere che il brano di Valerio Caprara su
Lizzani è piaciuto. In futuro, sempre con il permesso dell’autore, ho
intenzione di saccheggiare il suo sito in presenza di articoli di particolare
interesse cinematografico. Ringrazio tutti per gli auguri per il mio compleanno
e prendo nota di quel che mi scrive Enrico a proposito della notizia apparsa su
Film Tv. Secondo la rivista fu addirittura Carlo Lizzani, definito “provetto
ballerino di Boogie Woogie e di Twist” (ma quest’ultimo ballo, nato negli anni
’60, evidentemente non c’entra) a far da controfigura a Gasman nella sequenza
di ballo in “Riso amaro”. Devo dire che è una notizia stupefacente.
Per quel che riguarda i
commenti del 21 di Ottobre mi fa piacere che il brano di rubrica su “Le
signorine dello 04” abbia destato interesse. In particolare per quel che riguarda
Enrico ho appreso con stupore che, molti anni fa, era lecito telefonare
dall’Inghilterra all’Italia a carico del destinatario (mi pare insuperabile la
frase “es Milanopoli que non respond”). Ho sempre creduto che questo
meccanismo, antico ed abituale da sempre negli Stati Uniti, esistesse in Italia
solo per quel che riguarda le telefonate di lavoro a carico del numero
telefonico di un giornale. Si chiamava il centralino dei telefoni, si diceva
“signorina vorrei fare una R” (significava “rovesciata”) a carico del giornale
“xyz” che ha il seguente numero “xyz”. La centralinista chiamava il giornale e
se otteneva una risposta favorevole vi metteva in comunicazione. L’ho fatto per
anni e anni e ho sempre creduto che fosse un privilegio professionale. Evidentemente
mi sbagliavo.
Veniamo ai commenti del
28 ottobre (quando ero bambino si faceva festa a scuola perché era
l’anniversario della “Marcia su Roma”!). Mi fa piacere che il convegno di
Alessandria del 19 Novembre sul tema “Il cinema e la Prima Guerra Mondiale”,
abbia destato qualche interesse. Non potendo partecipare di persona grazie a
Lorenzo Doretti ho registrato un DVD di 46’. Una volta passato il giorno del
convegno, lo riprodurrò nel Blog. Sempre del 28 ottobre sono i commenti che
riguardano la nostalgia di Pizzul che era al centro di una puntata della mia
rubrica sul “Mercantile”. Molto gradito il commento di Enrico che ricorda
qualche frase tipica dei tele radiocronisti di un tempo, da Martellini a Ciotti
(personaggio bizzarro a fianco del quale partecipai a ben due serie di puntate
di una trasmissione di Gloria De Antoni e Oreste De Fornari intitolata “Pacem
in terris”. Finite le riprese Ciotti era velocissimo nell’impadronirsi
dell’unica automobile, con autista, a disposizione, per farsi accompagnare a
casa lasciando con un palmo di naso, come si dice, me e quello straordinario
personaggio del giornalismo italiano che è Giovannino Russo. Di questo ultimo
mi piacerebbe riparlare. Gradite anche le rievocazioni di alcuni tipici
“relatori” di “90o Minuto” (Bubba, Castellotti, Carino, Giannini,
Necco, eccetera). Necco era un personaggio assolutamente bizzarro. Come
cronista di calcio scivolava in tutte le possibili imboscate alla retorica, e
se ricordo bene una volta, proprio a causa del calcio, fu “gambizzato”, come si
scriveva allora, da una revolverata. Una volta ebbe occasione di partecipare
con lui ad una trasmissione che non ricordo, ed ebbi la sorpresa di scoprire
che era inattesamente colto. Mi dimostrò che aveva ragione lui a dire “sismo” e
non “sisma”, come dicono e scrivono tutti, per la rigida derivazione della
parola dal greco. E svelò un inaspettato interesse ed una inaspettata competenza
in fatto di archeologia (anzi lui mi disse che era laureato in archeologia) ho
fatto un rapido controllo in internet e ho scoperto che effettivamente condusse
dal 1993 al 1997 la rubrica “L’occhio del Faraone”, per la quale ha realizzato
e messo in onda 360 documentari e servizi sull’archeologia nell’area
mediterranea (Pompei, Grecia, Egitto, Turchia, eccetera). Sembrerebbe anzi che
sia riuscito a ritrovare il famoso tesoro di Troia rinvenuto nel 1873 da
Heinrich Schliemann e che si riteneva fosse stato distrutto nel 1945 durante i
bombardamenti di Berlino. Pare che Necco, con molte ricerche in tutte le aree
orientali dell’Europa divisa dalla guerra fredda, abbia individuato i ladri ed
il nascondiglio del tesoro di Schliemann, facendolo esporre nell’aprile 1996
nel Museo Puškin di Mosca. Sul tema
Necco ha anche scritto un libro, intitolato appunto “Giallo di Troia”.
