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30 aprile 2012

CURIOSITA' PERIFERICHE PER PAROLE ESOTICHE MA DI USO COMUNE

Ogni tanto son colto da piccole manie filologiche, per coltivar le quali posseggo soltanto la petulanza ma non la preparazione scientifica. Tant’è, proseguo nel mio cammino, austero ed infantile al tempo stesso. Ad esempio una delle varie, minuscole ossessioni di cui soffro è quella di capire perché in Italia ed in Francia per indicare l’esercito tedesco ai tempi del nazismo si prediliga la parola “Wehrmacht”. E‘una sorta di mania che fa di questo minimo, ma indubbio, errore di lessico una sorta di bandiera dell’approssimazione linguistica (come si sa in ogni lingua esiste una sorta di terreno franco in cui si compiono errori tollerati, purché in altri idiomi: si veda la Francia con i suoi sistematici “Guiseppe” e “Ossobucco” invece di “Giuseppe” e “Ossobuco”)). In sostanza la “Wehrmacht” - in tedesco significa, pressappoco, ”forza di difesa” - raggruppava tutte le forze armate che non dipendevano dal Partito Nazista (le S.A ma soprattutto le S.S.), e naturalmente le varie forze di polizia non militare. Comprendeva quindi l’Esercito (“Heer”), la Marina militare (“Kriegsmarine”, nel dopoguerra prima “Bundmarine” e ora “Deutsche Marine) e l’Aviazione Militare (prima , e credo anche adesso, “Luftwaffe”). Perciò scrivere indossava l’uniforme della “Wehrmacht” come si usa fare in Italia e in Francia, significa soltanto che la persona in questione non indossava quella delle formazioni del Partito, S.S. in testa. (Oppure quella dei pompieri o dei netturbini). Sembra una sciocchezza ( forse è veramente una sciocchezza)ma è un errore in cui cadono tutti. L’ho trovato l’altro giorno anche sul Corriere della Sera, nella rubrica di corrispondenza con i lettori tenuta da Sergio Romano, che è un ex-ambasciatore, un poliglotta ed un uomo di vasta cultura storica. Un’altra parola che mi ha sempre incuriosito e che molti giornalisti usano voluttuosamente è: “commando”. Inteso nel senso di reparto militare di specialisti, dotati di un specifico addestramento e destinati ad operazioni perigliose e difficili. Sembra che la sua notorietà sia nata ai tempi della guerra anglo-boera, di cui un primo frammento iniziò nel 1880 ed un secondo, quello che vide la definitiva vittoria britannica, terminò nel 1902. Sulla sua origine ho trovato in internet spiegazioni fantasiose ma curiose. Esse ci riportano ad un personaggio italiano di cui non avevo mai sentito parlare, e cioè il piemontese (di Alba) Giuseppe Camillo Pietro Ricchiardi (1865-1940). Il quale dopo aver frequentato Modena ed esser diventato ufficiale di cavalleria in Genova e in Piemonte Reale, ebbe poi una vita particolarmente avventurosa: istruttore nell’esercito del Siam, giornalista durante la guerra Cino-Giapponese del 1895, agente in Cina dell’Unione Industriale Italiani, mercenario nelle Filippine agli ordini del generale Aguinaldo, che combatté per l’indipendenza contro gli spagnoli e poi contro gli americani e credo sia stato anche il primo Presidente della Repubblica filippina. La quale venne poi annullata dagli Stati Uniti, prima di essere riesumata quando, pressappoco quarant’anni dopo, arrivarono i giapponesi. Dopo le Filippine Ricchiardi sarebbe andato in Sud-Africa a fianco dei boeri che resistevano agli inglesi e sarebbe diventato colonnello della Legione Volontaria Italiana, i quali combattevano appunto nelle file dell’esercito boero (francamente, non ne avevo mai sentito parlare). Sembra che sia stato lui ad aver catturato su un treno Winston Churchill, in Sud- Africa come giornalista (ma nelle sue memorie Churchill pare non faccia parola né di Ricchiardi ne dei Volontari italiani e dica di esser stato catturato da Luis Botha). Comunque sia, secondo alcuni, risalirebbe a lui l’invenzione della parola “commando” che non sarebbe altro che la parola italiana “comando” aumentata di una lettera, ed eventualmente scritta con la “k” nella lingua paraolandese dei boeri e cioè l’”Afrikaans”. Perché è usata da tanti e con tanta compiacenza? Non sono mai riuscito a spiegarmelo, così come mi è sempre parsa oscura l’esplosivo successo della parola “Blitz”. E’ di uso comune nei giornali quando si descrivono operazioni e incursioni poliziesche. In senso stretto “Blitz” in tedesco significa “lampo” o anche “fulmine”. Perché dunque scrivere “ieri a XXX ha avuto luogo un Blitz della squadra mobile di XXX ?”. L’unica spiegazione possibile è che sia una contrazione dell’espressione “Blitz Krieg” e cioè “Guerra Lampo”, espressione che, anche in italiano, ebbe molta popolarità nel 1939/40, dopo il crollo subitaneo dell’esercito polacco prima, e di quello francese poi, di fronte all’ appunto fulminea avanzata dei carri armati tedeschi. Resta tuttavia vagamente insensato l’uso attuale della parola e misteriosa la fortuna che essa continua a rivendicare negli scarni portafogli verbali dei cronisti. Per conto mio confesso che quando sento parlare di “Blitz” e ancor più di “summit” (altra parola usata generosamente per ogni riunione politica o poliziesca) mi sento male e penso che sia già fallito tutto.

5 commenti:

PuroNanoVergine ha detto...

Il finale del pezzo vale l'intero articolo (battuta azzeccatissima).

A me invece colpisce l'uso del suffisso "poli" a indicare una vicenda di malaffare.

Si era partiti con Tangentopoli dove in realtà era la prima parte che indicava l'aspetto penale delle vicende narrate.

Col tempo le tangenti sembrano essersi smarrite, sostituite dal "poli" che ha dato vita ad affittopoli, parentopoli, calciopoli...

Enrico ha detto...

Certo che le parole di cui lei ha discettato sono ben radicate nei nostri glossari e sarà difficile non ricascarci.Visto che siamo in argomento,mi ha sempre stupito che nella lingua inglese "wind" si pronunci "uind" e "rewind" "riuaind".E perchè mai?
Oggidì mi fanno orrore parole del gergo dei sedicenti businessmen come "briffare" o "blinkare" o il "piuttosto che" con cui l'oste sciorina il menu "Abbiamo la pajata piuttosto che la coda alla vaccinara" (intendendo che il menu prevede entrambi i piatti).Parole a vanvera!Cari saluti

Anonimo ha detto...

Non so se sia vero o no ma molti mi hanno detto che il termine "Chat" (parlare tramite on-line) derivi proprio da Genova da "ciattella", "ciattellare". Gli inglesi poi l'han fatto loro? E' possibile?
G.

SG ha detto...

Non so se sia vero o no ma molti mi hanno detto che il termine "Chat" (parlare tramite on-line) derivi proprio da Genova da "ciattella", "ciattellare". Gli inglesi poi l'han fatto loro? E' possibile?
G.


Dubito.
Merriam Webster dice:

Origin of CHAT
Middle English chatten, short for chatteren
First Known Use: 15th century


La gente chiacchierava ben prima dell'avvento di Internet.

Rosellina Mariani ha detto...

Articolo acuto e divertente(come sempre!)il finale è geniale!

Grazie