Blog - Crediti


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30 agosto 2013

A DOMANDA RISPONDE

Rispondo qui ai numerosi "commenti" giunti sul Blog durante il mese di Agosto.
Spero di non aver dimenticato nessuno e che, comunque, se avrò commesso degli errori, "mi corriggerete".
Benedizioni a tutti.



Rispondo in ordine di data, cominciando ovviamente dai più “anziani” ai post che mi sono giunti nel mese di Agosto. 
Il primo di Agosto, per l’articolo “Esiste l’anti-sionismo degli ebrei”, ho pubblicato una nota di SG che depreca l’uso di chiamare alcune persone con il titolo della funzione più recentemente esercitata (tipicamente “Presidente” per chi è stato Presidente del Consiglio). È un uso non solo italiano ma sicuramente anche francese (anche da loro i “Monsieur le President” si sprecano). E forse anche di altri popoli latini (non ne sono sicuro). In particolare nel caso di Sergio Romano chiamarlo “ambasciatore” è, mi pare, un giusto riconoscimento del fatto che la carica che ha rivestito in Russia (lei mi dice per soli tre anni) è il punto di arrivo di una carriera perseguita dopo aver vinto ad un concorso al Ministero degli Esteri e via via ribadita grazie a progressivi miglioramenti di “status” (segretario di Legazione, Consigliere di Legazione, eccetera). È quindi la dimostrazione che il soggetto in questione ha percorso onorevolmente una carriera sino al gradino massimo. È un po’ quello che capita con i militari. Il generale Rossi che va in pensione appunto con il grado di Generale (molto spesso è un Colonello promosso proprio in funzione del cosiddetto trattamento di quiescenza) come lo vuole chiamare: “signor Rossi ?”. Nel rivolgersi a lui si usa la gentilezza di ribadire la preventiva esistenza di una carriera che ha avuto una serie di scatti, si presume meritati. Da Sottotenente a Generale di Brigata sono, per l’esattezza 7. E vengono riepilogati tutti nell’appellativo. Per quello che riguarda gli Stati Uniti non saprei dare una risposta, anche se mi sembrerebbe curioso udire un giornalista rivolgersi a Clinton chiamandolo “Mister Clinton”. Ma non escludo che questo accada in omaggio alla diversa colloqualità della lingua inglese (e americana). In cui, data l’esistenza di un solo pronome, il “voi” e cioè lo “you”, è molto facile che il vostro interlocutore vi richieda di “dargli del tu” e, cioè, di chiamarlo con il nome proprio.
Per quel che riguarda Enrico, gli faccio osservare che la “letale efficienza dell’esercito israeliano e dei suoi Servizi Segreti” come scrive lui stesso fu indubbiamente un motivo di stupore e di ammaestramento dalla nascita dello Stato di Israele (1948) sino ai primi anni settanta, quando si impose in tutto il mondo il mito dell’infallibilità del “Mossad”. E cioè del più importante, a carattere civile, dei tre Servizi specializzati israeliani (gli altri due sono, come è noto, il Servizio militare, l’Amman, e quello propriamente destinato al contro-spionaggio, lo Shin-Bet). Dopo di allora anche le spie israeliane hanno dovuto, far registrare come tutti i “Servizi”, qualche colpo a vuoto, essendo composte da esseri umani.
In quanto a Luigi Luca Borrelli mi fa piacere apprendere che il film di Renoir che egli ama di più (io propendo sempre per “La grande illusione”) è “La regola del gioco”. Se egli lo ha visto in italiano il merito è mio perché è uno dei tanti film stranieri che non erano stati importati nel nostro paese e che io ho fatto acquistare e doppiare dalla Rai (non ho mai avuto l’autorizzazione di allestire almeno una edizione “parallela” in originale con i sottotitoli italiani). Sul tema si veda la mia rubrichetta “Salvate la Tigre”, che ho tenuto per circa un anno su Film TV, e che riguardava appunto i “recuperi” di film da me operati alla Rai, a diverso titolo (film totalmente inediti in Italia, da me importati, doppiati e trasmessi. Oppure film manchevoli di alcuni frammenti, da me recuperati, eccetera). Non mi è stato più chiesto di continuare “Salvate la Tigre”quando è stato sostituito, come direttore, Aldo Fittante, il quale aveva inventato la rubrica, titolo compreso; andandosene via, aveva chiesto la mia solidarietà. Che mi è parso doveroso concedergli, anche se non l’ho mai incontrato di persona ed ho avuto con lui contatti solo telefonici.
Mi fa piacere che Rosellina ami “La grande illusione”.
Per quanto riguarda “Bollicine” gli dirò che la sua stessa perplessità nel parlare al telefono con le redazioni dei grandi giornali l’ho avvertita anche io parecchie volte. Soprattutto con quelli di importanza nazionale con i cui redattori è di fatto possibile parlare se si conosce un numero interno, con il cosiddetto “passante”. Un tempo non era così. Il collegamento telefonico è forse più facile con i piccoli, e spesso antichi, quotidiani di provincia. Confesso che la prima volta che andai per lavoro negli Stati Uniti, negli anni ’80, confesso che rimasi sbalordito dall’efficienza totale di tutti i centralini immaginabili. Dopo pochi secondi che il telefono squillava ecco subito una precisa voce femminile che diceva “Can I help You ?”. Non so come funzionino le cose adesso nell’era dei “telefonini” ma forse l’antica caratteristica si è mantenuta. 