Come vedete a questo
mondo non si cessa mai di imparare qualche cosa.
Venendo ai commenti
successivi registro la solita piacevole testimonianza di Rosellina a proposito
di Luigi Magni (4 Novembre) e passo al 5 Novembre con molte graditissime
testimonianze su di me (ancora Rosellina, Giorgio, bash, Enrico, Carlo Gatti,
Rita M. e Giulio Fedeli). Per quel che riguarda quest’ultimo prendo sul serio
la proposta di occuparmi di Frank Sinatra, che è una splendida testimonianza di
una curiosa legge dello spettacolo. E cioè che si impara a recitare recitando.
È un’esperienza fondamentale che lo avvicina ad un altro famoso “canterino”,
Yves Montand (curiosamente anche egli di origine italiana), il quale come cantante fu bravo quasi subito
mentre come attore imparò praticando il mestiere. Agli inizi era pessimo e alla
fine della carriera era diventato un interprete sottile, complesso, intenso e raffinato, contribuendo a darci dei
ritratti di alto livello dell’uomo francese medio-alto soprattutto per ciò che
riguarda gli anni ’70 (nato nel 1921 morì nel 1991).
Visto che la maggior
parte degli interventi sono occasionati dalla pubblicazione dell’e-mail dei
signori Clavarino e Bassi a proposito dei miei meriti professionali nei miei
ventiquattro anni di Rai, colgo l’occasione per evocare (credo che sia la prima
e probabilmente sarà anche l’ultima volta) il momento doloroso, e quasi
umiliante, del mio rapporto con l’azienda nell’ultimo periodo di lavoro. È un
argomento che cito con imbarazzo, perché in fondo ero e sono rimasto
affezionato alla Rai, ma che è richiamato da una mia lettera del 21 Maggio 2008
al professore Pier Luigi Celli allora Direttore generale della L.U.I.S.S. ma in
passato Direttore del Personale della Rai (i burocrati hanno inventato
l’espressione Direttore delle Risorse Umane, espressione che mi fa rabbrividire
come se evocasse un campo di concentramento). Nella lettera, che sembra non sia
mai stata ricevuta, si fa cenno ad un mio articolo apparso sul Secolo XIX, con
cui allora collaboravo, ed a Celli se ne spedisce copia insieme alla mia
e-mail. Per non farla troppo lunga mi limito a riportare qui la sola lettera a
Celli, che bene o male coglie il cuore del problema. E cioè il modo indegno con
cui l’azienda, pochi mesi prima che io compissi i sessantacinque anni previsti,
dal contratto giornalistico, si liberò di me quasi fossi un peso morto.
