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18 luglio 2011

TREMONTI CRITICO LETTERARIO

UN INATTESO RIFERIMENTO A DUE ROMANZI DI GEORGES SIMENON ALLIETA LA VITA POLITICA ITALIANA

Nel “Corriere della sera”di sabato 16 luglio ho trovato due citazioni riguardanti il ministro dell’Economia Giulio Tremonti che mi hanno molto divertito ed interessato; entrambe inattese, anche se di peso diverso. La principale, ed anche la più sorprendente fra le due, è quella che riguarda una inaspettata confidenza letteraria del ministro. Così la rievoca Paola Di Caro: ”Ieri, mentre sorseggiava alla buvette un cappuccino con Gianfranco Fini, con freddo sorriso, ai cronisti che l’assediavano per avere un commento (uno qualunque, a scelta) sui problemi che assillano il governo e lui personalmente (….) Tremonti ha dato solo un consiglio: leggetevi Simenon. Tre camere a Manhattan, per esempio. O Il Presidente, è bellissimo……”Al “Corriere” hanno giudicato la battuta così straordinaria da collocare l’inizio del pezzo addirittura in prima pagina (poi “gira” a pagina 6, con a fianco un brano di chiarimenti letterari e diverse precisazioni storiografiche). Confesso che Tremonti mi è sempre stato simpatico, con quella sua ostentata e compiaciute pignoleria tributaria innestata su un secco, provinciale accento di Sondrio. Ma adesso che ha citato Simenon mi è diventato ancor più simpatico. Perché , tuttavia, quella citazione? In particolare, perché Tre camere a Manhattan ? Come è noto è un romanzo (Marcel Carné ne trasse un film nel 1965 con Annie Gerardot, Maurice Ronet, Geneviéve Page e Gabriele Ferzetti) in cui Simenon rievoca e trasfigura una furibonda storia d’amore personale con una franco-canadese, Denyse Ouimet, assunta come segretaria bilingue. Essa diventerà poi la seconda moglie di Simenon, legata a lui da un sofferto rapporto romanzesco. La conosce nel Quebec, prima tappa “fissa” del suo complicato girovagare nel nuovo mondo, iniziato nel 1945 e di fatto terminato 10 anni dopo. Per Denyse Simenon lascerà la prima moglie, Régine Renchon detta Tigy, di Liegi come lui, da cui avrà un figlio, Marc. Da Denyse – nel 1950, a Reno nel Nevada, nel giro di soli due giorni riuscirà a divorziare da Tigy ed a sposare la segretaria – avrà poi tre figli, Jean detto Johnny, Marie-Jo (tormentata ragazza che finirà suicida) e Pierre Nicholas Chrétien. Questo matrimonio, contrariamente al primo, finirà in modo tempestoso e Denyse scriverà, credo, due libri per attaccare l’ex-marito.

Come ho già scritto non ho capito bene il rinvio ai giornalisti del romanzo di Simenon, mentre invece è complessivamente meno oscura la citazione de “Il Presidente”. E’ un romanzo del 1958 in cui il talento di Simenon si esercita magistralmente nel disegnare la figura di un famoso uomo politico francese, che ha avuto un passato splendido e vive un presente di frustrazione e isolamento, rinchiuso nella sua villa di provincia ed accudito da una segretaria, da domestici e gendarmi, tutti apparentemente fedelissimi. Molti hanno voluto vedere nel protagonista una esplicita allusione alla figura di Georges Clemenceau (1841-1929) che fu per decenni uno degli uomini più importanti della politica francese ed europea. Vandeano ma non “chouan”, fu anticlericale e repubblicano. Dopo un soggiorno in America di 4 anni, intraprese decisamente una carriera politica che lo portò ad essere, nel 1870, l’anno della guerra contro i prussiani, sindaco di Montmartre e poi, via via, deputato, senatore, ministro dell’interno nel 1906 e due volte Presidente del Consiglio, dal 1906 al 1909 e, soprattutto, dal 1917 al 1920. Questo vecchio uomo di sinistra – si battè senza risparmio nella difesa di Dreyfus - divenne poi, spostato a destra, un simbolo dell’unità nazionale e della guerra vittoriosa, per cui fu soprannominato “Père- la- Victoire” con un modo di dire francese in cui esiste una sfumatura non traducibile in italiano. Temuto e rispettato per la durezza del carattere e la testardaggine nell’azione, fu sconfitto due volte, nel 1920, nella corsa alla presidenza della Repubblica (era stato accettato all’ “Academie Française nel 1918) dopodichè si ritirò dalla vita politica scrivendo anche due libri di memorie. Pur privo di potere la sua presenza simbolica rimase decisiva nella politica francese. Per cui interpretare il romanzo di Simenon come un’ allusione a Clemenceau non è sicuro ma è un’ipotesi difendibile. Nessuno discute i meriti del libro mentre meno celebrato è risultato il film che Henry Verneuil ne ha tratto nel 1960. Forse perché il regista (vero nome Achad Malakian, un armeno fuggito a Marsiglia con i genitori all’età di 4 anni) è sempre stato passato sotto silenzio e mal compreso dalla critica. In realtà era un uomo di talento, colpevole solo di aver realizzato molti film dal grande incasso. In particolare “Il Presidente” ci offre non solo una splendida interpretazione di Jean Gabin (Emile Beaufort) ma anche di Bernard Blier (Philippe Chalamont) nella parte di un suo ex-capo di gabinetto, divenuto importante uomo politico, a cui viene addirittura offerta la Presidenza del Consiglio. Beaufort, che ha nelle mani una lettera in cui Chalamont ammetteva le sue colpe in un affare losco, riesce ad impedirgli di accettarla. Il film – a fianco dei due protagonisti ci sono anche Louis Seigner, che è il Governatore della Banca di Francia, Renée Faure, segretaria e governante di Beaufort e Alfred Adam, il fedele autista – è delizioso a vedersi per chi ama la politica, spicciola e grande, ed il cinema francese degli anni ’50 e ’60. Con i suoi attori collaudatissimi e la presenza nella sceneggiatura di un dialoghista di grande talento come Michel Audiard. Perché Tremonti l’abbia consigliato rimane un piccolo mistero, ma non v’è dubbio che la struttura del racconto ed il livello della realizzazione (si veda e si ascolti il significativo discorso di Gabin all’Assemblea Nazionale) potrebbero riuscire utili a dei politologi in erba come i giornalisti parlamentari.

Devo aggiungere che in questa occasione Tremonti ci obbliga comunque a pensare. Nel suo intervento alla camera egli ha dichiarato: “siamo come sul Titanic, neanche la prima classe è al sicuro” (questo è il senso della frase anche se la formulazione stilistica mi sembra, per quel che mi ricordo, diversa). Dato che il mondo è pieno di osservatori esatti, anche se vagamente maniacali, ecco che nello stesso numero del 16 luglio del “Corriere della Sera”, in una delle lettere indirizzate a Sergio Romano, un lettore (arnaldo.alberti@katamail.com) fa rilevare che sul Titanic i passeggeri della prima classe si salvarono al 60%, quelli della seconda al 40%, e quelli della terza al 25% come l’equipaggio. Ho tenuto e tengo da decenni rubriche di corrispondenza con i lettori e so che non bisogna mai sottovalutare né la loro preparazione né il loro implacabile ma esatto gusto per le minuzie.

2 commenti:

lms ha detto...

Più che i romanzi di Simenon, il nostro Ministro, doveva consigliarci di vedere il film "Le trou".......di Jacques Becker....ironicamente parlando....

pier ha detto...

C'è del marcio in Danimarcore...