Passiamo ai commenti del 5 di Agosto, dovuti al brano “Claudio- disse mia moglie- c’è Berlusconi al telefono”. Rosellina dice che preferisce i termini “esterrefatta” e “incredula” di fronte alla carriera di Berlusconi. Per onestà vorrei precisare che essi testimoniano della stupefazione che provai, soprattutto nei primi anni, di fronte alla “incarnazione” politica di un uomo che avevo conosciuto, soprattutto attraverso i suoi aiutanti, come un abile e spregiudicato avversario nei mercati internazionali. Sono aggettivi in cui la stupefazione è palese ma che, non implica necessariamente, la deprecazione.
Enrico è ancora più a disagio di quanto non lo sia io di fronte  a tante caratteristiche pubbliche e semi-pubbliche del nostro paese.
In quanto a PuroNanoVergine gli faccio osservare che in trent’anni la realtà del panorama televisivo nazionale è profondamente cambiata, come del resto tutta la società italiana (che, ad esempio, nel giro di tre decenni ha scoperto l’utilità immediata del massacro familiare, in una nazione che mi sembra in testa all’elenco degli assassinii più feroci e più imprevedibili).
Per questo non so se la incredulità che desta in lui l’invenzione di un ciclo di film sulla psicanalisi in prima serata con dibattito, sia del tutto riconducibile alla perversa concorrenza dei privati e particolarmente di Mediaset (Ex Fininvest). Semmai la colpa risale in modo netto (ho vissuto tutto quel periodo terribile e so di cosa parlo) ai vari Governi della Repubblica. L’Italia (contrariamente alla Francia, alla Gran Bretagna, alla Germania, eccetera) è passata dal monopolio più rigido e intransigente alla libertà televisiva più sfrenata nel giro di una notte. Senza, cioè, che venissero tempestivamente apprestati quei blocchi, quei puntelli, quelle garanzie giuridiche e burocratiche che in altri paesi hanno consentito il passaggio da un regime, sicuramente più funzionale ma anche totalmente assurdo, ad un altro più ricco di libertà e di concorrenza. Da noi si è passato da una sorta di mono-televisione plumbea ad un mondo in cui tutti quelli che riuscivano ad allestire uno studio o a manovrare un tele cinema trasmettevano quello che volevano. Senza il minimo riguardo per nessuno e per niente, compresi i diritti televisivi più rigidi (essenziali per la tutela della proprietà per lo sfruttamento delle singole opere). Berlusconi si è abilmente insinuato in un universo televisivo nazionale fatto tutto di screpolature ed ha immediatamente compreso, da vero uomo d’affari, come si andava configurando un mercato nuovo, stravolto nelle sue iniziali forme tradizionali. Non è un caso che egli dovette intervenire per salvare letteralmente una Rete Televisiva della Mondadori che stava mandando a bagno l’intera casa editrice (è quella Rete Quattro il cui Telegiornale fu per anni riservato alle esibizioni di Emilio Fede). 
Passando ai commenti del 12 di Agosto (dopo la pubblicazione di “Un giorno o l’altro impareremo l’italiano anche noi”).
Vedo che Rosellina Mariani può intervistare persone che sono al tempo stesso “toscane e intelligenti”. Me ne compiaccio. Sono gradite anche le variazioni toscaneggianti di cui si compiace Enrico. “Ti do una labbrata” non è solo fiorentino. Mi ricordo che Alfredo Biondi (genovese e genoano di elezione ma pisano di origine) una volta citò l’espressione attingendo ai suoi ricordi infantili. In quanto ai toscanismi ostentati da Vianello e Tognazzi me li ricordo anche io (“Taracchi te tu t’attacchi” è rimasto fondamentale). Non so le loro voci quanto apparissero completamente attendibili alle orecchie di un toscano vero, ma è certo che si tratta di uno di quei tanti risvolti della comicità italiana anni ‘60/’70, che sembrano addirittura geniali rispetto a quella odierna. La cosa curiosa è che Vianello era, si romano ma di famiglia credo veneta (era figlio di un ammiraglio), Tognazzi era cremonese e un terzo complice, Valter Chiari, era, si, figlio di pugliesi ma nato a Verona e cresciuto a Milano. C’era nella comicità “dialettale” del tempo una componente settentrionale (che arrivò sino a Tino Scotti, “ghe pensi mi!”, “ghe” nome, “pensi” cognome, “mi”, MI, targa, Milano!). Adesso che ci penso mi pare che i primi tre, fra i migliori della loro generazione, abbiano aderito tutti alla Repubblica Sociale Italiana, e, in qualche caso, credo con entusiasmo. Mi sono chiesto tante volte come la cosa abbia potuto succedere (basti pensare alla macchietta goffamente fanatica di militante fascista disegnata da Tognazzi- inaspettatamente a fianco di un grande del teatro francese, Georges Wilson, dal nome irlandese da parte di madre-  ne “Il Federale” di Salce). 
