come al solito, ma con qualche giorno di ritardo, ecco la mia rubrica di domenica 2 marzo sul "Corriere Mercantile". Il tema che ho affrontato, lo dico impudicamente, mi sembra di notevole importanza. La ristrettezza dello spazio non mi ha consentito di trattarlo così come avrei voluto. Ad esempio ho dovuto trascurare ogni riferimento ai cosiddetti "Tatari di Crimea", essenziali per comprendere quel che sta succedendo non solo in Crimea, ma anche nell'Ucraina propriamente detta. Non è possibile riassumere qui la complicata vicenda. Mi limiterò a ricordare che nel 1792, con il trattato di Iassy (Iaşi) la Crimea era stata acquisita definitivamente allo stato russo. Da allora, credo, cominciò una migrazione russa che con l'andar del tempo ha definitivamente messo in minoranza l'originale popolazione tatara. Che parla una lingua chiamata "crimeano", appartenente al gruppo di sud-ovest (oghuz) delle lingue turche, e in gran parte professa la religione mussulmana di confessione sunnita. Nel corso dei millenni i Tatari hanno conosciuto vicissitudini di ogni tipo. Ma l'ultima, e forse la più tragica, è quella verificatasi durante la seconda guerra mondiale quando Stalin, accusando l'intera popolazione di essere al servizio della Germania nazista (forse perchè alcuni tatari aveva formato un reparto militante nell'esercito tedesco, la "Wolgatatarische Legion") fece deportare l'intero gruppo etnico nell'interno dell'immenso "impero" sovietico. In gran parte i Tatari vennero concentrati nel lontanissimo Uzbekistan. Diaspora che causò un enorme perdita di vite umane. Di fatto da allora la comunità tatara si trova in netta minoranza rispetto alla componente russa del paese che, nel giro di più di due secoli, è diventata largamente maggioritaria (complessivamente la popolazione della penisola ammonta a circa a 2.000.000 di persone). Nonostante ciò, dai tempi di Chruščëv (quando esisteva ancora l'URSS) la Crimea venne attribuita all'Ucraina ed all'Ucraina è rimasta quando quest'ultima è diventata uno stato indipendente, quasi diviso a metà fra ucraini propriamente detti e russi. Il che spiega la semi-realizzata invasione delle truppe russe, poi bloccate all'ultimo momento. E palesemente accolta con entusiasmo la popolazione (ovviamente da quella russa e non da quella tatara).
Ho cercato qui di ridurre al minimo l'immenso deposito del passato storico che grava sulla Crimea, e quindi indirettamente sulla Russia e sull'Ucraina. Ma ho dato vita, nel mio (estremamente) piccolo, ad un minimo di quella divulgazione che solo da pochissimi giorni la stampa e la televisione italiana stanno cercando di operare, dopo non aver spiegato niente per mesi. Fra i mille particolari che ho appurato mi sembra esservene uno che, se è vero, è clamorosamente sconcertante. Sembra che nella capitale Kiev (2.758.000 di abitanti) la lingua prevalentemente usata sia il russo e non l'ucraino, nonostante che la città si trovi in quella parte del paese largamente di lingua ucraina. E' una notizia sbalorditiva come lo sarebbe se si apprendesse improvvisamente che la lingua abitualmente parlata a Roma è il francese ed a Parigi il tedesco. Su questo paradosso, all'interno di un paese che mi sembra essere tutto un paradosso, non ho trovato ancora una riga nei quotidiani italiani né una voce nei telegiornali.
Ed ora ecco la rubrica:
VISTO CON IL MONOCOLO
LE LINGUE BATTONO LE IDEOLOGIE
Ho notato che la stampa quotidiana (non solo quella italiana ma anche quella francese e anglofona) nutre spesso una curiosa indifferenza verso alcuni problemi linguistici fondamentali, sia nelle rispettive nazioni che altrove. Questo nasce a volte da un esasperato nazionalismo: si pensi alla Francia che fra l ‘800 e il ‘900 ha praticamente distrutto alcune sue lingue minoritarie ma importanti come l’occitano o quelle “straniere” come il Bretone, che è un idioma celtico, o il corso, che, con buona pace dei corsi, è un super-dialetto italiano, fra il toscano e il meridionale.
Ma spesso accade qualche cosa di meno spiegabile: una sorta di rimozione collettiva per motivi ancora più oscuri. In questi ultimi mesi ne abbiamo avuto una riprova molto evidente. Riscontrabile negli articoli e nelle corrispondenze (televisione compresa) sulla crisi ucraina. Per mesi siamo stati inondati di informazioni sulla situazione politica sempre più grave, sugli scontri partitici sempre più aperti, sino ad arrivare di fatto alla guerra civile ed al ripudio (ed alla fuga) del presidente in carica. Analisi minute ci hanno informato sugli scontri ideologici in atto, senza fare mai parola del retroterra etno-linguistico assolutamente determinante che presiede la crisi ucraina. Solo nelle ultime settimane abbiamo cominciato a leggere notizie sul vero sottofondo che la determina: l’intreccio spesso rabbioso dell’invasione polacca e di quella russa sul fragile territorio ucraino e la sostanziale divisione linguistica che separa di fatto il paese: da un lato, diciamo da Odessa a Donetsk, una popolazione dal 40% a oltre il 50% di lingua russa e non ucraina, credo studiata come una lingua affine perché slava, ma ben distinta e diversa. Dall’altro, sino a Lviv, un succedersi di zone dove il russo è parlato da meno del 20% della popolazione. Divisione che trova una conferma puntuale nell’esito delle votazioni presidenziali del 2010: nella parte “ucraina” del paese Iulia Timoschenko, pro-europeista, riceve il 45,47% dei voti. Nella parte opposta Victor Ianukovich (poi eletto, ora rifugiato in Russia) riceve il 48,95% dei voti.
Perché questa tardiva “intrusione” di un problema fondamentale? Vorrei saperlo.
Claudio G. Fava
(battute 2.208)
2 commenti:
Grazie per questo articolo che mi ha svelato molte cose di cui ero digiuna. Intanto mi sembra di aver capito che Tartari è una italianizzazione di Tatari.Poi mi hai chiarito che a Kiev si parla il russo e non l'ucraino e questo mi ha fatto pensare all' importanza del problema etnico linguistico nella crisi ucrainica.Semplifico troppo se dico che l'ignoranza la fa da padrona nell'impedire che si risolvano i conflitti? Grazie per la tua cultura
La ringrazio dell'articolo sulla Crimea, in poche righe mi ha chiarito cio che i giornalisti non sono riusciti a fare in queste settimane sulla situazione geopolitica in quell'area.
Saluti
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