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4 ottobre 2013

IL DIVISMO TRANQUILLO DI GIULIANO GEMMA

Mi dispiace, pochi giorni dopo aver scritto delle estreme parole di commiato da Luciano Vincenzoni, dover dettare un brano che riguarda un altro decesso. Quello di Giuliano Gemma, morto il I° ottobre nell’ospedale di Civitavecchia dove era stato trasportato dopo un gravissimo incidente stradale subìto nei pressi di Cerveteri (antica cittadina laziale situata a circa 40 chilometri da Roma, notissima per i suoi siti archeologici) dove risedeva da tempo. Ma se, scrivendo di Luciano, potevo fare riferimento ad un’amicizia relativamente recente ma intensa, nel caso di Giuliano mi è concesso solamente la possibilità di rimproverarmi per una mia lunga distrazione; e spiegherò meglio questa frase. Appresa la notizia attraverso la televisione ho avuto la forza di chiamare sua moglie al cellulare, di sentirne la voce affranta, (tuttavia è riuscita a parlarmi abbastanza a lungo) e di chiederle scusa per le mie mancanze. Mi auguro che la moglie, Baba Richerme, che è molto sensibile voglia perdonarmi. Molta gente la conosce o, più esattamente, conosce la sua voce perché Baba è da molti anni una delle migliori giornaliste di Radio Rai, specializzata in intelligenti cronache degli spettacoli, in cui si avverte la sua finezza e la sua buona educazione di signora torinese. Da molti anni ormai era la moglie di Giuliano: questi aveva avuto una prima moglie, poi deceduta, e dal matrimonio erano nate due figlie. Una di esse Vera, è attrice e scrittrice. Ho letto in internet un suo sito in cui parla con affetto del padre e ricorda che la madre le diceva sempre “ricordati che sei una vera gemma”. Ha anche prodotto e diretto, cosa di cui è molto fiera, un documentario su suo padre.
Quali sono le mie mancanze? Non avere giustamente celebrato Giuliano quando, alla Rai, sino agli inizi degli anni ‘90 mi riusciva relativamente facile progettare e allestire cicli di film, a carattere monografico (attori, registi, temi, eccetera). Probabilmente mi ha indotto (ingiustamente) in errore il fatto che in buona parte il suo successo provenisse dall’essere stato un divo del western all’italiana. Che magari avrà formato il tessuto su cui si è allenata la cinefilia adolescenziale di Quentin Tarantino (il quale infatti ha testimoniato a Gemma affetto e rispetto) ma che per molti della mia generazione, amanti del western “vero” (da Ford a Peckinpah) costituiva pur sempre una dubbia “ri-creazione” di un tema per cui avevamo sin da bambini una venerazione autentica.
In realtà Gemma non era solo quello, anche se l’Ital-western è stato uno dei veicoli della sua popolarità, quando, spesso con lo pseudonimo “americano” di Montgomery Wood, fu amatissimo dal pubblico che lo conosceva come Ringo. In effetti veniva dallo sport (ho scoperto che, da ex tuffatore, era intimo amico di Giorgio Cagnotto, il grande specialista di salto, padre di Tania) e grazie allo sport divenne stunt-man e poi attore vero e proprio. Uno dei primi a intuirne le qualità fu il disordinato ma intelligente sceneggiatore e regista genovese Duccio Tessari, che gli affidò un ruolo di rilievo nel mitologico “Arrivano i titani” e poi, appunto, gli confezionò come un sarto di lusso, in almeno 4 film, i panni polverosi ed esplosivi di Ringo. Giuliano fece molto cinema in quegli anni e continuò sino ad ora (controllando la sua filmografia ho visto che era preventivato per il 2014 il film “Deauville”) e soprattutto, man mano, strada facendo, imparò sempre più a recitare. Divenne un attore solido, discreto, preciso, sorretto da un fisico atletico e da un volto che la macchina da presa catturava gioiosamente. Se si controlla la sua filmografia si vede che venne spesso catturato da grandi registi e comunque da registi di ottimo mestiere: vorrei ricordare, fra i molti Luigi Comencini, Giuliano Montaldo, Mario Monicelli. E in particolare vorrei ricordare un film, quel “Deserto dei tartari” che Valerio Zurlini trasse nel 1976 dal romanzo di Buzzati e che fu una vera adunata di attori di talento: Vittorio Gasmann, Philippe Noiret, Jean-Louis Trintignant, Max von Sydow, Laurent Terzieff, Fernando Rey e Jacques Perrin, che era anche produttore. Negli ultimi decenni di carriera Giuliano Gemma fu anche un puntale protagonista di molti sceneggiati televisivi di successo, spesso nelle parti di ufficiale superiore di reparti delle forze dell’ordine, nelle quali risultava particolarmente credibile per la naturale capacità di vestire una divisa militare. Mi ricordo che parlava con orgoglio della sua presenza in “Commando d’assalto” (La Légion saute sur Kolwezi) il film del 1979 di Raoul Coutard sui paracadutisti della Legione Straniera in Africa. Vorrei comunque ricordare che in questi giorni il web è ricco di testimonianze piene di affetto di persone che hanno lavorato con lui. Fra di esse ad esempio Stefania Sandrelli (con lui sul set di “Delitto d’amore”) oppure Claudia Cardinale (fra i tanti film le piace ricordare “Il Gattopardo” di Visconti).
So che da tempo egli si era scoperto una vocazione di arte: gli piaceva autenticamente fare lo scultore. Anche qui con quella estrema discrezione e dedizione che contraddistinsero tutta la sua vita pubblica e privata.
Non so cosa altro potrei scrivere per testimoniare del mio commosso rimpianto.

5 commenti:

Principe Myskin ha detto...

Mi ha molto addolorato la scomparsa di Giuliano Gemma, lo ricordo in particolare nella interpretazione "plasticissima, corporea" ,mi pare del Maresciallo Matis ne "il deserto dei Tartari"

Rosellina Mariani ha detto...

Addio a Giuliano Gemma , a "Ringo", ma anche a un uomo gentile e schivo ( così mi è parso sempre incontrandolo per lavoro).
Grazie per averlo ricordato

Giorgio ha detto...

Mi dispiace molto di questa perdita. Con questo articolo ne ha saputo dare un ritratto molto affettuoso. Grazie di averlo ricordato.
Saluti

Enrico ha detto...

Adios, Gringo

Unknown ha detto...

Concordo specialmente con il titolo; non si è mai messo a fare il divo o il divetto. In interviste, documentari o trasmissioni nelle quali è stato chiamato come testimone di una carriera da protagonista si è sempre espresso con toni moderati, facendo evocazioni umili e dissacratorie più che epiche. Insomma fu un vero signore.
Per il resto, come spettatore, poiché sono anche io legato al western classico o quantomeno a quello tardo della New Hollywood, rimango dell' idea generale che la produzione del western all' italiana nella sua interezza non sia generalmente di buon cinema, nonostante numerose pellicole abbiano una loro grande originalità e dignità. Forse il pericoloso, e se posso permettermi anche un po' stupido processo di revisionismo di quel periodo iniziò proprio col "tarantinismo" , che tra i miei coetanei ha fatto molte "vittime".