Veniamo adesso ai commenti del 16 di Agosto. Mi fa piacere che PuroNanoVergine abbia avuto la possibilità, grazie al Blog, di approfondire l’esistenza di Michel padre di Jacques Audiard! Ringrazio Rosellina per il suo perenne interessamento a quel che scrivo. Per quel che riguarda Luigi Luca Borrelli (mi fa piacere che citi un critico finissimo come André Bazin, di cui nessuno si occupa più ormai) e la sua curiosità su “Colpo Grosso al Casinò”, mi risulterebbe che “Colpo Grosso al Casinò” (“Mélodie en sous-sol”) sia stato girato in bianco e nero e nel 1994 sia stato, come si dice, “colorizzato”. Sembra che questa ultima edizione sia stata amputata di ben 14 minuti rispetto a quella originale. Sembra anche che la copia “colorata” sia stata trasmessa in televisione per la prima volta nel 1996 su Canal+. So che negli anni ’90 ebbe una certa voga in America (e forse, per imitazione, anche in Europa) l’abitudine di “colorare” le pellicole in bianco e nero in modo da farle accettare ad un massiccio pubblico nuovo. Composto in gran parte da persone che avevano fatto qualche piccolo sacrificio per comprarsi un televisore a colori e che consideravano con disprezzo i film in bianco e nero come un goffo relitto del passato. Tutti hanno definito Verneuil uno “stimabile artigiano”. Ma sono persuaso che sia qualcosa di più. 
Mi compiaccio per i gradimenti vari di PuroNanoVergine (che scopro chiamarsi anche Moreno, nome che fa pensare vagamente ad un torero), di Rosellina e di Luigi Luca Borrelli. Mi ha messo una pulce nell’orecchio con l’osservazione sugli incassi “contradditori” della coppia Gabin-Belmondo. Una prima osservazione (devo controllare di nuovo tutti i titoli) va sicuramente fatta: i due avevano sicuramente grande successo ma con due pubblici totalmente diversi. Da un lato Gabin aveva sommato ai suoi vecchi ammiratori dei film “realistici” degli anni ’30 quelli degli anni ’50 e ’60, dove egli ondeggiò fra grandi caratterizzazioni poliziesche e pezzi di bravura semi-comici. Belmondo era legato ad un pubblico giovanile, fulminato dalla sua apparizione esplosiva in “Fino all’ultimo respiro” e dalle sue successive variazioni fra lo snobistico, l’avventuroso, il comico “moderno”, eccetera. Anche il pubblico di Delon attingeva in parte a quello degli altri due ma aveva una sua componente specifica. Ad esempio una forte presenza femminile affascinata dal modo di apparire di Delon sia sullo schermo che, fuori dallo schermo, nella sua vita privata (in realtà molto pubblica).
Saluto il ritorno da Parigi di Giulio Fedeli. Non concordo sulle riserve riguardanti Gabin che era sicuramente un grande attore “involontario”, il quale aveva imparato non so come a recitare e si era poi imposto con parti diverse in epoche diverse. Sicuramente Gabin ha prestato il suo servizio di leva nella “Royale” (credo di aver visto una sua foto in divisa con i gradi, forse, di “quartier-maître”, equivalente a caporale dell’esercito). Quando prestò servizio nelle Forze Francesi Libere di De Gaulle-si era rifugiato negli Stati Uniti, vi interpretò due film ma poi da li si arruolò volontario, uno dei pochi attori francesi a farlo- Gabin era ormai quarantenne e, come gli capitò quasi sempre sembrava più vecchio della sua età. Tornò a far servizio in marina e fu capopezzo su una petroliera militare, attaccata nel Mediterraneo da aerei e navi tedesche. Sempre con il grado di “Second-maître” passò poi nel “Régiment Blindé des Fusiliers-Marins” e fu nominato “Capocarro” del blindato “Souffleur 2” (Secondo Squadrone). Faceva quindi parte della “2e Division Blindée”del famoso generale de Hauteclocque detto Leclerc, che liberò Parigi e terminò la guerra nel cuore della Germania a Berchtesgaden. Fu il più anziano “capocarro” di tutta la divisione, partecipò a tutte le sue battaglie ma (non so perché) si rifiutò di partecipare alla sfilata finale sui Campi Elisi dove sarebbe stato celebrato. Naturalmente aveva anche spazio per la vita privata. In quegli anni frequentò brevemente Ginger Rogers, divorziò dalla seconda moglie e visse (fino al 1947) una famosa relazione con Marlène Dietrich. Vedo che Rosellina ha già risposto a Giulio Fedeli e chiudo qui il frammento riguardante il 17 Agosto.
Giungendo ai commenti del 19 Agosto prometto a Rosellina che, prossimamente, scriverò le mie osservazioni sul “Presidente” di Simenon in rapporto al film che ne ha tratto Verneuil. Mi piacerebbe, certo, occuparmi dell’Egitto ma credo di non avere la competenza necessaria. In quanto alle interviste telefoniche richieste da Anonimo (alla Martini, a Fofi, a Enrico Medioli ed a Gloria de Antoni) ci sto pensando. Salvo Medioli li conosco tutti abbastanza bene e quindi, in teoria, non dovrei avere enormi problemi. Ma come è noto, in omaggio a Trapattoni, non bisogna mai dire “gatto se non ce l’hai nel sacco”.
Cercherò di tirare in ballo ancora una volta il caro e tempestoso Luciano Vincenzoni.
Spero di aver risposto a tutti (se ho dimenticato qualcuno scrivetemi).
Cordiali saluti generali e particolari