Contemporaneamente nei confronti di una persona politicamente più gradita come
Angelo Guglielmi-mese più o mese meno è mio coetaneo- il suo contratto era
stato automaticamente prorogato di due anni. Naturalmente il professor Celli
non mi ha mai risposto (forse non gli è mai pervenuto nulla) e in fondo io me
lo aspettavo. La sua responsabilità, come Direttore delle Risorse Umane (!), era
ed è evidente. E le sue frasi, che io richiamo esplicitamente nel testo,
riguardavano un suo intervento in un dibattito, in cui avevo appunto dichiarato
che lui e gli altri dirigenti giunti alla Rai intorno al 1993, avevano, si, “salvato
il bilancio, ma distrutto l’azienda”. Alludendo appunto all’epurazione
indiscriminata che era stata effettuata negli alti gradi considerati in blocco
responsabili della crisi (quando, spesso, erano invece quelli che avevano
tenuto in piedi la Rai grazie ad una professionalità duramente acquistata nel
corso degli anni).
Ecco qui dunque il
testo della mia e-mail del 21 Maggio 2008 ( a cui ne ha fatto seguito un’altra
del 4 Giugno che qui tralascio per brevità e per non creare confusioni). Anche
il testo dell’e-mail che riproduco contiene evidentemente ripetizioni rispetto
a ciò che ho scritto adesso, ma preferisco lasciarle invece di mettere tutto a
soqquadro inseguendo complicate cancellature.
Genova, 21 Maggio
2008
Egregio Prof.
Pier Luigi Celli
Direttore Generale
L.U.I.S.S. “Guido Carli”
Viale Pola, 12
00198
Roma
L’anno scorso, quando
vennero rese note le sue dichiarazioni riguardanti il disastro che la classe
dirigente di cui faceva parte aveva causato alla RAI nell’intento di pareggiare
le finanze, pubblicai nel “Secolo XIX” l’articolo che qui le allego in
fotocopia. Mi sono procurato anche la registrazione della sua frase,
pronunciata per radio, il cui senso è: “Abbiamo salvato il bilancio, ma abbiamo
distrutto la RAI ”.
A suo tempo spedii la
fotocopia dell’articolo a diverse persone e decisi di non mandarglielo per una
sorta di delicatezza, visto che a un certo punto si parlava di persone chiamate
i di lei “scherani”. Adesso leggo che si fa di nuovo il suo nome come direttore
generale della RAI ed a questo punto voglio togliermi la soddisfazione,
supposto che lei ne abbia voglia, di farle leggere quel che avevo scritto (…) e
vada alla sostanza. Per rendersi conto che dopo quattordici anni la ferita è
ancora viva. Sapevo di aver portato all’Azienda un contributo decisivo e, in
particolare per quel che riguarda RAIDUE, in tredici anni da capo-struttura, di
aver collaborato in modo determinante alla saldatura del palinsesto (vi fu un
periodo in cui fornivo dal Lunedì al Venerdì il 60 % dei programmi, ed eravamo
sei strutture in organico!). E ancora oggi ricordo per contrasto la furiosa
incertezza degli ultimi mesi, il vuoto di impegni e di ordini che aveva preso
subitamente il posto del lavoro ossessivo svolto per quasi ventiquattro anni…al
punto che accettai di andar via in estate, anziché a Ottobre – sono nato il 17
Ottobre del 1929 – solo per finirla al più presto. Parlai con lei in tutto una
sola volta – mi ricevette usando contemporaneamente due telefoni – e non mi
concesse più attenzione di quanta avrebbe potuto pretenderne il portatore di un
giornale gratuito.
Da allora figuro negli
archivi della contabilità RAI come “beneficato” (o qualcosa di simile) ed ogni
volta che ho collaborato per molti programmi di RAITRE ho dovuto, ormai
pensionato, invocare uno speciale intervento riservato al direttore generale,
ultimo tocco di umiliazione.
