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3 aprile 2008

La posta di D.O.C. Holliday (10.a. puntata)

- LA POSTA DI D.O.C. HOLLIDAY -
Debbo una risposta conclusiva alla signora Antonietta Bollo, come ho anticipato nella puntata precedente. Chiedeva la signora anche a nome di sue amiche: "Sarà che siamo anziane e forse siamo diventate un poco sorde ma nei film moderni il doppiato si sente sempre meno bene (…) si perdono troppe parole (…) le uniche cose che pronunciano bene sono le parole del gatto (…) perché alla televisione i vecchi film si sentono bene e i nuovi no?"

In effetti è vero. Mettiamo pure sulla bilancia l'età (anche io sento molto meno bene e ne do facilmente colpa alle colonne sonore) ma non c'è dubbio che molto è cambiato nel doppiaggio. In parte perché è letteralmente cambiato il modo di parlare degli italiani. Ovvero: nel corso degli ultimi 40/50 anni i dialetti, almeno al Nord, con l'eccezione del Veneto, di fatto sono morti. Restano nell 'aria come accento, come cadenza, come ricorso a modi dire, a qualche frase pronunciata quasi fosse tra virgolette, ma nessun ventenne, nessun quindicenne di città pensa di farvi ricorso per parlare con i suoi coetanei, che d'altronde non lo capirebbero (da chi avrebbero potuto imparare un dialetto, forse dai genitori quaranta/quarantacinquenni, schifiltosamente italofoni sin dalla nascita, o dai nonni settantenni, al massimo bilingui ma con gran vergogna d'esserlo?). In compenso l'italiano che parla tutta questa gente, (ormai almeno due terzi della nazione, forse più), è un italiano povero che deve servire come lingua colloquiale e veicolare per una popolazione che non legge, che non scrive, felice di esprimersi in una Koiné che ad un estraneo sembra composta soprattutto da grugniti e da parolacce. O, nella migliore delle ipotesi, da parole di gergo giovanilistico degli anni della contestazione, assimilate dalle istituzioni e diventate ufficiose. E' stato inevitabile che il doppiaggio si adeguasse. I vecchi, grandi doppiatori degli anni '40 e '50, con le loro inimitabili voci bronzee affinate dal teatro, non ci sono più. Naturalmente ne rimangono ancora diversi d'età matura e qualche giovane di classe e di grande padronanza di intonazioni (la scuola italiana di doppiaggio era sicuramente la migliore del mondo). Gli eredi son bravi, assai spesso bravini, ma molti, soprattutto i più giovani, hanno imparato a doppiare perché sovente provengono da famiglie di doppiatori. E son famiglie romane o che, comunque, risiedono a Roma, da una o più generazioni. Sicché essi parlano come parlano i loro coetanei romani: intonazioni, cadenze, parole, e quel modo rivelatore di inghiottire le sillabe, che non desta stupore in chi abbia vissuto nella Capitale, come me, per un quarto di secolo. Infine quelle che in genovese da sempre sono chiamate "le parole del gatto" ormai ci perseguitano ovunque, al cinema come in Televisione per strada. E ne sono prodighi ragazzi e ragazze in misura eguale. Chi abbia cominciato prima non si sa, ma ormai non c'è più nulla da fare. Ed è inevitabile che il doppiaggio se ne alimenti e se ne vanti.


Caro Doc Holliday, grazie per la sua risposta a "Star Wars". "Ho visto il film "American Pie - Il primo assaggio non si scorda mai"." E non mi è piaciuto. Gradirei sapere il suo pensiero circa questo film. A questo punto sarebbero da rivalutare i vecchi Pierini di Alvaro Vitali. In attesa della risposta (…) la saluto cordialmente. MARIO di Nervi.

Francamente non l'ho visto e non so se andrò a vederlo. Invecchiando (ho compiuto 70 anni in ottobre, non lo ostento e non lo nascondo) si è fatalmente portati a fare delle scelte. Io vado al cinema abbastanza regolarmente da quando avevo 16 anni. Professionalmente da quando ne avevo 25. Sistematicamente da quando ne avevo 29, e cioè da quando divenni critico cinematografico del "Corriere Mercantile", e presi l'abitudine di vedere e di recensire almeno l'80% delle "Prime" se non di più. Invecchiando - attualmente sono critico di un mensile - le astensioni sono più delle partecipazioni (non voglio alludere al tema di "American Pie"!). In quando ad Alvaro Vitali ho avuto occasione di "lavorare" con lui in una (o più) delle puntate di una serie televisiva di Gloria De Antoni e Oreste De Fornari. E' un proletario romano - avviato inizialmente alla carriera di stuccatore o, come dicono a Roma, di "pittore" - con un suo buon senso ironico ed un suo istintivo gusto plebeo per la battuta digestiva e la barzelletta ardita. Tutto sommato, forse, è più autentico lui (sono stato bombardato, come tutti, dai "trailers" in TV) dei ragazzi americani del film.

Abbiamo fatto un scommessa. E' più brava Julia Roberts o Cameron Diaz? Ci risponde? Grazie. Ancora una cosa. Film D.O.C. cosa vuol dire ? Ossequi.
RAFFAELLA E PAOLA POGGIO.

Comincio dal fondo. L'idea è venuta a Riccardo Speciale, attivissimo segretario regionale dell'AGIS, che una ne fa e cento ne pensa. E chiaro che si voleva alludere al DOC (Denominazione di Origine Controllata) tipico dei vini e che tutti hanno ormai imparato a conoscere. Al tempo stesso, sostiene Riccardo, la dizione letteralmente significa "Film Di Ottimo Cinema" e quindi nessuno può accusarci di aver imitato nulla. Se mai di avere genialmente parafrasato…..
Veniamo alla scommessa. Per ora, direi, ancora la Roberts che ha qualche anno di più e che, soprattutto, può vantare un successo mondiale come "Pretty Woman". Sono passati, è vero, già nove anni, e per parecchio tempo, pur lavorando molto, ha allineato titoli di minor risalto al botteghino (nonostante "Mary Reilly" e qualche altro film interessante), sino al recentissimo "Notting Hill", che continua a ricevere interesse ( e soldi) dal pubblico di tutto il mondo. Poiché ne l'una né l'altra sono Ingrid Bergman o Katharine Hepburn, è meglio aspettare.
(Da "La posta di D.O.C. Holliday", "Film D.O.C.", anno 8, n. 36, Gen.-Feb. 2000)

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