5 commenti:

Rosellina Mariani ha detto...

Grazie per le risposte come sempre precise e dettagliate.
Mi dispiace che si è interrotta la collaborazione con FilmTv:mi piaceva molto la rubrica "Salvate la tigre", peccato! Mi auguro che il nuovo direttore decida di riprenderla.
Aspetto il tuo raffronto fra il libro di Simenon "Il Presidente" e il film di Verneuil, ma aspetto anche le telefonate e altro ancora!

PuroNanoVergine ha detto...

Mi aggiungo all'augurio di Rosellina Mariani di tornare a scrivere per FilmTV (maliziosamente direi che il suo sostegno all'ex direttore possa aver nuociuto al proseguimento della rubrica).

Una cosa che ho notato, negli avvicendamenti dei direttori di FilmTV (e non solo) è spesso il mistero che li caratterizza: se ne va un direttore, ne arriva un altro, ma ai lettori (o spettatori) non viene fatto cenno, se non in alcuni casi, del motivo del cambiamento (fra l'altro Aldo Fittante è letteralmente "sparito" senza poter scrivere un editoriale di addio/arrivederci ai lettori).

Le chiedo: per la sua esperienza e conoscenza dell'editoria e della televisione, è prassi il cambio della guardia avvolto nella nebbia oppure no?

Giulio Fedeli ha detto...