So di aver contribuito in
modo decisivo a riequilibrare il bilancio di RAIDUE – solo lo share della soap-opera
l’ho portato da 200.000 contatti a più di 5.000.000 – senza che nulla l’Azienda
facesse per aumentarmi in maniera significativa la retribuzione (ricordo che mi
venne concesso un aumento importante soltanto quando il mio ex-direttore Mimmo
Scarano cercò di portarmi via dalla RAI per andare a lavorare in un network,
che peraltro fallì clamorosamente). Del resto entrai alla RAI nel 1970 come
capo-servizio giornalistico e ne uscii ventiquattro anni dopo come
capo-redattore!
In realtà non so bene perché
le scrivo, ma curiosamente sento ancora intorno a me i favori, e vorrei dire
l’affetto, di un pubblico molto ampio formato da adulti, che erano poco più che
bambini quando presentavo i film in televisione (ed era appena la punta
dell’iceberg di un enorme lavoro di ufficio che solo potevano intuire gli
addetti ai lavori). Ma anche da giovani che non si sono ancora arresi all’idea
che il cinema sia usato alla RAI con gli stessi criteri con cui a Genova si
avvolge l’untuosa focaccia in una rugosa carta gialla... È proprio il peso
toccante di questo quieto ma stringente riconoscimento che in certo senso mi
induce a guardare al mio passato con un minimo di orgoglio, respingendo il
sapore di sconfitta e di disprezzo che si respirava al terzo piano di Viale
Mazzini, dove – come lei ricorderà benissimo
- era collocato il Servizio Personale. Al punto che gli amici della
Cineteca Comunale di Bologna vorrebbero dedicarmi una “personale” con i film
che ho importato, e fatto doppiare, nel mercato italiano, come puro esempio di
un lavoro che nessuno mi aveva richiesto, ma che è una testimonianza della
dedizione di cui si nutriva il nostro rapporto con l’Azienda.
Mi auguro che questa lettera
inutile sia meno inutile di quanto possa sembrare e che, nel caso di un suo
ritorno alla RAI, lei sia in grado di evitare, almeno in parte, gli errori del
passato.
Claudio G. FAVA
5 commenti:
Ho letto tutto d'un fiato il suo scritto.E provato indignazione.Facciamo tesoro di due affermazioni: "Non c'è gusto in Italia ad essere intelligenti" (Roberto "Freak" Antoni,1991) e "Non ragioniam di lor ma guarda e passa" (un nasuto poeta del Trecento,che mi ha perdonato per l'accostamento col leader degli Skiantos). Lei ha la riconoscenza di tutti quelli che hanno guardato la TV con tutti i sensi il cuore e il cervello all'erta.
Mi fa piacere che Lei senta ancora intorno a sé i favori (e, può ben dirlo, l’affetto!) di un pubblico molto ampio: tutti noi che, pur non avendo avuto il piacere di conoscerla personalmente, La seguono da sempre e La ammirano per la profonda competenza e la passione per il cinema che nessuno potrà mai toglierle.
Molto spesso si dimentica che la Rai deve produrre cultura, deve produrre idee.....deve "fare" programmi non serve solo far quadrare il bilancio...non si può, come è accaduto nel tuo caso,eliminare persone di spessore intellettuale e umano come il tuo che ancora adesso ci danno tanto!!
Grazie per aver pubblicato questa lettera
Si consoli con il fatto che la Rai non l'ha più voluta con sè, mentre tutti noi a distanza ancora di vent'anni cerchiamo un suo scritto, una sua intervista, un suo parere.
È segno che le competenze che ha sempre avuto nell'ambito televisivo/cinematografico sono "un cult" per chi se ne intende (tranne per la Rai!) e a quanto pare siamo in tanti a cercarle ogni giorno.
Un caro saluto
Buon giorno,
mi permetto di ricordare che la prossima settimane ritorna nei cinema, in versione restaurata, "les enfants du paradis".
http://trovacinema.repubblica.it/news/dettaglio/les-enfants-du-paradis-torna-in-sala-e-in-dvd/439846
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