Che precisione nel ricostruire un pezzo importante della vita di Gabin: grazie, Claudio, grazie per le precisazioni nate da mia sollecitazione. Sono certo che nessun critico francese avrebbe saputo fare altrettanto.
Certo ne sarai già al corrente (benché in Italia nessun giornale abbia dato la notizia), ma esattamente fra trenta minuti - oggi, venerdì 30 maggio - il Cardinale Barbarin, Arcivescovo di Lione e Primate delle Gallie - celebrerà nella Cattedrale di Saint-Jean le esequie del Maggiore Hélie Denoix de Saint-Marc, scoparso lunedì 26 agosto nel suo 'buen retiro' di La Garde-Adhémar nella Drome.
Sì, l'ultimo centurione se ne è andato! Certo tutti i suoi ammiratori e lettori sapevano che il momento non era lontano (91 anni), e tuttavia ora che esso è arrivato, l'emozione è forte: scompare un Eroe conradiano che fortunatamente la Francia è riuscita a onorare degnamente.
Vedo che tutti i Clandestini sono, in diversi modi, filofrancesi: li invito a digitare "Dècès Hélie Denoix de Saint-Marc" e a conoscere la storia delle sue vite (sì, ebbe la fortune di vivere più di una vita). Se poi qualcuno vorrà prendersi il disturbo di ordinare dalla Francia qualcuno dei suoi numerosi libri, si troverà immerso in un mondo "a parte" ma impregnato di valori morali tanto alti e nobili quanto desueti.
Grazie Claudio, grazie Clandestini.

SG ha detto...

A seguito della sua esauriente risposta, di cui la ringrazio, sono stato assalito dal dubbio di aver detto una mezza cretinata. Una breve ricerca online ha confermato i miei sospetti.
Esiste un sito Internet esclusivamente dedicato ai protocolli in uso negli Stati Uniti: "The Protocol School of Washington's - The Official Guide to Names, Titles and Forms of Address".
Tra le varie FAQ ce n'è una che fa al caso nostro: http://www.formsofaddress.info/former.html#128
La regola generale è questa: gli ex-funzionari che hanno svolto un incarico ricoperto da più persone alla volta (giudici, ambasciatori, generali, senatori, cardinali, ecc) usano il loro titolo a vita.
Quindi anche negli USA sarebbe doveroso rivolgersi a Sergio Romano chiamandolo ambasciatore.
Ma quelli che invece hanno svolto un incarico rivestito da una persona alla volta (presidente, segretario di stato, governatore, ecc) "perdono" il titolo e sono autorizzati ad usare quello a cui avevano eventualmente diritto in precedenza.
Vengono citati tre esempi: Dwight Eisenhower - dopo il termine dei suoi mandati da presidente - ridiventò il generale Eisenhower, Colin Powell da segretario di Stato tornò anche lui al titolo di generale, mentre quello di Bill Clinton è il caso più curioso. Dal momento che il suo incarico precedente era quello di governatore dell'Arkansas, pure quello un ufficio "one-at-a-time", il modo corretto di rivolgersi a lui è chiamarlo Mr. Clinton.

Unknown ha detto...

Gentile C.G.Fava, grazie per le risposte.
Sapevo che era stato proprio lei ad importare La regola del gioco in Italia, perché segnalato nella breve scheda del film da Morandini. L’ ho visto nell’ edizione DVD della Teodora (la collana con il commento di Vieri Razzini) con i sottotitoli, come sempre faccio quando è possibile.
Le dico riguardo A.Bazin che fortunatamente non è stato del tutto dimenticato. Mi è capitato di parlarne con alcuni amici che hanno studiato per esami di storia e critica del cinema in università. Temo però purtroppo che rimanga un “grande artista” per soli cinefili; inoltre non sempre i suoi testi sono tradotti ed io, che non ho competenze grammaticali francesi, faccio fatica a tradurlo.
E’ ben segnalata la questione riguarda la “colorazione” di Colpo grosso al Casinò. E’ incredibile che alcune persone non comprendano la grandezza cromatica ed espressiva del bianco-nero. Tra i tanti film colorizzati di recente ricordo anche il natalizio di F.Capra per eccellenza oltre che , ad esempio, “Mezzogiorno di fuoco”. La ritengo una quasi assurdità, non perché non ami il colore, tutt’ altro, ma perché penso si debba rimanere fedeli ad una scelta registica di fondo.
Immagino che Gabin e Belmondo avessero pubblici ovviamente differenti legati anche e soprattutto ad una questione anagrafica e di cambiamento di costume come nondimeno di cinema ( Godard per forza di cosa non poteva c’ entrare granché con un M.Carné etc.) ; secondo me il fenomeno Delon è interessantissimo perché in parte, come lei dice, attinge ad entrambi i pubblici, ad entrambi i mondi. Io continuo a vederlo come un volto “classico”, a livello iconografico più vicino alla secchezza figurativa del periodo precedente alla nouvelle vague, anche se de facto lavorò cronologicamente in contemporanea con quel cinema emergente.